Anticorpi contro la mafia al Nord (editoriale per I SICILIANI GIOVANI)
(Questo articolo è stato scritto per il numero di marzo/aprile de I Siciliani Giovani che potete scaricare qui o dal sito www.isiciliani.it)
C’è una frase di Pino Maniaci che mi colpisce profondamente. Pino è così: vola con leggerezza dai giudizi più sprezzanti fino alle considerazioni più intime che meritano di essere al più presto collettive. Diceva, durante un suo incontro con i ragazzi su Milano, “dovete stare attenti, perché in Sicilia abbiamo il virus ma anche gli anticorpi, qui il virus è arrivato, ma non avete ancora gli anticorpi”.
Gli anticorpi, appunto: ho passato serate a spaccarmici la testa, sugli anticorpi, su queste proteine umanoidi che dovrebbero neutralizzare i corpi estranei alla legge e alla Costituzione riconoscendone ogni determinante antigenico. E’ possibile? mi chiedevo. Come impiantarceli qui dove la malattia è in incubazione continua mentre la devastazione è in corso d’opera?
Forse (è una mia umile considerazione personale) facendo rete (sì, ce lo siamo detti mille volte e tutte le sante mille volte abbiamo applaudito) ma diversamente da come lo stiamo facendo. E’ un’autocritica certo (mica un rimestamento di macerie), ma è un fatto visibile e evidente che l’antimafia sociale, culturale e dell’associazionismo viaggi ad una velocità (colpevolmente) troppo diversa e troppo slegata da quello che accade là dentro dove i cambiamenti cambiano per davvero le cose: centinaia di insegnanti spendono energie e tempo per organizzare incontri di alfabetizzazione sulle mafie ma la scuola intanto resta inerte (quella dell’Aprea, della Gelmini, di Comunione e Liberazione e di Formigoni, per intendersi, quella terribile idea di scuola tutta minuscola come servizio obbligatorio per adempiere stancamente ai doveri della Costituzione), decine di amministratori si incontrano per scambiarsi esperienze e buone pratiche su riciclaggio e gioco d’azzardo ma la Regione (e il Parlamento) si ridestano al massimo un secondo solo per congratularsi in carta bollata, invitiamo testimoni di giustizia a raccontarsi mentre abbiamo un programma di protezione testimoni che viene smantellato quotidianamente, applaudiamo nelle serate gli uomini della Catturandi mentre ci raccontano l’ultimo arresto dell’ultimo latitante e intanto le forze dell’ordine scivolano nel volontariato per terminare le indagini. Queste e molte altre discrepanze (usiamo un eufemismo, va) testimoniano le maglie troppo larghe di una rete che non riesce a contenere.
Stringersi, forse. Servirebbe stringersi per rendere più palesi (e leganti) le responsabilità di tutti i nodi. Avere il coraggio, stretti, di indicare referenti certi con potere legislativo, testimoni attivi nella magistratura, interpreti responsabili nell’imprenditoria, in un’attività di “lobby” nell’accezione positiva: tre o più persone che si occupano dell’interesse pubblico danneggiando (anche, se serve) l’interesse privato. Una sorta di 416 quater che non sia un delitto ma un dovere di anticorpi.
Costa, lo so, non è facile: richiede un’esposizione a tutto campo che superi i confini della testimonianza. Eppure l‘antimafia non può restare sospesa, non è credibile nei mezzi toni di una scala con un estremo buio; richiede luce, vita, scelta e politica.
Da che parte stare: essere partigiani e non tollerare indifferenze.