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Prima ha depredato la Sanità lombarda, ora gli restituiscono anche il vitalizio

Il più grave danno al garantismo, quello che dovrebbe essere assicurato in uno Stato di diritto e che è sancito chiaro chiaro nella nostra Costituzione, è proprio il garantismo quando diventa peloso, quando serve per condonare i potenti e soprattutto quando viene utilizzato non come metodo universale ma solo per alcune categorie.

Il fatto che Roberto Formigoni stia pagando i suoi debiti con la giustizia è la normale conseguenza di un giusto processo che ha stabilito delle responsabilità penali. Il fatto che si pretenda l’oblio per un danno erariale di 47,5 milioni di euro di soldi pubblici per il caso Maugeri in Lombardia e che ci si aspetti che nessuno si permetta più di scrivere che la sua rete di amicizie e il suo “mercimonio della propria funzione” (lo scrive la sentenza di Cassazione) abbiano devastato la Sanità lombarda pare, invece, davvero un po’ troppo.

E allora la vicenda del suo vitalizio da 7mila euro al mese che il “Governo dei migliori” gli sta apparecchiando forse assume una prospettiva nettamente diversa: è etico che una persona condannata per reati gravissimi (che ne hanno comportato anche l’esclusione politica e che sono diventati sentenza definitiva) possa godere degli stessi benefici di chi ha svolto con moralità il proprio ruolo?

È normale e accettabile che esistano ruoli e cariche che beneficino di trattamenti diversi rispetto ai normali lavoratori? Conoscete qualcuno che, dopo essere incappato in una grave condanna che certifichi un suo danneggiamento verso l’azienda per cui lavorava, possa godere comunque di una pensione e un vitalizio?

La delibera Grasso-Boldrini fu approvata nel 2015 in Parlamento non per “punizione” ma per garantire uguaglianza tra i parlamentari e i “normali” lavoratori: qui il punto non è il garantismo ma decidere se abbia un senso che gli italiani continuino a mantenere una persona che li ha danneggiati.

E non c’è solo Formigoni: il ricorso dell’ex presidente di Regione Lombardia sblocca la situazione di Silvio Berlusconi, di Ottaviano Del Turco e perfino di Marcello Dell’Utri.

Infine, sorge un dubbio: ma Salvini e Meloni – quelli che “butterebbero le chiavi” quando si tratta di punire (per loro: vendicarsi) un povero disgraziato che commette un reato (seppur odioso) – non hanno niente da dire con i criminali grossi e potenti quando sono loro amici?

Tintinnano le manette per i ladri di polli e poi si diventa garantisti per i colletti bianchi condannati in via definitiva? Lo chiamano garantismo e invece è solo “essere amici degli amici”.

Leggi anche: Salvini contro i vaccini ai detenuti in Campania e Lazio, ma dimentica che va così anche nelle Regioni leghiste (di Giulio Cavalli)

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“No al Sala bis”: il M5S Lombardo chiude le porte alla ricandidatura del sindaco di Milano

Il sindaco di Milano Beppe Sala annuncia la sua candidatura per il secondo mandato alla guida del Comune di Milano ma dal Movimento 5 Stelle in Regione Lombardia arriva subito una netta e decisa presa di distanze. TPI.it ha intervistato Dario Violi, consigliere regionale del M5S e candidato presidente nel 2018.

Violi, Beppe Sala annuncia la sua candidatura…
“Ah. Quindi alla fine non ha trovato niente di meglio?” (Sorride)
In che senso?
“È un’evidenza dei fatti: Sala ha preso tempo solo perché gli andava stretta la sua candidatura a sindaco. Qui a Milano lo sanno tutti.”.
E voi come Movimento 5 Stelle cosa ne pensate della sua ricandidatura?
“A noi cambia davvero ben poco. I gruppi locali stanno lavorando da mesi a un programma con tanti punti importanti, per una città che sia più verde e molto diversa da quella che ha in testa Sala. I gruppi locali lavoreranno sicuramente in quella direzione”

Però al governo nazionale siete con il Partito Democratico, perché non dovrebbe ripetersi quello stesso paradigma anche su una città importante come Milano?
“Io sono autonomista nell’anima, soprattutto in queste cose. Va rispettato il territorio e le decisioni che prendono i gruppi del territorio. Con Sala abbiamo discusso politicamente e in modo acceso per l’opera di cementificazione che ha in mente in zona Porta Romana, sarebbe incoerente: lo contestiamo fino a un giorno prima e poi ci andiamo insieme? E poi anche se coì fosse la scelta deve essere dei territori e non deve essere una scelta di comodo e di Palazzo che arriva da Roma”.
Quindi voi avete un giudizio negativo sull’operato di Sala come sindaco?
“Questo andrebbe chiesto ai consiglieri comunali, io direi molto negativo. Le nostre sensibilità su ambiente, sviluppo sostenibile, mobilità sono molto distanti”.

Calenda e Richetti hanno fatto gli auguri a Sala chiedendo al PD di non allearsi con voi. Che ne pensa?
“Quelli dello zero virgola devono parlare male del Movimento 5 Stelle per esistere. Se dicessero “in bocca al lupo a Sala” e basta non se li filerebbe nessuno”.
Quindi nessuna possibilità nemmeno di trattativa con il Partito Democratico?
“Per me è un tema di territorio e non un tema di persone e di partiti. Per me e per tanti di noi. Noi non “trattiamo” con nessuno ma al massimo valutiamo la condivisione dei programmi. Sala l’abbiamo contrastato per 5 anni. La vedo dura. Anche se non sono mai stato uno che dice di no a prescindere”.
E se da Roma vi chiedessero di farlo per la tenuta del governo?
“Sarebbe ridicolo che un governo dipenda da un’alleanza in un comune, anche se importante come Milano. Quel governo non avrebbe senso di esistere”.
A proposito, e gli accordi per le elezioni su Roma?
“Noi andiamo avanti con Virginia Raggi. A quanto pare il PD non vuole. Quegli altri (Calenda e soci) vogliono che vadano con loro. Per noi Virginia Raggi ha lavorato bene in una città in cui si fa molta fatica e con molti interessi anche esterni. Noi abbiamo cercato di portare la città e i suoi conti sulla buona strada”.

Leggi anche: 1. Beppe Sala a TPI: “Se tornassi indietro, parlerei di meno. Non so se mi ricandido a sindaco di Milano” / 2. Esclusivo TPI – Beppe Sala risponde alla lettera del M5S: “Dialoghiamo per la Milano del futuro” / 3. Esclusivo TPI – Milano, la lettera del M5S a Sala: “Confrontiamoci sui programmi contro le destre”

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Migranti, la solidarietà dei cittadini di Nerano è uno schiaffo a chi tenta di aizzare una guerra tra disperati

Che bella la storia che arriva da Nerano, vicino a Capri, dove si scorge un’Italia così diversa da quella che naviga tra i social e tra la bile di qualche feroce politico che anche in pandemia tenta di aizzare la gente già sfiduciata e consumata dalla pandemia contro i migranti in questa eterna lotta contro gli ultimi degli ultimi, una guerra tra disperati che serve solo a rimestare voti.

Sedici migranti (14 uomini e 2 donne) provenienti da Iran e Iraq sono sbarcati nella baia di Ieranto e mentre cercavano un centro abitato attraverso tortuosi sentieri sono stati intercettati da una pattuglia dei carabinieri e da un’abitante di Massa Lubrense, quindi accompagnati al borgo di Nerano. Siamo nel pieno della costiera amalfitana, quella che gode della ricchezza di stranieri che passano qui le vacanze e che si è sentita in obbligo di restituire un po’ di serenità. Di notte, nel piccolo borgo, Salvatore Cioffi, un cittadino solidale che di questi tempi diventa addirittura una notizia, si è prodigato per dissetarli e in poco tempo anche gli altri concittadini hanno cominciato una gara di solidarietà. Il proprietario del ristorante “Lo Scoglio”, uno dei più rinomati della zona ha fatto preparare alcuni pasti caldi mentre Rosetta Esposito, che in paese ha un piccolo negozio di alimentari, ha alzato di notte la saracinesca per occuparsi dei profughi. Intanto si sono mosse anche le istituzioni: i medici hanno provveduto a un primo controllo medico e hanno preparato il giro di tamponi per testare le persone (risultate tutte negative) mentre il sindaco di Massa Lubrense Lorenzo Balduccelli si è attivato per una sistemazione per la notte in un salone (dal nome bellissimo e evocativo: Salone delle Sirene) all’interno del municipio. Ora la Procura indaga per capire chi ha trasportato i migranti, non sono state ritrovate imbarcazioni.

La storia fa il giro dei social e sotto, ovviamente, piovono i soliti insulti, il solito cattivismo, il solito razzismo di quelli che si dichiarano non razzisti. Eppure è una storia ordinaria, piccola, che racconta come esistano luoghi e esistano persone che tendono la mano a chi ne ha bisogno, senza troppe domande e senza troppi giri. “A Nerano – ha detto Rosetta Esposito al Corriere della Sera – gli stranieri portano ricchezza e benessere. Ma ora siano noi a dover essere accoglienti”. Perché capita a chiunque di ritrovarsi da una parte o dall’altra della barricata, ciò che conta è farsi trovare pronti, e etici. Sempre.

 

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Altro che trionfo di Biden. Ancora una volta sondaggi e opinionisti hanno toppato alla grande

È ancora una volta la sconfitta della bolla. Le elezioni Usa non hanno ancora un risultato finale, ci vorrà tempo per contare tutti i voti per posta, ma l’onda blu che per mesi molti media si sono prodigati a descrivere non è sicuramente arrivata, chiunque risulti vincitore. Ed è l’ennesima lezione di un certo modo di vedere la politica, soprattutto quella degli altri, con gli occhi e con gli algoritmi di chi ci sta intorno, come se tutte le bizzarre uscite di Trump, quelle che anche molti giornali qui da noi hanno riportato con tanto clamore, fossero davvero delle irresponsabili fanfare e invece non avessero una solida base elettorale a cui parlare, da convincere, da sostenere e da cui essere sostenuti.

Accade nella politica ma accade così un po’ dappertutto: forse anche per il funzionamento stesso dei social siamo portati a convincerci che ciò che riteniamo assolutamente ragionevole sia un senso comune accettato e condiviso, ci convinciamo che la gravità che noi osserviamo in certi ragionamenti e in certi atteggiamenti sia un pensiero popolare e consideriamo gli avversari politici semplicemente una minoranza che verrà smentita dai numeri e dagli eventi.

E invece non solo non è così ma negli Usa, basta dare un’occhiata ai social, già ci sono quelli che raccontano di tentativi da parte dei democratici di manipolare le elezioni, Trump (dopo avere negato che l’avrebbe fatto) si è già dichiarato vincitore paventando già possibili brogli, l’enorme vantaggio che certi sondaggi davano a Biden è una favola che si è schiantata con questi primi risultati. Ed è una lezione politica ma è anche una lezione di giornalismo e di atteggiamento sociale: la sicumera non porta mai bene in politica, è un terreno scivoloso in cui si sono incagliati grandi firme e quello che non piace a noi (così come quello che ci piace moltissimo) non è per forza la linea di pensiero generale. Queste elezioni Usa ce lo dicono ancora una volta, comunque finirà.

E se è vero che i candidati hanno tra i propri doveri di propaganda quello di apparire certi del proprio risultato, non si capisce perché i media debbano stare al loro gioco. Ora si contano i voti, uno dopo l’altro, quelli decisivi, ma la storia che arriva dalle elezioni presidenziali americane è già molto diversa rispetto alla narrazione che avevamo ascoltato fin qui. Chissà se qualcuno, una volta tanto, confesserà di essersi fatto prendere un po’ troppo la mano.

Leggi anche: 1. Elezioni Usa. La diretta con i risultati / 2. Usa 2020 on the road: viaggio nell’America al voto

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Trascinarono nuda una malata psichica, sospesi due agenti

Sono due gli agenti della casa circondariale di Rebibbia sospesi dal loro incarico, una sovrintendente e un assistente capo coordinatore in servizio all’istituto che ora sono accusati di falso ideologico e abuso di autorità. La presunta vittima è una detenuta con problemi psichiatrici. I fatti risalgono alla notte dello scorso 21 luglio: la donna è stata trascinata con forza perché aveva rotto un termosifone, dopo avere chiesto una sigaretta e avendo ottenuto un rifiuto, e per questo sarebbe stata portata in un’altra stanza priva di telecamere di sorveglianza. Il tutto sarete avvenuto con la presenza di ben 5 agenti donne e un agente di sesso maschile che avrebbero poi redatto un verbale di servizio in cui era riportata una presunta aggressione da parte della detenuta nei confronti degli agenti che in realtà non sarebbe mai accaduta.

«Non risulta che la detenuta stesse tenendo un comportamento aggressivo che abbia reso necessario l’intervento di un agente di sesso maschile, né dai filmati risultano situazioni che rendessero necessario l’uso della forza per lo spostamento della detenuta, come sostenuto dagli indagati nell’interrogatorio» scrive nell’ordinanza la gip Mara Mattioli, che descrive anche i fatti successivi: «Il trascinamento di peso della detenuta, nuda e sull’acqua fredda, non è stato posto in essere per salvaguardare l’incolumità della stessa (avendo la detenuta già da un po’ cessato le intemperanze) apparendo invece chiaramente motivato da stizza e rabbia per i danni causati dalla donna». Nel video agli atti anzi la donna detenuta è evidentemente in imbarazzo proprio per la presenza di un uomo e cerca di coprirsi le parti intime. Scrive la gip: «L’agente entra nella stanza n.3 e ne esce tenendo ferma la nuca della detenuta che in quel momento appare collaborativa ed è completamente nuda, la accompagna all’interno della stanza n.1 resa nuovamente agibile».

Una circostanza che per l’eccezionale presenza di personale di sesso maschile non autorizzato doveva diversamente essere riportato agli atti. «Inoltre la telecamera esterna alle ore 2.01 del 22/7/2020 riprende nuovamente l’agente entrare nella stanza n.1 ove è rimasta la detenuta ed uscirne circa 24 secondi dopo. Di questo accesso non vi è traccia nei verbali né dai filmati si capisce sulla base di quale necessità un agente di sesso maschile sia intervenuto da solo presso la cella della detenuta (peraltro ancora completamente nuda)». Secondo quanto riportato dalla vittima nel suo interrogatorio sarebbe rimasta sola con l’agente uomo nella stanza mentre era minacciata di non rivelare quei fatti a nessuno altrimenti le violenze si sarebbero ripetute. Da qui la condanna di falso ideologico e di abuso di autorità che hanno portato anche alla sospensione del servizio: “personalità del tutto spregiudicate” che avrebbero potuto reiterare le violenze e che avrebbero potuto inquinare le prove. Secondo fonti interne al carcere, infatti, gli accusati non era la prima volta che eccedevano in violenze e risulterebbero diverse segnalazioni e condanne disciplinari nel loro curriculum.

Per il Garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia «pur rimanendo ovviamente garantisti la loro sospensione è un segnale importante perché in molti casi di abusi, quando non vengono coperti con omertà, il personale resta normalmente in servizio e in molti casi restano in servizio nello stesso istituto se non addirittura nelle stesse sezioni». Per questo, dice Anastasia, «l’intervento del Dap è particolarmente apprezzabile perché è risultato abbastanza urgente, mentre spesso si aspetta l’esito del procedimento penale, quindi molti anni dopo, prima di intervenire e allontanare gli eventuali colpevoli»· Mentre ora le indagini faranno il suo corso e accerteranno eventuali responsabilità però resta da registrare un dato, che è sempre lo stesso: nelle carceri italiani continuano a consumarsi violenze che difficilmente riescono a rompere il muro di omertà che si crea tra agenti penitenziari. In questo caso i video delle telecamere di sorveglianza hanno potuto almeno appurare che non ci sia stata nessuna presumibile aggressione, motivazione molto spesso usata per proteggere la facciata di eventuali violenze, ma solo il lavoro delle indagini ha permesso di scoprire che il verbale redatto sull’accaduto non corrispondesse alla realtà dei fatti.

Poi c’è la questione, la solita annosa di cui spesso scriviamo anche sule pagine di questo giornale, di detenuti che non sono nelle condizioni psichiche di poter sicuramente stare in una cella: la donna vittima della violenza nel carcere di Rebibbia è descritta da tutti, anche dagli inquirenti, come una persona con gravi disturbi psichici. Ma siamo davvero sicuri che una situazione del genere non sia anche creata dalla mancanza di misure alternative al carcere che dovrebbero permettere a lei di scontare la propria pena con un metodo alternativo che comprenda anche le giuste cure (oltre alla propria dignità) e che non debba mettere operatori penitenziari (anche senza le giuste competenze) in condizioni così difficili? Il 4% dei detenuti è affetto da disturbi psichici contro l’1% della popolazione generale.

La depressione colpisce il 10% dei reclusi mentre il 65% convive con disturbi della personalità. Un detenuto su 4 assume regolarmente psicofarmaci. Tutto questo mentre una sentenza della Corte di Cassazione dello scorso agosto mette nero su bianco che è ora possibile concedere, alla persona affetta da gravi problematiche psichiatriche, la misura della detenzione domiciliare. La donna di questa terribile storia ancora prima che non essere maltrattata non doveva stare a Rebibbia.

L’articolo Trascinarono nuda una malata psichica, sospesi due agenti proviene da Il Riformista.

Fonte

Il problema non è solo Montesano che fa il negazionista, ma chi gli chiede pareri sanitari in piena pandemia

L’ultimo in ordine di tempo è Enrico Montesano, che nei suoi film, qualcuno, ci ha anche fatto ridere con la sua stonatura romanesca e con quel cipiglio sempre pronto: il comico romano si accoda al folto gruppo di no mask, quelli che sono contro la “dittatura sanitaria” perché disturbati dalla mascherina, poverini, e che probabilmente non sanno cosa significhi farsi incastrare un respiratore in gola o hanno avuto la fortuna di non avere mai dovuto subire una colonscopia.

Il comico, badate bene ex geometra, è diventata la star della manifestazione dei negazionisti di sabato a Roma, quella che tiene insieme un po’ di complottisti, quelli delle scie chimiche, gli scalmanati del chip sotto pelle e che raccoglie i transfughi più matti dei 5 Stelle (sempre grazie mille per avere contribuito così alla qualità del nostro Parlamento) e quelli che sulla pandemia cercano di ritagliarsi un po’ di visibilità.

Dice in un’intervista a La Stampa Montesano che non si fida dei medici e un comico ex geometra che non si fida della scienza dovrebbe rimanere una curiosità da scambiarsi tra quattro amici al bar e invece qui da noi diventa un parere che sfocia perfino nei giornaloni. E vabbè. Poi ci spiega che le mascherine fanno male perché respiriamo la nostra anidride carbonica e allora gli si potrebbe rispondere con lo studio pubblicato su ‘Annals of the American Thoracic Societyrealizzato da Michael Campos, esperto del Miami Veterans Administration Medical Center e dell’università di Miami come gli effetti della mascherina siano minimi anche in pazienti con insufficienza polmonare molto grave. Ma non servirebbe, no, perché Montesano dice di non fidarsi “dei medici scelti dalla tv” e di essere critico perché è un uomo “curioso”.

Ma il capolavoro di Montesano è quando dice di aderire alla manifestazione ma confessa di non partecipare perché “a una manifestazione può intervenire chiunque e se non so chi potrò incontrare non partecipo, anche se aderito”. Un capolavoro. Ci tiene a dire di non essere un negazionista però ci dice che le mascherine fanno male. Poi si supera ancora: consiglio di tenerle al chiuso e non all’aperto. Infine il solito giochetto retorico: “ma qualcuno – dice – lo dovrà dire che il re è nudo. Oppure no? Il pensiero unico non mi è mai piaciuto”. Insomma la pensa diversamente perché gli piace la postura, tutto qui, e in compenso gli regala anche un po’ della visibilità perduta. Poi ci sarebbe la domanda delle domande: come siamo arrivati a chiedere pareri scientifici a Montesano (e agli altri)? Si attende risposta.

Leggi anche: A Roma i sovranisti scendono in piazza per la “Marcia della Liberazione”. Tra i sostenitori anche Enrico Montesano: “Se non otteniamo niente, ci vuole un po’ di disobbedienza civile”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Lo smemorato del Sussidistan

Eccolo qui, ancora, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi che come un falco rotto si lancia sul sistema Italia impartendo la sua lezione di politica dall’alto della sua (modesta) esperienza imprenditoriale e con i suoi soliti toni di guerriglia contro il Paese sociale. La sua ultima impresa, il suo ultimo bullismo lessicale è tutto nella parola «Sussidistan» con cui ha bollato l’Italia colpevole, a suo dire, di occuparsi troppo dei poveri e troppo poco delle imprese. «Aderire allo spirito dell’Ue significa una visione diversa dai sussidi per sostenere i settori in difficoltà. Nel lockdown il governo ha assunto misure di sostegno alla liquidità delle imprese e di rifinanziamento al fondo Pmi, ma i sussidi non sono per sempre, né vogliamo diventare un Sussidistan», ha detto Bonomi all’assemblea annuale degli industriali, riprendendo tra l’altro il termine già usato dall’economista del partito di Italia viva e trasformando un discorso serissimo e fondamentale per il futuro del Paese in uno slogan da macchiette.

Però ci vuole davvero un bel coraggio e tanta miopia per sostenere che il denaro a pioggia sia distribuito solo nella «logica del dividendo elettorale» nell’Italia in cui gli industriali hanno dimostrato di sapere battere cassa come forse da nessun’altra parte, tanto che al ministero dello Sviluppo economico c’è addirittura un’intera task force (un’altra, l’ennesima) dedicata esclusivamente agli incentivi alle imprese.

Forse bisognerebbe ricordare a Bonomi che già nel Dopoguerra fu lo Stato, attraverso le banche pubbliche, la Mediobanca di Enrico Cuccia e l’Iri a iniettare denaro nell’industria nazionale. Qualcuno potrebbe ricordare cosa accadde negli anni Novanta quando tutti i cittadini pagavano mutui con interessi a doppia cifra e lo Stato firmava il famoso “tasso Fiat” al 7% per aiutare l’azienda automobilistica italiana, quella che non ha avuto molti scrupoli poi a chiudere i suoi impianti italiani e delocalizzare con tanta agilità spostando tutto l’asse verso gli Stati Uniti.

Oppure si potrebbe tornare sul cronico tasto dolente di Alitalia che è stata privatizzata ma non è mai stata realmente privata nella distribuzione delle sue perdite che sono ricadute e continuano a ricadere nelle tasche dei contribuenti. Oppure si potrebbe ricordare i miliardi di euro che ogni anno arrivano come contributi indiretti o come sgravi fiscali all’industria del cemento che formalmente vanno a favore dei cittadini sotto i fantasiosi nomi di sismabonus, ristrutturazioni, rifacimento terrazze e soprattutto come bonus facciate ma che di fatto servono ad alimentare un settore in crisi profonda anche di idee che senza aiuti di Stato sarebbe fermo al palo. Dice il segretario Cgil Maurizio Landini in un’intervista a La Stampa che «il Sussidistan è quello delle aziende che vivono di contributi pubblici. Tra il 2015 e il 2020 alle imprese sono andati sussidi per più di 50 miliardi. E più di un terzo dei 100 della manovra del 2020. Una cifra consistente, una parte è prevista anche nella manovra più recente. Sono sussidi per incentivare assunzioni, sgravi fiscali, aiuti di ogni genere. Noi chiediamo di uscire dalla logica degli aiuti a pioggia per una nuova politica industriale che incentivi a creare lavoro di qualità e non precario innanzitutto per giovani e donne».

Il tema vero di questa epoca politica è che è in corso un attacco sconsiderato ai poveri e alla povertà (non certo per sconfiggerla con redditi decenti), che si camuffa come critica politica al Reddito di cittadinanza e a Quota 100 ma che sostanzialmente punta a spostare i soldi del prossimo Recovery fund sulle imprese che non vogliono perdere la propria occasione di sedersi al tavolo e di dividersi una bella fetta della torta. L’avevamo già scritto qualche numero fa proprio su queste pagine (vedi Left del 26 giugno, La democrazia secondo Confindustria, ndr): Confindustria ha lanciato Bonomi nell’agone politico con l’evidente obiettivo di succhiare più soldi possibili dai (molti) soldi che arriveranno dall’Europa. Solo questo. Tutto qui. E il trucco di non distinguere i piani del rilancio industriale da quelli della lotta alle povertà è astutamente utilizzato per confondere le acque.

Infine il prode Bonomi si lancia anche nella sconclusionata proposta di fare pagare l’Irpef direttamente ai dipendenti in nome di una “semplificazione” che non si capisce esattamente cosa porterebbe: in un Paese dove l’evasione fiscale costa 107 miliardi all’anno (metà del Recovery fund) e con la scandalosa statistica che ci dice che il 93% dell’Irpef è pagato dai lavoratori dipendenti e dai pensionati la proposta suona come un sottilissimo invito a investire in quelle stesse modalità che da anni azzoppano le casse pubbliche con l’enorme “fantasia fiscale” di una certa parte dell’imprenditoria italiana.

Un fatto però suona chiaro e cristallino: nel Paese dei capitalisti senza capitali che fanno imprenditoria con i soldi degli altri (o con i soldi pubblici) Carlo Bonomi si presenta con tutti i ghingheri che servono per apparire il perfetto protettore di un certo padronato che ha nel vocabolario del futuro solo una parola: soldi, soldi, soldi.

L’editoriale è tratto da Left del 9-15 ottobre 2020

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Un errore madornale

Il caso dello stipendio raddoppiato del presidente Inps, Pasquale Tridico non può essere considerata semplicemente una “svista” derubricata come un incidente di percorso e non un enorme errore della maggioranza in un delicato momento politico. Che Conte dica che non sapeva e che Di Maio ora prometta accertamenti è troppo poco per pensare che tutto si dissolva nel giro di poche ore.

Il presidente dell’Inps, sulla cui gestione ci sarebbe più di qualcosa da ridire a partire dall’attacco hacker al sito che poi non c’è mai stato, ha ottenuto un aumento di stipendio (che Repubblica definisce anche retroattivo ma su questo Tridico ha smentito) in piena estate un decreto interministeriale che porta la firma della ministra del Lavoro Nunzia Catalfo (che vigila istituzionalmente sull’Inps) e quella del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Una decisione che ha interessato anche gli altri compensi dei consiglieri e quelli dell’intero consiglio di amministrazione dell’Inail (compreso il presidente Bettoni).

Il tema non è tanto lo stipendio di Tridico (il suo predecessore Boeri guadagnava 103mila euro mentre Tridico è fermo a quota 62mila) ma ciò che turba, e non poco, è che Tridico, uomo da sempre vicino al Movimento 5 Stelle, è stato ricompensato in un momento sciagurato, mentre il Paese annaspa in un mare di cassa integrazione e con tanti lavoratori ancora in attesa e proprio l’Inps ne dovrebbe saper qualcosa. E pure sulla giustificazione che il blitz sia stato fatto ad agosto perché l’istituto ha compiuto dei tagli significativi risulta piuttosto risibile poiché i revisori la pensano diversamente.

Il problema è che se tu riduci la politica a una mera questione di costi (ed è il giochetto che si è utilizzato durante la campagna del referendum) poi trovi sempre uno più puro che ti epura e ora sarebbe curioso cosa ne dice Di Maio (visto che era lui ministro quando partì la proposta). Quello stesso Di Maio che ora promette di “chiedere chiarimenti”.

Perché a forza di coltivare populismo poi di populismo si muore. Evidentemente.

Buon lunedì.

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M5S, Giarrusso a TPI: “Così ci facciamo male”

Dino Giarrusso, 8 milioni di voti persi: c’è un problema reale nel M5S?
Il problema c’è, ma non ha senso parlare di 8 milioni di voti persi perché quando si va a votare per i presidenti di regioni o per i sindaci scatta il meccanismo per cui l’elettore vota uno dei due favoriti per non “sprecare” il voto, votando altri che non possono vincere. Quindi non paragonerei le nazionali con le comunali e con le regionali. Ogni voto ha regole diverse. Qui ci sono le preferenze. Alle nazionali esistono sostanzialmente tre poli – centrosinistra, centrodestra e M5S – e scegli fra tre. In Campania soltanto De Luca aveva 15 liste, più quelle di Caldoro: noi ci presentavamo con una lista soltanto. Un conto è essere 1 su 25, un conto 1 su 3. Mischiare le pere con le mele.

Ma il calo c’è…
Al netto di questo c’è un reale calo di fiducia, di voti e di affezione. Questo è vero e non dobbiamo sottovalutarlo. Non parlerei di 8 milioni di voti: parlerei di una stanchezza e di un calo psicologico. Glielo dico perché ho girato moltissimo nei territori e vedo più smarrimento, meno entusiasmo e meno persone spesso.

Di Maio ha messo in dubbio le scelte politiche nelle regionali dicendo che lui avrebbe agito diversamente, indirettamente mettendo sotto accusa il capo politico Vito Crimi. Che ne pensa?
Non credo accusasse Crimi, ma questo dovrebbe chiederlo a Di Maio. Noi abbiamo deciso di andare da soli in tutte le regioni tranne la Liguria e siamo andati male in tutte le regioni compresa la Liguria. Tutti stanno puntando il dito sulle alleanze, ma la realtà sta lì, se la vogliamo guardare: quando qualcuno dice che c’è un problema di alleanze bisognerebbe mostrargli le campagne di Puglia e Campania, dove abbiamo fieramente detto di non essere alleati e siamo andati malissimo come in Liguria, dove invece ci siamo alleati, secondo me con un candidato che non aveva un grande appeal. Posso dire cosa avrei fatto io.

Cosa?
Un anno fa, nel momento in cui nasceva un governo nazionale si dovevano aprire dei tavoli per verificare la possibilità di creare eventuali alleanze anche nelle regioni scegliendo però insieme il programma, il candidato presidente e eventuali liste a supporto. Allearsi all’ultimo momento chiedendoci solo di fare i portatori di voti non è nel nostro dna. Ricordo però a tutti che le tante cose buone fatte dai governi di Giuseppe Conte le abbiamo potute fare solo grazie ad accordi con altre forze politiche.

I prossimi Stati Generali saranno uno scontro al vertice tra Di Maio e Di Battista?
Mi auguro fortemente di no. In questo momento, se qualcuno vuole bene al Movimento, deve lavorare all’unità e non deve parlarne male dalla mattina alla sera sui social e nelle interviste. Faccio un ragionamento semplice: la grande stampa, i grandi giornali, il potere antico italiano non ci amano e non ci hanno mai amato. Nel referendum Repubblica, che prima era a favore, ha cambiato rotta per andare contro il M5S e ha intervistato perfino Costacurta, che fa un po’ ridere come cosa. Se questi giornali di destra o conservatori di sinistra, degli Agnelli, di Vittorio Feltri, mi dessero tanto spazio mi preoccuperei. Se uno di noi spende la propria visibilità per parlare male del Movimento – non parlo di Di Battista, parlo anche di tanti altri – questo fa il male del Movimento. Filtrare tutto con occhio negativo, dire che tutto va male – ho letto qualcuno che ha scritto “siamo come l’Udeur” – si fa male al Movimento. Non mi sembra che Di Battista sia a questi livelli, ma io starei molto attento a usare ognuno la propria visibilità. Anche per non farsi strumentalizzare dai nemici. Se si va allo scontro ci facciamo del male. Dobbiamo rispettare tutte le anime, mi auguro che ci sia un gruppo e non più un solo capo politico. Oggi preparerò le mie proposte per gli Stati Generali.

Lei è ottimista?
Sono ottimista se penso che c’è ancora molto entusiasmo, molte persone per bene. Sono ottimista se penso a tutto quello che abbiamo fatto di buono rispettando i punti del nostro programma. Ma sono preoccupato quando vedo che dall’interno c’è gente che per ambizioni personali piccona il Movimento e aizza guerre locali sui territori.

Leggi anche: Elezioni regionali, Di Battista striglia il M5S: “È la più grande sconfitta nella storia del Movimento”

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