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Inferno Sollicciano: il carcere di Firenze scoppia, e mancano anche acqua e luce

Nei primi giorni di luglio nel carcere di Sollicciano otto detenuti sono saliti sul tetto della struttura per protestare contro il mancato ottenimento di alcuni benefici richiesti alla magistratura di sorveglianza. Una delle tante proteste che avvengono (con cadenza quasi quotidiana) nelle carceri italiane: Sollicciano ospita mediamente 700 persone di fronte a una capienza regolamentare inferiore ai 490 posti. Rientrata la protesta sono rimasti i danni: l’incendio di lenzuola e coperte hanno danneggiato gli impianti della dodicesima sezione che avrebbe dovuto essere evacuata perché inagibile.

E qui comincia la storia. Per oltre un mese nella cella della sezione i detenuti sono rimasti senza acqua e senza luce. «Di notte parte della sezione era al buio e noi guardie giravano con le torce per sorvegliare i reclusi», racconta gli agenti di polizia penitenziaria. Il sindacato Uil degli agenti penitenziari ha annunciato una denuncia alla Procura della Repubblica per «il mancato rispetto dei diritti umani» e il segretario regionale Eleuterio Grieco ha raccontato che «per quasi due mesi la sezione è stata senza luce e senza acqua ma i reclusi non sono stati trasferiti nonostante la precaria condizione della struttura, pensate cosa succederebbe in un ospedale se accadesse la stessa cosa». Già, Grieco ha centrato il punto: perché all’interno di un carcere ci si permette di accettare situazioni che sarebbero insostenibili in qualsiasi altra struttura pubblica?

La denuncia è partita da una lettera di don Vincenzo Russo (cappellano del carcere di Sollicciano) e del presidente della Camera Penale di Firenze Luca Maggiora inviata al ministero della Giustizia, al provveditorato regionale e alla direzione del carcere: «La sezione — si legge nella lettera — a differenza di ciò che dovrebbe rappresentare uno spazio vivibile e minimamente accettabile, risulta sprovvista di luce ed acqua corrente dall’11 luglio. Inutile rammentare le condizioni meteo dell’ultimo periodo che sono risultate inadeguate alla stragrande maggioranza della popolazione italiana libera. Inutile ricordarvi le condizioni di assoluta inadeguatezza di tutta la struttura in oggetto, carente sotto molteplici profili e divenuta un contenitore di uomini e donne, private non solo della libertà ma financo del minimo rispetto della dignità umana». «Il carcere di Sollicciano — aggiunge don Russo — vive da anni in uno stato di abbandono nonostante l’impegno del comandante e della direzione per cambiare le cose. Molti reclusi sono rimasti in una sezione inagibile ben oltre il tempo necessario. Inoltre Sollicciano sta diventando un nuovo Opg (ospedale psichiatrico giudiziario, ndr) dove dentro ci sono troppe persone con problematiche psichiatriche in condizioni di grave disagio».

La situazione del carcere di Sollicciano è ingestibile. Lo scorso 10 agosto in un confronto tra il garante regionale dei detenuti per la Toscana, Giuseppe Fanfani, e il presidente dell’associazione `Progetto Firenze´, Massimo Lensi è emerso che il reparto transessuali, «che aveva costituito un’esperienza innovativa rispetto alle ordinarie prassi penitenziarie, è stato chiuso e le detenute trasferite, senza sapere se e quando rientreranno» mentre il reparto giudiziario è infestato dalle cimici. A ottobre del 2020 era stata inaugurata la seconda cucina del carcere ma nel frattempo è stata chiusa la prima. La direzione del carcere è in una situazione di precarietà da quasi un anno dopo continui cambi di direzione intervallati da incarichi ad interim.

Sotto organico sono anche gli operatori Asl e gli educatori. I detenuti con patologia psichiatrica (che dovrebbero uscire dal carcere e scontare la pena all’esterno in luoghi idonei alla loro cura, come ha stabilito chiaramente la Corte Costituzionale con la sentenza 99/2019) a Sollicciano sono in cella nonostante la patologia psichiatrica. Se davvero come diceva Voltaire che la civiltà di un Paese si misura dalle sue carceri, a Sollicciano la civiltà l’è morta.

L’articolo Inferno Sollicciano: il carcere di Firenze scoppia, e mancano anche acqua e luce proviene da Il Riformista.

Fonte

Quante Malika ci sono in giro?

Sta facendo (per fortuna) molto rumore la storia di Malika, la ragazza di Castelfiorentino (Firenze) che nei giorni scorsi ha rilasciato la sua drammatica testimonianza a Fanpage.it in cui racconta di essere stata cacciata di casa, di essere stata umiliata e di essere minacciata di morte dalla sua famiglia dopo avere raccontato di essersi innamorata di una donna.

La storia ha tutti gli ingredienti della famosa “famiglia tradizionale” che si preoccupa molto più dell’orientamento sessuale dei propri figli che dei figli stessi. «Ti auguro un tumore», «Meglio una figlia drogata che lesbica», «Mi parli di altra gente? Son fortunati perché hanno figli normali, e solo noi s’ha uno schifo così», sono solo alcune delle frasi che la madre di Malika le ha rivolto con dei messaggi vocali. Il fratello da mesi – racconta Malika – la minaccia promettendole di tagliarle la gola. Lei è uscita con niente, solo quello che aveva addosso e da gennaio cerca di volta in volta una sistemazione di fortuna. Ha provato anche a ripresentarsi a casa della madre almeno per recuperare i suoi effetti personali ma la madre, di fronte agli agenti che accompagnavano la ragazza, l’ha addirittura disconosciuta.

Dopo l’uscita della notizia la mobilitazione è stata altissima: il sindaco della città si è subito attivato per aiutare la ragazza, molti cittadini si sono fatti avanti e Malika ha ricevuto anche qualche offerta di lavoro. Intanto la procura di Firenze, dopo 3 mesi e solo dopo l’enorme pubblicità che si è creata intorno all’evento, ha deciso di aprire un’inchiesta. La storia di Malika ha anche riacceso i fari sul Ddl Zan.

Insomma potrebbe sembrare una storia a lieto fine se non fosse che rimane addosso quella sensazione che c’è ogni volta che qualcosa si risolve dopo avere fatto rumore: quante Malika ci sono in giro? E la domanda giusta la pone proprio Malika intervistata da Fanpage quando dice: «Purtroppo ho dovuto sperimentare sulla mia pelle la lentezza della burocrazia italiana, che contribuisce a creare un clima di isolamento intorno a chi è vittima di odio omofobico, di bullismo, di stalking o di qualsiasi altro genere di violenza. Ho sporto denuncia contro i miei genitori il 18 gennaio 2021, ma fino a ieri l’altro non è stato fatto praticamente nulla di concreto. Ho dovuto ricorrere alla stampa per farmi sentire, sono felice che alla fine la mia richiesta di ascolto sia arrivata, ma mi chiedo: quante grida di aiuto si perdono nelle maglie della burocrazia italiana? Io ho dovuto urlare per vedere riconosciuto quello che è un mio diritto, se non l’avessi fatto sarei ancora invisibile».

Eccola, è questa la domanda.

Buon lunedì.

Nella foto un frame dell’intervista a Fanpage.it

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L’arabo fenice

Prostrato al regime saudita in Arabia, alla disperata ricerca di visibilità in Italia. Ci sono due Renzi diversi, entrambi inopportuni, che meritano di essere osservati per avere contezza dello stato attuale di crisi

Dunque ieri abbiamo avuto l’occasione di assistere in differita al doppio Matteo Renzi, quello in versione zerbino di fronte al principe saudita Bin Salman e quello che fa la voce grossa nella crisi politica che lui stesso ha provocato in piena pandemia. Sono due Mattei così lontani tra di loro, probabilmente anche molto inopportuni nei tempi, che meritano di essere osservati per avere contezza dello stato attuale di crisi che non è solo politica ma forse e soprattuto di credibilità.

Il Renzi prostrato ai sauditi (per la modica cifra di 80mila euro l’anno) è quello che da senatore della Repubblica, da membro della commissione Difesa, quello stesso che da mesi vorrebbe avere in mano la delega ai Servizi segreti, riesce a fare la velina per il principe Bin Salman con il suo inglese alla Alberto Sordi celebrando l’Arabia Saudita (terra di principesca violenza e di diritti negati) come “terra di un nuovo Rinascimento” insozzando un po’ della sua Firenze di cui si sente padrone, è lo stesso Renzi che riesce a dirgli «non mi parli del costo del lavoro a Ryad, come italiano io sono geloso» dimenticando che da quelle parti siano vietati i sindacati (e quindi i diritti) e le manifestazioni (chissà cosa ne pensa l’ex ministra Bellanova), quello che si fa chiamare ripetutamente “Primo ministro” per celebrare e per autocelebrarsi. Una scena imbarazzante nei modi e nei contenuti da cui i renziani si difendono nel modo più bambinesco e cretino ripetendo all’infinito “e allora gli altri?” come avviene tra bambini dell’asilo.

Il Renzi italiano invece è quello che dopo il colloquio con Mattarella si ferma per un’ora davanti ai giornalisti scambiando come al solito una conferenza stampa per un comizio e raccontando ancora una volta un’impressionante serie di balle infilate una dopo l’altra, riducendo ancora tutta la crisi di governo alla difesa del suo partitino politico (indignato perché c’è qualcuno che non vuole più trattare con lui) e spiegando ai giornalisti di non avere posto veti su Conte al Presidente della Repubblica per poi smentirsi pochi minuti dopo con un suo stesso comunicato che invece chiede che l’incarico venga dato a un’altra personalità. «Oggi non si tratta di allargare la maggioranza ma di verificare se c’è una maggioranza: se vi fosse stata una maggioranza, non saremmo stati qui ma al Senato per votare la fiducia a Bonafede», ha detto ieri Renzi nel tentativo di fermare il tempo in questa fase che gli regala un po’ di visibilità e temendo tremendamente lo spettro delle elezioni che lo farebbero scomparire. Poi, sempre in nome della sua coerenza, è riuscito a stigmatizzare la nascita di un nuovo gruppo in Parlamento dimenticandosi che la sua stessa Italia viva sia frutto dello stesso trucco parlamentare. Ma si sa: per Renzi le stesse identiche azioni hanno dignità differente se è lui a compierle o se sono gli altri.

E così tra liti e tentativi di riconciliazioni si trascina una crisi politica che diventa ogni giorno di più una barzelletta, sfiancante per i toni e la bassezza dei protagonisti, sfiancante perché avviene in un momento di piena pandemia.

E viene voglia di dirsi che finisca tutto presto, il prima possibile.

Buon venerdì.

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Rendiamoci conto: con questa crisi si torna a parlare di Berlusconi presidente della Repubblica

La prima conseguenza della crisi di governo del Conte bis si annusa nell’aria, si legge sui giornali e circola tra i social: la destra, ringalluzzita dai problemi del governo, si spinge addirittura dove non ha mai osato e Silvio Berlusconi, quello stesso Berlusconi che negli ultimi anni galleggiava nella sua inconsistenza politica e tra i problemi dati dai suoi processi, improvvisamente si ridesta e diventa addirittura papabile per la presidenza della Repubblica.

Un disastroso capolavoro, non c’è che dire, se non fosse che il rischio è molto più concreto di quello che sembra. Matteo Salvini, interpellato sull’argomento a Non è l’Arena su La7, risponde: “Berlusconi candidato a presidente della Repubblica? Se mi chiede il mio parere personale, le dico di sì: secondo me può ambire al Quirinale“.

Con un anno di anticipo il leader leghista avanza la candidatura del leader di Forza Italia al Colle e in mente ha un piano perfetto: togliersi l’impiccio del Cavaliere decaduto in un centrodestra in cui tutti vogliono essere leader, assicurarsi una presidenza della Repubblica rassicurante e amica e spingere Silvio a non cedere a nessuna tentazione di governi di unità nazionale insistendo su nuove elezioni.

Avrebbe potuto essere solo una boutade (una delle tante) del leader leghista, se non fosse che la palla è stata presa subito al balzo dal deputato di Forza Italia Gianfranco Rotondi, che è corso a dichiarare: “Berlusconi è stato il fondatore della Seconda Repubblica, del bipolarismo, del centrodestra”. “In questo momento – ha continuato Rotondi – il centrodestra è maggioranza elettorale nei sondaggi e nel ‘sentiment‘ del Paese. L’elezione di Berlusconi al Quirinale sarebbe naturale, legittima e pacificatrice. Sarebbe, sarà”.

Così l’ex datore di lavoro del mafioso Mangano, l’amico intimo del condannato Marcello Dell’Utri che per conto di Berlusconi faceva da tramite con Cosa Nostra, un condannato in via definitiva per frode fiscale, l’imputato nel processo Ruby ter, l’indagato dalla procura di Firenze come presunto mandante occulto della stragi mafiose del 1993 di Milano, Roma e Firenze, quest’uomo oggi si ritrova tra i papabili presidenti della Repubblica.

Lega e Forza Italia si dicono già d’accordo, Giorgia Meloni per ora osserva e tace in attesa di prendersi la leadership del centrodestra. E nell’Italia del 2021 si discute di qualcosa che sarebbe stato osceno anche solo ipotizzare fino a qualche mese fa. Un altro piccolo capolavoro, sicuro.

Leggi anche:  1. La malattia morale e politica di chi invoca il ritorno di Berlusconi (di Marco Revelli) / 2. Il governissimo con Berlusconi è il simbolo di una politica marcia voluta da certi salotti e certe redazioni (di Luca Telese)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Concorso in spostamenti pericolosi

I sindacati della scuola avevano chiesto che il concorso straordinario venisse sospeso, ma la ministra Azzolina si è opposta. Costringendo gli insegnanti a spostarsi nei giorni in cui tutti dicono che non bisognerebbe farlo

Mi scrive Alessandra:

«Si parla tanto della inopportunità del concorso stesso in piena pandemia, ma la ministra ormai abbiamo capito che non lo sposterebbe nemmeno se venisse uno tsunami combinato Adriatico-Tirreno o se un meteorite si abbattesse su Roma. E vabbè. Quello di cui non si parla è l’estrema superficialità con cui sono stati fatti gli abbinamenti candidati-sedi concorsuali, che obbligheranno 64mila persone a girare come trottole per l’Italia. E non parlo solo di chi dovrà spostarsi di regione perché nella sua il concorso non si svolge (dalla Sardegna al Lazio, dalla Sicilia alla Campania; dico: la Campania), ma di chi dovrà viaggiare anche se una sede concorsuale l’avrebbe sotto casa. Io sono stata destinata a Firenze, quindi prenderò un treno e poi un autobus, mentre con la bici sarei potuta arrivare tranquilla tranquilla (e sicura sicura, nell’ottica del contagio) all’Itc di Piombino. Dove invece nello stesso giorno sono attesi una quindicina di altri candidati, alcuni dei quali vivono a Firenze, magari vicino alla scuola dove farò io la prova».

Sul maxi concorso per la scuola che è iniziato proprio in questi giorni in effetti c’è qualcosa che andrebbe registrato e messo a posto. I sindacati hanno chiesto a lungo che il concorso venisse sospeso ma la ministra Azzolina ha adottato la tecnica della fermezza. Certo questi spostamenti proprio nei giorni in cui tutti dicono che non bisogna spostarsi sollevano più di qualche dubbio. «Si apre nel caos. Ci sarà una miriade di contenziosi, se non permettiamo agli insegnanti trovare una via di uscita con una prova suppletiva», dice Maddalena Gissi (Cisl).

E in effetti non si capisce cosa accadrà per quelli che per motivi di positività al Covid, di isolamento o quarantena non potranno partecipare alle prove. Il caso limite, ad esempio, è a Arzano, in Campania, che da giorni è zona rossa (quindi è vietato entrare e uscire) e proprio ad Arzano c’è una sede per gli esami. Che si fa? Qualcuno chiede una prova suppletiva ma la ministra ha chiarito che il parere della Funzione pubblica è stato negativo. Niente da fare? Sarà lunga, molto lunga perché i ricorsi saranno moltissimi. Secondo quanto riferisce l’Adnkronos il Tar del Lazio si è espresso già sulla richiesta di una docente che non potrà essere presente alle prove perché bloccata dall’emergenza sanitaria aprendo al diritto di avere una sessione suppletiva. Si attende la sentenza il 17 novembre.

Poi c’è la questione politica: l’opposizione si oppone (e vabbè) ma anche il Partito democratico ha espresso seri dubbi. Curioso il caso del Movimento 5 stelle che al governo parla di “strumentalizzazioni politiche” sul concorso mentre in Lombardia vota con la Lega una mozione per sospendere il concorso.

Una cosa è certa: “mischiare” le persone in giro per l’Italia non è una buona idea. Proprio no.

Buon venerdì.

Per approfondire il tema, leggi l’articolo di Donatella Coccoli su Left del 23-29 ottobre 2020

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Eccallà: commercialista e beneficenza

Ecco come si giustificano alcuni amministratori locali della Lega che hanno fatto richiesta del bonus di 600 euro

“Sono socio in uno studio di tributaristi – ha detto Forcolin in una intervista al Corriere della Sera -. Senza che lo sapessi la mia socia ha presentato domanda per tutti, dove possibile. Il dato di fatto però è che non ho visto un centesimo, lo sottoscrivo col sangue”. Gianluca Forcolin è vicepresidente della Regione Veneto, il vice di Zaia: “Resto a disposizione del partito – ha detto Forcolin  -. Voglio augurarmi che cinque anni di integrità e impegno etico e morale non siano messi a repentaglio da una semplice pratica”.

“Ho preso il bonus ma l’ho restituito” C’è anche un consigliere regionale del Piemonte, sempre della Lega, tra quelli che hanno percepito il bonus per le partite Iva. “Ho già provveduto allo storno delle cifre all’Inps restituendo i due bonus – ha detto Claudio Leone, eletto lo scorso anno per la prima volta nella Lega -. I contributi erano destinati alle società di cui faccio parte per il periodo di chiusura dei negozi – spiega -. Sentito il commercialista, entrambe rientravano nelle attività alle quali spettavano gli aiuti. Ne ho parlato con i soci e abbiamo deciso di chiedere il bonus. L’ho fatto a cuor leggero forse, certo che fosse consentito. La politica non c’entra nulla”. Come nei gialli, solo che questa volta la colpa è del commercialista. Vedrete che il commercialista in questi giorni sarà il nuovo maggiordomo come nei classici gialli.

“Ho dato tutto in beneficenza“. Ubaldo Bocci, coordinatore del centrodestra nel Consiglio comunale di Firenze, che nel 2019 sfidò Dario Nardella nella corsa a sindaco del capoluogo toscano, ha chiesto e percepito il bonus. Bocci, ex dirigente Azimut, come riportano oggi i quotidiani locali, spiega di non aver problemi di finanze ma di averlo fatto “per dimostrare che il governo stava sbagliando non dando soldi ad hoc per disabili e tossicodipendenti” e di aver dato tutto in beneficenza, assicurando di avere i bonifici che lo testimoniano. “È vero ho preso quei soldi ma non li ho tenuti per me – rivela Bocci -. Il commercialista mi disse che avrei potuto averli anche io visto che si trattava di denari a pioggia, dati in maniera sbagliatissima, senza distinguere reddito e posizione di ciascuno. E allora pensai che potevo richiederli per donarli a chi ne aveva davvero bisogno. E così ho fatto”. Bocci ha una dichiarazione dei redditi da 270mila euro. La beneficenza con i soldi degli altri è un livello superiore: si sapeva che anche questa sarebbe stata un classico.

L’aspetto più comico e patetico è che sai già come si trincereranno, dietro quali scuse. Però c’è da registrare un fatto mica da poco: si giustificano. Si giustificano (male) ma si giustificano. E così rendono tutto ancora più aberrante e ridicolo.

E viene in mente quando per un politico (così come un personaggio pubblico) era di moda il senso dell’opportunità, del non fare qualcosa perché inopportuno, del non sentire una schiera di quelli che ora vorrebbero insegnarci (proprio loro) come scrivere le leggi giuste. Siamo il Paese con il mito degli antifurti progettati da ladri, solo che sono ladri che continuano a operare.

Buon mercoledì.

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«Trova sexy le divise?»: il medioevo piomba sul processo delle ragazze stuprate a Firenze

Dodici ore e 22 minuti sotto un fuoco di fila di domande. Le studentesse Usa di 20 e 21 anni che a settembre a Firenze hanno denunciato di essere state violentate da due carabinieri in servizio, tre mesi fa sono tornate in Italia per ripetere le loro accuse davanti a un giudice. Nell’aula bunker, separate dai legali, hanno risposto su quella notte, quando dopo una serata in discoteca hanno incontrato due carabinieri in divisa che si sono offerti di accompagnarle a casa. I carabinieri hanno ammesso il rapporto sessuale sostenendo che c’era il consenso delle ragazze. Le analisi hanno confermato che le ragazze erano ubriache. I difensori dei militari avevano annunciato 250 quesiti per ogni ragazza. Il giudice, il solo che poteva parlare con loro e doveva fare da filtro, ne ha ammesse molte meno: ecco la sintesi dell’interrogatorio
(Antonella Mollica)

Il giudice Mario Profeta spiega le «regole» dell’udienza alle due ragazze: «Verrete ascoltate oggi e poi non sarete più disturbate, se si farà il processo quello che verrà detto oggi varrà come prova. La legge non consente che le testimoni vengano offese, non sono consentite domande che attengono alla sfera personale, che offendono e che ledono il rispetto della persona».

Avvocato Cristina Menichetti (difensore del carabiniere Marco Camuffo): «Prima di arrivare al rapporto sessuale non si era scambiata nessuna effusione con Camuffo, effusioni consensuali e reciproche?». Avvocato: «Durante questo rapporto il carabiniere l’ha mai minacciata, ad esempio urlando o con le mani?».
Risposta: «Nessuna minaccia esplicita però mi sentivo minacciata dal fatto che lui porta un’arma».
Avvocato: «Quindi ha usato la forza per sottometterla?».
Giudice: «Cosa intende per forza avvocato?».
Avvocato: «Se ha dovuto forzarla, esercitare una certa pressione, se è un gesto violento con una certa vis impressa nel gesto». Domanda non ammessa.
Avvocato: «Non ha lottato fisicamente? Volevo sapere se Camuffo ha esercitato violenza…». (A questo punto il legale scende nei particolari della presunta violenza sessuale, ndr).
Giudice: «Che brutta domanda avvocato. Sono domande che si possono e si devono evitare nei limiti del possibile, perché c’è un accanimento che non è terapeutico in questo caso… Non bisogna mai andare oltre certi limiti. È l’inutilità a mettere in difficoltà le persone, non si può ledere il diritto delle persone».
Avvocato: «Lei trova affascinanti, sexy gli uomini che indossano una divisa?». Giudice: «Inammissibile, le abitudini personali, gli orientamenti sessuali non possono essere oggetto di deposizione».
Avvocato: «Lei indossava solo i pantaloni quella sera? Aveva la biancheria intima?». Domanda non ammessa.
Avvocato Giorgio Carta (difensore del carabiniere Pietro Costa): «In casa avevate bevande alcoliche? Lei ha bevuto dopo che i carabinieri sono andati via?». (L’avvocato cita nuovamente in modo esplicito la presunta violenza sessuale, ndr).
Giudice: «Non l’ammetto, non torno indietro di 50 anni».
Avvocato: «Alla sua amica hanno sequestrato tutti i vestiti compresi slip e salvaslip, voglio capire se lei ha nascosto qualche indumento alla polizia». Domanda non ammessa.
Giudice: «Si fanno insinuazioni antipatiche, perché si dovrebbe nascondere alla polizia degli indumenti?».
Avvocato: «Penso che qualcuno abbia finto un reato, io non voglio sapere come lei circola, con o meno gli indumenti, voglio sapere se ha dato tutto alla polizia».
Giudice: «Ricorda il momento in cui le hanno sequestrato gli indumenti?».
Ragazza: «No».
Avvocato: «Io non ci credo che non lo ricorda».
Giudice: «Non possiamo fare la macchina della verità».
Avvocato della ragazza: «Giudice, vorrei sapere a che punto siamo delle 250 domande annunciate dall’avvocato».
Giudice: «Se sono come le ultime sono irrilevanti, andiamo avanti. Se stiamo cercando la spettacolarizzazione avete sbagliato canale».
Avvocato: «La ragazza si è sottoposta a una visita ginecologica sulle malattie virali. Possiamo sapere l’esito di questa visita?».
Giudice: «Sta scherzando avvocato? Questo attiene alla sfera intima non è ammesso questo genere di domande. Ripeto: non torno indietro di 50 anni, non lo consento a nessuno».
Avvocato: «Si può sapere se ha una cura in corso?».
Giudice: «No».
Avvocato: «È la prima volta che è stata violentata in vita sua?». Domanda non ammessa.
Avvocato: «Quando era in discoteca ha dato una o due carezze ad un carabiniere?». Domanda non ammessa.
Più avanti, rispondendo a un altra domanda, la ragazza racconta: «Non mi ricordo tutto, ero ubriaca, però mi ricordo che ci siamo baciati e che lui mi ha tirato giù la maglietta. Mi ricordo che ha cercato di toccarmi nelle parti intime, che ha tirato fuori il pene e io ero assolutamente in choc. Ero così sconcertata, però, ero talmente ubriaca, mi sentivo indifesa non avevo la forza di dire o fare qualcosa. Mi ricordo che gli dissi di no, non volevo avere un rapporto con lui. Dopo non ricordo più niente. So che abbiamo avuto un rapporto».
Giudice: «Allora come fa a dire che ha avuto un rapporto? Glielo chiedo con rispetto ma questo aspetto deve essere chiarito».
Ragazza: «Perché sentivo fastidio alle parti intime».
Avvocato: «Quando è entrata in Europa ha dichiarato che aveva soldi in contanti? Alla dogana ha dichiarato i soldi?». Domanda non ammessa.
Avvocato: «Ha un fidanzato?».
Giudice: «Cosa ci interessa avvocato?».
Avvocato: «Voglio sapere se ha un fidanzato, se è un poliziotto ecc…».
Avvocato: «È stata arrestata dalla polizia negli Stati Uniti? Ha precedenti penali?».
Giudice: «Domanda non ammessa. Non si può screditare un teste sul piano della reputazione, lo si può fare sul contenuto delle dichiarazioni. Se un teste non è una persona sincera lo dobbiamo rilevare dal contenuto delle dichiarazioni».
Avvocato: «A che titolo risiede negli Stati Uniti? (la ragazza è di origine peruviana, ndr). Era preoccupata per il suo titolo di permanenza negli Usa?». Domanda non ammessa.
Avvocato: «Ha mai visitato un negozio di divise a Firenze?».
Giudice: «Ma che ci interessa! Non è rilevante!».
Avvocato: «Ha mai fotografato il volantino di questo negozio?».
Giudice: «Non è rilevante».
Avvocato: «Ha scambiato il numero di telefono con il carabiniere quella sera? Ha promesso a un militare di rivedervi nei giorni successivi? Prima che le venisse sequestrato il telefono ha cancellato una telefonata?».
Avvocato: «Lei ha bevuto durante il tragitto dentro la macchina dei carabinieri?».
Avvocato: «Non le è sembrato strano che i carabinieri accompagnassero a casa le persone?». Domanda non ammessa.
Avvocato: «Il carabiniere si è accorto che lei era ubriaca?».
Giudice: «Non va bene avvocato, stiamo chiedendo a una persona ubriaca, affermazione senza offesa visto che l’ha detto lei, se avesse la capacità di rendersi conto del suo interlocutore».
Avvocato: «Ha mai detto al carabiniere che non avrebbe voluto fare sesso con lui?». Domanda non ammessa e riformulata.
Ragazza: «Dopo che lui ha tirato giù il top volevo che smettesse». Avvocato: «Il carabiniere ha insistito per avere contatti con lei? Ha insistito silenziosamente, con gesti e parole, perché uno insiste a un no…».
Giudice: «Ha manifestato questo non gradimento con comportamenti espliciti?».
Ragazza: «No, non avevo forza nel mio corpo».
Giudice: «E con questa risposta non accetto più domande così invadenti».
Avvocato: «Perché dobbiamo privarci di scoprire la verità, la ragazza muore dalla voglia di dire la verità, sentiamola se è salita a piedi…».
Giudice: «Che ironia fuori luogo, ora sta andando oltre il consentito. C’è una persona che secondo l’accusa ha subito una violazione così sgradevole e lei fa dell’ironia? Io credo che non sia la sede».
Avvocato: «Avevate alcolici a casa? Ha bevuto alcolici dopo che i carabinieri erano andati via?».
Avvocato: «Si ricorda di aver cercato su internet il nome di un anticoncezionale quella mattina?»
Avvocato: «Cosa diceva esattamente la sua amica quando urlava? Erano urla di parole o semplicemente urla di dolore?».
Giudice: «No, fermiamoci qui, il sadismo non è consentito».

(fonte)

Scrive il gip di Firenze che è «estremamente verosimile» che le due studentesse americane siano state stuprate

Il giudice per le indagini preliminari di Firenze Mario Profeta ha rifiutato la richiesta di interdizione per un anno fatta dalla procura per i due carabinieri accusati dello stupro di due studentesse americane, ma ha anche detto che è «estremamente verosimile l’ipotesi che i rapporti sessuali siano stati consumati contro la volontà o comunque senza un consapevole valido e percepibile consenso delle due ragazze». Nel documento con cui ha rifiutato la richiesta di interdizione, Profeta ha anche praticamente escluso «l’ipotesi di una macchinazione» organizzata dalle due ragazze, dando un primo e importante giudizio sulla loro attendibilità. Profeta comunque ha deciso di non far interdire i carabinieri – una misura che in questo caso probabilmente prevedeva la rimozione dal servizio dei due uomini – perché «il clamore internazionale della vicenda» probabilmente impedirà per molto tempo il loro rientro in servizio (attualmente sono stati solamente sospesi).

(fonte)

La toppa peggio del buco: avete letto le scuse dell’Arma dei Carabinieri sul presunto stupro di Firenze?

Ecco qua:

 

«L’Arma dei Carabinieri chiede scusa a queste due ragazze e speriamo di recuperare con loro e con le loro famiglie»: lo ha detto sabato mattina ad Omnibus su La7 il capo ufficio stampa dell’Arma dei Carabinieri, colonnello Roberto Riccardi riguardo l’episodio che si è svolto a Firenze ai danni di due studentesse americane da parte di due carabinieri in servizio e in divisa. Riguardo alle accuse di maschilismo che sono state fatte nei confronti dell’Arma, Riccardi ha spiegato che «per noi è una novità relativamente recente l’ingresso delle donne nei nostri ranghi», avvenuto dal 2000, e «questo ci sta aiutando molto a vivere in modo completo il rapporto con l’altra metà del cielo: essere a contatto per lavoro, uscire di pattuglia insieme, avere responsabilità comuni, avere un comandante donna è istruttivo da questo punto di vista. Il maschilismo è sempre in agguato per chiunque ma spero che non sia un problema per l’Arma dei Carabinieri o delle Forze Armate in genere».

 

Ecco. Io, davvero, non so cosa dire.

Bisogno di una dichiarazione inopportuna? Citofonare Nardella.

Dunque: a Firenze si indaga su un caso di stupro che vede coinvolte due ragazze statunitensi e due carabinieri. Forse (siamo in fase d’indagine, tutto è abbastanza confuso) le due turiste erano ubriache.

Che dice il sindaco di Firenze?

Ecco qua:

“È importante che gli studenti americani imparino, anche con l’aiuto delle università e delle nostre istituzioni, che Firenze non è la città dello sballo. È una città vivace, accogliente, plurale, ricca di opportunità culturali e di svago, ma credo che dal punto di vista delle regole e del buon comportamento non abbia niente di diverso da tante città americane. Questo ovviamente al netto del gravissimo episodio di cui stiamo parlando, perché il fatto ha riacceso i riflettori anche sul modo con cui i giovani studenti stranieri vivono la nostra città. Mi piacerebbe che fossero più integrati nella vita culturale e collettiva, e non considerassero Firenze soltanto una Disneyland dello sballo.”

E uno pensa: si sarà sbagliato, si è spiegato male. Invece Nardella viene intervistato da La Stampa e dice:

“Sui ragazzi che devono prendere questa esperienza di studio non come un’occasione di sballo. Con il Console generale Benjamin Wohlauer parleremo con gli studenti per invitarli a vivere con equilibrio la loro permanenza a Firenze. Questo li aiuterà a godere meglio della città e a essere sempre in condizioni meno vulnerabili. L’anno scorso abbiamo avuto più di trecento ricoveri per abuso di alcolici e la maggior parte erano stranieri. Ripeto, che sia chiaro, nessuna giustificazione, anzi, aggravante per chi approfitta di chi non può difendersi.”

Del resto è il solito Nardella, quello che ha sfasciato la verità sugli scontri a Firenze (qui), quello che urla “Allah akbar! Allah akbar!” e poi ride come un cretinetto (qui) e molto altro. Uno che non farebbe nemmeno il rappresentante di classe, se non fosse che è protetto dal bullo della scuola.