In Italia, le ultime elezioni hanno irrigidito le posizioni: tre grandi blocchi, all’incirca della stessa dimensione, schierati gli uni contro gli altri, due dei quali ora fanno parte del nuovo governo. Questa pace apparente è costantemente esposta al ricatto di Berlusconi.La morte la scorsa settimana di Giulio Andreotti, il grande vecchio della politica italiana, astuto democristiano e stratega ineguagliabile, lascia esterrefatti per il suo tempismo perfetto: il democristiano ha trovato la pace eterna subito dopo la formazione del nuovo governo, conclusa la contrattazione per la spartizione degli incarichi ministeriali e l’assunzione delle delle cariche apicali da parte di due ex democristiani, Enrico Letta come capo del governo e Angelino Alfano come suo vice. Anche se l’onnipotente ex Democrazia Cristiana non esiste più, il suo, spettro riporta una vittoria tardiva. Berlusconi, suo erede effettivo ma indegno, se la ride sotto i baffi e risulterebbe di nuovo incomprensibilmente amato, secondo recenti sondaggi.
Compiti difficili
Pur provenendo dallo stesso vivaio politico della DC, i due nuovi leader non potrebbero essere più diversi l’uno dal’altro. Eppure ora presiedono una coalizione che altrove sarebbe stata denominata «Arcobaleno», ma che in Italia viene definita una “grande coalizione”, perché così fa più tedesco e assume un tono più solenne. E’ al primo ministro Enrico Letta del Partito Democratico (PD) che tocca l’onere più gravoso in questa impresa incerta. Con i suoi 46 anni, nell’ambiente politico italiano uno sbarbatello, non nega le sue radici politiche cristiane e ormai da tempo si è dimostrato un brillante e prudente socialdemocratico, ricoprendo la sua prima carica di ministro a 32 anni. Egli dovrebbe riuscire a placare gli animi di almeno una parte degli italiani infuriati, dovrebbe portare il paese fuori dalla recessione, allentare le rigorose politiche di austerità, stimolare il consumo e l’economia, e compiere qualche altro miracolo, tra cui quello di impedire la caduta del PD, il suo partito, da cui i suoi sostenitori fuggono a frotte dopo essere stati costretti alla diabolica alleanza con l’impresentabile Berlusconi. Il compito del vice leader Angelino Alfano, che ora è ministro degli interni, anche lui 42enne, è meno gravoso. Anche lui proveniente dallo schieramento democristiano, è entrato a far parte presto dei devoti di Berlusconi, diventando il Presidente del Popolo della Libertà (PdL), nonché ministro della giustizia e fedele guardia del corpo giuridica del suo Signore. Ora egli ha il compito non troppo oneroso, anche se moralmente ingrato, di proteggere gli interessi di Berlusconi e salvarlo dalla magistratura italiana – anche sotto il nuovo governo. Funziona esattamente come un ricatto: se il primo ministro Letta suggerisce qualcosa che Berlusconi non gradisce, immediatamente al Parlamento scatta la minaccia di far cadere il governo, essendo il PdL il principale componente. Nelle prime due settimane di vita il governo Letta è stato retoricamente minacciato per ben due volte da questo freno a mano. La prima volta dopo la recente condanna per frode fiscale di Berlusconi, la seconda volta a causa degli strascichi giudiziari che potrebbero derivare dalle accuse di prostituzione minorile e istigazione alla prostituzione mosse al Cavaliere. Berlusconi, che ha contribuito spudoratamente negli ultimi vent’anni alla rovina del suo paese, arricchendo una numerosa schiera di cortigiani, sostenitori del suo stile di vita e, in maniera impudente, soprattutto se stesso, ora continua a determinare “il bello e il cattivo tempo” nel suo paese. Non stupisce quindi che il vascello fantasma Italia continui ad andare alla deriva a vele ammainate. Ma la colpa non è affatto sua, dato che il vento di poppa gli arriva principalmente dagli errori dei suoi avversari. Ancora all’inizio di quest’anno, Berlusconi sembrava politicamente finito, ma poi grazie ad una serie di errori dei suoi rivali è riuscito a risalire la china in maniera inquietante, quasi una sorta di risurrezione. Possiamo dire anche quando è avvenuta la svolta, precisamente non molto tempo fa, e Claudio Magris lo ha scritto sul «Corriere della Sera»: era la sera del 10 gennaio, quando lo sconfitto Berlusconi entrò nella tana del leone, il programma «Servizio pubblico» di Michele Santoro, un giornalista che si che si finge un arrabbiato di sinistra. Berlusconi ha ribadito di fronte a una platea di otto milioni di telespettatori le sue audaci promesse elettorali, tra cui l’abolizione dell’IMU e qualche altra arditezza – mentre il conduttore della trasmissione e i suoi accoliti della sinistra restavano lì, ammutoliti come scolaretti.
Un disastro dopo l’altro
Nei mesi seguenti l’Italia è precipitata da un disastro all’altro. Mario Monti ha fatto sicuramente una buona impressione a livello internazionale con il suo governo d’emergenza, tagliando qua e là per risparmiare, ma ha condotto una campagna elettorale da dilettanti, tanto da essere stato preso in considerazione dai moderati del PD solo come partner di coalizione. Il risultato delle elezioni nel mese di febbraio è stato un disastroso triangolo quasi equilatero: scarso il 30 per cento per il PD, quasi quanto per il PdL di Berlusconi, e poco meno quel fuoco fatuo del Movimento Cinque Stelle (M5S) di Beppe Grillo. Potrebbe essere arrivata l’”ora X” per questo comico, il cui «movimento» da allora rappresenta per l’Italia gioia e dolore, croce e speranza. Le principali richieste del M5S sono piuttosto scontate, alcune di loro sono talmente ragionevoli da apparire quasi banali; meno convincente sembra il loro non ben definito programma, se esaminato nei suoi dettagli; ed è un disastro la tattica di Grillo e del suo popolo di mantenere le distanze da tutti gli altri partiti con cui si siedono ora in Parlamento. Tutti sono indistintamente corrotti e contaminati, questo è quanto ripetono di continuo nei loro comunicati. Nei colloqui per formare un governo, hanno tenuto testa al capo del PD umiliando uno sbiadito Pierluigi Bersani fino a costringerlo alle dimissioni. Così facendo il comico dalla lingua lunga e i suoi rabbiosi parlamentari hanno sprecato le occasioni migliori per l’Italia di sbarazzarsi di Padron Berlusconi. In quel febbricitante momento di pausa sia il PD che il M5S hanno sbagliato praticamente tutto, al punto da far fallire l’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica. Nemmeno su Romano Prodi si sono trovati d’accordo, e così hanno costretto l’ormai anziano Napolitano a prolungare il suo mandato, spingendo Enrico Letta a stringere un patto di governo col diavolo Berlusconi e i suoi seguaci. Letta vorrebbe fare del suo meglio, ma non durerà molto, perché con la sua impresa azzardata subisce attacchi da tutti i fronti, anche dai suoi stessi compagni dell’irritato PD. Il filosofo Massimo Cacciari fantastica sul modo in cui questo partito andrà avanti. Nella sua rubrica sull’ «Espresso», egli auspica la fine della “politica dell’illusione” (nell’articolo in italiano Cacciari ha usato il termine tedesco “Illusionspolitik”, ndt) e incoraggia due portatori di speranza, l’economista di sinistra Fabrizio Barca e Matteo Renzi, il sindaco di Firenze che, proveniente dallo schieramento cattolico, non sarebbe la scelta peggiore – e che anche il defunto Andreotti non avrebbe disdegnato. Anche l’autore Roberto Saviano in un articolo riflette sul suo paese e sul desolato PD; ha recentemente scritto, anche se in maniera molto astratta, di «un’Italia che vuole sognare» o, ancora, «del partito che io sogno». Che un simile sogno sia stato mai d’aiuto, sono soprattutto i giovani compagni a dubitarne, tra le cui fila pare si nascondano alcuni di quelli che hanno occupato molte sedi locali del partito sotto il motto di «Occupy PD», perché non si fidano dell’operato di Letta, giudicando l’alleanza con la destra di Berlusconi solo una combutta, una fittizia «guerra tra bande di arrivati». Questa aspra sentenza potrebbe essere corretta, ma priva di alternative, fintanto che il testardo Beppe Grillo del M5S avrà voce in capitolo. Perché non cambierà nulla con il neo eletto leader del PD, Guglielmo Epifani, uomo mite dei moderati di centro. Il nepotismo espresso dallo stato tra PD e PDL scaturisce sì da uno stato di emergenza, ma ciononostante non ha inventiva e, oltre al rinnovato consolidamento di Berlusconi, ha anche altri aspetti ripugnanti. Il simbolo tipico della viscidità che si sta estendendo sui partiti italiani è una giovane coppia di intelligenti giovani politici: Lei, Nunzia de Girolamo del PdL, che a difesa di Berlusconi, ha partecipato a numerosi talk show, e ora è diventata ministro dell’agricoltura. Lui, Francesco Boccia del PD, è stato appena confermato a capo della Commissione Parlamentare per i conti. Questo ha spinto il filosofo e traduttore di Kierkegaard Dario Borso, a chiedersi cosa ha da dirsi di notte sotto le lenzuola questa strana coppia. In tempi in cui la povertà dilaga nell’ex ceto medio, dove sempre più sono in aumento i suicidi per la disperazione e il termometro sociale rischia di precipitare sotto zero, l’Italia ha però ancora altre domande da porsi. Sabato scorso l’atmosfera si è surriscaldata, quando ad una manifestazione sostegno di Berlusconi a Brescia, i suoi esaltati seguaci e i suoi avversari altrettanto infiammati sono arrivati alle mani. La violenza si manifesta ancora principalmente in maniera verbale e simbolica, scritte di vernice spray sui muri o urla nei programmi televisivi, fatta di uomini dalle maniere apparentemente garbate presenti col contagocce nei media tradizionali o di personaggi maleducati che fanno solo propaganda in Internet.
Campagna denigratoria anonima
E’ soprattutto nei social network che imperversa una campagna denigratoria anonima, contro cui il turpiloquio usato nel blog di Beppe Grillo non ha alcun effetto. Sempre più spesso, si tratta di invettive misogine e razziste come quelle contro Cécile Kyenge, nuovo Ministro per l’Integrazione di origine congolese, o minacce contro altre persone esposte, come il giornalista televisivo Enrico Mentana, che è stato costretto a chiudere il suo account Twitter dopo aver ricevuto numerose minacce di morte. Sparare sui giornalisti era diventato un fatto consueto 40 anni fa, quando iniziò in Italia un periodo di terrore che portò lo Stato a un passo dal collasso mettendolo a rischio di golpe.