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Franca Rame

Mario Mantovani è rosso

Il vicepresidente di Regione Lombardia Mario Mantovani (PDL, classe “diligente” dei berluscones) giudica da par suo il funerale di Franca Rame. Ora, Mantovani che parla di Franca Rame ci sta come la Minetti che tiene un corso di castità ma la cosa che colpisce di più è la sua affermazione: «Quell’immagine, quei fazzoletti rossi e quei comizi non corrispondono alla volontà popolare espressa dai lombardi pochi mesi fa, ecco».

Mantovani (ma molti altri di centrodestra e controsinistra) non hanno capito che la sensibilità di una storia e di una vita non è cosa da catalogare dentro le anguste stanze mentali dei piccoli pregiudizi di qualche polituncolo borghese e soprattutto non ha capito che la vita (e la “resistenza”) di Franca Rame contro tanti petulanti e inutili piccoli Mantovani è il lascito di una speranza per una classe dirigente con un’ecologia etica da quella che ci ritroviamo ora.

Quei fazzoletti rossi per Franca (caro Mantovani e cari berluscones) sono il simbolo di una comunità di ideali che per voi sarebbe inimmaginabile senza bonifici bancari.

Dio è femmina e comunista

L’amore che ci state dando in questi giorni mi fa pensare che mia madre ha fatto qualcosa per gli altri. Delle sue lotte diceva: non posso fare altrimenti, non si può lasciare che si trattino così le persone. Mia madre ha amato immensamente, me, mio padre, le mie figlie, la mia nipotina. Quando qualcosa non funzionava, diceva: ricordati che Dio c’è, ed è comunista. Io dico che non solo è comunista, ma è anche femmina. Andate a casa da qui con un po’ di fiducia. Il mondo lo cambieremo“.

Jacopo Fo oggi, al funerale della madre Franca Rame.

Franca Rame secondo Eugenio Barba

Ci sono maestri del teatro che si sanno raccontare così puntigliosamente solo tra di loro:

AMICIZIE DI UN ALTRO MILLENIO
DARIO FO E FRANCA RAME

Franca RameProprio perché non vuole e non può avere come bersaglio l’intimità e il mistero dell’individuo, ma la persona, l’uomo come animale sociale non può prescindere dalla posizione di coloro che ridono.
Il giullare che recita davanti agli uomini di potere, anche se li deride o li attacca, anche se non cambia nulla del suo repertorio, per il fatto stesso d’essere accolto o tollerato si trova in poco tempo trasformato dal contesto: non è più un giullare, diventa un buffone. Per mantenere la propria integrità è allora costretto a far scandalo.
L’arte dello scandalo (è infatti una vera e propria arte) ha un’escalation terribile, perché ogni vittoria è anche una sconfitta che obbliga a provocare nuovi scontri. Quindi conduce alla distruzione chi la pratica continuativamente. Dario Fo – come Grotowski – conosce molto bene l’arte e la tecnica dello scandalo. Per questo sa che dopo un colpo deve poter tornare nei propri territori, altrimenti si trova costretto o all’inefficacia divenendo accettabile, o a tirare un colpo dopo l’altro, fino ad esaurire i margini della tolleranza circostante.
Il comico riguarda la dimensione orizzontale della realtà, il che però non vuol dire che si limiti alla sua superficie. Non scava nell’individuo. Scava negli interstizi della società, nelle sue contraddizioni. Dario Fo ne era e ne è la dimostrazione vivente. Può esserlo, perché in termini professionali ha affrontato il problema dei contenuti e dello stile assieme al problema di piazzare il proprio teatro in ben precisi contesti, sfuggendo alla casualità che nel normale mercato teatrale regola l’incontro fra gli attori e gli spettatori.
Appena conclusa l’esperienza de La Signora è da buttare, Dario Fo e Franca Rame avevano abbandonato l’orizzonte dei grandi teatri, e cominciato a crearsi un proprio territorio teatrale indipendente. Volevano farsi capire, e quindi avevano scelto un contesto con il quale condividere, per lo meno in linea generale, l’orientamento politico. Avevano deciso di far spettacoli e tournées secondo le proprie regole, rinunciando agli agi e alle costrizioni dell’organizzazione teatrale predeterminata.
Il loro passare da un’orbita all’altra del teatro fu talmente mirato da apparire estremistico. Fu la scoperta che il teatro poteva vivere in condizioni assai lontane da quelle abituali. Erano quei mesi del 1968, ’69, ’70 che oggi vengono raccolti sotto l’etichetta generale del “Sessantotto”. Anche il teatro, è ovvio, ebbe il suo Sessantotto, a volte un terremoto profondo, dalle lunghe conseguenze, a volte solo una serie di vibrazioni velleitarie e superficiali. In quel panorama di mutamenti, la presa di posizione di Dario Fo e Franca Rame fu uno degli esempi più significativi, ebbe l’evidenza della concretezza, fu letteralmente un prendere posizione, uno spostarsi da un luogo all’altro. Recitavano nelle fabbriche, nei locali delle associazioni culturali e politiche, fondarono “La Comune”, che non era più una semplice compagnia, ma un gruppo che interveniva in appoggio alle fabbriche in sciopero e per la difesa dei perseguitati politici. […]

Ebbero coraggio. In seguito, quando Dario e soprattutto Franca subirono aggressioni e violenze da parte di neo-fascisti, quando furono sottoposti a controlli polizieschi e a minacce da parte delle autorità, il loro coraggio fu esemplare. Ma qui vorrei sottolineare, accanto al coraggio, l’intelligenza della loro presa di posizione. Chiaroveggenza da professionisti del teatro capaci di non restare prigionieri dei loro spettatori e di non lasciarsi incantare dai fiori di carta dei primi successi.
In fondo, è sempre una questione di ambizione: gli artisti coraggiosi e intelligenti sono tali perché hanno grandi ambizioni e non si soddisfano dell’ammirazione e del consenso che li saluta all’inizio della strada che hanno intrapreso. Non si accontentano di piacere. Vogliono incidere la memoria, la mente, le emozioni dei loro spettatori. Vogliono restare, non confondersi con la natura effimera degli spettacoli.
Talento e ambizione spesso non vanno d’accordo. Quando la seconda è sproporzionata la situazione non è così triste come quando si verifica l’inverso, ed un grande talento si unisce ad un’ambizione ristretta all’immediato. Allora si sente odore di tradimento. Tradimento di se stessi, spesso inconsapevole.
Per mostrare a quale destino Dario e Franca abbiano voltato le spalle, riuscendo a non tradire la propria lungimirante ambizione, debbo fare un passo indietro, tornare per un momento agli anni Cinquanta.
Ho detto d’aver incontrato per la prima volta Dario Fo a Ivrea, nel 1967. Ma non era quella la prima volta che lo vedevo. La prima volta fu Franca Rame, in realtà, a calamitare la mia attenzione e la mia ammirazione.
Nella primavera del 1954, avevo 17 anni e studiavo al collegio militare della Nunziatella a Napoli. Nelle vacanze di Pasqua stavo a Roma, dove abitava mia madre. Mio fratello volle invitarci ad uno spettacolo teatrale che i giornali definivano particolarmente raffinato. Era un cabaret francese in tournée, si chiamava “Contrescarpe”. Ci vestimmo eleganti. L’intero pubblico era elegante. Mentre aspettavamo l’inizio, un sussurro percorse la platea, tutte le teste si voltarono a guardare una coppia entrata all’ultimo momento: un giovane alto, dinoccolato, con il viso da ragazzo più buffo che bello, e una donna splendente di bellezza, dalla lunga chioma biondo platino, chiusa in un abito elegantissimo e ampiamente scollato. Sembravano sicuri di sé, lanciavano sorrisi e saluti, per nulla imbarazzati dalla curiosità che li circondava. Si muovevano in quell’ambiente come pesci nell’acqua. Chi era quella splendida giovane signora, così gentile e provocante? Gli spettatori eccitati e curiosi mormoravano due nomi: “Franca Rame e Dario Fo”. Non sapevo chi fossero. Mio fratello mi informò.
Avevano già salito i primi scalini della fama. Erano famosi nelle cronache del teatro, come molti altri il cui nome è svanito. La cronaca è molto lontana da ciò che fa storia.
Franca Rame era davvero una delle più belle fra le attrici che calcavano, in quegli anni, i palcoscenici del teatro cosiddetto “leggero”. Che faceva della sua bellezza, sulla scena? Il giovane regista e critico Flammio Bollini, che pochi anni dopo scrisse di lei sulla grande Enciclopedia dello Spettacolo italiana, nel decimo volume, quello degli “aggiornamenti” (il nome di Dario Fo in quell’Enciclopedia non c’era) notava l’intelligente contraddizione a cui Franca Rama sottoponeva la sua bella apparenza: “alta, procace, biondissima, la Rame sembra incarnare l’erotismo ottimista dei cartelloni pubblicitari, ma lo unisce ad un gusto sfrenato per la caricatura”. La definiva cosi: “un tipo, quasi una maschera, un Capitan Fracassa del sex appeal borghese”.
Sarà proprio lei, quel Capitan Fracassa, fra il ’68 ed il ’69, a trasformarsi in vera combattente, ed a spingere con particolare determinazione il teatro suo e di Dario fuori dal teatro “legittimo” e dalle sue cronache.
Quando Dario Fo ha ricevuto il premio Nobel, ha detto che premiava sia lui che Franca Rame. Non era gentilezza di marito e di compagno d’arte. Era, ancora una volta, desiderio di opporre alla storia superficiale del teatro la verità della sua storia sotterranea. […]

Sono passati più di 40 anni dalla prima volta che vidi, senza conoscerli, Dario Fo e Franca Rame. Dopo il Nobel del ’97 è scoppiata la letizia fra i teatri oscuri, quelli di cui non si scrive né cronaca né storia, che vivono fuori dell’orbita del teatro che Julian Beck chiamava, con un po’ di disprezzo, “rispettato”.
Benché Dario Fo sia uno dei vertici del teatro contemporaneo; benché venga insignito del Nobel per la letteratura, lui che non si considera certo un “letterato” e che molti non consideravano neppure meritevole dell’epiteto di “scrittore”; benché abbia ricevuto la nobilitazione più grande, molti attori dei teatri “senza nome” si sono sentiti implicati in prima persona, riconosciuti. Mentre dall’Odin Teatret spedivamo a Dario e Franca i nostri telegrammi esultanti, all’Odin arrivavano i fax di molti gruppi e di molte persone che abbiamo incontrato nei nostri giri, soprattutto dall’America Latina. Dicevano tutti più o meno la stessa cosa: è come se avessimo ricevuto il Nobel anche noi.
Dario Fo ha fondato una tradizione. Mistero buffo è uno dei testi contemporanei più rappresentato nel mondo. Compare a volte anche nei cartelloni dell’establishment teatrale, ma viene soprattutto rappresentato sulle piazze, tradotto in diverse lingue, adattato a diversi ambienti. È divenuto l’emblema di un modo di far teatro indipendente, colto e popolare allo stesso tempo, che permette all’attore di non asservirsi alle condizioni commerciali e di far teatro senza nessun altro strumento che il proprio bagaglio professionale. Il giullare, che fino ad alcuni decenni fa era una figura che si studiava nelle università e di cui si parlava nei libri, è divenuto uno dei punti di orientamento del teatro d’oggi, una potenzialità in vita.
Fondare una tradizione vuol dire lasciarsi “derubare”. Molti hanno “rubato” a Dario Fo l’invenzione di un teatro comico e pugnace che si sviluppa attraverso il racconto d’uno o di pochi attori e che non ha bisogno di niente, che si può fare dovunque, sui marciapiedi, in un’aiuola o in un grande edificio teatrale tradizionale. Molti gli hanno “rubato” il segreto di come mischiare clownerie e polemica, memoria storica e perorazione politica. E soprattutto hanno potuto servirsi della nobilitazione che la fama di Dario Fo ha conquistato per i generi di un teatro considerato “minore”.
Anche Dario Fo afferma di aver “rubato”. Confesso che questo verbo non mi piace applicato all’artigianato artistico. È un uso metaforico, ma mi sembra inutilmente denigratorio o autodenigratorio. Oppure venato di furberia, che è il peggior carattere della maschera dell’”italiano” in commedia.
Ma il verbo “rubare” Dario Fo lo usa molto frequentemente, non solo in quel titolo famoso Chi ruba un piede è fortunato in amore, ma soprattutto quando parla della sua esperienza e del suo apprendistato. Credo di intuire il perché: l’utilità del verbo “rubare” applicato al mestiere dell’attore consiste nel concentrare l’attenzione non sull’atto di sottrarre qualcosa a qualcuno (nell’arte, quando si prende da un altro non gli si toglie proprio nulla, di fatto), ma sull’azione di chi “ruba”. Come dire che l’attore deve saper scrutare i colleghi con maggiore esperienza non fermandosi alle apparenze, cercando di indovinarne le intenzioni e le ricchezze aldilà dei modi in cui esse si presentano, con la concentrazione, l’ansia, la tecnica e la profonda calma del pickpocket (come nel film con questo titolo di Robert Bresson), sapendo che dalla sua azione dipendono il suo sostentamento e la sua libertà.
Così, nell’orbita dell’arte, i risultati dell’azione del “rubare” non sono furti, ma invenzioni. È il connotato delle tradizioni “povere”, che non usufruiscono di scuole e di accademie e si basano sull’autoditattismo. […]

Ho incontrato molte altre volte Dario Fo, nel corso degli anni. È tornato ad Holstebro trionfalmente, e mentre una gran massa di spettatori applaudiva lui e noi dell’Odin che l’avevamo invitato, invece di godersi semplicemente gli applausi ha voluto ricordare al pubblico i primi tempi in cui ci aveva conosciuto, quando la maggioranza ci guardava con sospetto e ci rifiutava. È venuto alla sessione dell’ISTA nel 1981 a Volterra, in Toscana per spiegare e lasciarsi “rubare” i segreti dell’improvvisazione. Nell’84, quando è venuto a festeggiare con noi i 20 anni del nostro teatro, ha ricordato il valore della “resistenza”, di non cedere alla tentazione di smettere, quando tutte le mete che da giovani ci facevano sognare sembrano raggiunte. Ed altre, viste con occhi maturi, sembrano irragiungibili.
Ho potuto toccar con mano la forza della sua “resistenza” quando è venuto a Copenaghen, durante la sessione dell’ISTA, nel maggio del ’96, e doveva dire solo poche parole, non si doveva stancare, doveva aver cura del muscolo del cuore, che gli aveva dato recentemente avvisaglie di grave pericolo. Ma uno come Dario proprio non riesce a pensare al cuore come a un muscolo. Parlò, cominciò a spiegare, dalla spiegazione passò agli esempi, dagli esempi alla recitazione. Come al seminario di Holstebro vent’anni prima. Questa volta Franca ed io dovemmo salire in palcoscenico per fermalo. Alcuni dei presenti ci giudicarono male. Era impossibile vedere il dispendio di energie di quell’attore che sembrava lavorare in souplesse, come se recitare fosse per lui la cosa più facile, più naturale e riposante del mondo.
Sembrava il Dario Fo di vent’anni prima perché continuava ad inventare, a mutare. Ripeteva i suoi pezzi famosi e ripetendoli li variava. E passava a cose nuove, “fresche”, non ancora messe a punto del tutto.
Resistere significa non smettere di mutare.
La lunga carriera di Dario Fo è un lungo viaggio esemplare. Vediamo le tracce del punto di partenza, del teatro di “rivista”. E vediamo i punti di arrivo. Fra i due estremi vi è – circostanziata in azioni concrete, efficaci, sapienti di mestiere – la rivolta. In questo arco di storia ha eroso i confini fra il teatro scritto e il teatro orale, fra il teatro “minore” e il “maggiore”, fra il teatro “serio” e quello “buffo”, fra il pagliaccio e il testimone del proprio tempo. […]

Un numero vale l’altro, eppure non c’è niente da fare, l’imminenza dell’anno 2000 acquista un valore simbolico al quale è impossibile sottrarsi. In qualsiasi discorso sul futuro, in ogni programma per i prossimi anni, scivola fra le parole il termine “millennio” dove fino a poco tempo fa ci accontentavamo di “anno”. Quel numero 2000 spinge irresistibilmente a pensare in grande.
La storia del Novecento giustifica il fatto che pensando il teatro lo si pensi in grande. Mai come nel XX secolo, il teatro è stato così marginale fra gli spettacoli. Eppure questo secolo è una delle età dell’oro del teatro. L’oro in questo caso non è la bellezza, né la pace, ma il valore di una dissidenza. Mai, come nel XX secolo, il teatro è stato un luogo in cui nutrire la rivolta. Bisogna essere in grado di trasmettere la sete della rivolta e la tecnica della dissidenza nel prossimo millennio. Ne avranno bisogno. E come sempre accade agli assetati, sul principio non avranno la minima idea di come fare.
Programmo il lavoro del mio teatro come il lavoro di un fantasma. Cerco di fare in modo che il fantasma possa infiltrarsi in quel terzo millennio al quale non apparteniamo e che non possiamo immaginare. Il fantasma è il paradosso della presenza assente. Qualcosa di molto concreto, se si bada alle conseguenze.
C’è una tecnica, non solo una mitologia, del fantasma. Bisogna preservare il valore degli incontri che configurano la storia sotterranea del teatro.
Come fare in modo che altri possano ancora “rubare”? Si può “rubare” ai fantasmi?
Non era forse un fioco fantasma, quasi muto e trasparente, fino a poco tempo fa, la figura del giullare?

Eugenio Barba, 1997, DIDASKALIA

Franca

Quando sono entrato in casa Fo mi tremavano le gambe. Avevo tenuto il mio primo e unico “provino” al cospetto di Dario per convincerlo di meritarmi il diritto di recitare la sua “Apocalisse rimandata“. Ricordo come cambiava l’espressione del viso e degli occhi insieme all’intonazione della voce parlando di Franca. Come maestra, compagna, regina, confidente e ultima certificatrice di ogni scelta. Franca Rame era un manuale di teatro, di diritti e di esser donna. Mancherà e mancherà a quello sguardo e a quella intonazione del maestro.

Franca e Dario

Sono stata io a invitarlo dopo le prove a mangiare qualcosa in una trattoria, la prima volta. Dario sembrava non accettare volentieri l’invito. Poi, giacché io insistevo, mi svelò la ragione della reticenza: “Non ho un soldo, per liberarmi dal lavoro e venire alle prove ho dovuto licenziarmi dallo studio di architettura”. E io, allegra: “Mi fa piacere, adoro nutrire randagi, gatti abbandonati e disoccupati affamati”. Andammo in una trattoria lì all’angolo e ordinammo due porzioni di salame, pane e una birra. Poi ci accompagnammo l’un l’altra a casa. Tram non ce n’erano più, ci avviammo a piedi. Ci raccontavamo delle nostre vite, lui del suo lago, il Maggiore, e dell’Accademia; io della compagnia di papà. Ci scoprimmo a ridere come ragazzini alle reciproche ironie. Lo trovavo spassoso, quello spirlungo strabordante racconti assurdi e festosi. Una sua frase mi sorprese: “Spesso parlo con qualcuno e mi sento a disagio, le cose che mi sembrano intelligenti e spiritose che dico non vengono raccolte, e mi convinco di non possedere fantasia né spirito. Invece ora sento apprezzare le mie immagini, e ne ricevo altre da te, che mi incoraggiano a lasciarmi andare nel fantastico”.

Franca Rame si confessa sui suoi primi momenti in Dario Fo. Da leggere.

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Stagione 09/10 Teatro Nebiolo: A CIASCUNO IL SUO

weblight_campagna_abbE’ online il programma della stagione del Nebiolo 2009/2010

A Ciascuno il suo

tutti gli appuntamenti di Prosa, Musica, gli incontri e le iniziative.

E’ possibile acquistare o prenotare gli abbonamenti scegliendo la propria poltrona, disponibili anche le informazioni su costi e modalità di acquisto.

Attualmente in via di definizione Teatro che passione! la rassegna di Compagnie Filodrammatiche;
La II edizione di Teatrock, concorso per band musicali;
I Musical.

A breve il calendario completo anche degli incontri del Centro di documentazione.

STAGIONE DI PROSA 2009/2010

sabato 3 ottobre ’09 Dionisi Compagnia Teatrale
Patate Una parola senza denti sulla guerra
Sul palco tre donne anziane, molto anziane, raccontano la guerra vista dagli occhi di chi “allora” era bambino, o ragazzo, trasformando quelle piccole storie in storie universali. Non è la guerra raccontata dall’informazione e nemmeno quella rielaborata dagli storici attraverso i documenti, è la guerra del vissuto, è la storia degli uomini e delle donne che nessuno si ricorderà più: non comandanti, non soldati, “solo” persone.
Spettacolo inserito in “LUOGHI COMUNI – residenze teatrali in giro per la Lombardia”

sabato 24 ottobre ’09 Scarlattine teatro
Scirocco. Ballata di viaggio
Un Caronte scafista di nome Joseph aiuta il pubblico ad attraversare il mare, introducendo lo spettacolo con un racconto sull’origine del male. È il mare quotidiano dell’indifferenza, dove abitano i cinque migranti protagonisti di Scirocco, spettacolo in movimento tra musica ed azione teatrale che al tema dell’immigrazione associa il tema del viaggio, del cammino e, indissolubilmente, del ritorno…
Spettacolo inserito in “LUOGHI COMUNI – residenze teatrali in giro per la Lombardia”

sabato 28 novembre ‘09 Compagnia Stabile del Teatro del Popolo
Montedidio
Di Erri De Luca
In poco tempo, a Montedidio, un quartiere di Napoli, un ragazzino di tredici anni si ritrova a crescere per diventare uomo. È bastato compiere tredici anni che subito è stato messo tra gli uomini ad occuparsi di cose adulte. Impara il lavoro, scopre l’amore e il dolore della perdita. Si ritrova solo a fare i conti con la vita. La guarda, la osserva con gli occhi puri di chi ancora non sa, si lascia trasportare dagli eventi per imparare poi a gestirli.

sabato 23 gennaio ‘10 Bottega dei Mestieri Teatrali
A cento passi dal Duomo
Di Giulio Cavalli e Gianni Barbacetto.Con Giulio Cavalli
colpisce l’essenza stessa della mafia al Nord, mettendola a nudo, mostrandone la collusione con la politica e la sua capacità di infiltrarsi nei gangli di potere. Ma la mafia al Nord non rappresenta solo un pericolo per il corretto svolgimento della libera concorrenza…. a Milano e in Lombardia si uccide, come nel profondo sud. Uno spettacolo supportato da dati e documenti per mappare l’attuale situazione, non per creare facile allarmismo, ma per segnalare alla coscienza civile la concreta e reale esistenza di un fenomeno criminale che si muove silenziosamente anche nell’operoso Nord Italia. “una ninna nanna dolce per un risveglio brusco di quella Lombardia che si crede immune dalla mafia”.

Sabato 6 febbraio ’10 Ilinx
Ilinx Machine.  A.T.A. Azienda Traghettatori Anime
Spettacolo per autovettura

La finzione del teatro entra nella realtà, la trasforma. La scena è paesaggio vero e proprio. Artificiale o  naturale che sia. I due parabrezza, i quattro finestrini, sono schermi, occhi che danno sul mondo.
Ma è dentro che succede. Voi, la macchina e la faccenda. La realtà si trasformerà. Trapasserete…
Immaginatevi di essere accompagnati in una macchina.
Immaginatevi di scoprire che siete erroneamente creduti morti.
Immaginatevi la più nobile fra le professioni: i traghettatori di anime.
spettacolo inserito in “LUOGHI COMUNI – residenze teatrali in giro per la Lombardia”

sabato 13 febbraio ‘10 amnesiA vivacE/Circo Bordeaux
Risorgimento Pop
L’Italia non risorge. L’Italia non c’è. La Storia non c’è. Perché è sempre inattendibile, la Storia. Nella
ricostruzione dello storico, come nei ricordi dei testimoni, nelle fiction, come nei romanzi, negli spettacoli. E
allora bisogna prendere tutto con le pinze perché tutto, ahinoi, dev’essere interpretato, aggiornato e
discusso.
Risorgimento pop è uno spettacolo sull’Italia che non c’è, sull’Italia che non sorge, che se è risorta, è
rimorta, uno spettacolo sul Risorgimento, sui quattro padri della patria, Mazzini, Garibaldi, Cavour,
Vittorio Emanuele, e sul suo antipapà, Pio IX. Due attori, risorti e rimorti, immortali cadaveri, soli in scena,
in mancanza di Italia. Per un risorgimento pop.

Venerdì 26 marzo ‘10 Bottega dei Mestieri Teatrali/Napoli Teatro Festival Italia/Next
L’apocalisse rimandata ovvero Benvenuta catastrofe
Di Dario Fo e Franca Rame. Adattamento, regia e interpretazione di Giulio Cavalli
Siamo dinnanzi all’apocalisse più grave di ogni tempo, il disastro ambientale del quale noi stessi siamo responsabili. L’unica via d’uscita sembra essere paradossalmente una catastrofe, che faccia fare al mondo un passo indietro. Giulio Cavalli mette in scena il testo di Fo e Rame aprendolo a contaminazioni diverse e mettendo in moto un singolare teatro d’inchiesta.
Quante volte negli ultimi anni abbiamo sentito parlare di ambiente, ecologia, energie sostenibili e rinnovabili? Quante volte subiamo l’inquinamento nozionistico di teorie e strategie che subito dopo si contraddicono o rimangono oscure? Il teatro può (e forse, deve) raccontare questo nostro rapporto prevaricante con l’energia in modo diretto, semplice ma non banalizzato e, perché no, istruttivo. L’apocalisse rimandata non è un campanello d’allarme (quello è suonato già tempo fa e non cene siamo accorti) ma piuttosto una “riunione condominiale”in teatro per decidere come rimboccarsi le maniche e chi fa cosa.

Venerdì 23 aprile ‘10 Teatro dei Limoni
Hamburger
“…Non si sale sul ring senza un buon motivo, e io ne ho almeno due.
Il primo è la rabbia. Mi scorre nelle vene, lungo le braccia, arriva nei pugni. E’ il mio ossigeno. E’ quello che mangio, che bevo. Non posso farne a meno. Amo stare qua sopra. E’ tutto il mio mondo. Un quadrato di luce e, attorno, il nulla….”
“…Il secondo motivo, invece, è Dante. E’ per colpa sua se sono qui.”
La storia di un ragazzo affetto da Disturbo Esplosivo Intermittente, che sin dall’adolescenza mostra un carattere eccessivamente violento, che lo porterà, dopo una serie di eventi negativi ad affrontare il riformatorio prima ed il carcere poi, fino all’incontro con un terapeuta, che, scoperta la sua patologia lo indirizzerà verso la boxe….”

STAGIONE DI MUSICA 2009/2010
Sabato 7 novembre ’09  Bar Boon Band
Randagi di Cristallo
Musica e poesia con i senza tetto della Stazione Centrale di Milano

sabato 16 gennaio ‘10 Mondorchestra
La mafia non esiste
Musica popolare siciliana

sabato 20 febbraio ‘10 Contrabbanda
Musica senza frontiere
La banda degli ottoni di Milano

Domenica 20 dicembre ‘09
NANNI SVAMPA
50 anni di storia musicale lombarda

CENTRO DI DOCUMENTAZIONE PER UN TEATRO CIVILE 2009/2010
Giancarlo Caselli
Carlo Lucarelli
Raffaele Cantone e  Antonio Ingroia e Alberto Nobili
“L’etica libera la bellezza” video e incontro con Don Luigi Ciotti
“La santa” video e incontro con Ruben Oliva
Marco Travaglio
Biondani/ Malaguti/ Gerevini “Popolare 4 anni dopo”
Gioacchino  Genchi


BIGLIETTI
intero € 12,00
ridotto *, convenzionato € 8,00
*giovani fino a 25 anni, over 60, studenti con tessera universitaria, gruppi di oltre 10 persone
per gli spettacoli Patate, Scirocco, Ilinx Machine A.T.A ingresso unico € 3,00
per il concerto di Nanni Svampa ingresso unico € 15,00

ABBONAMENTI:
PROSA: n. 5 spettacoli a € 37,50
PROSA IN COPPIA: valido per due persone n. 5 spettacoli a €  70,00
In abbonamento: Montedidio, A 100 passi dal Duomo, Risorgimento pop, L’apocalisse rimandata ovvero Benvenuta catastrofe, Hamburger
N.B. Gli abbonamenti Prosa e Prosa in coppia danno la possibilità di mantenere la propria poltrona anche per gli incontri gratuiti del Centro di documentazione previa prenotazione.

MUSICA: 3 concerti a € 22,50
(Nanni Svampa FUORI abbonamento)

TEATRO CHE PASSIONE ! Rassegna filodrammatiche: 4 spettacoli a € 30,00

ADOTTA UNA POLTRONA: gli spettacoli di Prosa*, Teatro che passione e Musica a € 97,50
*fuori abbonamento solo Ilinx machine ATA
N.B. con questa formula l’abbonato acquisisce il diritto di disporre delle propria poltrona previa prenotazione anche per tutte le altre manifestazioni organizzate dal Teatro Nebiolo siano esse gratuite o a pagamento.

Modalità di prenotazione e orari biglietteria:
prenotazione telefonica :  numero 331 9287538 dal lunedì al venerdì dalle ore 9:30 alle 13:00 e dalle 14:30 alle 18:00; nei giorni di spettacolo è possibile effettuare la prenotazione telefonica a partire da 1 ora prima dell’inizio spettacoli.
È possibile effettuare la prenotazione anche via mail all’indirizzo info@teatronebiolo.org (in questo caso la prenotazione si considera valida solo se viene confermata dalla biglietteria).
Orari biglietteria: da lunedì a venerdì dalle ore 10:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00 presso gli uffici del teatro ; nei giorni di spettacolo 1 ora prima dell’inizio presso il teatro.

Teatro Nebiolo
Via IV Novembre snc – Tavazzano con Villavesco (LO)

Dario Fo esprime la sua solidarietà a Giulio Cavalli

Stamane è giunto un messaggio di solidarietà verso Giulio Cavalli da parte del Premio Nobel Dario Fo e della Moglie Franca Rame.

“In un dialogo in catalano antico fra un contadino e un giullare che si lamentava per le angherie e le minacce subite di continuo ad opera di sconosciuti, il villano chiedeva al fabulatore: “Ma di cosa ti minacciano?” . Il giullare rispondeva: “Addirittura di spaccarmi la testa ” e il villano commentava: “Accidenti! Devi avere un gran cervello in quel cranio! E’ quello che fa paura ai mascalzoni e ai tiranni. Vuol dire anche che sai far ridere delle loro angherie: la risata è l’atto più insopportabile per i potenti e i prepotenti. Hai tutta la mia ammirazione. Grazie.” così terminò il villano offrendo al giullare un calice di vino e la sua colazione. A nostra volta, Franca ed io, ti diciamo caro Giulio: Grazie.”

DARIO FO