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Gezi Park

Morti di fame

L’avvocata Ebru Timtik, prima di lei i musicisti del Grup Yorum. Morti per le conseguenze della loro protesta in difesa della giustizia. Accade nella Turchia di Erdogan, graziato dal silenzio dell’Europa

È una storia che gocciola sangue anche se non c’è sangue in giro perché qui i morti muoiono per consunzione. Giovedì sera a Istanbul è morta Ebru Timtik, avvocata che da 238 giorni era in sciopero della fame nelle prigioni turche per chiedere un processo equo per sé e per 17 colleghi che erano accusati di legami con il Fronte rivoluzionario della liberazione popolare (Dhkp/C), un gruppo di estrema sinistra considerato formazione terroristica dal governo.

Timtik aveva 42 anni e si occupava di diritti umani da sempre, era stata condannata nel 2019 a 13 anni e sei mesi di carcere, il suo accusatore è stato ritenuto non credibile, lei contestava l’iter giudiziario che l’aveva portata alla condanna. In Turchia Erdogan da anni, graziato dal silenzio dell’Europa, utilizza l’accusa di terrorismo per fare piazza puliti degli oppositori ritenuti scomodi al governo. Timtik faceva parte dell’associazione contemporanea degli avvocati, specializzata nella difesa di casi politicamente scomodi, “se l’era andata a cercare”, come commenterebbe qualche pavido nostrano che insegna e ci vorrebbe insegnare che per non avere problemi conviene sempre farsi “i fatti suoi”. Ebru Timtik aveva difeso anche la famiglia di Berkin Elvan, un adolescente vittima delle ferite riportate durante le proteste antigovernative a Gezi Park nel 2013.

Un mese fa il tribunale di Istanbul aveva negato la richiesta di scarcerazione di Ebru Timtik dichiarando che era “in salute” e perfino la Corte Costituzionale aveva negato, qualche settimana fa, la scarcerazione. Con Timtik in sciopero della fame c’era anche il suo collega Aytaç Ünsal, anche lui incarcerato, che con un filo di voce dal letto di ospedale ha detto di essere ancora più convinto di quello che sta facendo e della sua lotta, che vorrebbe che la battaglia di giustizia continui, anche lui è in pericolo di vita. Sono 18 gli avvocati condannati per un totale di 159 anni, un mese e 30 giorni di reclusione: tra le accuse nei loro confronti c’è anche quella di avere parlato con i loro clienti. Accusati di avere fatto il proprio lavoro. I testimoni del processo erano tutti anonimi e in carcere, evidentemente ricattabili. A maggio tre musicisti membri del gruppo Grup Yorum, anche loro accusati di terrorismo, si sono lasciati morire d’inedia per protestare contro Erdogan.

È una notizia enorme, enorme per l’altezza del pensiero di chi muore per degli ideali ancora nel 2020, qui vicino a noi, in un Paese con cui tutta Europa briga fingendo di non vedere, ed è enorme perché è una lezione di difesa della giustizia anche di fronte alla legge. Morti di fame per difendere i propri diritti, sembra una storia che arriva dal secolo scorso. Durante il funerale di Ebru Timtik sono stati sparati lacrimogeni contro i giovani che vi partecipavano.

Accade qui, vicino a noi. Lo sentite questo fragoroso silenzio?

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

L’uomo in piedi si arrende

L’Uomo in piedi? È finito anni fa. A suo tempo quella protesta ha avuto forza, io ho indicato una strada. Che la gente la segua oppure no, devono deciderlo da soli”. C’è amarezza nelle parole di Erdem Gunduz, 37 anni, il coreografo autore nel giugno del 2013 di uno straordinario atto di protesta, insieme civile e artistico, in Piazza Taksim.

Nei giorni drammatici di Gezi Park, quando la gente di tutte le fedi politiche, i movimenti, i tifosi di squadre di calcio tra loro avversarie, occuparono lo spazio verde che l’allora premier conservatore islamico Recep Tayyip Erdogan voleva spianare per costruire un grande centro commerciale, l’artista turco fece una cosa molto semplice che colpì tutti. Si mise in piedi, in silenzio, per sei ore di fila, a osservare in alto la grande foto di Mustafa Kemal, detto Ataturk, Padre dei Turchi, il fondatore della Turchia laica e moderna.

Fu un’immagine potentissima. Gunduz, con la camicia un po’ fuori dai pantaloni, il filo del cellulare appeso alla tasca, lo sguardo libero, guardava negli occhi il Padre della patria. Come per richiamarsi al suo pensiero. E l’Uomo in piedi fu subito seguito da una folla che imitò il suo gesto: donne, giovani, anziani, tutti dietro di lui. A migliaia. La Turchia, in ogni piazza, in tutte le città, si riempì di cittadini che, in silenzio, seri, composti, pacifici ma determinati, affollavano le strade rimanendo fermi, ritti, a protestare contro la repressione in atto (10 i morti, centinaia i feriti in tutto il Paese, quando infine i blindati sfondarono il cordone umano al parco di Gezi).

(continua qui)

#occupygezipark l’architettura della protesta

Per un feticista della memoria come me non può che essere una bella scoperta il tumblr di Herkes İçin Mimarlık che decide di lasciare traccia e ripercorrere l’architettura della protesta. Scrivono nella presentazione del progetto:

“Le proteste a Istanbul indicano una cosa semplice per noi: abbiamo bisogno di nuovi paradigmi per definire l’architettura in queste situazioni in cui viene portata via dagli architetti e creata dalle persone”.

“Ciò che ci interessa  è anche il modo in cui queste strutture vengono accettate e diventano parte della comunità”

“Durante #occupygezipark l’architettura è diventata uno strumento di critica, una resistenza passiva. La creazione di una memoria collettiva è molto importante ora che il governo turco sta cercando di cancellare quello che è successo. Noi manteniamo il ricordo degli avvenimenti di piazza Taksim”.

Tutti i disegni sono qui.

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Istanbul: a colpi di libri

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Istanbul. Un muro di libri a Taksim Gezi Park, contro la polizia. “Prendete un libro e leggetelo in faccia a un poliziotto”, questa è la consegna.