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Ora i Dpcm sono fighi

Draghi utilizza lo stesso strumento adottato da Conte per emanare le misure anti Covid, ma non si levano più voci di protesta: del resto molti dei critici di prima ora sono al governo

Per le strane alchimie figlie di questo governo, in conferenza stampa, a presentare il nuovo Dpcm firmato da Mario Draghi, c’era l’inimmaginabile coppia Gelmini-Speranza, roba che sembrava fantascienza fino a qualche settimana fa e che invece improvvisamente è diventata digeribilissima se non addirittura godibilissima per alcuni commentatori.

A proposito, vale anche la pena ricordare cosa si diceva circa l’utilizzo dello strumento del Dpcm da parte del governo precedente. Matteo Renzi una volta disse: «L’ultimo Dpcm è uno scandalo costituzionale. Non possiamo calpestare i diritti costituzionali. Trasformiamolo in decreto». Sui Dpcm protestavano Salvini, protestava proprio Gelmini e il centrodestra (per voce di Giorgia Meloni) diceva: «Il Parlamento non decide più nulla, ci sono quattro persone che si chiudono in una stanza e decidono del futuro di milioni di persone. E che decisioni poi… questo non è più tollerabile». Perfino la neo ministra Cartabia quando non era ministra ci andò giù dura: «La nostra Costituzione non contempla un diritto speciale per gli stati di emergenza ed anzi la nostra Repubblica ha attraversato varie situazioni di crisi, a partire dagli anni della lotta armata, senza mai sospendere l’ordine costituzionale». Sabino Cassese fu ancora più pesante: «Prima o poi anche la Consulta boccerà le misure anti Covid del governo Conte … allora si riconoscerà che i Dpcm e i decreti sono illegali».

Draghi utilizza lo stesso strumento ma non si levano voci di protesta, del resto molti dei critici di prima ora sono al governo quindi va bene così. E anche le misure restrittive indicate come “dittatura sanitaria” rimangono più o meno le stesse eppure questa volta tutti si sentono magnificamente liberi e soddisfatti. Magie della propaganda, evidentemente. Il fatto che il primo Dpcm di Draghi sia di fatto la prosecuzione dei Dpcm precedenti con in più una stretta sulla scuola non infiamma nessuno. Tutto bene.

In compenso molti commentatori hanno sottolineato come il presidente del Consiglio abbia deciso di non presenziare alla conferenza stampa facendo notare come questo atteggiamento indichi la rinuncia a personalismi. E infatti ieri c’erano Speranza e Gelmini. Ieri la ministra Gelmini ha parlato di scuola, lei proprio lei, quella che la scuola l’ha affossata a colpi di tagli ieri ha parlato alla nazione, impunita, inaspettata, di nuovo, nel 2021, di scuola. Ma non solo: la berlusconiana, con uno stile di cui faremmo anche volentieri a meno, ha trasformato la conferenza stampa in un piccolo comizietto politico (non ce la fanno a trattenersi, da quelle parti) continuando a rivendicare una presunta “discontinuità” (la parola magica per accarezzare i suoi elettori), spiegandoci che questa volta non si è arrivati all’ultimo momento ma che il Dpcm fosse già pronto da venerdì (quindi gli altri quattro giorni sono serviti ad apparecchiare la conferenza stampa, probabilmente) e soprattutto rivendicando una maggiore collaborazione con gli enti locali. Sarà per questo che l’Anci e alcune regioni hanno criticato il Dpcm un minuto dopo.

È il solito trucco di cambiare la lente per convincerci che sia cambiato il paesaggio. Bene così.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Eccoli “i migliori”

Cosa hanno fatto e detto in passato alcuni ministri del nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi, il cosiddetto governo dei migliori

Renato Brunetta in un Paese normale, in un Paese capace di esercitare il muscolo della memoria almeno per qualche anno, sarebbe considerato un politico “finito”, uno di quelli che incassa con dignità le sue sconfitte e silenziosamente si ritira a fare altro. In Forza Italia, nella Forza Italia che si è sgretolata in questi ultimi anni, lui ha mantenuto invece la qualità politica che più conta da quelle parti, la fedeltà al capo e ad esserne lo scherano e così ce lo ritroviamo estratto dal cilindro. Brunetta fu già ministro nel terzo governo Berlusconi, proprio alla Pubblica amministrazione, ve lo ricordate? Fu quello che si presentò additando come «fannulloni» i dipendenti pubblici (e se ci fate caso quel vento sta tornando di moda, bravissimo Draghi a fiutarlo, chapeau) e pensò bene di installare dei tornelli negli uffici (voleva metterli anche nei tribunali) per risolvere il problema dell’assenteismo. Capite vero? Il governo dei migliori che dovrebbe farci dimenticare i banchi con le rotelle ha ripescato dal cassetto dei giocattoli rotti il ministro dei tornelli. Fu il Brunetta che si scagliava contro i magistrati che «lavorano due e tre giorni alla settimana» (ma per difendere Berlusconi bisogna per forza odiare i magistrati) e che aveva definito alcuni poliziotti dei «panzoni passacarte». La sua riforma che avrebbe dovuto rivoluzionare la pubblica amministrazione non ha cambiato nulla, nulla. In compenso Brunetta fu quello che accusava le donne di usare «gli ammortizzatori sociali per fare la spesa» e che, tanto per farsi un’idea dello spessore culturale, disse: «Esiste in Italia un culturame parassitario vissuto di risorse pubbliche che sputa sentenze contro il proprio Pae­se ed è quello che si vede in que­sti giorni alla Mostra del Cine­ma di Venezia». Un migliore, senza dubbio.

Mariastella Gelmini fu la ministra all’Istruzione che per quelli della nostra generazione ha lasciato come ricordo le macchie di un incubo. Tanto per stare sui numeri: un taglio in tre anni di 81.120 cattedre e 44.500 Ata (il personale non docente). È la sforbiciata complessiva di 125.620 posti dal 2009 al 2011 che avrebbe dovuto far risparmiare all’Erario poco più di otto miliardi di euro. Otto miliardi e 13 milioni, per la precisione, stima il Tesoro nel «Def 2011». Parte di queste risorse, il 30%, servivano a recuperare gli scatti stipendiali bloccati nel luglio 2010 da Giulio Tremonti. Da buona efficiantista non sognava una scuola migliore ma ambiva a tagliare “gli sprechi”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di fronte ai tagli alla ricerca, era però dovuto intervenire a gamba tesa nel 2009 invitando la ministra a «rivedere alcuni tagli indiscriminati». Delle donne disse che sono delle «privilegiate» se scelgono di assentarsi dal lavoro dopo la gravidanza. Nel 2009 pensò anche a un tetto del 30%, per ridurre il numero degli stranieri in classe. Una migliore, applausi.

Erika Stefani è ministra alle disabilità. Già il fatto che per le disabilità venga messo in piedi un ministero senza sapere e senza capire che il tema attraversi tutte le competenze ha la forma di un’elemosina, lo ha spiegato benissimo Iacopo Melio in questo articolo per Repubblica, ma uno si aspetterebbe che in quel ministero lì ci sia una persona empatica, inclusiva, con testa e cuore larghi. Erika Stefani è stata ministra con il primo governo Conte ma se la ricorda solo Wikipedia. Fino a qualche giorno fa aveva come copertina della sua pagina Facebook la sua foto in Parlamento mentre strillava con un cartello “No ius soli”. Era una di quelli che proponevano le gabbie salariali ovvero «alzare gli stipendi al Nord e abbassarli al centro-Sud». Una migliore, complimenti.

Poi c’è Giorgetti, sempre della Lega, come Stefani. Giorgetti è in Parlamento dal 1996 e ha il grande “pregio” di aver sempre seguito i potenti, passando indenne da Bossi a Maroni fino a Salvini. Parla poco perché quando parla dice cose che rimangono impresse a fuoco come quella volta che disse che i medici di famiglia non servono più. Infatti nella sua Lombardia i medici di famiglia sono stati disarticolati e la Covid ha preso piede con grande libertà. Un capolavoro. Giorgetti è uno di quelli stimati perché non parlano mai e rischiano di sembrare intelligenti, come Guerini nel Pd, sempre pronti ad attaccarsi alle braghe del potente giusto per risultare pontieri mentre invece sono solo camerieri. Giorgetti era uno di quelli che ci spiegò che i mercati europei attaccavano la Lega perché «i mercati sono popolati da affamati fondi speculativi che scelgono le loro prede e agiscono», disse proprio così. Ora è europeista. Che migliore, davvero.

Questo è solo un assaggio. Nei prossimi giorni li raccontiamo per bene tutti. Evviva i migliori. Evviva.

Buon lunedì.

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Marcisce la scuola ma fioriscono i prezzi dei libri

Anche quest’anno i libri di testo per gli studenti subiscono rincari “inaspettati” che gravano sulle tasche delle famiglie. Se acquistare un libro è da sempre un piacere per la mente e un seme per la cultura, lucrare sui testi “obbligatori” per legge è un giochetto sporco sulla pelle della formazione e dell’educazione.

Dopo i disastri della riforma Gelmini che ha creato una finta “meritocrazia” a suon di burocratismi e tagli rivenduti come riorganizzazione, oggi le famiglie si trovano a pagare profumatamente quello che dovrebbe essere (secondo la Costituzione) un diritto che ha sempre di più le forma di un privilegio. Ora la politica (e la Regione Lombardia) hanno una sola strada. Intervenire immediatamente con un aiuto economico concreto all’acquisto dei testi e (soprattutto) indagare e studiare quanto il business della scuola sia un giochetto in mano ai pochi. La mozione sarà pronta immediatamente al rientro delle vacanze. La responsabilità è un risposta che attendiamo. Subito.

da http://www.tecnicadellascuola.it

Malgrado i rigidi tetti ministeriali, i blocchi sessennali di rinnovo e l’introduzione graduale delle versioni on line, anche quest’anno con l’avvio della nuova stagione scolastica si torna a parlare di aumenti dei libri di testo. A lanciare l’allarme è bastata una piccola inchiesta, pubblicata il 18 agosto su un quotidiano nazionale: confrontando le liste dei testi di dieci istituti superiori di tutta Italia con i tetti imposti dal Miur, Il Messaggero’ha dovuto prendere atto che “su 78 classi visionate ben 48 superano il limite indicato da viale Trastevere, oltre il 60% del totale. Si va da pochi spiccioli, 10-20 euro di sforamento, a oltre 100, una mazzata per mamma e papà. Avviso ai genitori: in vista della ripresa della scuola dovranno armarsi di calcolatrice, santa pazienza e un pizzico di rassegnazione. Il caro-libri, infatti, quest’anno sarà pressoché inevitabile, in particolar modo per chi ha un figlio iscritto in prima superiore , dove partono i nuovi indirizzi della riforma Gelmini con nuovi programmi e, dunque, anche libri nuovi di zecca”. E a ben poco è servita la novità, prevista dalla Legge 133/08, che nel 2011 avrebbe dovuto portere all’adozione di testi completamente, o in parte, scaricabili da Internet. Per il quotidiano l’editoria elettronica si starebbe rivelando, almeno sino ad oggi, a dir poco deludente. “L’anno scorso fu il flop del libro misto, quest’anno ce ne sono di più, soprattutto per le materie scientifiche, confermano dalle librerie. Ma costano più o meno quanto un libro normale. Anche per questo ci sono liste che sforano di molto i tetti ministeriali come quella della I B del liceo Albertelli di Roma: per 19 testi parliamo di 426,6 euro, oltre 100 sopra il limite. Sempre a Roma, al liceo scientifico Kennedy, la spesa ammonta, in I A, a 397,45 euro, il che fa quasi 93 euro di sforamento”. La ciliegina sulla torta dei rincari è poi arrivata con i nuovi programmi delle superiori, che ha portato fuori commercio tutti i testi sinora utilizzati dagli studenti.

l prezzo dei libri di testo: un gioco logico

di Reginaldo Palermo

Il tetto di spesa c’è, ma gli editori sono liberi di fissare il prezzo di copertina: lo sostiene il Ministero, Sembra un paradosso logico, ma le famiglie non hanno nessuna voglia di scherzare.

Puntuale come un orologio svizzero arriva anche quest’anno la consueta polemica post-ferragostana sulla questione del costo dei libri di testo.

Il copione è quello solito: le associazioni dei consumatori denunciano che in molte, troppe, scuole il tetto di spesa non è rispettato, il Ministero annuncia controlli e ispezioni e rassicura le famiglie. Il Ministero parla addirittura di risparmi fino al 30% , ma le associazioni non ne sono affatto convinte.

Quest’anno, però, il consueto comunicato del Ministero contiene una novità importante rispetto al passato.

Questo il passaggio curioso e del tutto nuovo: “A differenza di quanto previsto per la scuola primaria, la normativa per la scuola superiore non attribuisce al Ministero alcun potere di fissare il prezzo dei libri scolastici, che negli ultimi tre anni è rimasto invariato, e che è invece soggetto alle scelte degli editori”.

Detto in parole più semplici il Ministero chiarisce un punto centrale di tutta la questione: il tetto di spesa c’è, ma gli editori sono liberissimi di fissare il prezzo di copertina seguendo le regole di mercato. Insomma: il prezzo di vendita è libero (e non potrebbe essere diversamente), ma le scuole devono stare dentro il tetto ministeriale. Sembra uno scherzo, un gioco di parole o di prestigio, un problema logico (“Io mento sempre”: ma se mento sempre anche la frase “io mento sempre” è una menzogna; e quindi: sto mentendo o sto dicendo la verità ?) da affrontare dopo aver studiato qualche buon libro di Bertrand Russell.

Peccato che il comunicato ministeriale non è un gioco enigmistico da risolvere sotto l’ombrellone o seduti a tavolino, armati di un manuale di logica.

Il comunicato tocca direttamente le tasche delle famiglie che, soprattutto in questo momento, non hanno nessuna voglia di giocare con il proprio portafoglio.

Ma di questo, al Ministero, sembrano non rendersi conto e continuano a ripetere che le famiglie risparmieranno e che, al tempo stesso, gli editori non ci rimetteranno neppure un euro.

A sentire questi ragionamenti persino al vecchio Adam Smith, padre dell’economia liberale, verrebbe l’orticaria.

19/08/2010