La donna che morse il cane
Nella prefazione del libro, Alberto Spampinato, direttore dell’associazione Ossigeno per l’informazione, mette l’accento sui rischi e le difficoltà che devono superare i giornalisti “per riferire le notizie più importanti: quelle che nascono in periferia, lontano dalle redazioni dei grandi giornali, e riguardano fatti di mafia, corruzione, malaffare, uso distorto dei soldi pubblici”. Proprio intorno alle redazioni di giornali locali si intrecciano le tre storie dell’e-book. “I giornali locali sono quelli che subiscono maggiormente le minacce e i tentativi di intimidazione, perché raccontano il territorio così come lo vedono”, dice Adinolfi. “Nei giornali locali fare il giornalista è ancora più difficile perché ti trovi ogni giorno a contatto con le persone di cui scrivi”. Adinolfi racconta la sua giornata con Marilena Natale in giro per Casal di Principe: “Entrando in un bar poteva capitare di trovarsi di fronte a un personaggio di cui aveva parlato in un articolo il giorno precedente”.
“I media nazionali dovrebbero attingere dai giornali locali, non lasciarli soli e aiutarli a non essere dimenticati quando accadono queste minacce”, dice. “Spesso c’è la solidarietà del momento ma poi il giornalista si trova a essere solo e a incontrare per strada la persona che l’ha picchiato o minacciato”.
La donna che morse il cane. Storie di croniste minacciate di Gerardo Adinolfi è il libro di tre storie di croniste minacciate: Rosaria Capacchione, Marilena Natale e Marilù Mastrogiovanni. Madri, mogli, figlie, fidanzate. Donne che hanno la sola colpa di aver raccontato con lucidità i fatti e le contraddizioni della loro terra. Ed è un libro importante per non perdere il ‘realismo’ sull’informazione antimafia in Italia. Che è molto più presente di quanto spesso si insista a credere (e far credere) e ha l’odore della minaccia abituale. Ecco, se riuscissimo una volta per tutte a subire meno la fascinazione del pericolo e lo studiassimo come fenomeno da sconfiggere, forse perderemmo un po’ di poesia ma potremo costruire meccanismi di solidarietà difensiva. Militare, istituzionale, civica. Anche perché i dati per le analisi e il dibattito ci sono tutti: l’Osservatorio sui giornalisti minacciati diretto dall’amico Alberto Spampinato da anni monitora gli episodi. E chiede misura e responsabilità. Oltre alla notizia.