Giulio Andreotti
(da CAFFENEWS) “L’innocenza di Giulio”: con Cavalli va in scena lo spettacolo della verità
E’ una storia di ombre calpestate, quella portata in scena da Giulio Cavalli al Teatro Civico di Caserta lo scorso lunedì 4 novembre. La storia fatta di verità soffocate, che i libri, ligi a una visione parziale e rassicurante, mettono educatamente a tacere. E’ la messa in scena “maleducata e rissosa” di un viaggio che percorre un ventesimo secolo tutto italiano, quella “favola strana” che narra un’eterna storia d’amore tra Stato e Mafia in una conseguente e paradossale inversione di ruoli, con “i cattivi che bussano al citofono di Andreotti e i buoni che muoiono ammazzati per terra”.
E il protagonista è proprio il Divo, Giulio Belzebù, il Papa Nero. Ma soprattutto Lo Zio, lo Zù Giulio del processo palermitano. Un “punciutu”, secondo il pentito Leonardo Messina, ossia un uomo d’onore sotto giuramento, un protetto, un “amico degli amici”.
Andreotti è stato indubbiamente una delle figure più influenti e, allo stesso tempo, più controverse dell’immaginario politico italiano degli ultimi sessant’anni. Sono innegabili i suoi rapporti “amichevoli” con elementi di spicco di Cosa Nostra, o con personaggi indirettamente legati all’ambiente, come nel caso dell’Onorevole Salvatore “Salvo” Lima o dei due imprenditori Ignazio e Antonino Salvo, opportunamente messi in condizione di non nuocere al momento giusto.
Cavalli analizza con cura meticolosa, quasi maniacale, la cronologia di delitti che la criminalità organizzata ha collezionato con il tacito consenso dello Stato, in un’ineluttabile relazione che affonda le sue radici in una realtà italiana ben precedente a quella che ha visto l’ascesa di Andreotti nel nostro panorama politico.
La prima vittima “eccellente” della mafia è il banchiere Emanuele Notabartolo, assassinato nel 1893 sul treno che percorre la tratta tra Termini Imerese e Trabia.
A lui seguiranno innumerevoli personaggi i cui omicidi hanno tinto di rosso le cronache dell’ultimo secolo. Il giornalista Mino Pecorelli, l’Onorevole Pio La Torre, l’avvocato Giorgio Ambrosoli, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, fino ai più tristemente famosi casi del Giudice Giovanni Falcone e del magistrato Paolo Borsellino.
Con rara sensibilità istrionica, Giulio Cavalli pone come intermezzo tra tratti prettamente cronachistici e video documentari accompagnati dalla piacevole musica di Stefano Bellotti, sentite e patetiche interpretazioni di un Andreotti intento a proclamarsi innocente nonostante i fatti affermino nettamente il contrario, senza negare al pubblico quella malcelata e amara ironia che contraddistingue i suoi spettacoli. E ancora, in un impeccabile siciliano, si cala nei panni di un Tommaso Buscetta collaboratore di giustizia, intento a chiarire la natura dei rapporti tra il Divo e Salvo Lima, di Baldassare “Balduccio” di Maggio che descrive gli incontri avvenuti tra Andreotti e il Capo dei Capi Totò Riina.
La musica narra, descrive e accompagna lo spettatore, supportando la figura solitaria dell’attore sul palco. Il monologo incalzante, litigioso, caratterizzato da un tono che non ammette repliche, esprime la rabbia di chi è costretto a vivere sotto scorta per amore della verità, dinanzi a uno Stato che dovrebbe per definizione garantire protezione e sicurezza, in quanto sinonimo di collettività, e che invece “se ne lava le mani”.
Ed è proprio quando lo spettacolo si avvia alla chiusura, quando quella malinconia fatta di consapevolezza comincia a serpeggiare tra le file del pubblico, che Cavalli chiude, ancora una volta, con un testo di sua composizione, intitolato “Il sorriso di Bruno Caccia”. E’ un monologo che tiene vivo un esile filo di speranza. La memoria, il ricordo di chi è stato costretto a rinunciare alla propria vita, sopravvive, e senza censure.
Un ultimo saluto al pubblico, poi le luci si spengono, la sala si svuota, gli spettatori abbandonano i loro posti con la consapevolezza che l’innocenza senza sottintesi di chi ha combattuto per la verità non si cancella, ed è quella più autentica. Anche se, purtroppo, non è sempre quella che conta.
Da caffèNews
Teatrionline su “L’innocenza di Giulio”
Successo per l’intenso monologo di Giulio Cavalli
“L’innocenza di Giulio, Andreotti non è stato assolto”. Secco il titolo per quello che è uno spettacolo intenso, senza mezze misure, “maleducato e rissoso” come sottolinea lo stesso Giulio Cavalli, che da anni paga con la vita sotto scorta il suo teatro di impegno civile. Il Nuovo Teatro Sanità ha ospitato per due giorni l’attore milanese, tanti gli applausi e l’emozione della sala. Cavalli giunge a Napoli dopo un ottobre burrascoso, avrebbe dovuto allestire lo spettacolo il mese scorso, ma è slittato a causa di nuove minacce all’artista. A introdurre il monologo è un video di Giancarlo Caselli, il giudice che ha istruito il processo Andreotti, che ribadisce come l’informazione sia stata manipolata e quanto la “memoria” sia stata rimossa fino a volere Andreotti “assolto”. Ma il rapporto stato-mafia va oltre la figura del “divo Giulio”, affonda le radici nella storia d’Italia, parte da 100 anni fa. Nel 1893 veniva ucciso Notarbartolo, il primo delitto politico, il primo nome in una lunga lista di innocenti. Quei nomi e quei volti, i tanti morti ammazzati compaiono nei video che alternano i monologhi di Cavalli, accompagnati dalle bellissime musiche di Stefano “Cisco” Bellotti. L’attore in un’altalena di emozioni si fa testimone e accusato. Diventa Tommaso Buscetta, che nella sua deposizione ricostruisce i rapporti di Andreotti con Salvo Lima e con “gli amici degli amici”, o Balduccio di Maggio che interrogato durante il processo riporta l’incontro tra Belzebù e il boss dei boss Totò Riina, o ancora con quel tono irriverente ed ironico che lo contraddistingueva assume le sembianze oscure dello stesso “divo” intento a negare ogni rapporto con la mafia. Pochi oggetti lo aiutano nella messa in scena, due sedie di legno con leggìo, ognuna ai lati del palco, sul fondo un inginocchiatoio su cui è poggiato un impermeabile, l’angolo della non confessione. Uno spettacolo costruito come un mosaico, tanti pezzi che portano ad un’unica conclusione. Una vicenda quella del processo Andreotti in cui i “cattivi” sono sempre ritratti in foto con il divo e i “buoni” sono morti ammazzati, come Ambrosoli o il generale Dalla Chiesa. Le parole di Cavalli tracciano una lungo balletto tra stato e mafia fino ai giorni nostri, pesano come dei macigni e colpiscono la sensibilità dello spettatore che non può far altro che costatare la verità del finale: la storia del nostro paese dimostra che ci sarà sempre “un’innocenza di Giulio”.
Francesca Bianco per teatrionline.com
(da Campania su web) «In ogni era ci sarà un’Innocenza di Giulio». Cavalli al NTS
Avrei potuto aspettare come tutti gli altri. Avrei potuto mettermi in fila, stringere i denti, tirare le labbra in un sorriso e aspettare. Uguale e preciso a tutti gli altri. E invece non l’ho fatto. Me ne sono andato subito, praticamente due minuti dopo la fine dello spettacolo. E non perché non mi fossero piaciuti Giulio Cavalli e la sua “Innocenza di Giulio”. Anzi, al contrario: mi sono piaciuti talmente tanto che mi sono detto che conoscere l’interprete, la voce sciorinante e sciorinata, la mano dietro i gesti, il sorriso dietro le imitazioni di Andreotti mi avrebbe spezzato. Nel fisico come nell’animo. E allora via: dalla Sanità, dal NTS, a casa: viaggio diretto senza fermate. In testa solo una cosa: la voce di Giulio Cavalli. Una voce che ti coinvolge e che – assurdamente – ti parla. Che si fa ascoltare.
MAFIA: UN STORIA LUNGA 100 ANNI – Chiudo gli occhi e lo vedo. Lui, Giulio, seduto su una sedia di legno, di quelle vecchie che a Napoli si trovano ancora, schienale dritto, spalliera ricurva e niente braccioli, laccata e lucida. Lì, seduto, che parla. Racconta una storia, quella della Mafia. Una storia vecchia di 100 anni, ammuffita ed appesantita dai ricordi. Una storia, però, attuale. I volti, le immagini, le musiche: un mix incredibile, un viaggio onirico a occhi aperti. A me, francamente, è piaciuto. Ho visto un uomo, Giulio, affrontare un mostro, una leggenda, una macchia senza nome e senza età: l’altro Giulio. E ho capito – ho pensato di aver capito – tante, tantissime cose. Le apparenze sono solo apparenze, non sono quello che sembrano: «Non è tutto oro quello che luccica». La Mafia c’è, esiste ed è sempre presente. Ovunque, anche dove meno te l’aspetti. Questo ho sentito nelle parole di Cavalli: la presenza costante, l’ombra senza forma e senza peso della Mafia. Un’ombra marcia, fetente, terribile. Da vomito. «In ogni era c’era e in ogni era ci sarà un’Innocenza di Giulio». «Siamo un paese di opportunità». Secco, lapidare, profetico.
UN OCEANO DI STORIE – Ne “L’Innocenza di Giulio” non c’è solo l’Andreotti politico; c’è pure un po’ di quell’Andreotti furbo e furbacchione, di quella mano che tocca e che palpa; di quella storia, sentita e risentita, che si chiama “omertà all’italiana”. Morti ammazzati: ce ne sono ovunque nel monologo di Cavalli. Coincidenze, fatti, incontri e scontri. Una catena infinita. Una catena che inizia e che non finisce. Andreotti che non sa, Andreotti che non conosce: né i cugini Salvo né i boss di Cosa Nostra. C’è una sentenza – una sentenza che non dichiara l’innocenza, ma che ne convalida, al contrario, l’inesistenza. E c’è un uomo: camicia, bretelle calate, pantaloni, mani che non stanno ferme un attimo, che racconta. Vomita parole, si ripete, si rinnova. Spiega. Un fiume, un fiume in piena; un oceano di storie. Mafia contro mafia, politica contro politica. Mafia e politica a braccetto.
DA ANDREOTTI A BERLUSCONI – Lo spettacolo di Cavalli è frenetico, febbricitante, vissuto sulla pelle e raccontato con voce roca, a tratti modulata (all’Andreotti) e a tratti irriconoscibile. Un’ora e mezza passata a sentire, a capire, a ricordare. Un bis che bis non è e che riprende la storia di un Andreotti 2, meno furbo ma ugualmente promettente: Silvio Berlusconi. Poi c’è Dell’Ultri, di cui bisogna parlare leggendo – «perché m’ha denunciato, e contrariamente a Giulio ha ancora qualche decennio». E c’è Mangnao e c’è Cinà, «la brava persona». C’è la Mafia al nord negli anni ’80 con la storia di Bruno Caccia e c’è la gente per bene con i cento passi cantati in sottofondo.
UNO SPETTACOLO DE VEDERE – A noi – come ha detto Cavalli – piace raccontare le storie dalla fine. E l’ho fatto anche io, con la mia premessa. Me ne sono andato prima da teatro, pur potendo parlare con il protagonista. Avevo questa sensazione dentro, come se conoscessi Giulio Cavalli da anni, lui che non è mio coetaneo, lui che è attore e scrittore civile. A me il suo racconto è piaciuto. E vi consiglio di andare a vederlo. Perché una storia raccontata così è una storia che vale la pena di essere ascoltata. È una storia bella, ma di quella bellezza terribile, non da film contemporaneo o da fiaba, ma da monologo. Bella come solo l’onestà, certe volte, sa essere.
(Intervista, da LA REPUBBLICA) Teatro sotto scorta per Giulio Cavalli Impegno civile al rione Sanità
“Smettiamola con questi voyeurismi paratelevisivi sui personaggi minacciati: interroghiamoci invece su che razza di paese è quello che costringere sotto scorta i suoi cittadini”. Giulio Cavalli, sotto scorta dal 2009 per il suo impegno antimafia a teatro, si esibirà all’Nts -Nuovo Teatro Sanità stasera alle 21 e domani alle 18 con “L’innocenza di Giulio – Andreotti non è stato assolto” (ingresso 10 euro). Lo spettacolo, che doveva andare in scena il 5 ottobre, è slittato a causa delle nuove minacce ricevute da Cavalli: l’attore ha ritrovato nel giardino della sua casa romana una pistola carica.
Dopo l’allarme e il trasferimento in una nuova località protetta con la sua compagna Miriana Trevisan, Cavalli è riuscito a fare una breve tappa a Napoli il 15 ottobre per guidare la Mehari di Giancarlo Siani. L’attore ha scelto di portare il monologo sul “Divo Giulio” solo al rione Sanità: “Altrove – spiega – nei teatri da avanspettacolo, non sareiandato”. E proprio una storia di camorra è al centro del suo romanzo in uscita a gennaio per Rizzoli: è la vicenda di Michele Landa, il metronotte ucciso a Mondragone. Si intitola “Mio padre in una scatola di scarpe”, ispirato alla vittima innocente che sorvegliava i ripetitori telefonici rubati dalla camorra.
Cavalli, come si vive sotto scorta?
“Non vivo peggio di chi non ha i soldi per arrivare a fine mese o di chi vive in territorio sotto ricatto delle mafie. Non voglio diventare, però, l’oggetto scenico dei miei spettacoli, quindi smetterei di parlare della scorta, e parlerei invece di che razza di Paese è quello che costringe sotto scorta i suoi cittadini”.È stato consigliere regionale in Lombardia nelle fila dell’Idv, il suo teatro civile si occupa di mafia: cosa pensa della desecretazione tardiva dei verbali del 1997 nel quale il pentito Schiavone ammetteva che in vent’anni la popolazione della Terra dei fuochi sarebbe morta di cancro?
“Credo sia una magra consolazione per il movimento della Terra dei fuochi: la vera vittoria ci sarà quando avremo una classe dirigente capace di portare in Parlamento le tematiche centrali per il bene dei cittadini, e non solo dopo una manifestazione o la dichiarazione di un pentito”.In questi giorni i residenti del rione Sanità denunciano la recrudescenza criminale, anche se ilquartiere riesce ancora ad essere meta dei turisti. Perché ha scelto di andare in scena nel neonato teatro Nts, e non in uno più blasonato?
“Nei templi dell’avanspettacolo non avrei messo piede. È meritevole il lavoro portato avanti del direttore artistico Mario Gelardi in un quartiere complesso, e va sostenuto. Ma, intendiamoci, questo paese non ha bisogno di altri eroi, anche perché l’Italia, dove devi essere morto per essere credibile, non si cambia certo solo con ilteatro e la cultura…”A proposito, sul Forum delle culture, che è sempre sul punto di saltare, quali consigli dà al suo amico Luigi de Magistris?
“Luigi ha tante grane da sbrigare, mi sembra di capire. La questione però è che a Napoli e nel resto del Paese la cultura è derubricata a faccenda minoritaria, quando sento il ministro Bray elencare i suoi propositi mi ricorda la solitudine de “Il deserto dei tartari”.Lo spettacolo su Andreotti nasce dalla collaborazione con il procuratore di Torino Giancarlo Caselli e lo scrittore Carlo Lucarelli, musiche di Cisco dei Modena City Ramblers. Quando ha capito che aveva trovato un taglio originale per una storia arcinota?
“Semplice: quando Andreotti si è arrabbiato. La sua storia è stata sempre raccontata in maniera edulcorata, il mio spettacolo invece è rissoso, maleducato: conoscere il processo Andreotti significa riconoscere la politica che tenta di legittimare l’illegalità. Il pentito di ‘ndrangheta che ha rivelato il piano per farmi fuori diceva che ero uno “scassaminchia”: beh, forse è vero…”
(Da LINKIESTA) Il divo Giulio: a Napoli, NTS, raccontato da Cavalli
(da www.linkiesta.it)
Giocava il Napoli ieri sera. E in città – potete credermi se ve lo dico – non volava una mosca. Piglio il pullman, scendo le scale, seguo la strada e m’avvio al NST: il teatro diretto dal capace Mario Gelardi, che da una chiesa ha cavato fuori una perla. Giulio Cavalli è di là, oltre il portone massiccio del foyer, che prova e riprova, perché – mi ha raccontato poi una degli addetti ai lavori – «è arrivato tardi». Sono le 8 e alle 9 si comincia.
Potrei raccontarvelo in tutte le salse. Dirvi, molto banalmente, che m’è piaciuto. Che Cavalli mi ha conquistato. Che chi lo critica, a torto o a ragione, non vede il quadro completo, non ha gli occhi aperti; pensa di sapere e in realtà ignora. Mafia, vittime, politica, democrazia cristiana e Andreotti. Andreotti su tutto, come un ragù insipido e annacquato: Andreotti che parla, che si confessa, Andreotti al processo; Andreotti che prende vita nella voce dell’altro Giulio.
Come se non bastasse Cavalli, ci si mettono anche la musica, i video, le testimonianze. Uno spettacolo interattivo e interagente. Uno spettacolo breve – rispetto alla media – ed essenziale in tutte le sue parti. Un docu-film senza pellicola che inizia e finisce allo stesso modo: raccontando dell’innocenza, presunta, urlata e inesistente, di un uomo. Prima di Andreotti, poi – scherzo del destino – di Berlusconi. Filo conduttore: Cosa Nostra. Dai cugini Salvo a Salvo Lima, da Riina a Mangano, alla «brava persona» Cinà; al boss Belfiore, assassino di Bruno Caccia.
Il bis non-bis, le risate (amare), i racconti, i pensieri. Questo è teatro impegnato prima ancora che civile. Per denunciare certe cose su un palco, in diretta, con gli spettatori che ti fissano dritto in faccia, aspettando solo di poterti riprendere per il tuo più piccolo errore, non ci vuole coraggio, ci vuole qualcosa di più. Ci vuole onestà, che trovarla, di questi giorni, è proprio un’impresa.
di Gianmaria Tammaro
Negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli
Nel 1982 a Palermo arriva un uomo senza mezze misure. Questa storia, il processo a Giulio, è uno via vai tra persone insopportabilmente opposte. E qualcuno rimane sempre per terra. Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa arriva a Palermo nel mese di maggio quando sbocciano i fiori. Prefetto contro Cosa Nostra, lo dicono tutti. “Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì” dice lui. Il Generale sa bene che per toccare il cuore di Cosa Nostra c’è da andare ad infilare il dito tra la piega melmosa dove mafia e politica si baciano con la lingua. Sul suo diario scrive del suo colloquio con Giulio del 5 aprile 1982. “Gli ho detto quello che so dei suoi in Sicilia”, annota, “sono stato molto chiaro e gli ho dato però la certezza che non avrò riguardo per quella parte di elettorato alla quale attingono i suoi grandi elettori”. Se questa storia fosse solo un film Dalla Chiesa sarebbe il coraggioso che alla fine vince. Eppure, dice il generale, “ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per potere continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli. C’è troppa gente onesta, tanta gente qualunque, che ha fiducia in me. Non posso deluderla”. Se questa storia fosse un film il generale dovrebbe vincere, con un bel bacio sul finale. Da vivo. Ma questa storia è un’ombra. Un’ombra come un peccato originale. Un’ombra che lascia gente per terra in un campo dove gli opposti non possono convivere, e vivere nemmeno. Alle 21.15 del 3 settembre 1982 la A112 bianca dove viaggiava il Prefetto Dalla Chiesa e la moglie Emanuele Setti in via Carini viene affiancata da una BMW che sputa un Kalashnikov AK-47. Muoiono i coniugi Dalla Chiesa e l’agente di scorta Domenico Russo che seguiva pochi metri più indietro. “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti” urla un cartello affisso il giorno dopo. Vengono condannati come mandanti Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. ll 5 settembre al quotidiano La Sicilia arrivò un’altra telefonata anonima, che annunciò : “L’operazione Carlo Alberto è conclusa”.
(dallo spettacolo teatrale L’INNOCENZA DI GIULIO Andreotti non è stato assolto)
Venerdì a Lucca
A presentare L’innocenza di Giulio per LuccaLibri. Alle 18, corso Garibaldi 54.
E per discutere di andreottismi vecchi e nuovi.
L’innocente Giulio sa tutto
Bravo Fabrizio Moro.
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