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dimissioni

Napolitano(vo)

Io non so se sono io che forse non sono abbastanza acuto o forse se è questa politica che mi esclude per imperizia ma se davvero Napolitano (e non ci credo) è una rassicurazione fondamentale per l’Europa e se davvero solo lui può essere l’unica garanzia di questo (vomitevole) patto di grande coalizione beh allora mi chiedo se è davvero così normale che le sue eventuali dimissioni e gli eventuali tempi delle sue eventuali dimissioni siano un chiacchiericcio tra giornalisti e deputati, trattato come una notizia di gossip in cui tanto si affaccendano per dire e non dire. Nel senso, mi chiedo, chissà allora che figura ci facciamo in Europa con tutti questi sussurri e nemmeno una voce ufficiale che dica o smentisca, che ci informi che è venuto il tempo di pensare al sostituto oppure è tutto tempo perso buono solo a riempire le pagine.

Mi sembra semplice, no? O forse sono io che sono troppo semplice. Forse.

Chi ha messo lì Mastrapasqua? quasi tutti.

Me lo chiedevo giusto ieri qui e mi ha risposto Sergio Rizzo per Il Corriere della Sera:

mastrapasqua-presidente-inps-indagatoBasta guardarlo, Mastrapasqua, per capire che il suo fisico segaligno è modellato sulla corsa di resistenza. Ne ha corse tante, insieme a Giampaolo Letta, il capo di Medusa, la società di produzione cinematografica di Silvio Berlusconi. Giampaolo è il figlio di Gianni, lo zio di Enrico e braccio destro del Cavaliere. Sono amici dai tempi della scuola, al San Leone Magno: ancor di più ora, al circolo Canottieri Aniene dove sgambetta tutta la Roma che conta.

Corre forte, il maratoneta Mastrapasqua. Troppo forte per Alfredo Antoniozzi, figlio dell’ex ministro democristiano Dario, a sua volta politico dc e poi forzista, del quale è collaboratore. A un certo punto stacca pure lui, per agganciarsi definitivamente a Gianni Letta. Il Nostro passa per essere un brillante commercialista nell’avviatissimo studio del papà. Così, quando l’Ospedale israelitico, struttura convenzionata con la sanità pubblica, finisce nei guai, Letta lo propone per il salvataggio.

E chi meglio di lui quando c’è da riempire un posto nel consiglio di amministrazione dell’Inps? Di nuovo, è Gianni Letta che fa il suo nome. In quegli anni da semplice consigliere il maratoneta corre senza sosta. Trovando il tempo anche per curare i propri affari, scrive nel libro «Tutti a casa» Mario Giordano, raccontando come fa a conquistare una residenza principesca in via Filippino Lippi a Roma, nel cuore dei Parioli: compra per un milione e mezzo di euro due case dell’Inail dagli inquilini che le hanno acquistate dall’ente qualche giorno prima.

Mastrapasqua sa dove vuole arrivare: in cima. Il suo protettore è potente, ma ci vuole qualcosa di più. Come un appoggio dentro l’istituto. Allora si lega alla Cisl e al direttore generale Vittorio Crecco. Preparandosi a fare le scarpe al presidente Gian Paolo Sassi.
Accade quando l’Inps entra in Equitalia con il 49 per cento. La vicepresidenza della società dovrebbe andare al numero uno dell’istituto. Ma quando Sassi sta per assumere l’incarico, ecco la solita telefonata da Palazzo Chigi: «Il posto è di Mastrapasqua, non si discute».

E non è una poltrona da nulla, considerando che nel 2011 garantiva al suo occupante, dice la Corte dei conti, 465 mila euro l’anno. Il triplo del presidente. Quella telefonata è una investitura in piena regola. La nomina di Mastrapasqua al vertice Inps viene approvata in Parlamento anche dal Partito democratico. Se ne occupa l’ex ministro del Lavoro unionista Cesare Damiano in persona. Mentre nessuno bada agli oltre cinquanta incarichi che in quel momento riveste.

Adieu, borghesissimo Monti

Monti esce dal partito fondato da se stesso e fin qui la notizia già fa sorridere, he. Del resto si dimette da Scelta Civica ma rimane senatore, ora nel Gruppo Misto e poi a vita come la nomina che si porta dietro grazie a Napolitano. Eppure a fallire non è Monti ma un progetto politico che è già fallito altre volte come sottolinea Alessandro nel suo post di oggi:

Un giorno bisognerebbe farla, la Spoon River dei partiti centristi-borghesi italiani: dalla lista di Massimo Severo Giannini (era il 1993, ci stava dentro pure Galli della Loggia), giù giù fino a Scelta Civica, passando per il Patto Segni, Alleanza Democratica (ve lo ricordate Adornato?), la lista Dini (sì, abbiamo avuto anche quella, fu un’invenzione di D’Alema) ma anche la montezemoliana Italia Futura, che a un certo punto sembrava dovesse spaccare tutto.

Sigle che nascono sull’onda di un portentoso sostegno da parte dell’establishment economico e mediatico, ma poi vanno a scontrarsi con un’indifferenza totale nel Paese reale, che curiosamente obbedisce poco alle indicazioni degli editorialisti del ‘Corriere’.

 

Persone da non lasciare sole

Rosario Rocca è sindaco di Benestare, piccolo paesino della Locride. Rosario si è ritrovato, alle cinque di questa mattina, con la denuncia appena timbrata in caserma dove viene descritto l’incendio della propria auto. Nelle scorse settimane l’auto bruciata invece era stata quella della sorella. Decine di minacce, più o meno velate, che l’hanno portato a desistere e scrivere una lettera che non è la sua resa, è la nostra sconfitta:

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Finalmente Regione Lombardia è diventata una questione meravigliosamente ‘pubblica’

[comunicato stampa]

Forse sarebbe meglio che Formigoni si prendesse la responsabilità di continuare questa sua patetica lite domestica con la Lega con più tranquillità dopo avere dato le dimissioni da Presidente della Regione Lombardia. Avrebbe modo di non bloccare l’istituzione e soprattutto i lombardi con dispetti e personalismi che sono irrispettosi e dannosi nel momento di crisi che sta attraversando anche la nostra Regione.

A noi centrosinistra invece spetta il compito di iniziare un serio percorso di ascolto con i cittadini che in questi mesi hanno dimostrato di essere civilissimi nell’individuazione dei bisogni, senza perdere tempo nella pruriginosa osservazione dell’abbattimento del formigonismo abbiamo l’obbligo di indicare il più chiaramente e il più velocemente possibile la strada e le modalità dell’alternativa con primarie e regole certe per non ripercorrere i balbettamenti nazionali.
Finalmente Regione Lombardia è diventata una questione meravigliosamente pubblica e la lobby che conta oggi è solo quella dei lombardi.

Mi dimetto da Podestà. Anzi no.

“Alle 16 conferenza stampa sulle ragioni delle mie dimissioni. Governare una Provincia in queste condizioni è (quasi) impossibile”. Lo scrive sul suo Twitter Guido Podestà, Presidente della moritura provincia di Milano.

Convoca la conferenza stampa e dice: non mi dimetto per responsabilità. Nessuno maligna però che quelle dimissioni gli avrebbero permesso di essere in tempo per candidarsi alle prossime politiche e (come si dice nei corridoi del Pirellone) una telefonata molto in alto di un leader molto basso ha bloccato tutto.

Il bipolarismo è una realtà politica. Cronica. Nel senso clinico però.

Dimissioni

“Raccogliamo la proposta del Partito Democratico e rassegnamo le nostre dimissioni nelle mani del suo capogruppo in Regione Lombardia col mandato di verificare la possibilità di effettive dimissioni della maggioranza dei consiglieri regionali.” Chiara Cremonesi e Giulio Cavalli affidano a una nota la propria adesione all’iniziativa proposta oggi da Maurizio Martina.

Il nostro comunicato di ieri. Per dire.

Minetti(ti), quando era come Nilde Iotti

Commentando le dichiarazioni di Daniela Santanché che l’ha definita “inadatta alla politica” Nicole Minetti replica: “Mi domando se è la stessa Santanché che una volta mi paragonò a Nilde Iotti. Per carità, cambiare opinione è legittimo. Io comunque non mi sento finita”.

Servi che si incartano tra le parole servili. Senza nemmeno un filo di vergogna.