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Mafie, intercettazioni e collaboratori: a chi giova?

Giovanni Conzo, magistrato della DDA di Napoli si chiede (e ci chiede) a chi giova tutto questo:

Oggi lo strumento della collaborazione è l’unica via per sconfiggere definitivamente il clan dei casalesi, e in generale i clan, e soprattutto per capire ed identificare tutti gli imprenditori nel territorio nazionale che hanno accettato i soldi sporchi della camorra e li hanno reinvestiti nell’economia turbando il mercato così distruggendo le imprese oneste che non potevano competere, in crisi di liquidità e con la chiusura dei rubinetti delle banche, con la concorrenza e con l’immissione di danaro degli imprenditori-camorristi.

La collaborazione con la giustizia è lo strumento principale, insieme alla intercettazioni, per dare un nome ed espellere dal Parlamento e dai Comune Italiani quei politici che hanno accettato i voti della camorra, a seguito di uno scellerato patto con il quale si impegnavano, in cambio dei voti a far vincere gli appalti o far aver finanziamenti a imprenditori prescelti ed indicati dai camorristi .

Stiamo tuttavia avendo tante difficoltà proprio in questo momento cruciale.

La riduzione degli stanziamenti per il comparto giustizia, il taglio di fondi per assicurare, ad esempio, una casa ai parenti dei collaboratori di giustizia o ai figli di iscriversi a scuola, persone che non hanno nessuna colpa e che sono costretti a lasciare le proprie terre per recarsi in località protetta e non essere ammazzati, costituiscono eventi che scoraggiano i camorristi e mafiosi ad intraprendere la collaborazione con lo Stato.

Inoltre la legislazione obbliga il pubblico ministero ad interrogare i collaboratori di giustizia in sei mesi facendo dichiarare tutto quello che sanno in questo brave lasso temporale. Insieme alla attività di interrogatorio, noi Pubblici Ministeri dobbiamo istruire i processi, sostenere l’accusa in udienza, redigere richieste di intercettazioni, elaborare richieste di arresto, coordinare la polizia giudiziaria.

Un lavoro immane sempre affrontato con entusiasmo e la consapevolezza che non possiamo risparmiarci, ma dobbiamo dare tutto ed anche di più perché con il nostro lavoro è possibile disarticolare interi clan camorristici e perseguire quella oscura e fitta trama di reti e cointeressenza tra camorra, imprenditoria e politica.

Ma è tutto ogni giorno più difficile.

Alla luce di una recente circolare del Dap non possiamo più convocare i collaboratori nei nostri uffici ma dobbiamo recarci come “globetrotter” nelle carceri di Italia per interrogarli così sottraendo tempo ed energie alle importanti altre attività che prima ho descritto.

Ci viene detto, ad esempio, che non ci sono soldi e dunque dobbiamo restringere in numero dei collaboratori. Ci viene detto che le carceri non sono sufficienti per garantire l’applicazione del regime del carcere duro a pericolosi boss o ad imprenditori collusi.

Mi chiedo perché. Mi domando a chi giovi.