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Due terzi degli americani non credono all’Olocausto: sondaggio shock negli Usa

Mentre nell’Italia dove un cantante in discesa rinchiuso nella casa del Grande Fratello Vip si sollazza a elogiare Mussolini in diretta televisiva, tra l’altro basandosi ovviamente su notizie false (Leali ha parlato ancora di pensioni, che molti revisionisti addebitano come merito a Mussolini ma il primo sistema pensionistico italiano è del 1895, ben 27 anni prima del fascismo, e tutti gli italiani presero la pensione dal 1919, tre anni prima della Marcia su Roma) The Guardian pubblica i dati di un sondaggio condotto sui cittadini statunitensi tra i 18 e i 39 anni ci dice che due terzi dei giovani adulti USA sono ignari dei 6 milioni di ebrei uccisi nell’Olocausto, affermando che quel periodo storico sarebbe un “mito”, che sia stato “esagerato nel ricordo” oppure di non conoscerne i contorni.

Quasi la metà degli intervistati (il 48 per cento) non conosceva il nome di un campo di concentramento o di un ghetto durante la seconda guerra mondiale. Il 23 per cento ha affermato di credere che l’Olocausto sia un mito. Uno su otto (il 12 per cento) ha affermato di non avere mai sentito parlare di Olocausto nella sua vita. Più della metà (il 56 per cento) ha affermato di aver incrociato simboli nazisti durante la frequentazioni social e ben il 49 per cento è incappata in articoli di negazione o distorsione dell’Olocausto online.

“I risultati sono sia scioccanti che tristi, e sottolineano perché dobbiamo agire ora mentre i sopravvissuti all’Olocausto sono ancora con noi per esprimere le loro storie”, ha detto Gideon Taylor, presidente della Conference on Jewish Material Claims Against Germany (Claims Conference) che ha commissionato il sondaggio.

Taylor ha aggiunto: “Dobbiamo capire perché non stiamo facendo meglio nell’educare una generazione più giovane sull’Olocausto e le lezioni del passato. Questo deve servire come un campanello d’allarme per tutti noi e come una road map su dove i funzionari governativi devono agire “. E questi numeri che arrivano dall’altra parte dell’oceano ci interessa perché siamo nella patri di Trump, il re di quella stessa propaganda populista (che funziona così bene anche qui da noi) che sulla distorsione (se non addirittura sulla negazione) della realtà costruisce tutto il suo consenso.

Ed è normale che un negazionismo partorisca poi altri negazionismi, così, a catena, a riprova di un metodo che funziona applicato su tutto. L’era della post-verità è già qui ed è un tempo che riesce a nascondere sotto il tappeto 6 milioni di cadaveri, il più grande crimine del ventesimo secolo. Buona fortuna. Agli USA e a noi.

Leggi anche: L’inquietante sfida di TikTok: imitare i deportati ebrei nei lager nazisti

L’articolo proviene da TPI.it qui

«Ora tu racconterai la mia storia. Domani, non la dimenticare»: cronache dai ghetti che nessuno vede

Emma Barbaro per Terre di Frontiera ha scritto un reportage dal ghetto di Borgo Mezzanone. Quel giornalismo che orami fanno in pochi, andando sul posto, consumando le scarpe:

«In buona sostanza, a monte, c’è un sistema criminoso di smistamento che ripartisce i migranti secondo la loro “potenzialità etnica”. Uno studio della subcultura della disperazione. Che permette di individuare le esigenze del mercato di riferimento al punto da scegliere di importare nigeriane perché è più facile che si prostituiscano. O, più in generale, manodopera lavorativa a costo zero perché è essenziale al funzionamento del meccanismo criminale che sopravvive con l’avallo, in questo caso, della mafia del Gargano. La verità è che nel corso degli anni abbiamo affinato le tecniche della tratta degli schiavi. Ora li selezioniamo. Li scegliamo, in base alle leggi della demografia e dell’opportunismo criminale, e poi li segreghiamo. Un espansionismo di ritorno piuttosto pigro. Sulla base del quale non ci si prende neppure più la briga di conquistare una nuova terra, come nella storia più recente. Basta prenderli e portarli qui, per dare linfa vitale al mercato. Del resto, Hannah Arendt ha scritto che “il male non è radicale, soltanto estremo”.
Per cui, di giorno, possiamo scegliere di chiudere gli occhi e ignorare quel lager a cielo aperto. Per riaprirli, sul fare della sera, e appartarsi con le prostitute nigeriane pagando 5 euro per un rapporto.
Mi sono domandata, per gran parte del tempo, quali siano i confini della responsabilità individuale rispetto a fenomeni più complessi. Rispetto, cioè, a fatti in cui la nostra azione diventa sostanzialmente funzionale al compimento di un disegno che noi ignoriamo in tutto o in parte.
Poi mi sono chiesta, in tutta onestà, come avrei fatto a dormire la notte. Come avrei fatto ad andare comunque avanti mentre – fuori – Christopher, Adama, Thierno, Jenny, Sadat e Aliou, nelle baracche fredde, hanno i piedi in vecchie pantofole ricavate dal bidone dei rifiuti.
La risposta, alla fine, me l’ha data proprio Christopher. “Tu stanotte dormi nel tuo letto, al caldo, a casa tua. Io no. Ora tu racconterai la mia storia. Domani, non la dimenticare.
Metto in moto la macchina. No, non la dimentico.»

L’articolo completo è qui.

Bruciata nel ghetto. Nel giorno della Memoria

La memoria non si commemora. non basta. La memoria si esercita: si esercita riconoscendone i tratti nel mondo che ci circonda, si esercita declinandola in altri tempi e in altri luoghi come se fosse sempre nuova, si esercita tenero levigato il rigore morale, si esercita allungando il muscolo della curiosità.

Forse con una memoria ben allenata non ci saremmo persi questo 27 gennaio, mentre commemoravamo la memoria di quello che fu, non accorgendoci che una donna bruciata nel ghetto è stata qui, da noi, proprio nella notte tra venerdì e sabato a San Ferdinando, pochi passi da Rosarno. Auschwitz nel 2018 è in provincia di Reggio Calabria. Ma l’indifferenza non fa scalpore.

Becky Moses aveva ventisei anni e aveva trovato rifugio nel ghetto da appena tre giorni. Avrà pensato che era una bella fortuna trovare un po’ di ristoro dal freddo, in mezzo ad altra gente, con un tetto sulla testa anche se fatto di niente. Era stata ospite di un centro d’accoglienza, aveva una casa e stava imparando un mestiere: quando è arrivata due anni fa dalla Nigeria (c’è bisogno davvero di ricordare cosa subiscano le donne, in Nigeria? No, vero?) finché qualche settimana fa quando ha ricevuto il rifiuto alla sua richiesta di asilo politico. Ha dovuto cercare un riparo. Alcuni suoi connazionali l’hanno ospitata nel ghetto. L’incendio dei giorni scorsi non le ha dato scampo.

Il ghetto di Rosarno, tra l’altro, meriterebbe anche lui una di quelle pompose giornate alla memoria che piace tanto ai sepolcri imbiancati. È stato “scoperto” dall’opinione pubblica quasi dieci anni fa per la rivolta dei braccianti sottopagati che dormono lì. Ed è sempre lì.

Il fumo dal camino nel 2018 ha l’odore della plastica che si fa cenere per un braciere acceso per scaldarsi. È ha l’odore di Becky Moses.

Buon lunedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/01/29/bruciata-nel-ghetto-nel-giorno-della-memoria/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui.