Io e Marcello
Uno scambio con Marcello Fois. Nella splendida cornice di Gavoi. (Grazie a Booksweb)
Uno scambio con Marcello Fois. Nella splendida cornice di Gavoi. (Grazie a Booksweb)
Ho conosciuto Marcello di fretta a Bologna. In un salone tutto affreschi e statue di un’epoca che si voleva scrollare da un salone in cui si leggevano libri ad alta voce. Abbiamo parlato. Sotto voce per non disturbare quelli che recitavano. Poi sono passati anni, ci siamo rincontrati a Gavoi, per il Festival Letterario. Lì invece l’epoca è coerente con la gente, le case e il sole tutto intorno. Abbiamo parlato a lungo. Questa volta come parlano gli amici che sono contenti di potere fare chiasso senza remore. Disinibiti per amicizia.
Oggi viaggiavo seduto sul sedile posteriore. Mi sono ripreso un libro di Marcello. Un libro del 1997. Volevo andare a curiosare come un archeologo il suo lavoro, la scrittura, la strada che c’è dietro quel bicchiere di mirto che abbiamo bevuto in quella sera che ci ha fatto stare così bene. Ho letto Nulla (1997, edito dalla casa editrice sarda «Il Maestrale», 130 pagine) perché sapevo che c’era tanto dei suoi posti. Di quei posti. E ci ho trovato dentro tutto il sapore di quel vento che si alzava quella sera. Ma dentro c’è anche un pezzo di disperazione che è di questo tempo. Di questo tempo di suicidi indecifrabili e brevi. E’ un libro di solitudini che non trovano parole per raccontarsi, paesi dove potere abitare e per fortuna hanno almeno un libro in cui trovare un po’ di pace.
E, insomma, fossi in voi, lo leggerei. Sul serio.
17 anni
A guardarti dormire, così disarticolato, nelle poche ore della tua notte che concedevi al sonno, potevi sembrare un povero corpo precipitato da un cavalcavia. Uno straccetto umido caduto da un balcone.
La mattina. E la notte. In mezzo: pomeriggio e sera. Certezze da poco. Ma facevano sembrare la vita una serie ininterrotta di fatti.
Magari era abbastanza. Certo, all’inizio, era abbastanza.
A nulla, proprio al centro del nulla, ci sono dei quartieri dove è indispensabile essere prosaici. Ci sono case, che non significano nient’altro che spazi su spazi. Esasperazioni del possibile abitabile. Quartieri dove è indispensabile essere paradossali: rappresentano un approdo. Il sogno che si avvera. La fuga. Fa sorridere messa in questo modo: che si debba fuggire a furia di blocchetti di cemento.
Che si debba cercare nel chiuso una via d’uscita. Altre volte si viveva nei cortili, con vecchie sedute all’uscio su sgabelli che sparivano sotto le gonne. A sbucciare bacelli, i semi per la zuppa i gusci per i porci, o a mondare il grano. Con giovanette timide intente a ricamare corredi. Con bambini selvaggi impegnati nella caccia fra le ortensie grasse. Non è che fosse meglio, ma era un abito perfetto, un paio di scarpe comode…
Per te pareva che potesse funzionare: tre quarti della giornata a resistere; poi arrivava la notte. La notte dei poeti r delle poesie. La notte in cui si riusciva ad immaginare la vita.
Sono stato a Gavoi, in mezzo a tanti amici e alle penne e alle parole. Abbiamo parlato di tutto, ricordato Rossella Urru, sorriso. E tra l’altro ho avuto l’onore di presentare il mio libro L’INNOCENZA DI GIULIO.
Il video della presentazione ve l’appoggio qui (presentazione, diciamo che è venuta una cosa strana):
Se non avete così tanto tempo un’intervista piccola piccola: qui.
Domenica sarò a Gavoi, in Sardegna, per il IX festival della Letteratura. Ma non è questo il punto. In Sardegna l’infaticabile Michela Murgia ha deciso di uscire dalla penna e costruire relazioni che pensino a un mercato più etico, più responsabilizzante e sicuramente più consono alle parole che ci stanno dentro ai libri, piuttosto che intorno. Ed è un passo che parte dalla scrittura (da dove altrimenti, se non nella piazza dei narratori?) ma sicuramente si allargherà (e in molti si stanno già ripensando). La crisi in tutte le sue forme non sarà passeggera. Non solo quella finanziaria e lavorativa. La crisi nella cultura dà l’occasione di accendere la fantasia. E provare ad osare sul serio, perché quello che credevamo certo e vero forse non lo è. Qui un estratto del pezzo di Michela Murgia per Repubblica:
Il festival di Gavoi, che in questi giorni celebra nel cuore dell’isola la sua nona edizione con nomi come Chiara Valerio, Giulio Cavalli e David Riondino, è l’esempio di come in Sardegna il movimento culturale intorno ai libri non accenni a fermarsi, nemmeno ora che i rivoli del denaro pubblico vanno assottigliandosi fino all’aridità.
Il salto di qualità non può che essere quello di prendersi sul serio, riconoscendo le proprie sane condizioni relazionali e provando a farle diventare un sistema; la Sardegna lo ha fatto e il nome di questo sistema è Lìberos, parola sarda che significa sia libri che liberi. Lìberos è un network che mette insieme i lettori e tutti gli attori della filiera editoriale: dai librai ai bibliotecari, dagli editori agli scrittori, fino alle associazioni culturali e agli agenti letterari. L’atto fondativo di Lìberos è un codice etico, espressione di decine di confronti con tutte le categorie coinvolte, limato fino a trovare l’equilibrio che garantisse condizioni di vantaggio sia sociale
che commerciale, ma comunque collettivo. Il patto è fatto di pochi, chiari punti: gli editori che non smettono di investire sulle scritture giovani, rischiose per definizione, potranno contare sugli autori affermati, che garantiscono azioni di maternage nei confronti degli esordi. I librai che offrono iniziative dedicate ad autori ed editori del circuito ottengono speciali condizioni economiche e presenze autoriali più frequenti. I bibliotecari che aprono ancora di più le porte al territorio beneficiano delle stesse dinamiche, diventando riferimento per i movimenti che ruotano intorno alla lettura, ma che finora hanno faticato a riconoscere nelle biblioteche il loro crocevia naturale. I lettori, vero cardine del sistema Lìberos, attraverso un apposito social network ricevono un riconoscimento ogni volta che movimentano il circuito, collezionando non punti da supermercato, ma “crediti di relazione” che possono essere escussi in forma di esperienza (e mai di sconto): posti riservati agli incontri più ambiti, anteprime dei libri, giornate in casa editrice per vederne il backstage e contatti diretti con gli autori. Se funziona, potrebbe essere una piccola controrivoluzione relazionale in un momento in cui i grossi soggetti del sistema editoriale vanno in direzione contraria e cercano in ogni modo la disintermediazione. Esperienze come Lìberos dimostrano che le relazioni non sono il problema, ma la soluzione. Perché sia chiaro, il social network di Lìberos viene presentato oggi per la prima volta proprio al festival di Gavoi (e dove altro?).