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Giuseppe Pignatone

Ah, l’operosa Lombardia

Mappa delle cosche della 'ndrangheta in Lombardia
Mappa delle cosche della ‘ndrangheta in Lombardia

“L’infiltrazione delle mafie negli enti locali non è una novità, c’è sempre stata, oggi è più accentuata, anche a giudicare dalle indagini c’è una presenza più evidente”. A dirlo è il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone. Secondo il magistrato “negli ultimi anni di crisi dello Stato negli enti locali una certa quantità di denaro ha continuato ad esserci”, dall’altro lato “c’è anche un minor controllo sociale”. “Ecco perché – ha osservato Pignatone – quasi in ogni operazione antimafia troviamo un amministratore locale coinvolto“. C’è una differenza rispetto ai decenni scorsi: “Se penso alle centinaia di morti ammazzati dalla mafia a Napoli, Reggio Calabria e in Sicilia negli anni Settanta e Ottanta, fino ai primi Novanta, la situazione di oggi è diversa e molto variegata”, sostiene Pignatone. Sul tema della lotta alla mafia, aggiunge, “tantissimo è stato fatto ma tantissimo c’è ancora da fare”. Il magistrato sottolinea come in alcune aree d’Italia “come la Lombardia” ancora spesso si neghi l’esistenza stessa della mafia.

(fonte)

Mafia Capitale: confiscati i beni al “povero” Diotallevi

3447786819Quote societarie, immobili a Roma e Olbia, un hotel a Fiuggi, conti correnti ed opere d’arte, per un ammontare di 25-30 milioni di euro, riconducibili a Ernesto Diotallevi, ritenuto dalla procura di Roma il referente locale di Cosa Nostra sono stati confiscati dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Roma.

La decisione è stata presa in accoglimento di una richiesta dei pm Paolo Ielo, Luca Tescaroli e Giuseppe Cascini che, sotto la direzione del procuratore Giuseppe Pignatone, indaga sulla cosiddetta Mafia Capitale. Esclusi dalla confisca, con revoca del sequestro, si legge nel provvedimento di 110 pagine firmato dal collegio presieduto da Anna Criscuolo, il 50 percento della società «Lampedusa srl», alcuni quadri, una vettura, il 49% del patrimonio aziendale della «Gamma Re srl» e una decina di conti correnti con importi intorno ai 1.000 euro. Il tribunale ha anche rigettato i ricorsi di Banca Carim, Banca Sella e Banca Tercas, in relazione a contratti di mutuo e di apertura di credito, garantiti da ipoteca sugli immobili, stipulati in favore dei fratelli Diotallevi e di Carolina Lucarini, moglie di Ernesto, ritenendo che questi siano stati concessi in malafede.

La sentenza emessa dal tribunale di Roma, impugnabile da Diotallevi in corte di appello, apre la strada ad analoghe iniziative già sollecitate dalla procura per altri indagati nell’inchiesta su Mafia Capitale. Tra questi Massimo Carminati, accusato di essere il «dominus» dell’associazione per delinquere di stampo mafioso

A proposito di Roma, di mafia, di contagio, di Pignatone

Mai come adesso varrebbe la pena leggersi il libro di Pignatone e Prestipino Il contagio: Come la ‘ndrangheta ha infettato l’Italia

Schermata 2014-12-21 alle 14.23.09Non c’è alcun pezzo di società che possa dirsi impermeabile al contagio mafioso. Tutti sono esposti al virus criminale, sia in Calabria che fuori dalla Calabria. Attenzione, questo non significa che tutta la società è contagiata, significa che è tutta esposta al rischio del contagio. Con un’esperienza maturata alla procura di Palermo, Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino sono i magistrati che hanno portato in Calabria i metodi investigativi messi a punto da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino contro Cosa Nostra. Con le loro indagini hanno rivelato la faccia torbida delle relazioni tra la ‘ndrangheta e il Paese ufficiale: non soltanto imprenditori e politici, ma perfino ufficiali dei carabinieri, magistrati e collaboratori dei servizi segreti pronti al doppio gioco per favorire le latitanze dei boss e gli affari delle cosche. Un gioco pericoloso, dal quale la ‘ndrangheta è uscita spesso vincente, perché ha contagiato trasversalmente tutta la società. In queste pagine il racconto, curato da Gaetano Savatteri, preciso e puntuale, ricco di osservazioni, in presa diretta e con rivelazioni inedite, dei due magistrati, sulle ragioni per cui la ‘ndrangheta è riuscita a infiltrarsi anche nelle regioni più ricche d’Italia, come la Lombardia, il Piemonte e la Liguria, con un sistema di colonizzazione rigidamente regolato: a Milano si guadagna, in Aspromonte si decide. Un sistema antichissimo capace di stare al passo con i tempi. Forse la sfida più difficile dello Stato, che impegna tutta l’Italia sulla frontiera di Reggio Calabria.

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La lezione di Pignatone

Ancora una volta la lezione di buona politica, di buona amministrazione o forse semplicemente di buona cittadinanza arriva da un magistrato. E nonostante siarassicurante che esistano uomini di giustizia con pensieri di questa profondità rimane la perplessità di un periodo storico in cui alla magistratura vengono delegati anche i doveri che dovrebbero essere degli intellettuali, dei buoni politici e degli editorialisti. Eppure sembra che vada bene (a tutti) così.

La lezione (alla politica) del capo della Procura. «La premessa, per parlare di Roma: non tutto ciò che non è reato corrisponde a una buona amministrazione…». Quando al Teatro Quirino, alla conferenza del Pd, parla il procuratore Giuseppe Pignatone, c’è un silenzio totale, interrotto qua e là dagli applausi: sarà che l’uomo ha una storia di impegno, di dedizione alla giustizia, di lotta alla criminalità organizzata, ma sarà anche per ciò che dice. Una sferzata. Un resoconto dettagliato dei rapporti tra mafie e politica, amministratori locali, imprenditori. Non viene mai nominato, ma certo c’è il caso Di Stefano sullo sfondo (il deputato Pd accusato di aver intascato mazzette). Soprattutto, la relazione del capo della Procura offre un quadro deprimente per la Capitale, fatto di «rapporti ambigui», e testimoniato anche dalle inchieste, da quel «miliardo di beni sequestrato nel 2014», «dai reati contro la pubblica amministrazione, uno dei problemi maggiori di Roma». Quando smette di parlare, salutato dal lungo applauso, l’ex capogruppo Pd in Comune, Francesco D’Ausilio, parla di «una nuova questione morale per Roma».

Dal narcotraffico alle frodi

Chiude così la sua relazione, Pignatone: «Giovanni Falcone diceva che sulla scrivania di ogni magistrato e di ogni investigatore dovrebbero essere incise le parole “Possiamo sempre fare qualcosa”. Forse, dico io, queste parole dovrebbero essere incise anche sulla scrivania di ogni politico e di ogni amministratore…». La presenza mafiosa va al di là dei reati che, pure, non mancano: «Sono in aumento le denunce per tangenti». Chiede di «cambiare le regole, sugli appalti, sulla trasparenza, basta con il ricorso continuo all’emergenza». Servono «meccanismi premiali, come per i collaboratori di giustizia, per il corrotto o per il corruttore che fornisca elementi utili alla condanna della controparte». Anche «se poi – fa notare – le regole sono importanti ma sono le persone che fanno la differenza…». Chiaro, no?
La situazione, in città, è complessa: «Narcotraffico, reati informatici che crescono in maniera esponenziale, terrorismo, colossali frodi in danno agli enti pubblici e dell’Unione europea, fino alla grande evasione fiscale». L’elenco è lungo.

La causale dell’assegno? «Tangente»

Del resto «le indagini hanno dimostrato la presenza della criminalità organizzata di tipo mafioso, di almeno due organizzazioni a Ostia, una collegata a Cosa Nostra, entrambe pronte a far ricorso alla violenza». Ma, attenzione, non c’è solo la violenza: «A Roma ci sono altri mezzi, c’è la corruzione. La criminalità aspetta che gli aggiustino le gare d’appalto, aspetta i tempi della burocrazia, della politica…». E dunque nella Capitale esiste «il rischio di un accordo tra mafia e altro, di un patto che non si basa sulla paura ma sulla reciproca convenienza». A differenza di quanto accade con la povera gente, «il politico in questo accordo è in una posizione di forza rispetto al mafioso». Non parla solamente di eventi previsti dal codice penale, ma «anche di etica». Di certo, «alle casse pubbliche vengono sottratti miliardi». Miliardi. Certo, «nessuna categoria può dirsi immune, neanche quella dei magistrati» ma è chiaro che il suo discorso, di fronte alla platea politica, ha tutt’altro bersaglio. A volte, dice, «cadono le braccia. Abbiamo sequestrato un carnet di assegni, la causale era di una sola parola, “tangente”». Scritta proprio così: senza traccia di pudore, di vergogna, di timore.

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Processo Infinito: questo è il nostro Paese

Pubblicato su IL FATTO QUOTIDIANO

Ieri a Palermo con Giuseppe Pignatone (Procuratore a Reggio Calabria che ha seguito la maxi operazione che ha coinvolto 150 affiliati di ‘ndrangheta solo in Lombardia) e Piergiorgio Morosini (GIP del Tribunale di Palermo) abbiamo incontrato centinaia di studenti (e qualche migliaio in diretta video da tutta Italia) per l’annuale progetto di educazione alla legalità del Centro Studi Pio La Torre. A pochi giorni dalle condanne in primo grado del processo ‘Infinito‘ è stata l’occasione di provare a leggere gli elementi, i fatti egli arresti: farsene carico, com’è doveroso per una Regione che voglia uscire dal negazionismo e iniziare un percorso di alfabetizzazione e consapevolezza. “Abbiamo messo a disposizione il materiale per conoscere meglio il nostro Paese”, ha dichiarato il Procuratore di Reggio e ora sta a tutti leggerlo, studiarlo e, soprattutto al Nord, raccontarlo. Senza remore, senza eroismi, senza personalismi.
Perché la ‘ndrangheta che esce dalle indagini (e dalle condanne in primo grado) non è solo il più pericoloso fenomeno in Italia (e non solo) ma ha dimostrato di avere esportato al Nord oltre ai soldi la struttura e il controllo. Almeno 25 locali in Lombardia, con centinaia di affiliati coinvolti e la consapevolezza di un’organizzazione: a Paderno Dugnano (nel tristemente famoso incontro avvenuto nel Centro Falcone e Borsellino) sono state ratificate le decisioni prese in Calabria. Organizzazioni territoriali che partono da Reggio Calabria e sono clonate in Lombardia, in Piemonte, Toronto e a Melbourne. Del resto non sono lontani i tempi in cui due locali con problemi di confini tra Svizzera e Germania si sono ritrovate a Rosarno per risolvere la disputa. In un’intercettazione qualcuno dice “qui se si sfascia l’organizzazione torniamo allo sgarro”, e allora il primo allarme è una consapevolezza internazionale che oggi l’Italia non ha nel senso di misura del fenomeno. Per questo è urgente ritrovare le chiavi di lettura per leggere (dietro queste ultime condanne) non solo l’aspetto più pittoresco e militare ma i punti di PIL persi in questi 30 anni (ne aveva parlato anche Mario Draghi scatenando feroci polemiche), la necessità di una serie legge anticorruzione, un nuovo dovere di ‘opportunita’ per la politica che non può permettersi di interloquire giustificandosi dicendo di non sapere, chiedere ostinatamente una norma anti riciclaggio per smutandare l’economia illegale e parlarne, parlarne ovunque, studiare subito.

Il problema non è solo economico o politico, la questione è vitale. Riguarda le vite di tutti: dei nostri figli che potrebbero avere dei concorrenti che vinceranno sempre perché lavorano per riciclare e non guadagnare, delle nostre città che si riempiono di case che sembra non interessi vendere, capannoni che cambiano gli orizzonti dalle nostre finestre costruiti per rimanere sfitti, ipermercati così vicini da non avere abbastanza clienti per sostenersi, pizzerie e bar nei centri delle nostre città che vengono acquistati e sontuosamente arredati senza avere bisogno di clienti: soldi che hanno bisogno di assumere in fretta una forma qualsiasi per non puzzare più di soldi.
Si invoca la magistratura, ma spesso la magistratura interviene sulle macerie, ha detto il GIP Morosini, il resto è cosa nostra.