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«Non ascoltate Giulio Cavalli, non leggete il suo nuovo libro»: Mattia Tortelli recensisce Carnaio

Non ascoltate Giulio Cavalli, non leggete il suo nuovo libro. È un romanzo disumano e crudele, pieno di senso dell’orrido e della bassezza a cui l’uomo può spingersi.
La storia di DF – che come dice lui “è il centro del mondo che scivola verso l’orrore” – non interessa a nessuno, non ci riguarda. 
Figuriamoci se un giorno, dal mare, potrebbero mai arrivare cadaveri di persone che non hanno il nostro colore della pelle, prima singoli corpi e poi a ondate: migliaia ogni onda. Figuriamoci poi se un sindaco e i suoi cittadini potrebbero mai accettare di costruire una barriera di plexiglass per contenere queste ondate di carne che sporca le strade e crea disagio. Figuriamoci se poi una città potrebbe mai staccarsi dallo Stato centrale, dichiarandosi autonoma e sfruttare proprio quei morti come fonte di sostentamento. Ma poi, sfruttare. È un termine che non useremmo mai per degli esseri umani, no?
Dal mare arriva gente senza passato. E quello che succede a DF non potrebbe mai succedere oggi, no. Mi dispiace che Giulio Cavalli abbia descritto per filo e per segno un’umanità – anzi una disumanità – che non ci appartiene per niente. Ha sbagliato. Non c’è nessun pericolo di renderci conto della direzione che stiamo prendendo se riusciamo a tenere lontani i problemi e fare di quei morti una risorsa. Le famose risorse. Tutto al contrario. Dalla paura e dal nemico, comincia sempre così.
Non leggete Giulio Cavalli se credete alle parole che ho scritto qui sopra. Ma se invece le avete lette come una provocazione, entrate in libreria a comprare “Carnaio”, abbiate lo stomaco forte e prendetevi il pugno in faccia che questo libro riesce a dare: una distopia perfetta.
Sono emozionato di parlarne con Giulio in persona sabato 1 dicembre alle 18 alla libreria La Storia. Per il libro, ma soprattutto per quello che, oggi, Giulio rappresenta. 📚
“Quando se ne va l’umanità, anche il vero diventa un lusso: non è per ignoranza, come potrebbe sembrare, Ma per un rimescolamento avvelenato delle priorità. Il trucco, mamma, sta nel convincere le persone che esista qualcosa di altro da proteggere […] e che tutto il resto sia terribilmente poco importante.” 📖
#ribellechilegge

(fonte)

Ogni giorno, tutti i giorni, uno schizzo sull’Italia e su Giulio Regeni

Ma dove sono tutti i sovranità e i difensori della Patria di fronte a questa Italia calpestata, stropicciata, abusata e derisa da Al Sisi e il suo Egitto che trattano l’Italia come scema del villaggio? Ma dove sono Gentiloni e Alfano, quelli che si ostinano a garantirci che l’Egitto è un partner “corretto e affidabile” se non addirittura “ineludibile” mentre la verità sulla morte di Giulio Regeni non solo si allontana ma addirittura viene sfigurata ogni giorno di più? Ma che dice l’ambasciatore italiano in Egitto, fresco di nomina che ci hanno detto essere indispensabile, di ciò che accade? Non ha tempo, l’ambasciatore, di rilasciare una dichiarazione, divergere almeno un tiepido comunicato stampa? E dove sono i difensori dei marò di fronte a questo giovane italiano ucciso e alla sua famiglia senza risposte?

Ieri l’avvocato egiziano Ibrahim Metwally Hegazy, uno dei componenti dell’associazione che cura la difesa di Giulio Regeni in Egitto, è apparso davanti al magistrato della sicurezza in stato di arresto. Era “scomparso” domenica mentre si imbarcava per Ginevra invitato dalle Nazioni Unite per presentare una relazione sugli “scomparsi” in Egitto. L’accusa? Dice Al Sisi che farebbe parte di un gruppo che vorrebbe sovvertire la democrazia in Egitto. Funziona sempre così: nei governi tirannici, anche se travestiti, la parola “democrazia” diventa un vuoto sinonimo della volontà del capo.

In pratica, secondo Al Sisi, non solo Regeni si è ammazzato da solo (se non ci sono colpevoli alla fine la colpa è dei morti) ma addirittura chi difende la sua famiglia sarebbe un pericoloso terrorista. Terrorismo italiano in terra d’Egitto.

E in tutto questo rimbomba tetra la frase nuda di un tiepido Gentiloni che ieri ha ripetuto il ritornello della “verità su Giulio Regeni” come “dovere di Stato”. Ogni giorno uno schizzo. Tutti i giorni.

Buon mercoledì.

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Alfano il cameriere, l’Italia lo zerbino: così si frolla il cadavere di Giulio Regeni

Angelino Alfano ha strizzato il proprio povero vocabolario per difendere la scelta del governo di rispedire in Egitto l’ambasciatore italiano seppur in assenza di qualsiasi passo in avanti nella ricerca della verità sulla morte di Giulio Regeni. “L’Egitto è un partner ineludibile dell’Italia, allo stesso modo come l’Italia è imprescindibile per il Cairo” ha dichiarato ieri di fronte alle commissioni di Camera e Senato riunite ieri per fare il punto sulla vicenda.

In sostanza il Ministro agli Esteri ha preso ispirazione da Il Trono di Spade citando Stannis Baratheon: “Cos’è la vita di una sola persona di fronte a un regno?”. Nulla. Certo.

Poi è riuscito a trattare l’inchiesta del New York Times come se fosse uno spiffero di corridoio.

La chiamano “realpolitik” e invece è la codardia di chi molla il colpo fingendo che ci siano interessi più alti di una verità negata. È la solita Italia: quella che commemora con aule universitarie morti di cui non ci hanno raccontato abbastanza, provando a convincerci che davvero funzioni commemorare una storia che non ci è nemmeno stata raccontata.

Sullo sfondo c’è la Procura di Roma, incagliata in una mancata collaborazione con l’Egitto che è vergogna aggiunta alla vergogna, che ora deve farsi carico anche del peso politico, oltre che giudiziario.

Sullo sfondo gode Al Sisi, governante dalla scarsissima democrazia, che sorride mentre usa l’Italia come lettiera. C’è sempre un motivo superiore, quando i governanti non hanno il coraggio di dichiarare la resa.

Ma ve lo ricordate quando il governo egiziano ci disse che Regeni era morto in un incidente stradale? Ve lo ricordate Al Sisi quando mentì dicendo che Regeni non era conosciuto dai servizi segreti egiziani? Ecco. Non è nemmeno più indignazione: è uno scoramento, che puzza.

Buon martedì.

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E intanto Giulio Regeni appassisce

Al presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi «abbiamo portato un messaggio estremamente chiaro», e anche «molto unitario, della delegazione: L’Italia avverte fortemente il bisogno di verità» sul caso di Giulio Regeni, sull’ «omicidio di un nostro figlio», ha detto il senatore Nicola Latorre al Cairo aggiungendo che «questa verità ha bisogno di un impulso significativo nell’attività di cooperazione giudiziaria». Lunedì la delegazione del Parlamento italiano (guidata proprio dal senatore Latorre) ha raggiunto l’Egitto (anche) per capire a che punto stiamo con la verità su Giulio Regeni. Indietro. Molto indietro.

Per darvi un’idea: da una parte noi italiani abbiamo chiesto che si rafforzassero (o forse, si “attivino” sarebbe più giusto visti i risultati scarsi fin qui) le linee di cooperazione fra magistratura italiana e Egitto mentre Al Sisi rispondeva augurandosi di «proseguire la cooperazione stretta e continua fra gli inquirenti nei due Paesi». In pratica noi gli abbiamo detto «bisogna cambiare passo!» e quelli ci hanno risposto «avete ragione, allora continuiamo così!».

E qui sta il punto: la verità su Giulio Regeni passa per forza dal coraggio di dismettere i panni falsi cortesi di chi continua a trattare Al Sisi come il sincero democratico che non è. Lo spettacolo dell’Egitto avvenuto con la delegazione italiana (con il leader egiziano principalmente preoccupato di “rilanciare le relazioni internazionali” tra i due Paesi) è umiliante. Ancora. Per l’ennesima volta.

Anche se ogni volta sembra che se ne parli sempre un po’ meno.

E intanto Giulio Regeni appassisce.

Buon venerdì.

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E se il 18 giugno a sinistra nascesse un’alleanza non solo “di cartello”?

Ogni giorno un cambio di casacca, un mito utile, un nuovo leader straniero da qualche parte del mondo qualsiasi per provare a risvegliare una fascinazione nutrita solo dall’emotività del protagonista. Nel giro di qualche giorno sono stati prima tutti Macron, poi tutti Corbyn e poi di nuovo Macron così come la destra italiana si è appesa nei mesi scorsi a Trump (prima di pentirsene) o alla Le Pen (prima di prenderne le distanze per il pessimo risultato elettorale). Così anche le analisi e gli scenari sembrano più figli di un’emotività corta piuttosto che di ideali o progetti dallo sguardo lungo: siamo passati dal patto del Nazareno tra Pd e Berlusconi (che anche qualcuno dai democratici cominciava a dare per scontato e che ha scatenato le ire addirittura del garbato Romano Prodi) fino a una presunta alleanza (meglio: un tentativo di alleanza) tra il Pd e Giuliano Pisapia.
A sinistra, intanto, l’appuntamento per il 18 giugno (a Roma, teatro Brancaccio, dalle ore 9.30) che nasce dall’appello di Anna Falcone e Tomaso Montanari e sembra avere raccolto l’iniziale disponibilità di un ampio fronte che parte da Rifondazione comunista passando per Sinistra italiana, Possibile, Mdp e diversi comitati civici sparsi sul territorio suggerendo l’inizio di un percorso che, nel caso in cui si realizzasse, sarebbe una buona notizia per la sinistra italiana troppo spesso arroccata e divisa. Se davvero si riuscirà a creare una condivisione di idee e di programmi senza infangarsi su leadership e cattivi propositi di preservazione del ceto politico fallimentare, il 18 giugno potrebbe essere il primo passo di un’alleanza non solo di “cartello”. Del resto le ultime elezioni amministrative hanno dimostrato che quando la sinistra (a sinistra del Pd) riesce a raggiungere un’unità credibile può raggiungere risultati davvero importanti.

Ma come sarà il futuro? Difficile dirlo. Certo Giuliano Pisapia e il suo Campo progressista (che dicono di voler presentare addirittura un simbolo e un programma per la loro convention del primo luglio) dovrà decidere se insistere nel tentare di modificare la natura renziana del Pd (perdendo così contatto con chi, a sinistra, ritiene il Partito democratico non più potabile) oppure se dedicarsi al progetto che vuole essere alternativo al renzismo e alle politiche di questi ultimi anni.

L’articolo di Giulio Cavalli prosegue su Left in edicola


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