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Afghanistan: che fine hanno fatto i bambini?

L’Unicef ha registrato 300 bambini afgani evacuati dal Paese, non accompagnati e separati dalle proprie famiglie. Ma è un numero destinato a crescere. E in Afghanistan sono 10 milioni i piccoli che hanno bisogno di assistenza umanitaria

Le scene dell’aeroporto di Kabul hanno fatto il giro del mondo. I bambini passati di mano in mano, con i genitori che accettavano lo strappo pur di salvarli. Di bambini poi si sono riempiti la bocca tutti, perfino i più sovranisti dei più destrorsi sovranisti, quelli che ci dicevano che bisognasse “salvare i bambini” e noi ci siamo permessi fin dall’inizio di fare notare che dividere le famiglie fosse davvero un modo discordante con la sacralità della “famiglia tradizionale” che proprio loro continuano a cavalcare.

Ma che fine hanno fatto i bambini? L’Unicef e i suoi partner hanno registrato circa 300 bambini non accompagnati e separati evacuati dall’Afghanistan. Ma sono numeri assolutamente precari, destinati a crescere mentre proprio in questi giorni sono in corso le identificazioni. Parliamo di circa 300 bambini che non hanno accanto a loro nessun legame famigliare, vulnerabili e scossi. Per questo Unicef ieri ha raccomandato che «durante i processi di tracciamento e ricongiungimento, i bambini dovrebbero ricevere un’accoglienza alternativa sicura e temporanea, preferibilmente con parenti o in un contesto familiare. La collocazione all’interno di centri di accoglienza dovrebbe essere l’ultima risorsa, e solo temporanea».

Dice Henrietta Fore, direttrice generale del’Unicef: «I governi dei Paesi in cui si trovano i membri della famiglia di bambini separati e non accompagnati dovrebbero cooperare e facilitare il ricongiungimento e percorsi migratori sicuri e legali per questi bambini, se ciò è nel superiore interesse del bambino. La definizione di membri della famiglia dovrebbe essere abbastanza ampia affinché i bambini non accompagnati possano essere affidati in sicurezza a parenti che si prendano cura di loro. Allo stesso modo, i bambini che viaggiano con adulti di fiducia dovrebbero rimanere con loro se ciò è nel loro superiore interesse. Separare i bambini da adulti che conoscono e dai quali ricevono cure potrebbe causare ulteriori problemi. Tutti i bambini hanno il diritto di stare con le loro famiglie. Le parti coinvolte nell’evacuazione e nell’accoglienza delle persone che fuggono dall’Afghanistan dovrebbero compiere ogni sforzo per evitare la separazione delle famiglie in primo luogo. Questo significa assicurare un adeguato coordinamento tra gli attori civili e militari, stabilire una registrazione di base dei bambini e delle famiglie, e verificare le liste di volo».

La solidarietà non si decanta, la solidarietà si attua mettendo in campo tutti gli strumenti a disposizione. Ora, passati i giorni convulsi dell’assalto all’aeroporto per la fuga, è il tempo di stabilire le priorità e di trovare le soluzioni. Quei bambini (così come tutti gli afgani) non durano il tempo utile per essere filmati in qualche servizio di un telegiornale ma esistono anche (e soprattutto) dopo, mentre soggiornano in centri di accoglienza senza avere la bussola per immaginare una ricostruzione affettiva. Non è un questione di bontà, è quello che si deve fare. A proposito: in Afghanistan più di 550mila persone sono state sfollate a causa del conflitto e 10 milioni (10.000.000) dei bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria. Il dolorosissimo disastro è qui, ora, sotto i nostri occhi.

Buon mercoledì.

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Ancora balle su Mussolini che ha fatto cose buone

Secondo il vicepresidente della Calabria Spirlì bisognerebbe riconoscere i meriti del Duce, «fautore di una rivoluzione sociale». L’ennesimo tentativo di riabilitare il fascismo tramite falsità storiche

Il presidente facente funzioni della Calabria Nino Spirlì si è contraddistinto in questi mesi, dopo la morte di Jole Santelli, per un’interpretazione macchiettistica del suo ruolo tutta basata sulla frenesia di sparare cretinate buone per meritarsi qualche articolo di giornale. È normale: nella Lega di Salvini ci si distingue a suon di provocazioni, come in una gara tra bulli in cortile durante l’intervallo.

Qualche giorno fa però Spirlì ha voluto dare una leccatina anche ai voti dei fascisti (anche questa è la norma dalle parti della Lega) e quindi ha riproposto i soliti temi su “Mussolini ha fatto anche cose buone”, un classico che torna ciclicamente in voga e che è molto popolare nei discorsi da bar. Bene, con calma, vediamo.

Dice Spirlì: «Condanna assoluta e totale delle leggi razziali e delle guerre coloniali, della Seconda guerra mondiale e di Salò ma bisogna riconoscere che il Duce è stato soprattutto all’inizio fautore di una rivoluzione sociale. Per la sua parte socialista mi piace dire che andrebbe riletto e nella rilettura dare una valutazione positiva a quello che la merita, poi c’è altro che non la merita. Una rilettura oggi si può fare».

E quali sarebbero le cose buone? Ecco qua. Dice Spirlì: «Ha creato le case popolari, le pensioni, l’assistenza all’infanzia, l’assistenza alle donne, le bonifiche, l’industrializzazione, la grande industria della cinematografia con la costruzione di Cinecittà. Insomma tante e tante cose sono state fatte in quegli anni e io non posso dimenticarlo. Perché sarebbe come dire che dalla Prima Repubblica dobbiamo cancellare tutto perché ci sono state anche le stragi».

Case popolari? Falso. La prima Legge sulle case popolari è la cosiddetta Legge Luzzatti del 1903, nel 1906 ai primi Istituti case popolari veniva attribuita la dicitura di Enti morali, veniva sancito lo status di pubblica utilità. Lo Iacp di Torino è del 1907, Napoli e Milano l’anno dopo. Mussolini non ha inventato nulla.

Ha inventato le pensioni? Falso. Il primo sistema di garanzie pensionistiche in Italia è del 1895, governo Crispi, regio decreto n°70 del 21/02/1895. Seconda legge con allargamento delle categorie lavorative coinvolte L. 350 del 1898 e creazione della Cassa nazionale previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai. Il sistema diventa universale e obbligatorio per la contribuzione delle aziende nel 1919 con la creazione della Cassa nazionale per le assicurazioni nazionali, governo di Emanuele Orlando. Mussolini non ha inventato niente.

Assistenza alle donne? Ma dove? Forse Spirlì si riferisce alla legge che nel 1925 istituisce l’Onmi. Quell’istituto difendeva solo le donne che mettevano al mondo figli, infatti lo Statuto recita “protezione delle gestanti e delle madri bisognose” quindi non le donne in assoluto ma solo le madri. Addirittura dalle norme per la protezione della maternità sono escluse le casalinghe e le donne che lavorano a casa, cioè la maggioranza della forza lavoro femminile dell’epoca. Vennero poi sempre nel 1925 i decreti per impedire alle donne di concorrere per posti direttivi nelle scuole religiose o paritarie, nel 1933 si esclusero le donne dai concorsi per Pa e nel 1934 per limitare la presenza femminile negli enti locali. Segnalo anche nel 1930 l’introduzione dell’art. 587 del Codice penale che introduce le attenuanti per il “Delitto d’onore”. Mi fermo qui, la politica femminile di Mussolini che è qui da giudicare.

Le bonifiche? E certo, come no. Come scrive Francesco Filippi nel bel libro Mussolini ha fatto anche cose buone il fascismo aveva promesso di restituire all’agricoltura 8 milioni di ettari di terreni riqualificati: un’enormità. Dopo dieci anni di fiumi di denaro pubblico finiti come accade sempre con il fascismo a amici degli amici e collettori di consenso del regime (come l’Opera nazionale combattenti), il governo annuncia il successo del recupero di 4 milioni di ettari. Ma Filippi indaga sui particolari e scopre che i lavori «completi o a buon punto» arrivano a poco più di 2 milioni di ettari e «di questi due milioni, un milione e mezzo erano bonifiche concluse dai governi precedenti al 1922». Insomma, non dal fascismo. «In pratica – conclude Filippi – era stato portato a termine poco più del 6 per cento del lavoro». A riuscirci saranno poi i governi del Dopoguerra, grazie ai fondi del Piano Marshall e della Cassa del Mezzogiorno.

Insomma Spirlì rilancia bugie per concimare un po’ di voti di nostalgici ma riesce nella mirabile impresa di collezionare l’ennesima figura da ignorante. Come fece Salvini nel 2016 quando disse: «Mussolini fece tante cose buone in vent’anni, prima delle leggi razziali e dell’alleanza con Hitler. Fu Mussolini a introdurre la pensione di reversibilità per garantire la natalità nel caso morissero lui o lei. La previdenza sociale l’ha portata Mussolini, non l’hanno portata i marziani. In 20 anni, prima della folle alleanza con Hitler e delle leggi razziali, delle cose giuste le fece sicuramente: stiamo parlando di pensioni, poi le bonifiche. C’erano intere città, come Latina, che erano paludi». Oppure Tajani nel 2019 che disse: «Io non sono fascista, non sono mai stato fascista e non condivido il suo pensiero politico però se bisogna essere onesti, ha fatto strade, ponti, edifici, impianti sportivi, ha bonificato tante parti della nostra Italia, l’istituto per la ricostruzione industriale».

Riprovateci, sarete più fortunati. Neanche come nostalgici siete credibili.

Buon venerdì.

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Uggetti assolto, ma il Fatto Quotidiano inventa una confessione mai avvenuta

Sono giorni febbrili nella redazione de Il Fatto Quotidiano. Domenica sono impazziti leggendo sul Riformista l’intervista in cui l’ex sindaco Simone Uggetti rispondeva punto su punto agli articoli di Barbacetto e Travaglio che proprio non sanno come digerire l’assoluzione dell’ex sindaco di Lodi e soprattutto l’offerta di scuse di Luigi Di Maio che sconfessa non solo un certo modo di fare politica ma pure un certo modo di fare giornalismo.

Così ieri il quotidiano diretto da Travaglio riesce nella miracolosa impresa di trasformare un processo di un ex sindaco di provincia in un caso politico nazionale (facendo tra l’altro involontariamente anche un bel favore all’odiosissimo Uggetti): si resta in attesa delle prossime prime pagine sul caffè bruciato da un barista di Vizzolo Predabissi e una sfilza di editoriali su qualche rubagalline dell’entroterra salentino e poi il giornalismo contro il crimine potrà dire di avere completato la sua missione. Perché qui si parla, vale la pena dirlo, di un processo per turbativa d’asta di un appalto del valore di meno di 5mila euro che in fase di condanna in primo grado (10 mesi e 300 euro di multa, molto meno di qualsiasi condanna per diffamazione di qualsiasi giornalista) ha spinto i giudici a riconoscere (addirittura nella sentenza di condanna) che Uggetti avesse agito nell’interesse pubblico. Tanto per dire di cosa stiamo parlando. Ma a certa politica e a certo giornalismo piace dare rilevanza ai fatti in base all’utilità personale e quindi si finisce a sprecare giorni per parlare di un’assoluzione che è già sparita perfino nei giornali locali lodigiani.

Dalle parti della corte del nuovo quarto grado di giudizio nazionale (perché devi essere assolto anche da Il Fatto per essere assolto sul serio) hanno tre eroi in tutta questa faccenda. Innanzitutto c’è l’impiegata comunale che “coraggiosamente” ha denunciato Uggetti registrando una loro conversazione: la dipendente pubblica (sorella della presidente di una società sportiva della città che non ha mai avuto accesso alla gestione delle piscine, rivendicata da alcuni grillini come loro “attivista”) sarebbe riuscita nell’impresa di smascherare le malefatte del sindaco. Peccato che i nostri prodi giornalisti si siano persi quel pezzo del processo in cui l’accusa negava l’ascolto in aula di quella scottante prova e solo alla terza richiesta della difesa la giudice Pasquinelli autorizzò la riproduzione in aula: la delusione e lo sconcerto nello scoprire che la prova bomba fosse tutt’altro che una bomba è un pezzo di giornalismo che si sono scordati.

Poi c’è la gip Isabella Ciriaco di cui conviene raccontare una scena: Uggetti è in carcere, tramortito, viene interrogato e la gip gli chiede di questo “appalto da 100mila euro”. Lui non capisce. Il valore era di 5mila. Teme addirittura di non avere capito di cosa sia accusato. Chiede alla giudice di cosa si parli, da dove spunti quella cifra e la gip risponde di averlo letto sul giornale (locale, per di più). Sembra incredibile, vero? Giornali e magistrati che si invertono nella parte dei suggeritori, roba da fantascienza se non ci fosse di mezzo anche la vita delle persone. Poi c’è la tesi dell’accusa, che da sempre per certi giornalisti è già una sentenza, come se non dovesse nemmeno esserci un processo, come se fosse un’inutile perdita di tempo. E fa niente che sia solo “una tesi” e che il processo serva poi a dimostrarla: su Il Fatto si descrive la vicenda giudiziaria fermandosi lì, come i bambini che poi chiudono gli occhi per non accorgersi di quello che accade intorno.

Ma il piatto forte dalle parti di Travaglio e Barbacetto è una confessione che non c’è mai stata. Riportano una frase di Uggetti detta al pm che lo interrogava in carcere: Uggetti ha provato a spiegare che trovandosi in carcere ha avuto la netta sensazione di avere commesso degli errori (ma dai? Che roba incredibile, veh?) e anche in questo caso sarebbe bastato avere l’onestà intellettuale di seguire le udienze o leggere le carte processuali. Uggetti non ha mai confessato nulla. E infatti sulle pagine de Il Fatto si impegnano moltissimo per riportare virgolettati degli altri giornali a sostegno della propria tesi: il giornalismo che cita il giornalismo fregandosene dei fatti a sostegno della propria tesi è un’attività masturbatoria che sarà pure divertente ma risulta piuttosto inaffidabile e pericolosa.

Ah, a proposito: i prodi giornalisti raccontano di Uggetti che avrebbe cercato di “ammorbidire” la Guardia di Finanza. Si sono persi un pezzo: l’ex sindaco dialogava con il comandante della Finanza perché aveva denunciato un dipendente infedele del comune (ma anche questo pezzo se lo sono scordati perché interferisce con la loro narrazione) e per questo aveva chiesto lumi su alcuni suoi dubbi nella procedura. L’avete mai visto un criminale chiedere consiglio alle forze dell’ordine per compiere un reato? Dai, fa già ridere così.

Infine c’è il famoso “uomo della società che avrebbe vinto l’appalto”: è Cristiano Marini, avvocato e conoscitore delle procedure dei bandi a cui Uggetti aveva chiesto una consulenza in amicizia per non spendere soldi pubblici. Marini era nel consiglio di amministrazione di una società partecipata dal Comune di Lodi che deteneva a sua volta una quota pubblica di una società sportiva locale. No, non era il potente amministratore delegato di nessun potere forte che incombeva sul comune. Però in compenso si è fatto il carcere (prima di essere anche lui assolto) con tutto lo stigma del caso.

Ultima cosa le terribili “prove sparite” che Il Fatto sventola con i denti aguzzi: una mail cancellata (messa nel cestino della posta) e un hard disk che la procura descrive come “consegnato” e “assolutamente integro”. Poi, volendo, ci sarebbe l’assoluzione e volendo esagerare delle motivazioni che si stanno ancora aspettando e che sarebbe intelligente leggere. Ma che gliene fotte delle sentenze, a Travaglio e Barbacetto. L’importante è che non si fiacchi certa idea di giustizia che è un vero e proprio mandato editoriale.

L’articolo Uggetti assolto, ma il Fatto Quotidiano inventa una confessione mai avvenuta proviene da Il Riformista.

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La vigliaccheria fiscale

Aumento dei ricavi per Amazon Europa che nel 2020 è arrivata a 44 miliardi di euro. Ma zero tasse. Si diceva che dalla pandemia sarebbe uscito un “nuovo mondo”… Ecco, per ora è esattamente come prima, con i ricchi sempre più ricchi. E una questione enorme politica che passa sottovoce

Complice la pandemia che è stata tutt’altro che una livella per sofferenza dei diversi lavoratori e per danni alle diverse aziende la ricchissima Amazon del ricchissimo Bezos è diventata ancora più ricca aumentando di 12 miliardi i ricavi rispetto all’anno precedente in Europa e arrivando a un totale di 44 miliardi di euro.

Poiché i numeri sono importanti vale la pena ricordare che sono 221 miliardi circa tutti i soldi che l’Italia ha a disposizione dall’Europa per risollevarsi. Giusto per fare un po’ di proporzioni. L’ultimo bilancio della divisione europea di Amazon (lo trovate qui) racconta della società con sede legale in quel meraviglioso paradiso per ricchi che è il Lussemburgo gestisce le vendite delle filiali di Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Spagna, Olanda, Polonia, Svezia. Ovviamente le tasse si pagano sui profitti, non certo sui ricavi, eppure le acrobazie fiscali di Amazon hanno permesso di risultare in perdita per 1,2 miliardi di euro nonostante un aumento del ricavo del 30%. «I nostri profitti sono rimasti bassi a causa dei massicci investimenti e del fatto che il nostro è un settore altamente competitivo e con margini ridotti», ha spiegato un dirigente di Amazon. Insomma, poveretti, lavorano per perderci. E infatti hanno accumulato 56 milioni di euro di credito d’imposta che potranno usare nei prossimi anni e che portano a 2,7 miliardi di euro il credito totale.

È incredibile che un’azienda che vale in Borsa quanto il prodotto interno lordo dell’Italia non riesca proprio a fare profitto o forse semplicemente i profitti vengono spostati altrove, complice la vigliaccheria fiscale di un’Europa che è sempre forte con i deboli ma è sempre piuttosto debole con i forti, come sempre. Attraverso compravendite fittizie infragruppo tra filiali dei diversi Paesi i guadagni vengono spostati da dove si realizzano a dove più conviene e le contromisure del Lussemburgo contro queste pratiche sono volutamente morbide.

In una nota la commissione Ue commenta: «Abbiamo visto quanto apparso sulla stampa, non entriamo nei dettagli, in linea generale la Commissione ha adottato un’agenda molto ambiziosa in materia di fiscalità e contro le frodi fiscali, nelle prossime settimane pubblicheremo una comunicazione e sul piano globale siamo impegnati con i partner internazionali nella discussione in corso» sull’equa tassazione delle imprese. Si tratta del negoziato per definire un’imposta minima globale per evitare la concorrenza fiscale al ribasso. Quanto agli aspetti di concorrenza, del caso Amazon/Lussemburgo il dossier resta in mano alla Corte di Giustizia Ue: il gruppo Usa e il Granducato hanno contestato la decisione comunitaria che nel 2017 concluse che il Lussemburgo aveva concesso ad Amazon vantaggi fiscali indebiti per circa 250 milioni di euro, un trattamento considerato illegale «ha permesso ad Amazon di versare molte meno imposte di altre imprese». Peccato che contro la decisione europea abbia ricorso Amazon (e questo ci sta) e perfino il Lussemburgo.

Sono numeri spaventosi che raccontano perfettamente come la guerra tra poveri e tra disperati non riesca mai a guardare in alto dove si consumano le ingiustizie peggiori. Vi ricordate quando si diceva che dalla pandemia sarebbe uscito un “nuovo mondo”? Ecco, per ora è esattamente come prima, con i ricchi sempre più ricchi. E invece una questione politica enorme passa sottovoce mentre i nostri leader stanno litigando sul bacio a Biancaneve.

Buon giovedì.

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Caro Conte, anche tu hai tenuto i porti chiusi

La Mezzaluna Rossa libica (l’equivalente più o meno della nostra Croce Rossa) ieri ha annunciato altri 50 morti in un naufragio al largo della Libia. Poco prima l’Oim, l’agenzia dell’Onu per le migrazioni, aveva riferito della morte di almeno 11 persone dopo che il gommone su cui viaggiavano era affondato. La Guardia Costiera libica come al solito dice di non esserne informata. Una cosa è certa: nel Mediterraneo si continua a morire ma la vicenda non sfiora la politica nazionale, merita qualche contrita pietà passeggera e poi scivola via.

L’importante, in fondo, è solo mantenere ognuno la propria narrazione: ci sono i “porti chiusi” di Salvini che rivendica di averlo fatto ma poi in tribunale frigna chiamando in causa anche i suoi ex compagni di governo, c’è il “blocco navale” evocato da Giorgia Meloni, c’è il PD che finge di avere dimenticato di essere il partito che con Minniti ha innescato l’onda narrativa e giuridica che ci ha portati fin qui e c’è il Movimento 5 Stelle che si barcamena tra una posizione e l’altra.

A proposito di M5S: il (prossimo) leader Conte è riuscito a dire in scioltezza “con me porti mai chiusi” provando a cancellare con un colpo di spugna quel suo sorriso tronfio mentre si faceva fotografare al fianco di Salvini con tanto di foglietto in mano per celebrare l’hashtag #decretosalvini e la dicitura “sicurezza e immigrazione”.

Conte che sembra avere improvvisamente dimenticato le sue stesse parole su Sea Watch e sulla comandante Carola Rackete: “è stato – disse Conte – un ricatto politico sulla pelle di 40 persone”. Insomma, non proprio le parole di chi vuole prendere le distanze dalla politica di Salvini.

Oltre le parole ci sono i fatti: l’ultimo atto del Parlamento prima della caduta del primo governo Conte nell’agosto 2019 è stato il “decreto sicurezza bis” che stringeva ancora più i lacci dell’immigrazione. Sempre ad agosto 2019, 159 migranti sulla nave Open Arms sono stati 19 giorni in mare senza la possibilità di attraccare nei porti italiani.

Insomma: partendo dal presupposto che i porti non si possano “chiudere” per il diritto internazionale è vero che Conte a braccetto con Salvini ha sposato l’idea dei “porti chiusi” nel senso più largo e più politico. Ed è pur vero che nessun governo, compreso questo, sembra avere nessun’altra idea politica che non sia quella di galleggiare tra dittature usate come rubinetto per frenare le migrazioni in un’Europa che galleggia appaltando i propri confini. Gli unici che non galleggiano sono i morti nel Mediterraneo.

Leggi anche: I poveri sono falliti e i ricchi sono radical chic: così Salvini non risponde mai nel merito a chi lo critica

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Al Saudita non bastano più le visite in Arabia: adesso Renzi è editorialista di Arab News

Quando Matteo Renzi (senatore eletto e capo politico di un partito al governo, vale la pena ricordarlo per spazzare via i “ma anche” che arrivano subito appena si scrive di lui) è stato pizzicato per la prima volta in Arabia Saudita qualcuno ci disse che era lì semplicemente per “coordinare un’intervista” con il principe bin Salman. Sminuire, sminuire, sminuire era la strategia pensata per alleggerire la questione. Missione evidentemente fallita visto che quella partecipazione ha fatto discutere tutto il Paese ed è riuscita perfino a irretire la vedova di Kashoggi, il giornalista ucciso a cui sarebbe stato utilissimo chiedere cosa ne pensasse del “Nuovo Rinascimento” saudita sventolato da Renzi lutante quell’intervista piuttosto inzerbinata.

Più di qualcuno fece notare che ciò che era moralmente sgradevole e politicamente inopportuno era l’utilizzo da parte del regima saudita di un nostro ex presidente del Consiglio (tutt’ora attivo in politica con ruoli istituzionali) come megafono del proprio governo. Il rischio che quella “consulenza” si trasformasse nell’essere megafono del potere è una materia delicata e su cui lo stesso Renzi, se smettesse i panni dell’assediato da tutti, potrebbe concordare: quanto è opportuno che un politico (attivo) italiano che ha rivestito ruoli di prim’ordine diventi testimonial di un altro governo? Quanto sarebbe facile per i sauditi rivendere nell’opinione pubblica le posizioni di Renzi come posizioni del nostro Paese, scambiando un ruolo professionale per il risultato di un’attività diplomatica istituzionale di cui Renzi invece non è mai stato investito? Questo era e rimane il punto critico fondamentale.

Ci ha spiegato il senatore fiorentino che i suoi impegni professionali non intralciano il suo ruolo politico. Benissimo. Ora Renzi diventa editorialista di Arab News, il quotidiano con sede a Riyad molto vicino al regime, e inizia la sua nuova ennesima carriera (da politico in carica, vale la pena ripeterlo all’infinito) con un pezzo di sfegatato elogio della città di AlUla al centro di un progetto urbanistico della Royal Commission (di cui Renzi fa parte).

C’è dentro il solito Renzi: il paragone con Matera, la bellezza che salverà il mondo e tutta la retorica del futuro. Insomma, è il Nuovo Rinascimento sotto altra forma, l’ennesimo spot per il regime, la sua incisività sociale e la sua attenzione per la cultura. Renzi, in sostanza, di lavoro tiene comizi per un principe saudita ora anche su carta. E il dubbio è che il marchio, senza volerlo, siamo un po’ anche noi. Sicuro che vada tutto bene?

Leggi anche: 1. Conflitto d’interenzi (di Giulio Gambino) / 2. Quel rapporto con il principe d’Arabia Saudita: la crociata di Renzi sui servizi ora diventa sospetta (di Luca Telese) / 3. Se Renzi vivesse in Arabia Saudita (di Selvaggia Lucarelli) 4. 5 domande a cui Matteo Renzi deve rispondere (a un giornalista) / 5. Decapitazioni in piazza, attivisti frustati, civili bombardati: ecco l’Arabia Saudita di Renzi “culla del Rinascimento” / 6. Omicidio Khashoggi, la fidanzata Hatice Cengiz a TPI: “Pensavo che l’Occidente si sarebbe battuto, invece ho trovato reticenza”

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Il sottosegretario dei migliori

Fanpage in una sua inchiesta che (c’è da scommetterci) difficilmente passerà nei telegiornali nazionali racconta la transizione politica dell’attuale sottosegretario all’Economia Claudio Durigon, uno dei fedelissimi di Salvini (e infatti per niente amato dalla Lega vecchia maniera). Ve lo ricordate Matteo Salvini quando tutto fiero presentava i suoi uomini nel governo Draghi? «Questo è il governo dei migliori?» gli chiese una giornalista e lui rispose «certo questi sono gli uomini migliori della Lega».

Bene, eccolo il migliore: come racconta benissimo Fanpage, Durigon è uno che avrebbe gonfiato i dati degli iscritti del sindacato Ugl di cui era dirigente, riuscendo a dichiarare 1 milione e 900mila iscritti mentre erano (forse) 70mila. Sapete che significa? Che stiamo continuando a parlare di una rappresentatività dopata che non esiste nella realtà (questo anche a proposito del nostro Buongiorno di ieri sulla sparizione del salario minimo dal Pnrr, su cui torneremo). Durigon da sindacalista ha avuto piena gestione sulla cassa da cui potrebbero essere passati i movimenti che la Lega non era libera di fare per quella storia dei suoi 49 milioni di euro. Durigon ha fatto prostituire un sindacato (pompato) alla Lega per ottenere qualche candidatura. Poi ci sono le amicizie che sfiorano certa criminalità organizzata nel Lazio (ma i lettori più attenti lo sapevano da tempo che certi clan hanno fatto campagna elettorale nel Lazio per Lega e Fratelli d’Italia) e infine c’è quella registrazione vergognosa in cui Durigon tutto sornione confida di non avere nessuna preoccupazione sulle indagini sui soldi della Lega perché il generale della Guardia di Finanza che se ne occupa è un uomo che hanno “nominato” loro: «Quello che fa le indagini sulla Lega lo abbiamo messo noi»

Tutto grave, tutto gravissimo. Tra l’altro fa estremamente schifo anche questo atteggiamento di politici con il pelo sullo stomaco che ancora si atteggiano come i peggiori politici socialisti, i peggiori unti democristiani che sventolavano il potere come se fosse un mantello, per piacere e per piacersi. Fa schifo questa esibizione dello scambio di favori. Fa schifo tutto.

Fa schifo anche Salvini che ieri alla Camera ha risposto ai rappresentanti del M5s che sottolineavano l’inopportunità di un tizio del genere come sottosegretario mettendosi a parlare di Grillo. Il solito gioco da cretini di buttare la palla in tribuna. Il solito Salvini. Se posso permettermi è parecchio spiacevole anche il composto silenzio del Pd che vorrebbe rivendere il poco coraggio come diplomazia. Siamo alle solite.

C’è però anche un altro punto sostanziale: della vicinanza tra Durigon e uomini della criminalità organizzata durante la sua campagna elettorale ne avevano scritto un mese fa Giovanni Tizian e Nello Trocchia su Domani, degli intrecci mafiosi su Latina ne scrivono da anni dei bravi giornalisti chiamati con superficialità “locali” e che invece trattano temi di importanza nazionale. Sembra che non se ne sia mai accorto nessuno e questo la dice lunga sulla percezione che in questo Paese si continua ad avere della criminalità organizzata. Anche questo fa piuttosto schifo.

Buon venerdì.

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Per il senatore leghista Ostellari “dare del fr*cio a un gay non è un’offesa”

Alla fine non ce l’ha fatta a trattenersi e il leghista Andrea Ostellari, quello che tiene in ostaggio in commissione giustizia al Senato il ddl Zan, si è fiondato in radio ospite di Cruciani e Parenzo a rivendicare il diritto di dare del ”fr*cio” ai gay, con grandi risate di Cruciani al seguito. “Non è offensiva. Dipende dal contesto”, ha detto Ostellari.

Del resto sul diritto costituzionale di dare del “fr*cio” a qualcuno si sta giocando tutta la lercia propaganda leghista da mesi: una volta ci si vergognava, ora diventa un tratto distintivo. Dice Ostellari che non serve “fare una legge nuova speciale per i gay” perché sono “normali”. E anche su questo punto dimostra tutta l’ignoranza poiché le tutele di legge per gruppi religiosi e etnici considerati più esposti esistono circa da trent’anni.

Anche gli oppositori della legge Mancino (nella sua versione del 1975) rivendicavano il diritto all’insulto e evocavano l’incostituzionalità ma una sentenza della corte costituzionale del 2015 (Cass. Pen. 36906/15) dice chiaramente che la libertà di manifestazione del pensiero cessa quando travalica in istigazione alla discriminazione e alla violenza di tipo razzista.

Ma Ostellari evidentemente è troppo preso dal suo essere “Ostellari” per occuparsi di queste quisquilie costituzionali, troppo preso a darsi di gomito con il prode Cruciani. Poi Ostellari si lancia in una considerazione che probabilmente ritiene geniale: “La legge Zan – dice a Cruciani – non è una legge che viene osteggiata dalla Lega o da Ostellari, omofobi e cattivi, è una legge che viene criticata in primis dal mondo femminista, da Arcilesbica”.

Quindi per Ostellari l’opinione di Marina Terragni (“femminismo” utile alla destra per essere usato come clava) improvvisamente assume il diritto di veto al voto. Peccato che il mondo del femminismo sia molto più ampio: altrimenti potremmo dire a Ostellari che il fatto che Alessandra Mussolini sia d’accordo con la legge significhi che “la destra” appoggi il ddl Zan, con lo stesso metodo.

Ma la soddisfazione è sempre la stessa: dire “fr*cio” in pubblico. Poi se quelle parole diventano spranghe o botte a Ostellari non interessa, lui ha avuto nella sua vita i suoi 5 minuti di fama, come sempre sulla pelle degli altri, come capita a chi ottiene luce dal negare diritti perché non sa inventarsene di nuovi.

Leggi anche: Ddl Zan: una grande opportunità per riscrivere le regole della convivenza sociale

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