Le dittature che dovremmo temere
Pegasus è uno spyware usato contro attivisti, giornalisti e oppositori politici. Il rischio è così grande, e verificato, per i diritti umani e la politica, che forse meriterebbe un’attenzione generale
Siamo in un tempo in cui molti scorgono una dittatura al giorno. Funziona così, purtroppo: a furia di coltivare consenso facendo leva su un presunto pericolo ci si è ritrovati ad avere bisogno di un pericolo al giorno, che sia un pericolo basico, qualcosa che si possa spiegare in poche righe o che possa essere contenuto nei pochi caratteri dei social, qualcosa che accenda indignazione ma che non richieda particolare coraggio alle forze politiche. Ne è venuto fuori un mondo che appare ogni giorno sotto attacco come se finisse il mondo ma poi le vite di tutti scorrono tranquillamente fino al giorno successivo, nulla cambia, si rimane in attesa soltanto del prossimo pericolo.
Ieri su Twitter spopolava l’hashtag #vienegiututto, per dire, a proposito dei vaccini. Poi c’è la dittatura sanitaria, l’immancabile straniero che contagia e che delinque, il politicamente corretto che vi brucerà tutti i dvd che avete in casa, il gender che vi insozzerà i figli, le tasse che vi ritrovereste a pagare nel caso diventiate ricchissimi e via così.
In tutto questo frastuono è uscita una notizia che è passata sotto traccia, una di quelle che invece richiederebbe alla politica competenza e capacità di diplomazia, un fatto su cui sarebbe stato utile e sano sentire i pareri della nostra classe dirigente, assistere alla costruzione di possibili soluzioni e contribuire al racconto di ciò che accade: secondo un’indagine che ha riguardato 50.000 utenze telefoniche divenute pubbliche e oggetto di potenziale sorveglianza – tra cui quelle di capi di stato, attivisti, giornalisti e i familiari di Jamal Khashoggi -, lo spyware “Pegasus” dell’azienda israeliana NSO Group è usato per facilitare violazioni dei diritti umani a livello globale e su scala massiccia. Lo racconta “Pegasus Project”: un progetto nato dalla collaborazione tra oltre 80 giornalisti di 17 mezzi d’informazione di 10 paesi, sotto il coordinamento di Forbidden Stories, un organismo senza scopo di lucro che ha sede a Parigi, con l’assistenza tecnica di Amnesty International, che ha analizzato i telefoni cellulari per identificare le tracce dello spyware. Si è dovuto attendere l’inchiesta pubblicata su 16 testate tra cui Le Monde, The Guardian, The Washington Post e Süddeutsche Zeitung per provocare una reazione vera.
Da una parte c’è la difesa poco credibile dell’azienda israeliana che si proclama innocente: «Vendiamo i nostri prodotti solo a governi riconosciuti, con un processo che abbiamo descritto in piena trasparenza» ha scritto in un comunicato, ripetendo la versione ben nota che «la nostra tecnologia previene atti di terrorismo, pedofilia, traffico di stupefacenti e aiuta nella ricerca di persone scomparse. La nostra società salva vite umane». In pratica sarebbe addirittura un ente benefico, colpa nostra che ci permettiamo di parlarne.
Durante l’indagine, nonostante i costanti dinieghi della NSO Group, sono emerse prove secondo le quali la famiglia del giornalista saudita Jamal Khashoggi è stata presa di mira dallo spyware Pegasus prima e dopo la morte di quest’ultimo, il 2 ottobre 2018, a Istanbul ad opera di agenti dello stato saudita. Il Security Lab di Amnesty International ha verificato che lo spyware Pegasus si era installato sul telefono di Hatice Cengiz, la fidanzata di Khashoggi, quattro giorni prima del suo assassinio. Erano stati sorvegliati anche la moglie di Khashoggi, Hanan Elatr, tra settembre 2017 e aprile 2018, il figlio Adallah e altri familiari in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti.
L’indagine ha finora individuato almeno 180 giornalisti in 20 stati – tra cui Azerbaigian, India, Marocco e Ungheria, dove la repressione contro il giornalismo indipendente è in aumento – potenziali bersagli dello spyware della NSO Group tra il 2016 e giugno 2021.
L’indagine evidenzia i pericoli globali causati dalla sorveglianza illegale: in Messico, il telefono del giornalista Cecilio Pineda era stato infettato dallo spyware Pegasus poche settimane prima del suo omicidio. Il “Pegasus Project” ha individuato almeno 25 giornalisti messicani presi di mira in poco più di due anni. La NSO Group ha dichiarato che, anche se il telefono di Pineda fosse stato infettato, le informazioni raccolte dallo spyware non avrebbero potuto contribuire alla sua morte; in Azerbaigian, uno stato dove riescono ancora a operare ben pochi organi d’informazione indipendenti, sono stati spiati oltre 40 giornalisti. Il Security Lab di Amnesty International ha verificato che il telefono di Sevinc Vaqifqizi, una freelance della tv indipendente Meydan, è stato infettato per due anni fino al maggio 2021; in India, almeno 40 giornalisti di praticamente tutti i principali mezzi d’informazione sono stati spiati tra il 2017 e il 2021. I telefoni di Siddharth Varadarajan e MK Venu, cofondatori dell’organo d’informazione indipendente The Wire, sono stati spiati anche nel giugno 2021; sono stati scelti come potenziali bersagli dello spyware Pegasus giornalisti di grandi testate internazionali, come Associated Press, CNN, The New York Times e Reuters. Tra i giornalisti di più alto livello figura Roula Khalaf, direttrice del Financial Times.
I fatti parlano chiaro. Pegasus quando s’installa subdolamente sul telefono della vittima consente di accedere ai messaggi, ai contenuti media, alle mail, al microfono, alla telecamera, alle chiamate e ai contatti. L’ideale contro gli oppositori e gli attivisti dei diritti umani.
Mi pare un rischio così ampio, così verificato, che interessa così tanto la politica e i diritti umani che forse meriterebbe un’attenzione generale. Perché altrimenti accade sempre la stessa cosa: siamo circondati da pericoli immaginari e intanto ci perdiamo quelli reali che riescono a non farsi notare. Che poi è proprio la strategia dei poteri che vogliono confondere per poter continuare ad agire illecitamente. Pensa che mondo sarebbe se ce ne accorgessimo per tempo.
Buon martedì.
Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.