‘L’innocenza di Giulio’ sbarca in Spagna
Sono soddisfazioni. Per l’Università di Valencia il copione dello spettacolo ‘L’innocenza di Giulio‘ viene tradotto e diventa materia di studio.
La traduzione la trovate qui.
Tutta la rivista è qui.
Sono soddisfazioni. Per l’Università di Valencia il copione dello spettacolo ‘L’innocenza di Giulio‘ viene tradotto e diventa materia di studio.
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La mia intervista rilasciata per gli amici di Tivoli Liberatutti:
Attore, politico, cantastorie, scrittore, attivista in prima linea contro la mafia e tanto altro.
Ma forse meglio di lui nessuno può presentarlo: “Io sono di sinistra. Della sinistra che sta nell’idea che preserva il suolo, l’ambiente, l’acqua e l’aria come bene comune. Che crede nell’impegno dell’uguaglianza: uguaglianza di possibilità, uguaglianza sociale e uguaglianza nei diritti e nei doveri. Della sinistra che trova inaccettabile questo paese come laboratorio del totalitarismo moderno. Che crede nel valore della laicità e vigila sulla libera professione delle fedi, che coltiva la ricchezza delle differenze, che pretende dignità nel lavoro, che crede nelle leggi come opportunità di convivenza e di tutela, che condanna lo sfruttamento e il mercimonio e che ha una storia di persone e di valori. Così, tanto per chiarire.”Ci ha risposto a qualche domanda.
Iniziamo dall’EXPO. L’evento è iniziato da pochi giorni ed è già tempo di bilanci.
14 Miliardi di euro.
Il 5,4 % di quanto viene speso in un anno per le pensioni italiane.
3,2 Miliardi di euro solo per la costruzione dei padiglioni.
Il Padiglione ITALIA doveva costare 63 milioni di euro, ora ne costerà 92.”
Questi sono alcuni dati dell’EXPO. Ma s’è l’è giocata veramente così male l’Italia l’organizzazione di quest’evento?
Ci sono, secondo me, due considerazioni importanti: l’esborso economico, in primis, non mi pare in linea con la situazione economica italiana (ma diciamo pure europea) e ovviamente la politica “fa politica” nel momento in cui decide come destinare i soldi. Credo che il problema sia come quei soldi avrebbero potuto essere utilizzati altrimenti per cogliere nel pieno lo spirito dell’evento che fin dall’inizio dichiaratamente era di proporre un modo etico e nuovo per nutrire il pianeta. Certo è che solo alla conclusione di Expo si potranno tirare le somme, considerando non solo le “entrate economiche” ma anche e soprattutto se davvero si sarà riusciti a formulare una nuova cultura del cibo. E su questo mi arrogo il diritto di essere pessimista.
Poi c’è la sfida internazionale di riuscire a raccontare un’Italia che riesce ad affrontare un grande evento senza incappare in mafia e corruzione. Ebbene, nonostante l’impegno di Cantone e le promesse dei vari amministratori a tutti i livelli mi sembra che si possa serenamente dichiararsi sconfitti. Senza elencare gli innumerevoli micro casi basti pensare che tra gli indagati (con evidenti prove a carico) c’è il collaboratore più stretto di Giuseppe Sala. Può bastare?
Lotta alla criminalità organizzata. “La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.” queste parole sono di Giovanni Falcone, di cui pochi giorni fa è stato l’anniversario della morte. E’ vivo il tuo impegno contro le mafie, non solo quelle che operano nei ben noti territori del Meridione ma anche quelle che si spostano al Nord Italia passando per Roma, e si confondono dietro appalti truccati e infinite colate di cemento. Quanto è grave il problema delle mafie nelle zone in cui si crede non sia presente?
Al nord si è riusciti nella disdicevole impresa di convincerci che mafie e corruzione siano due fenomeni distinti e quindi ha avuto gioco facile chi si è appoggiato alla retorica della coppola e della lupara per negare l’esistenza del fenomeno. La pervasività delle mafie è larga ovunque lo Stato perda sul campo dei servizi e delle rassicurazioni sul futuro rispetto alla criminalità organizzata: credo che su questo versante il nostro Paese sia abbastanza unito. Ora, dopo la fase della presa di coscienza, mi auguro che si passi all’analisi e alla costruzione di chiavi di lettura collettive: questo è compito anche della scuola, della politica oltre agli operatori culturali.
Il Teatro. Hai fondato nel 2001 la “Bottega dei Mestieri Teatrali”, dalla tua biografia (https://www.giuliocavalli.net/chi-sono/) ti dipingi come un cantastorie, cosa ti ha spinto a raccontare a teatro tanti avvenimenti della storia italiana recente?
Forse per una mia stortura credo che la contemporaneità sia un dovere morale per chi ha il privilegio di fare il mio mestiere. Farsi ascoltare è cosa talmente rara che non si può sprecare raccontando storie che non siano utili per leggere meglio il presente.
Le storie/1. Tra i tanti temi trattati, hai portato a teatro la tragica storia di Carlo Giuliani e di quel luglio genovese. Il 7 aprile 2015, in merito ai fatti della scuola Diaz, i giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno condannato all’unanimità lo Stato Italiano per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti dell’uomo (“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”) ritenendo che l’operato della Polizia di Stato “deve essere qualificato come tortura. Che ricordo hai di quei giorni caldissimi?
La mia esperienza con le forze dell’ordine deriva da un angolo di osservazione piuttosto atipico: sono sempre stato “vicino” a molti movimenti di protesta (per un mio vecchio vizio di prendere posizione, parteggiare appunto) e allo stesso tempo ho un rapporto quotidiano con le forze dell’ordine che mi proteggono. Io credo che in un Paese democratico le critiche agli abusi e alle prepotenze (soprattutto se perpetrate da forze pubbliche) siano l’unico reale rispetto che si possa avere. Quindi non sopporto i “difensori” per postura e allo stesso modo i “colpevolisti” per pregiudizio.
In questa posizione dico che Genova (parlo della Diaz e di Bolzaneto) è stato uno dei momenti più bassi di democrazia. Anzi, concordo in pieno nella definizione di “sospensione della democrazia” ed evidentemente, come succede spesso in Italia, hanno pagato solo i pesci più piccoli. In quei giorni (come avviene ancora oggi) la criminalizzazione dei manifestanti sparata a cannonate dai principali network televisivi ed editoriali è riuscita nell’impresa di nascondere le reposnabilità e addirittura i fatti.
Le storie/2. È in corso un progetto di autofinanziamento per il tuo prossimo spettacolo “L’amico degli Eroi” (https://www.produzionidalbasso.com/pdb_3875.html). Lo spettacolo, scritto diretto ed interpretato da te e con le musiche di Cisco Bellotti, è “liberamente ispirato alla vita di Marcello Dell’Utri”.
Come sta andando la raccolta fondi? Cosa puoi dirci di più sullo spettacolo?
Quanto influirà ancora questo modo di intendere la Politica? Per quanto ancora pagheremo lo scotto di aver permesso e concesso a questi personaggi di avere il potere?Dopo aver lavorato su Giulio Andreotti (con un libro e con uno spettacolo) era inevitabile scivolare sull’andreottismo moderno portato avanti da Marcello Dell’Utri nella sua doppia veste di servitore imprenditoriale e servitore politico. Ricordo che Gian Carlo Caselli, eravamo ancora all’inizio della stesura de “L’innocenza di Giulio”, predì che il passo successivo avrebbe dovuto essere uno studio su Dell’Utri. Io non temo tanto Andreotti o Dell’Utri, sia chiaro, quanto l’andreottismo e il dellutrismo che hanno proposto un metodo di gestione del potere in cui le mafie vengono trattate come soggetti autorevoli per il confronto, lo scambio e l’eventuale convergenza di obiettivi.
Questa volta poi abbiamo deciso di organizzare una “produzione sociale” che mettesse insieme tanti piccoli coproduttori piuttosto che amministrazioni pubbliche e fantomatici bandi: credo che il metodo di produzione di uno spettacolo sia una caratteristica fondamentale dell’etica di preparazione del prodotto culturale e trovare così tanti sostenitori tra il mio pubblico e i miei lettori inevitabilmente mi responsabilizza molto di più tenendomi tra l’altro ben saldo con i piedi per terra piuttosto che perdere energie e tempo in assurdi, patafisici rapporti politici con amministratori troppo spesso incompetenti nel campo culturale. Siamo vicini al raggiungimento della quota che ci permetterà di andare in scena e di dare alle stampe il libro con il copione e le informazioni giudiziarie del processo di Dell’Utri a Palermo. Io credo che finché non riusciremo a riconoscere i “dellutrismi” oltre a Dell’Utri non saremo capaci di disinnescare questo stillicidio di politici indegni.
PS Siamo in dirittura d’arrivo del nostro crowdfunding per il mio prossimo spettacolo e libro. Se volete darci una mano potete farlo qui. E passatene parola. Se potete e se volete. Grazie.)
(Scritto per L’Espresso qui.)
Siamo fatti così: li osteggiamo, ne scriviamo fino a al brufolo più nascosto e poi quando finalmente arriva il riscontro (giudiziario ed etico) lasciamo perdere come se il più ormai fosse fatto, dimenticando in fretta le conclusioni o peggio non prestandoci nemmeno troppe attenzioni.
La storia di Marcello Dell’Utri e dei suoi contatti con ambienti mafiosi è stata la saga degli ultimi vent’anni, una storia in cui ci si sono buttati un po’ tutti (spesso con una superficialità da bancarellieri dello sdegno, eh) e in fondo la sentenza con cui si accerta che Marcello Dell’Utri sia stato il “tramite con Cosa Nostra per conto di un noto imprenditore” dovrebbe essere solo questo, da solo, un rossore livido di vergogna per chiunque decida di governare con il partito di quel noto imprenditore. Nel processo Dell’Utri si certifica poi un modo di essere “spericolati avventurieri” nel campo della politica e dell’imprenditoria (che spesso in questi ultimi anni erano coincidenti) che ha segnato un’epoca; quella dei falchi pronti a tutto pur di incassare qualche milione di euro in più. Eppure provate ad immaginare un marziano a cui si racconti ciò che è stato Dell’Utri per Berlusconi, provate a raccontargli quali comportamenti siano certificati da una condanna passata in Cassazione e vedrete che anche lui rimarrebbe sconvolto dagli impercettibili effetti “politici” che ha avuto tutta la storia.
Minimizzare la mafia e Dell’Utri è un giochetto bipartisan che serve a sostenere questo Governo: basta questo per capirne la matrice e per leggere l’immobilismo antimafioso dell’Esecutivo. Non serve altro. Eppure come già successe per Andreotti capiterà ancora che un altro Dell’Utri, magari diverso per accento o per parte politica, possa pascolare impunemente in un Paese che non ha fatto tesoro dell’ultima lezione. Succede così: si restringe il campo su Dell’Utri lasciando perdere le chiavi di lettura del Dellutrismo e così come oggi l’andreottismo passa inosservato come un raffreddore anche i futuri “intermediari” con le mafia potranno godere dell’impunità della memoria. Perché la memoria, che è cosa buona e giusta, andrebbe anche esercitata sui vivi oltre che commemorata gigioneggiando sui morti.
Ed è per questo che abbiamo deciso che il prossimo spettacolo che porteremo in scena (L’AMICO DEGLI EROI: parole, opere ed omissioni di Marcello Dell’Utri) sarà il nostro piccolo ma combattivo vaccino perché la sentenza diventi pubblica, addirittura in tournée. E per questo abbiamo deciso che non vogliamo produttori “istituzionali” ma preferiamo un “produzione sociale” in cui ognuno di noi, pubblico compreso, fa la propria parte. Un crowdfunding per uno spettacolo teatrale “civile” ci dicono che sia pericoloso perché “mette insieme quelli che già la pensano allo stesso modo”. Quando me l’hanno detto ho pensato che sarebbe un primo passo per essere un piccolo corpo sociale: gli esercitatori di memoria. Non mi è sembrato niente male.
Se volete aiutarci anche voi trovate tutte le informazioni qui.
(l’articolo originale è qui)
Attore, scrittore, regista, politico: per Giulio Cavalli non si tratta di quattro carriere distinte, ma degli aspetti coordinati di un’unica attività coerente, tesa a mantenere viva l’informazione e la coscienza critica sui fenomeni criminali del nostro Paese. Ne è un esempio L’innocenza di Giulio, una disamina del processo a Giulio Andreotti che ha assunto sia la forma del libro-inchiesta, sia quella di spettacolo teatrale. Eletto due volte consigliere regionale in Lombardia, la prima volta con IdV e la seconda con SEL, dal 2009 vive sotto scorta a causa delle minacce ricevute da mafiosi a causa dei suoi spettacoli, ma rifiuta ogni mitizzazione: in una recente intervista a Radio Diciannove ha dichiarato: «Tra la vita sotto scorta e una cartella di Equitalia, mi deprime ancora di più la seconda». Il suo nuovo spettacolo, ironicamente intitolato L’amico degli eroi, è incentrato sulla figura di Marcello Dell’Utri, il dirigente Fininvest e senatore di Forza Italia recentemente condannato per mafia in via definitiva. La produzione avviene interamente attraverso la formula del crowdfunding, cioè con una raccolta fondi anticipata attraverso la Rete.
Perché uno spettacolo su Marcello Dell’Utri?
Diceva Mark Twain che non bisogna aver paura di ciò che non conosciamo, bensì di ciò che riteniamo vero e invece non lo è. Ed io ho il terrore che qualcuno si sia convinto che i veri boss, quelli che hanno tirato le fila della criminalità organizzata in Italia, siano stati due subnormali come Riina e Provenzano, e si dimentichi di porsi le domande giuste su chi ne siano state le vere menti dal 1992 a oggi. C’è un processo in corso, e in un Paese normale a fianco del processo indiziario ci deve essere anche un processo sociale e culturale. È a quest’ultimo che vorremmo dare un po’ di spinta.
Come e quando è nato L’amico degli eroi?
In realtà è nato già quando scrivevo L’innocenza di Giulio. La riflessione che feci allora con Caselli e Lucarelli è che se l’andreottismo è riuscito a rinascere come un’araba fenice evidentemente lo ha fatto attraverso il dellutrismo. I risultati giudiziari sono stati poi estremamente diversi: nel caso di Andreotti si è riusciti a far rientrare tutto sotto un’innocenza mai verificata, mentre con Dell’Utri è stata inevitabile la condanna. A me la figura di Dell’Utri interessava particolarmente, perché è il tipico siciliano che è diventato molto “lombardo”, cioè è riuscito ad abbinare la peggiore sicilianità, la conoscenza degli ambienti mafiosi, con l’imprenditorialità “turbo” (turbo anche dal punto di vista etico) della peggiore Lombardia.
Stai dicendo che Dell’Utri è stato l’avanguardia dell’ascesa della Mafia al nord?
Io penso che la Storia ci dica che Dell’Utri sia stato il primo a far sognare alla Mafia, a Cosa Nostra, di poter avere interlocutori altissimi e un ruolo da protagonista all’interno della politica italiana. Si è passati dalla Mafia gregaria, talvolta utile idiota, di Giulio Andreotti, alla Mafia protagonista delle decisioni politiche di questo Paese.
Il tuo spettacolo è finanziato attraverso il crowdfunding. È stata una scelta derivata dalla volontà di evitare condizionamenti, o un obbligo dovuto all’impossibilità di produrlo in altro modo?
Per la verità non abbiamo mai neppure provato a finanziare lo spettacolo in modo tradizionale. So che sarebbe molto “epico” raccontare di avere ricevuto dei no, ma non abbiamo mai neppure posto la domanda. Anche se da noi sono ancora sperimentali, teniamo presente che in Europa le produzioni in crowdfunding sono ormai una realtà consolidata, direi quasi abituale, sia per la letteratura che per il teatro. E ricordiamoci che ci troviamo in un Paese in cui a decidere le sorti produttive di uno spettacolo sono politici la cui cultura teatrale è pressoché inesistente. Ti confesso che, dopo essermi dovuto confrontare con piccoli assessori molto più che, come sarebbe normale, con i miei referenti, che dovrebbero essere i miei spettatori e i miei lettori, mi sono detto: visto che il mio pubblico mi ha sempre dimostrato fiducia, facciamolo diventare protagonista. Questo serve anche a responsabilizzarlo: in Italia si parla tantissimo, spesso anche esagerando, di come l’informazione sia controllata, asservita; ma poi, quando c’è la possibilità di partecipare a un meccanismo di autonomia, tutti si tirano indietro.
Credi che il crowdfunding possa essere praticato anche da spettacoli meno politici del tuo, e quindi senza una componente di militanza?
Io credo si sì. Anzi, mi auguro che in Italia si riscopra presto la “militanza del bello”, che è stata ciò che nei secoli scorsi ha reso grande questo Paese nel campo della cultura, dell’arte e anche del teatro. Una militanza così sarebbe proprio utile, e tra l’altro politicamente trasversale. È vero che ora come ora il crowdfunding è un metodo di finanziamento che viene associato soprattutto alle startup, il feticcio di questi ultimi anni. Ma sono convinto che sia proponibile anche per il teatro, e per spettacoli, per così dire, “più teatrali” dei miei. Non credo che solo il teatro civile abbia questo onore e onere, una partecipazione al Bello troverebbe adepti anche in questo Paese. Del resto ci sono esempi di spettacoli partiti con previsioni di pubblico bassissime che si sono rivelati grandi sorprese, il che dimostra che chi tiene in mano i fili della produzione teatrale nazionale spesso si è dimostrato strabico, o perlomeno miope. La nascita di spettacoli indipendenti potrebbe anche far rinascere una critica più popolare, che non sia il risultato della masturbazione di un circolino di quattro o cinque “monopolisti alla critica” che la sottraggono agli altri.
La cifra che ti sei posto come obiettivo per il crowdfunding non è ancora stata raggiunta. Lo spettacolo andrà in scena comunque?
Andrà in scena comunque. Tieni conto che abbiamo avuto un’antipatica sorpresa, e c’è un’indagine in corso : la raccolta fondi era stata sospesa perché si era presentato un coproduttore che poi si è rivelato fasullo. Ma sono assolutamente convinto che riusciremo a raggiungere la cifra in tempi brevissimi.
Si è trattato di un’operazione di boicottaggio, di una truffa o di cos’altro? Non lo so. Sicuramente la persona in questione aveva precedenti penali anche per truffa, e amicizie vicine ad ambienti ndranghetisti. Se è stata una coincidenza, è stata mitologica, fantascientifica. Se non lo è stata, se ne occuperanno le forze dell’ordine.
In questi giorni Sky ha trasmesso le prime puntate di 1992, una serie televisiva in cui Marcello Dell’Utri è uno dei personaggi. Le hai viste?
Sì. Noi però con questo spettacolo abbiamo voluto fare una cosa molto diversa. Non abbiamo voluto fare una ricostruzione storica, perché volevamo evitare di fare a Marcello Dell’Utri il piacere di essere considerato già Storia. Io vorrei che fosse considerato presente, un pericolo contemporaneo e tuttora inquinante. Ritengo che i dellutrismi siano vivi e vegeti. Nella stessa città di Milano l’eventualità di un percorso teatrale sulla disumanità di Dell’Utri è stata accolta in alcuni ambienti culturali con un po’ di spavento. Quindi non stiamo parlando di un personaggio che andando in galera è stato del tutto archiviato. Più che parlare di chi, cosa e quando (del resto gli atti giudiziari sono già un compendio perfetto per chi vuole istruirsi su questo), a noi interessa descrivere dal punto di vista culturale il palermitano arrampicatore sociale che, grazie all’aiuto del brianzolo egocentrico, riesce a diventare padrone di alcuni gangli vitali di questo Paese. Mi spaventa che la cultura, che l’approccio alla vita e all’etica di Dell’Utri sia preso ad esempio. E mi spaventa il fatto che le uniche persone cui abbiamo concesso di fare battute infime su vittime di mafia siano state prima Andreotti e poi, non so perché, Dell’Utri.
Come è organizzato lo spettacolo?
In diversi quadri in cui Dell’Utri parla in prima persona, tranne un paio di scene che sono dedicate alla presentazione di Vittorio, cioè Mangano, e di Silvio, cioè Berlusconi. Lo spettacolo è molto più vicino alla formula della giullarata rispetto a L’Innocenza di Giulio, lo trovo più vicino a miei inizi. C’è una sorta di gramelot, anche se molto moderno. E abbiamo voluto che ci fosse dietro un bel digrignar di denti, una risata che spesso rimane soffocata dalla tragicità, mentre qui abbiamo voluto tenere lo spettacolo più votato al sorriso.
La formula dello spettacolo prevede anche rappresentazioni a richiesta…
Sì. Ho la fortuna di avere un mio circuito molto poco teatrale, che di solito nasce dalla riunione di tre o quattro persone che nel loro paese si dicono: “Perché non invitiamo Cavalli e non proviamo a riaprire il dibattito su questo argomento?”. È stato così per tutti i miei spettacoli, e probabilmente lo sarà anche per questo. Il che da un lato è rischiosissimo, perché si può finire a predicare ai convertiti, a godere tutti insieme di come siamo bravi a denunciare e a sapere. È un rischio da cui cerco di ripararmi, perché mi fa paura diventare autistico dal punto di vista teatrale. D’altra parte, però, è vero che questo mi consente una libertà di manovra che altri non avrebbero. È inutile nascondersi che, quando in questo Paese si parla di teatri, anche di teatri stabili, le paturnie dell’assessore di turno diventano sempre di importanza vitale, come se fossero le più ficcanti osservazioni culturali del momento.
C’è un pubblico minimo per una tua rappresentazione?
No, la nostra idea è sempre stata quella di andare ovunque ci chiamino. Fortunatamente non abbiamo mai avuto problemi di pubblico. Tieni conto però, e ne vado molto fiero, che mi esibisco allo stesso prezzo con cui mi esibivo dieci anni fa. Non amo la nomea di “teatro civile”, ma per chi come me opera in modo che il teatro non sia solo un prodotto culturale, ma anche una concezione morale, lo spettacolo nel minuscolo oratorio del piccolo paese ha la stessa importanza di quello che ti fa recensire sui quotidiani nazionali.
(per contribuire alla produzione dello spettacolo basta andare qui)
L’articolo di Antonia De Francesco dal sito duepuntozeronews.it:
Da Giulio a Giulio: uno è passato alla storia come “Il Divo”, all’anagrafe Giulio Andreotti, l’altro, scrittore, giornalista e artista, è Giulio Cavalli, ospite dell’appuntamento di domenica scorsa del Mese della Legalità a Formia. Il primo ha attraversato decenni di politica e storia del Bel Paese, quasi indenne, da protagonista di Governo, e da quando la terra gli è lieve, molti sono i segreti che, probabilmente, ha portato con s’è; il secondo, ha attraversato sì politica e storia italiana, ma ha scelto di raccontarla: un ruolo faticoso per il quale spesso ha rischiato la sua incolumità. Le due vite si incrociano quando, dopo anni di percorsi a pier pari tra il teatro e la “legalità”, dopo l’esordio con lo spettacolo ” A cento passi dal Duomo” volto a raccontare la presenza della criminalità organizzata al Nord, Cavalli decide di scrivere “L’innocenza di Giulio”, libro con il quale ripercorre le vicende giudiziarie che hanno contraddistinto la lunga esistenza del “Divo”. Lo fa, premettendo toni tutt’altro che distesi e comprensivi, piuttosto adirati e inclementi, nonchè con una premessa essenziale, ben sintetizzata dalla prefazione del Magistrato Dott. Gian Carlo Caselli: “La stragrande maggioranza dei cittadini italiani è convinta che Andreotti sia vittima di una persecuzione che lo ha costretto a un doloroso calvario per l’accanimento giustizialista di un manipolo di manigoldi”,ovviamente, c’è un “ma”…non è così. Questa è la prospettiva che intraprende Cavalli, cercando di capovolgere un opinione pubblica assuefatta, è rovistando nella memoria corta di un Paese, che troppo presto dimentica, troppo velocemente si lascia convincere e perdona. Così Giulio Cavalli si assume la responsabilità di tirare le fila del “Processo Andreotti”, con questo libro, in cui mette la verità davanti alla giustizia.
In un passo del libro si legge: “I fatti che la Corte ha ritenuto provati in relazione al periodo precedente la primavera del 1980, dicono che il Senatore Andreotti ha avuto piena consapevolezza che i suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi, ha quindi coltivato, a sua volta, amichevoli relazioni con gli stessi boss”. E Cavalli aggiunge: ” ‘ L’innocenza di Giulio’ perchè conoscere il processo Andreotti ti insegna a riconoscere la politica che tenta in tutti i modi di legittimare l’illegalità e aiuta a capire che la storia di questo Paese è negli atti giudiziari, nei fatti che sono stati riscontrati, raccontati su cui non possono esistere dubbi e che, l’opportunità, soprattutto in politica e per chi si occupa di pubblica amministrazione, è un concetto che non può essere delegato solo alla Magistratura o ai Giudici ed è un confine molto più ampio di quello dell’attività giudiziaria”. Secondo Cavalli “la politica di Andreotti è quella che ha scelto di sedersi al tavolo con la mafia” ed il suo tentativo di spiegarla ai giovani si sposa con la volontà di creare campanelli d’allarme, consapevolezze, perchè “ripetendo una bugia infinite volte si riesce anche a trasformare in verità storica qualcosa che in realtà non è mai avvenuto”.
Il ruolo della memoria diventa, dunque, fondamentale. “La memoria va esercitata – spiega Cavalli – e credo che è un po’ di confisca della memoria quella buona per la cittadinanza attiva sia obbligatoria”, perchè l’ “andreottismo” sopravvive “nella privatizzazione delle regole, negli incontri inopportuni difesi sui cavilli”. “Andreotti è stato colpevole e sicuramente bugiardo”, questa è “la sua innocenza” secondo il magistrale intervento culturale di Giulio Cavalli: perchè è dalla cultura, dalla simbiosi con di quest’ultima con i giovani, dagli “scossoni” che l’arte può imporre che bisogna partire e ripartire continuamente.
La mia intervista per L’ORA QUOTIDIANO:
La storia di Marcello Dell’Utri, raccontata direttamente dall’ex senatore, in un monologo a metà tra la cronaca giudiziaria e la letteratura. S’intitola L’Amico degli Eroi, ed è l’ultimo lavoro di Giulio Cavalli, il regista teatrale milanese già autore di un libro e di uno spettacolo su Giulio Andreotti (L’innocenza di Giulio, Chiarelettere, 2012). “Andreotti – spiega Cavalli – ha creato la politica come padrona della mafia. Dell’Utri invece ha inventato la mafia che si fa politica”.
In pratica è questa la differenza tra prima e seconda Repubblica?
Si. Anche la differenza tra la gestione del processo Andreotti e quello Dell’Utri cambia in questo senso.
Ovvero?
Con Andreotti i giornali tendevano a smentire la sentenza, con Dell’Utri invece l’obbiettivo era addebitare tutte le condotte soltanto all’ex senatore. E’ a questo che serve il mio spettacolo: a ricordare che oggi il governo è sostenuto anche da quel partito creato proprio da Dell’Utri, l’uomo che fa da tramite tra Berlusconi e Cosa Nostra. Ed è proprio così che finisce in un certo senso lo spettacolo.
Come?
Con Dell’Utri che il giorno prima della fuga in Libano incontra Berlusconi in un ristorante. L’ex premier dice, rivolto ai giornali: “Volevate il politico mafioso, prendetevi Marcello ma adesso basta”. E Dell’Utri ribatte: “la mia fedeltà ti è ancora più utile adesso che finisco in galera”. E’ il concetto del servitore del potere, dell’uomo che cerca un padrone su cui puntare e che fa del servilismo la sua icona. L’incipit dello spettacolo racconta proprio gli albori del servo Dell’Utri.
Che sarebbero quali?
C’è questa scena in cui un giovane Dell’Utri si mette per la prima volta la cravatta e vede la città di Palermo divisa in due: da una parte persone da abbattere, dall’altra tanti pioli, gente a cui aggrapparsi per salire i gradini sociali. Se ci pensiamo, presi singolarmente personaggi come Dell’Utri, Mangano e Berlusconi sono anche comici in un certo senso. Uniti insieme, a Milano, diventano la miscela perfetta della politica per legittima difesa.Che arriva a creare il prototipo di Berlusconi che diventa addirittura premier per legittima difesa.
Hai avuto problemi nella produzione di questo spettacolo?
Si, c’era un strano tizio che si era impegnato a produrlo, firmando anche un contratto. Ma poi è svanito: ovviamente l’ho denunciato, vedremo le indagini a cosa porteranno. Di certo però ci ha causato un rallentamento, dovevamo essere pronti per ottobre, e invece credo che una data ipotetica per il debutto possa essere marzo. Certo adesso mi serve il sostegno del pubblico: per questo motivo ho lanciato una campagna di produzione sociale.
Una sorta di crowdfunding.
Si, l’ho chiamata così perché non mi piacciono gli inglesismi. Semplicemente credo che per essere liberi dobbiamo lavorare soltanto con il sostegno del pubblico. Per questo chiedo un sostegno a chiunque pensi che la storia di Dell’Utri non sia da derubricare semplicemente a uno dei tanti berlusconismi, insieme alle prostitute e al resto, ma sia da ricordare come atto fondamentale di questa seconda repubblica. Penso che il cosiddetto teatro civile serva a questo. Anche se la parola teatro civile non significa nulla: come dire che esiste un teatro incivile.
Mi ricorda la famosa frase scritta sul teatro Massimo a Palermo: vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire. Credi ancora che la cultura possa avere un valore sociale così importante oggi?
Assolutamente si. Io ho fatto il consigliere regionale in Lombardia, durante l’ultimo mandato di Formigoni. Erano anni in cui ero l’unico ad arrivare in Regione scortato dai carabinieri, mentre gli altri venivano portati via in manette dalle forza dell’ordine. Nonostante quell’esperienza penso di poter fare di più con i miei spettacoli.
Non pensi che anche a livello culturale questo paese sia ormai ridotto in macerie?
Certo. Questo perché si continua a pensare che, come vent’anni fa, ci vuole una buona politica che faccia da matrigna ad una buona cultura. Il rapporto si è invertito da anni: è la buona cultura che forse può essere madre di una buona politica. D’altra parte in questi anni la cultura è arrivata prima della magistratura su molte cose.
Hai parlato della prima e della seconda Repubblica: e la terza invece? Che cos’è cambiato oggi?
Fino a pochi giorni fa pensavo che fossero cambiati gli interpreti mantenendo identiche le modalità. Dopo Mafia Capitale credo che non siano cambiati nemmeno gli interpreti: viviamo di un ritorno dell’attività criminale.
Nessuna differenza col recente passato quindi?
Assolutamente no. La terza Repubblica non riesce neanche a nominare Nino Di Matteo nei discorsi di fine anno delle alte cariche. E’ una Repubblica identica a quella di Andreotti. E’ una Repubblica in cui il non detto vale sempre di più rispetto al resto.
Clicca qui per leggere un’estratto dello spettacolo
Puoi contribuire alla produzione dello spettacolo cliccando qui
Caro Giulio,
te lo giuro che ci ho provato cento volte a scriverlo e riscriverlo questo pezzo. Mangiato, sputato e rimangiato come non si dovrebbe fare per il rispetto per le storie che nei documenti bollati si scrivono con le maiuscole. Ho provato a metterci il rigore e tutto l’impettimento degli studiosi scientifici ma mi sembrava di martellare un palazzo bello ma abusivo, costruito sulla spiaggia, anche se con l’aria da ingegnere. Ho provato a scriverlo e ripetermelo in testa con l’eco di muro e legno dei tribunali ma qui il cuore della storia sta tutto nella giustezza più che nella giustizia.
Una mattina mi ci sono messo di piglio, con tutte le carte e i trucchi da camerino, raccogliendo gli avanzi di scenografie che avevo sparso in giro, e mi sono detto che magari con quattro parrucche e del rossetto pesante saremmo riusciti tutti a digerirla, questa storia. Sbagliato.
Caro Giulio, l’unico inizio vero è che questa storia accende la nausea: nausea nera, nausea pelosa, nausea incurabile. Una storia che galleggia tutta nei fondi che non si riescono a sciacquare, una storia che spia dalla serratura cinquant’anni di istituzioni che si baciano di nascosto nei cessi, una storia che sta nelle risalite a pelo d’acqua per prendere fiato e più in basso è tutta acqua al buio, una storia che non rimane in piedi senza livore e senza la sua nausea.
Caro Giulio, confesso che ci è uscito un libro maleducato e rissoso. Di quella maleducazione indignata che batte sulle vene in testa e che si vorrebbe in prescrizione. E non vale né pentirsi né dissociarsi. Ci sono palcoscenici che vanno usati e palcoscenici che vanno osati: non cerchiamo l’equilibrio educato da teatro stabile dentro questo girotondo di onorevoli venerabili e di bugie liriche. Caro Giulio, questo libro è stato martellato tutto storto, con dentro i fatti desunti e i nomi rivoltabili come un Molière senza boccoli e sorrisi. Ma indignato. Indignato sì. E ci avessimo messo il papillon all’indignazione forse sarebbe stato meglio ma non ci avrebbe creduto quasi nessuno. Un libro scritto, detto, e dispiaciuto. Con la nausea come odore di introduzione.
(dal libro L’INNOCENZA DI GIULIO, Andreotti e la mafia in offerta qui nella nostra piccola libreria)
Zitti zitti, sotto sotto, piano piano sono passate le elezioni provinciali. Elezioni finte di province che non sono mai state dismesse. Elezioni al cubo in cui eleggono solo gli eletti e i cittadini nemmeno se ne sono accorti. Quando dicevamo che questa riforma delle province avrebbe semplicemente facilitato i nuovi grumi evidentemente siamo stati realisti, piuttosto che gufi ma l’aspetto peggiore è la faccia dei grumi: grandi alleanze che mettono insieme i soliti noti che governano l’Italia e che fingono di essere avversari solo durante le proprie feste di partito. Basta leggere articoli come questo per rendersi conto che le larghe intese sono un chiaro progetto politico che sta ricadendo a cascata anche nelle elezioni locali. Non che ci stupisca, eh, ma almeno per prenderne atto e smetterla di pensare che le discussioni sull’articolo 18 siano solo feticci dei conservatori: qui ora c’è un grande partito che simula centrosinistra e agisce da centrocentro. Come quelli di Giulio Belzebù. Identici.
L’articolo con le belle parole del presidente dell’associazione che mi ospita il 5 settembre è qui. Parlare di Andreotti in Ciociaria direi che ha un sapore interessante, eh. Presentiamo L’innocenza di Giulio.
Per trent’anni è stato uno dei segreti meglio conservati della mafia siciliana, adesso è il padrino più autorevole dell’organizzazione a svelarlo per la prima volta. Racconta Salvatore Riina: “Balduccio Di Maggio dice che mi ha accompagnato lui e mi sono baciato con Andreotti. Pa… pa… pa”. Il capo di Cosa scuote le mani mentre passeggia sorridente nel cortile del carcere milanese di Opera, come a far capire: tutte palle. Non ci fu alcun bacio, sostiene. Poi, cambia tono di voce e sussurra la sua verità: “Però con la scorta mi sono incontrato con lui”. Lui, il sette volte presidente del Consiglio finito sotto processo per associazione mafiosa, ma poi assolto dall’accusa di aver incontrato Riina nel 1987: gli unici due incontri accertati dai giudici fra Giulio Andreotti e un altro capomafia, Stefano Bontate, risalgono al periodo 1979-1980, troppo in là nel tempo, e la prescrizione ha salvato l’imputato eccellente deceduto il 6 maggio 2013.
Ad ascoltare Riina, c’è il fedele compagno d’ora d’aria, il boss della Sacra Corona Unita Alberto Lorusso: la telecamera della Dia che sta intercettando su ordine dei pm di Palermo lo riprende attentissimo a non perdere una sola parola dei racconti del vecchio padrino…
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