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Alle donne di Cosa Nostra mancano i soldi

Sta succedendo qualcosa (di buono) a Palermo dove i numerosi arresti recenti di uomini di Cosa Nostra hanno portato l’organizzazione al limite del crac finanziario spingendo le mogli degli arrestati a lamentarsi per il mancato pagamento di contributi mensili che la mafia assicura alle famiglie dei propri componenti. Ed è una buona notizia perché più di tutto la mafia teme l’essere intaccata nella credibilità e questo suo recente non riuscire “ad onorare gli impegni” potrebbe trasformarsi in un segnale importante. Perché quando le mafie non saranno nemmeno convenienti allora, solo allora, potremo parlare di un futuro ottimista.

A proposito di 8 marzo: per l’Europa l’Italia sulla legge 194 viola i diritti delle donne

Si parla di legge 194 e di una notizia che dovrebbe circolare infinitamente di più. La riporta il sito VOX, l’Osservatorio Italiano sui Diritti:

Lo dice un’importante sentenza del Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa, che ha ufficialmente riconosciuto che l’Italia viola i diritti delle donne che -alle condizioni prescritte dalla legge 194/1978 – intendono interrompere la gravidanza, a causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza. Si tratta di un’importante vittoria, che arriva proprio oggi, data simbolica per la storia delle donne. Una vittoria, che porta anche la firma di Vox.

L’associazione non governativa che ha presentato il ricorso contro l’Italia, International Planned Parenthood Federation European Network, è stata assistita da Marilisa D’Amico, co- fondatrice di Vox e da Benedetta Liberali, tra le voci di Vox.

La legge 194/1978 prevede che, indipendentemente dalla dichiarazione di obiezione di coscienza dei medici, ogni singolo ospedale debba poter garantire sempre il diritto all’interruzione di gravidanza delle donne. Oggi purtroppo, a causa dell’elevato numero di medici obiettori, alcune strutture si trovano a non avere all’interno del proprio organico medici che possano garantire l’effettiva e corretta applicazione della legge. Il riconoscimento di violazione da parte dell’Europa mira a garantire la piena applicazione di una legge dello Stato, la 194, che la Corte costituzionale ha definito irrinunciabile.

La sintesi del reclamo la trovate qui.

L’8 marzo di Lella Costa e l’archeologia culturale

Un’interessante prospettiva di Lella Costa intervistata su donne, 8 marzo e governo:

Possiamo dire che alle giovani non frega nulla dell’8 marzo, così come sono disinteressate a San Valentino. Lo vedo anche con le mie figlie, la più grande ha 30 anni e la più piccola 17, noto che danno i diritti per acquisiti e forse vivono una visione parziale della realtà poiché non sono ancora entrate nel mondo del lavoro e dunque non conoscono le ingiustizie, le prevaricazioni, il maschilismo della società. Credo che non sia colpa loro se la vita adulta viene posticipata. Però, è vero, alcuni diritti come l’aborto sono oggi minacciati oppure aggirati, in Lombardia per esempio esiste un’altissima obiezione di coscienza e gli ospedali non offrono pienamente il servizio di interruzione di gravidanza.

Tuttavia quasi nessuna protesta con clamore. Perché?
Penso che alle ragazze manchi l’esperienza che abbiamo vissuto, il fatto che negli anni ’60 la contraccezione era reato, sono una generazione smarrita, ma ho registrato un grande turbamento rispetto a quello che è accaduto in Spagna (il governo Rajoy ha cancellato la legge sull’aborto, ndr). Allo stesso tempo penso che moltissime giovani non abbiano davvero compreso quanto fosse importante mobilitarsi per la legge 40 sulla fecondazione assistita, ma sono convinta che non siamo state capaci a farlo capire, esiste un forte scollamento tra la mia generazione e quella delle mie figlie. Credo comunque che ora il tempo è loro, devono trovare i loro slogan, le nuove parole d’ordine.

Negli ultimi mesi il dibattito mediatico e politico ha riservato molto spazio ai diritti delle donne. Il governo Letta ha varato una legge sul femmincidio, la presidente Laura Boldrini è intervenuta spesso dando un’ottica di genere, si è parlato molto di femminicidio. C’è qualcosa che la rende perplessa?
Ho il timore che qualcosa non vada per il verso giusto. Soprattutto temo che non venga compreso che la violenza sulle donne è un problema degli uomini, sta a loro risolverlo. Dobbiamo capovolgere lo sguardo, e continuare a tenere alta l’attenzione sulla violenza domestica, è una piaga molto diffusa e per questo lo spettacolo con il quale ho fatto una tournée, Ferite a morte di Serena Dandini, è stato accolto con grande gratitudine e calore.

Un governo con la metà ministre, non è simbolicamente positivo?
Sì, Ma quante sono le sottosegretarie?

9 su 44…

Ecco, come temevo. Questo significa che il 50 e 50 annunciato da Renzi era soltanto una operazione di facciata, una spruzzatina di rosa visto che poi la vera squadra di lavoro è quasi interamente maschile. E poi non capisco come una donna capace, Emma Bonino, sia stata esclusa dalla nuova composizione. Sono una antica marxista perciò attendo di vedere se questo governo sarà in grado di assumere un punto di vista femminile, riuscendo a comprendere che la questione femminile non è un’opzione, è universale. So bene che non basta essere donna per avere uno sguardo di genere, e spero allora che gli uomini di questo esecutivo siano all’altezza del proprio compito. Se mi chiede però di analizzare il simbolico, allora dico che Renzi sta facendo archeologia culturale. E anche sentimentale.

Quanto costa il silenzio?

L’indagine di Intervita sui costi economici e sociali della violenza contro le donne in Italia:

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Il documento completo dell’indagine è scaricabile qui.

Non siamo uguali

L’Italia è al 71° posto nella classifica dei paesi con la minor disuguaglianza di genere (gender gap).

Ogni anno il rapporto del Forum economico mondiale prende in esame salute, accesso all’istruzione, partecipazione economica e impegno nella politica: sul gradino più alto del podio quest’anno c’è di nuovo l’Islanda, seguita da Finlandia e Norvegia.

Se cominciassimo a proteggere chi protegge le donne?

Il Governo nel 2009 ha tagliato loro i fondi destinati per tutelare e assistere le donne vittime di violenza. Il nostro paese sta attraversando un periodo storico in cui la violenza sulle donne sta aumentando in modo vertiginoso.

Quest’anno hanno subito danni da vandalismo due centri antiviolenza e un giardino dedicato alle vittime di violenza.

A Firenze il Centro Artemisa ha subito un incendio al portone d’ingresso. Non sono state fiamme a sorpresa: molte operatrici avevano già denunciato minacce da mariti ed ex compagni delle donne protette.

Ad Olbia, poco fa, il Centro Prospettiva Donna ha avuto il gentile dono di un piede di porco che cercava di aprire l’ingresso per accedere all’archivio.

Che dignità di protezione alle donne possiamo avere se non riusciamo a difendere chi le difende?

Contare le donne

Conosciamo la loro storia cancellata, la raccontano i giornali solo quando è finita; le storie dei lividi sulla pelle e nel cuore ci sono sconosciute, spesso non riusciamo nemmeno ad intuirle negli occhi di chi ci sta accanto, eppure sono la maggioranza:  sono un abnorme 93% dei casi. Non è paura né condiscendenza, quella sostiene un silenzio così pesante. E’ sfiducia. Sfiducia nei mezzi di uno Stato che si sfalda, di uno stato sociale presentato come costo, pegola, palla al piede, nemico del deficit pubblico. Non c’è emancipazione possibile senza strutture di accoglienza per madri e figli, senza programmi specifici per l’occupazione delle donne, perchè libertà e dignità significa lavoro, che in questo Paese è un’altra vittima.

I sostenibili equilibri possibili tra costi, diritti, numeri e donne nel pezzo di Monica Bedana.

Augurare le vertigini

PippiBelezzaRara (alias Valentina Stella) oggi si permette di volare altissima negli auguri per la piccola figlia:

Perché essere donna ha una profondità che dà le vertigini.

E te le auguro tutte, queste vertigini.
Ti auguro di amare il tuo essere donna senza mai cadere nei cliché dell’esserlo. Di saltellare di stereotipo in stereotipo avendo l’intelligenza di non rimanerne prigioniera. Di passare dai tacchi alle converse e dal rosa al blu con lo stesso sorriso con cui ora ti dichiari innamorata del “fuchias”.
Ti auguro di essere folle e libera come Pippi, coraggiosa come Merida (che tu chiami Meringa), simpatica come Peppa ma anche romantica come Cenerentola.
Ti auguro di amare come una donna sa amare, e di lottare come solo una donna sa lottare: con intelligenza, forza e passione.
Ti auguro di piangere senza mai aver paura di far vedere le tue lacrime, e spero che a piangere con te, di gioia, di allegria o di tristezza ci saranno amici che non avranno il timore di mostrarsi fragili.
Ti auguro di essere “sempre contro, finché ti lasciano la voce”.
Ti auguro di avere la parità, ma so che sarà una strada lunga e tortuosa, e allora ti auguro di avere l’energia e la voglia di lottare ancora. Per te e per le donne che vivono lontano da qua, e che non osano nemmeno sperare di avere gli stessi diritti di un uomo.
Ti auguro di vivere in un mondo in cui le donne non dovranno subire tutte le violenze che subiscono oggi, ma soprattutto ti auguro di abitare in una comunità in cui gli uomini non lasceranno le donne ballare da sole, e scenderanno anche loro in strada per dire stop agli abusi.
Ti auguro di amare le differenze, di esplorare ciò che sentirai più lontano da te, e di adorare il metterti nei panni degli altri.
Ti auguro di sentirti libera di essere qualsiasi cosa vorrai. E mi auguro di essere in grado di aiutarti a farlo.

Tanti auguri, piccola donna meravigliosa.

Per l’8 marzo scriviamo alle donne un’altra storia

rectangleL’uomo è cacciatore. 
È da quando ho le orecchie per sentire che questo modo di dire ritorna inesorabile in ogni discorso in cui si voglia giustificare in un uomo l’attitudine all’incostanza sentimentale, l’insistenza ottusa nel corteggiamento o la frustrazione di chi si è visto sfuggire di mano la preda perché lei, rompendo le regole del gioco di ruolo, gli ha imposto un rifiuto netto e non previsto. Lo dicono i padri ai figli e le madri alle figlie; se lo ripetono tra loro gli amici ammiccanti con una pacca sulle spalle e lo mormorano le donne alle amiche con un’alzata di occhi al cielo, tutti con la stessa leggerezza: “he, che ci vuoi fare… L’uomo è cacciatore e la donna è preda”. 
Magari dopo averla detta sorridono. 
Non realizzano di avere dentro alla testa l’associazione micidiale tra seduzione e morte
Fanno finta di non ricordarsi che il cacciatore la preda la insegue per ucciderla.

Le donne in quella frase ascoltano una storia dove si dice loro che essere desiderate implica il rischio di essere uccise. 
Ogni volta che quella frase viene ripetuta, si consolida inconsapevolmente in chi ascolta la convinzione che quello che viene messo in scena a parole sia non solo accettabile, ma faccia addirittura parte della natura della cose: l’uomo insegue, la donna scappa, l’uomo spara, la donna muore, amico: che ci vuoi fare? Il linguaggio comune è pieno di espressioni simili. Chi le usa non pensa ai loro sottotesti, ma questi passano anche se chi li veicola non ne è perfettamente consapevole, perché le parole hanno un grande potere: confermano immaginari, consolidano visioni e generano realtà.

Il numero di donne uccise dagli uomini ogni anno in questo paese parla chiaro: per quanto si cerchi ancora di rubricarli come casi singoli di follia circoscritta, i femminicidi appaiono sempre più chiaramente come un fenomeno culturale, la radiografia di una società maschilista in crisi dove il prezzo della vita delle donne è messo in conto come danno collaterale alla perdita degli equilibri di ruolo. In questo processo di minimizzazione le parole che usiamo per raccontare gli uomini, le donne e le loro relazioni hanno un peso enorme e ancora troppo poco considerato da chi pratica parola pubblica e ha la responsabilità di renderne conto.

Una splendida e appuntita Michela Murgia, come sempre, da leggere piuttosto della mimosa.

Ferite a morte

ferite-a-morte“Avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti, l’ha detto mia mamma agli inquirenti, avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti. Era lì che fumava vicino al caminetto e non ce ne siamo accorti, avevamo il mostro proprio in casa e non ce ne siamo accorti, guardava la partita e non ce ne siamo accorti. Ma neanche il mio marito se n’era accorto, dico, lui che aveva proprio il mostro dentro non se n’era accorto, poveraccio, c’aveva sempre da fare, avanti e indietro con il Pandino, anche quando m’ha messo incinta per la terza volta non se n’è accorto. Di figli ne ho solo tre: uno l’ho perso appena nato e l’altro mi è rimasto in pancia sette mesi e non è più uscito. Sono morta prima”.

Ferite a morte, il nuovo libro dal progetto teatrale sul femminicidio di Serena Dandini.