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Giovanni Cinque

Strozzi, strozzini e querele antimafia. A 100 PASSI DAL DUOMO comincia il valzer delle carte bollate.

100passi70100Leggo su LA PROVINCIA di domenica 29 novembre l’articolo Show antimafia in tribunale “Assurdo, li denunciamo” (che trovate qui in pdf e riportato in calce) in cui i compagni di partito (PDL) Paolo Galli e Massimilano Carioni parlano di diffamazione perpetrata nei loro confronti con lo spettacolo A 100 PASSI DAL DUOMO scritto da me e Gianni Barbacetto e portato in scena proprio a Varese non molti giorni fa,  promettendo strali e querele.

Ammetto che la buona novella (a cui ormai evidentemente abbiamo esercitato una certa abitudine) mi arriva proprio mentre rimiravo le parole del Presidente del Consiglio che promette “strozzi” a chiunque parli di mafia in Italia senza il bollino di certificazione del Ministero della Cultura Popolare che già negli anni ’30 gestiva la censura teatrale per gli spettacolini di piazza. Quindi oltre a non stupirmi mi deprime per banalità.

Senza entrare nel merito legale della vicenda (che lascio ai miei legali ripromettendomi di esercitare il mio diritto professionale di aggiungere eventualmente una nuova scena allo spettacolo) ci tengo comunque a sottolineare un paio di punti che devo non tanto a me stesso o a Gianni Barbacetto quanto all’onestà intellettuale dello spettacolo e al numerosissimo pubblico che l’ha seguito e continua a seguirlo.

Carioni dice “è assurdo, non siamo mai stati né inquisiti né indagati, nessun magistrato ci ha mai contattato”; e infatti dice bene. Nella messa in scena (che evidentemente non hanno avuto il piacere o il dispiacere di vedere) non si fa riferimento a nessun procedimento giudiziario se non ai “rumors” di un’azione della procura di Busto Arsizio dove il pm Valentina Margio aveva avviato una indagine per droga, che aveva portato a seguire una traccia giudicata molto interessante, tanto da arrivare fino a un imminente interessamento della Direzione Investigativa Antimafia: incontri riservati, che avrebbero potuto configurare un tentativo di infiltrazione malavitoso per appalti. Avrebbero, appunto, perché le verifiche erano in corso e solo con un’indagine approfondita si sarebbe potuti arrivare a un risultato investigativo. Ma l’indagine è apparsa “bruciata” sul nascere da alcune fughe di notizie tanto che, come riportato dall’articolo di VareseNews del 16/09/2008, si ipotizzava addirittura un’inchiesta per rivelazione del segreto d’ufficio, e non è escluso che gli investigatori vogliano andare fino in fondo.

Resta il fatto che, dalle carte dell’inchiesta uscite sulla stampa nazionale, era emerso un primo quadro indiziario che tirava in ballo alcuni politici e un simpatizzante locale di Forza Italia: tra cui Paolo Galli, Massimiliano Carioni e Giovanni Cinque.

Ne parla il quotidiano LA STAMPA in un articolo di Guido Ruotolo del 15/09/2008, e in un pezzo del giorno successivo; ne parla il CORRIERE DELLA SERA in un pezzo a firma di Claudio Del Frate del 16 settembre 2008 e nell’articolo di Fiorenza Sarzanini  LA ‘NDRANGHETA PUNTA AGLI APPALTI DELL’EXPO del 15 settembre, dove tra l’altro si ha modo di leggere uno stralcio delle relazioni della Squadra Mobile di Milano durante gli appostamenti in cui si dice (citando testualmente dall’articolo) «Il primo incontro – scrivono nella relazione – avviene in un bar di Castronno. Con Cinque ci sono Paolo Galli, presidente del Consiglio di amministrazione dell’ Aler di Varese, l’ azienda che si occupa di Edilizia Residenziale e Francesco Salvatore, un imprenditore campano impegnato nel settore dell’ Edilizia e dell’ Informatica. Lo stesso contesto si è ripetuto altre tre volte, ma era presente anche Vincenzo Giudice, 50 anni, consigliere comunale eletto nella lista “Forza Italia Moratti sindaco”»; sarebbe noioso aggiungere il centinaio di siti e blog che sulla rete hanno dato conto della notizia. Certo rimane il fatto che le testate citate, le firme e le fonti non appaiono proprio giornaletti di parrocchia che alimentano malalinguismo.

Ma le fonti più accreditate sono proprio le parole del Carioni che ha dichiarato a proposito di Giovanni Cinque “io l’ho conosciuto a un incontro elettorale. Me lo ha presentato Paolo Galli, il presidente dell’Aler, e mi ha detto che era un sostenitore del Pdl, tutto qua. Poi l’ho visto in qualche occasione” e il suo compagno Paolo Galli che dice “abbiamo partecipato alle iniziative del partito, tutto qua. Gianni Cinque è un nostro sostenitore e il quadro che esce dai giornali, non posso credere sia vero”. Quindi la cena di cui nello spettacolo diamo conto (e non di altro) sembra proprio essere avvenuta. Così come mi appare evidente che debba essere la magistratura a dirci se Giovanni Cinque sia veramente un esponente di spicco della ‘ndrina degli Arena. Il teatro (e più in generale le parole e i fatti) espone al giudizio estetico e morale circostanze e sensazioni per la pancia e le orecchie di un pubblico che ha la propria coscienza e dignità per ascoltare e formare un giudizio senza bisogno di “spintarelle” basse da comizio o messaggini subliminali; probabilmente è proprio il pubblico il nemico numero uno da strozzare.

Il teatro va usato e osato; proprio come la Legge.

Mi lascia qualche dubbio, piuttosto, il fatto che proprio su uno spettacolo teatrale (e quindi sulla parola che entra in circolo e crea relazione) si concentrino le attenzioni legali di persone ripetutamente citate da quotidiani e fonti di informazione come se il giochetto pavido del martello sul chiodo più debole sia una consuetudine da giustificare per l’apparente facilità di esecuzione. Sono assolutamente a disposizione per eventuali azioni legali che potrebbero essere un’ottima occasione per fornire spiegazioni e (soprattutto) ascoltarne, abituato come sono da ormai parecchio tempo a pressioni ben meno civili di una querela che mi hanno portato in dono una vita sotto scorta.

Continuerò a custodire il valore della parola e dei fatti. In teatro e, se servisse, su tutti i campi in cui possa avere la forma di un’azione.

Giulio Cavalli

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la carovana nelle scuole/il caso varese
Show antimafia in tribunale
«Assurdo, li denunciamo»
Galli e Carioni citati sul palco: «Non siamo mai stati indagati»

«A cento passi dal Duomo» anche Varese. E lo spettacolo antimafia finisce in tribunale, con una richiesta di risarcimento danni per diffamazione presentata dal capogruppo del Pdl in consiglio provinciale Massimiliano Carioni e dal presidente di Aler (azienda per l’edilizia popolare del Varesotto) Paolo Galli. Entrambi citati all’interno del monologo sulla mafia al Nord interpretato dall’attore Giulio Cavalli che ne è anche coautore assieme al giornalista Gianni Barbacetto.

LO SPETTACOLO
«A cento passi dal Duomo» il titolo dello spettacolo che cita esplicitamente quello del fortunato film sulla vita di Peppino Impastato che misura in «cento passi» la distanza tra la propria casa e quella del boss Tano Badalamenti. Una distanza troppo breve per ignorare chi è e cosa fa l’esponente di Cosa Nostra. La stessa distanza che separa Palazzo Marino, sede del comune di Milano, vincitore per l’Expo 2015, dal Duomo (di qui il titolo) «e anche dai boss», dice l’attore sul palco, ricordando il pizzo che era costretta a pagare una gioielleria vicino alla Scala. «Mettete che i boss li hanno già fatti quei cento passi che li separano dal palazzo della politica e dell’amministrazione», aggiunge Cavalli dal palco dopo aver ripercorso le diverse stagioni della malavita a Milano, dai sequestri di persona allo spaccio di eroina, poi cocaina, e infine i grandi affari nelle costruzioni e i morti ammazzati di Lonate Pozzolo. Ed è a questo punto che cita i varesini Carioni e Paolo Galli che, secondo un’inchiesta giudiziaria emersa nel 2008 e finita nel nulla, avrebbero avuto rapporti, nel senso di «cene elettorali, brindisi e incontri», recita il testo, con l’imprenditore Giovanni Cinque, «esponente di spicco della cosca calabrese degli Arena».

DIFFAMAZIONE?
«É assurdo, non siamo mai stati né inquisiti né indagati, nessun magistrato ci ha mai contattato. Questa è diffamazione», commenta Carioni raccontando di aver già consegnato tutta la documentazione al suo avvocato di fiducia per chiedere i danni. «Tutto è cominciato da un articolo del Corriere della sera, pubblicato nella primavera del 2008, nel quale si denunciavano gli stralci di un’inchiesta giudiziaria infilando una serie di inesattezze, tra cui anche il coinvolgimento del mio nome – spiega Carioni ? da qui una serie di articoli usciti sulla stampa nazionale e poi lo spettacolo». C’è anche un libro «A Milano comanda la ‘ndrangheta», edito da Ponte alle grazie che cita questa ricostruzione. Ma Carioni si dice sereno: «Ho la massima fiducia nella magistratura, peccato solo che ci vorrà un po’ di tempo per arrivare a sentenza». E ha scelto le vie legali anche Paolo Galli, che sottoscrive quanto dichiarato dal suo compagno di partito e aggiunge: «Sono oggetto di una diffamazione allucinante, io che non ho mai avuto nulla a che fare con la magistratura». E poi aggiunge: «Da quando sono presidente di Aler non ho più avuto contatti con quella persona ? dice con riferimento a Giovanni Cinque ? ma ancora oggi non mi risulta sia mai stato condannato per reati di mafia».

LA CAMPAGNA DI LIBERA
Lo spettacolo «A cento passi dal duomo» dieci giorni fa è stato portato in scena anche a Varese, al cinema teatro Nuovo, inserito tra gli eventi della rassegna «Un posto nel mondo» e patrocinato dall’associazione «Libera – contro le mafie», che ha chiesto al pubblico di sottoscrivere l’appello pubblicato sul sito www.libera.it contro un emendamento alla Finanziaria che modifica la legge sulla confisca dei beni mafiosi, affiancando al riutilizzo sociale anche la possibilità di messa all’asta, con il rischio che siano i clan a riacquistarli, attraverso dei prestanome.
Lidia Romeo

A CENTO PASSI DAL MUNICIPIO – Milano capitale della mafia

A CENTO PASSI DAL MUNICIPIO – Milano capitale della mafia
di Gianni Barbacetto
da L’Unità, 9 ottobre 2008

I boss stanno a cento passi da Palazzo Marino, dove il sindaco di Milano Letizia Moratti lavora e prepara l’Expo 2015. O li hanno già fatti, quei cento passi che li separano dal palazzo della politica e dell’amministrazione? Certo li hanno fatti nell’hinterland e in altri centri della Lombardia, dove sono già entrati nei municipi.

Comunque, a Milano e fuori, hanno già stretto buoni rapporti con gli uomini dei partiti. «Milano è la vera capitale della ’Ndrangheta», assicura uno che se ne intende, il magistrato calabrese Vincenzo Macrì, della Direzione nazionale antimafia. Ma anche Cosa nostra e Camorra si danno fare sotto la Madonnina. E la politica? Non crede, non vede, non sente. Quando parla, nega che la mafia ci sia, a Milano. Ha rifiutato, finora, di creare una commissione di controllo sugli appalti dell’Expo. Eppure le grandi manovre criminali sono già cominciate. Ne sa qualcosa Vincenzo Giudice, Forza Italia, consigliere comunale di Milano, presidente della Zincar, società partecipata dal Comune, che è stato avvicinato da Giovanni Cinque, esponente di spicco della cosca calabrese degli Arena. Incontri, riunioni, brindisi, cene elettorali, in cui sono stati coinvolti anche Paolo Galli, Forza Italia, presidente dell’Aler, l’azienda per l’edilizia popolare di Varese. E Massimiliano Carioni, Forza Italia, assessore all’edilizia di Somma Lombardo, che il 14 aprile 2008 è eletto alla Provincia di Varese con oltre 4 mila voti: un successo che fa guadagnare a Carioni il posto di capogruppo del Pdl nell’assemblea provinciale. Ma è Cinque, il boss, che se ne assume (immotivatamente?) il merito, dopo aver mobilitato in campagna elettorale la comunità calabrese. Ne sa qualcosa anche Loris Cereda, Forza Italia, sindaco di Buccinasco (detta Platì 2), che non trova niente di strano nell’ammettere che riceveva in municipio, il figlio del boss Domenico Barbaro. Lui, detto l’Australiano, aveva cominciato la carriera negli anni 70 con i sequestri di persona e il traffico di droga. I suoi figli, Salvatore e Rosario, sono trentenni efficienti e dinamici, si sono ripuliti un po’, hanno studiato, sono diventati imprenditori, fanno affari, vincono appalti. Settore preferito: edilizia, movimento terra. Ma hanno alle spalle la ’ndrina del padre. Cercano di non usare più le armi, ma le tengono sempre pronte (come dimostrano alcuni bazooka trovati a Buccinasco). Non fanno sparare i killer, ma li allevano e li allenano, nel caso debbano servire. Salvatore e Rosario, la seconda generazione, sono arrestati a Milano il 10 luglio 2008. Eppure il sindaco Cereda non prova alcun imbarazzo. Ne sa qualcosa anche Alessandro Colucci, Forza Italia, consigliere regionale della Lombardia. «Abbiamo un amico in Regione», dicevano riferendosi a lui due mafiosi (intercettati) della cosca di Africo, guidata dal vecchio patriarca Giuseppe Morabito detto il Tiradritto. A guidare gli affari, però, è ormai il rampollo della famiglia, Salvatore Morabito, classe 1968, affari all’Ortomercato e night club («For a King») aperto dentro gli edifici della Sogemi, la società comunale che gestisce i mercati generali di Milano. È lui in persona a partecipare a una cena elettorale in onore dell’«amico» Colucci, grigliata mista e frittura, al Gianat, ristorante di pesce. Appena in tempo: nel maggio 2007 viene arrestato nel corso di un’operazione antimafia, undici le società coinvolte, 220 i chili di cocaina sequestrati. Ne sa qualcosa anche Emilio Santomauro, An poi passato all’Udc, due volte consigliere comunale a Milano, ex presidente della commissione urbanistica di Palazzo Marino ed ex presidente della Sogemi: oggi è sotto processo con l’accusa di aver fatto da prestanome a uomini del clan Guida, camorristi con ottimi affari a Milano. Indagato per tentata corruzione nella stessa inchiesta è Francesco De Luca, Forza Italia poi passato alla Dc di Rotondi, oggi deputato della Repubblica: a lui un’avvocatessa milanese ha chiesto di darsi da fare per «aggiustare» in Cassazione un processo ai Guida. Ne sa qualcosa, naturalmente, anche Marcello Dell’Utri, inventore di Forza Italia e senatore Pdl eletto a Milano. La condanna in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa si riferisce ai suoi rapporti con Cosa nostra, presso cui era, secondo la sentenza, ambasciatore per conto di «un noto imprenditore milanese». Ma ora una nuova inchiesta indaga anche sui suoi rapporti con la ’Ndrangheta: un altro imprenditore, Aldo Miccichè, trasferitosi in Venezuela dopo aver collezionato in Italia condanne a 25 anni per truffa e bancarotta, lo aveva messo in contatto con la famiglia Piromalli, che chiedeva aiuto per alleggerire il regime carcerario al patriarca della cosca, Giuseppe, in cella da anni. Alla vigilia delle elezioni, Miccichè prometteva a Dell’Utri un bel pacchetto di voti, ma chiedeva anche il conferimento di una funzione consolare, con rilascio di passaporto diplomatico, al figlio del boss, Antonio Piromalli, classe 1972, imprenditore nel settore ortofrutticolo con sede dell’azienda all’Ortomercato di Milano. Sentiva il fiato degli investigatori sul collo, Antonio. Infatti è arrestato a Milano il 23 luglio, di ritorno da un viaggio d’affari a New York. È accusato di essere uno dei protagonisti della faida tra i Piromalli e i Molè, in guerra per il controllo degli appalti nel porto di Gioia Tauro e dell’autostrada Salerno-Reggio. Qualcuno si è allarmato per questa lunga serie di relazioni pericolose tra uomini della politica e uomini delle cosche? No. A Milano l’emergenza è quella dei rom. O dei furti e scippi (che pure le statistiche indicano in calo). La mafia a Milano non esiste, come diceva già negli anni Ottanta il sindaco Paolo Pillitteri. Che importa che la cronaca, nerissima, della regione più ricca d’Italia metta in fila scene degne di Gomorra? A Besnate, nei pressi di Varese, a luglio il capo dell’ufficio tecnico del Comune è stato accoltellato davanti al municipio e si è trascinato, ferito, fin dentro l’ufficio dell’anagrafe, lasciando una scia di sangue sulle scale. Una settimana prima, una bottiglia molotov aveva incendiato l’auto del dirigente dell’ufficio tecnico di un Comune vicino, Lonate Pozzolo. Negli anni scorsi, proprio tra Lonate e Ferno, paesoni sospesi tra boschi, superstrade e centri commerciali, sono state ammazzate quattro persone di origine calabrese. Giuseppe Russo, 28 anni, è stato freddato mentre stava giocando a videopoker in un bar: un killer con il casco in testa, appena sceso da una moto, gli ha scaricato addosso quattro colpi di pistola. Alfonso Muraro è stato invece crivellato di colpi mentre passeggiava nella via principale del suo paese affollata di gente. Francesco Muraro, suo parente, un paio d’anni prima era stato ucciso e poi bruciato insieme alla sua auto. L’ultimo cadavere è stato trovato la mattina di sabato 27 settembre in un prato di San Giorgio su Legnano, a nordovest di Milano: Cataldo Aloisio, 34 anni, aveva un foro di pistola che dalla bocca arrivava alla nuca. A 200 metri dal cadavere, la nebbiolina di primo autunno lasciava intravedere il cimitero del paese, in cui riposa finalmente in pace, benché con la faccia spappolata, Carmelo Novella, che il 15 luglio scorso era stato ammazzato in un bar di San Vittore Olona con tre colpi di pistola in pieno viso. Milano, Lombardia, Nord Italia. È solo cronaca nera? No, Gomorra è già qua. Ma i politici, gli imprenditori, la business community, gli intellettuali, i cittadini non se ne sono ancora accorti.