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guardia di finanza

La sinistra si scalda per i processi a Salvini e ignora i migranti: 500 morti in 4 mesi (+200%)

Il Mediterraneo continua ad essere un cimitero liquido e il campo di battaglia di emergenze che spuntano solo quando tornano comode alla sfida politica. L’ipocrisia dei partiti sta tutta in quei numeri che diventano roncole quando servono per attaccare l’avversario e poi scompaiono se richiedono senso di responsabilità. Fra qualche mese, sicuro, comincerà di nuovo la fanfara degli sbarchi incontrollati come accade ciclicamente tutte le estati (con il miglioramento delle condizioni atmosferiche e quest’anno anche con l’allentamento del virus) e intanto sembra impossibile riuscire a costruire una chiave di lettura collettiva su cui dibattere e da cui partire per proporre soluzioni.

Però nel Mediterraneo un’emergenza c’è già, innegabile, e sta tutta nello spaventoso numero di morti in questi primi mesi dell’anno: mentre nel 2020 furono 150 le vittime accertate nel Mediterraneo quest’anno ne contiamo già 500, con un aumento quasi del 200%. A lanciare l’allarme è stata Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr, che ha partecipato al briefing con la stampa del Palais des Nations di Ginevra dal porto di Trapani in Sicilia, dove circa 450 persone stavano sbarcando in seguito al salvataggio da parte della nave della ONG Sea Watch: «Dalle prime ore di sabato 1 maggio – ha spiegato Sami – sono sbarcate in Italia circa 1.500 persone soccorse dalla Guardia Costiera italiana e dalla Guardia di Finanza o da Ong internazionali nel Mediterraneo centrale. La maggior parte delle persone arrivate è partita dalla Libia a bordo di imbarcazioni fragili e non sicure e ha lanciato ripetute richieste di soccorso».

Sami ha anche tracciato un primo quadro degli sbarchi nel 2021: «Mentre gli arrivi totali in Europa sono in calo dal 2015, – ha spiegato Sami – gli ultimi sbarchi portano il numero di arrivi via mare in Italia nel 2021 a oltre 10.400, un aumento di oltre il 170 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020. Ma siamo anche profondamente preoccupati per il bilancio delle vittime: finora nel 2021 almeno 500 persone hanno perso la vita cercando di compiere la pericolosa traversata in mare lungo la rotta del Mediterraneo centrale, rispetto alle 150 dello stesso periodo del 2020, un aumento di oltre il 200 per cento. Questa tragica perdita di vite umane sottolinea ancora una volta la necessità di ristabilire un sistema di operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale coordinato dagli Stati».

L’agenzia Onu «sta lavorando con i suoi partner e con il governo italiano nei porti di sbarco per aiutare ad identificare le vulnerabilità tra coloro che sono arrivati e per sostenere il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo» ma Sami sottolinea come continuino a mancare «percorsi legali come i corridoi umanitari, le evacuazioni, il reinsediamento e il ricongiungimento familiare devono essere ampliati» mentre «per le persone che non hanno bisogno di protezione internazionale, devono essere trovate soluzioni nel rispetto della loro dignità e dei diritti umani». L’incidente più grave finora è quello del 22 aprile, quando un naufragio ha causato la morte di 130 persone sollevando i prevedibili lamenti che ogni volta vengono spolverati per l’occasione. Solo una questione di qualche ora, come sempre, poi niente. La zona continua a essere completamente delegata alla cosiddetta Guardia costiera libica: «Nell’ultimo naufragio si parla di almeno 50 morti, noi abbiamo la certezza solo di 11 persone.  Quello che sappiamo è che erano in zona una nave mercantile e un’altra barca e che non sono intervenute, nonostante sia stato lanciato l’sos. E questo è molto grave: se c’è un natante in distress si deve intervenire, perché l’imbarcazione può affondare in qualsiasi momento. Ma ormai questa sembra essere una prassi consolidata: nessuno interviene in attesa che arrivi la Guardia costiera libica e riporti le persone indietro. Questo ci preoccupa molto», ha spiegato Carlotta Sami.

Secondo le stime dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) siamo al 60% di persone che tentano la traversata in mare e che vengono sistematicamente riportate indietro: «Almeno una su due è matematicamente riportata in Libia – spiega Flavio Di Giacomo, portavoce Oim, a Redattore Sociale -. Dopo l’ultimo naufragio abbiamo lanciato un appello all’Ue perché si rafforzi il sistema di pattugliamento in mare e si evitino altre tragedie, ma è caduto nel vuoto. C’è un silenzio politico assordante su questo tema. Si parla solo genericamente di un aumento degli arrivi: ma attenzione a evitare narrazioni propagandistiche perché nonostante la crescita i numeri restano bassi. Non esiste un’emergenza in termini numerici ma solo un’emergenza umanitaria, di morti e dispersi in mare».

Sempre a proposito di proporzioni poi ci sarebbe da capire perché le eventuali (gravi) responsabilità penali di Salvini quando fu ministro e lasciò alla deriva le navi delle Ong debbano infiammare più di questo spaventoso numero di morti che sembra non avere responsabili. Forse anche il centrosinistra, se vuole davvero occuparsi di diritti umani e non solo di dialettica politica, dovrebbe avere il coraggio di ripartire da qui.

L’articolo La sinistra si scalda per i processi a Salvini e ignora i migranti: 500 morti in 4 mesi (+200%) proviene da Il Riformista.

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Il sottosegretario dei migliori

Fanpage in una sua inchiesta che (c’è da scommetterci) difficilmente passerà nei telegiornali nazionali racconta la transizione politica dell’attuale sottosegretario all’Economia Claudio Durigon, uno dei fedelissimi di Salvini (e infatti per niente amato dalla Lega vecchia maniera). Ve lo ricordate Matteo Salvini quando tutto fiero presentava i suoi uomini nel governo Draghi? «Questo è il governo dei migliori?» gli chiese una giornalista e lui rispose «certo questi sono gli uomini migliori della Lega».

Bene, eccolo il migliore: come racconta benissimo Fanpage, Durigon è uno che avrebbe gonfiato i dati degli iscritti del sindacato Ugl di cui era dirigente, riuscendo a dichiarare 1 milione e 900mila iscritti mentre erano (forse) 70mila. Sapete che significa? Che stiamo continuando a parlare di una rappresentatività dopata che non esiste nella realtà (questo anche a proposito del nostro Buongiorno di ieri sulla sparizione del salario minimo dal Pnrr, su cui torneremo). Durigon da sindacalista ha avuto piena gestione sulla cassa da cui potrebbero essere passati i movimenti che la Lega non era libera di fare per quella storia dei suoi 49 milioni di euro. Durigon ha fatto prostituire un sindacato (pompato) alla Lega per ottenere qualche candidatura. Poi ci sono le amicizie che sfiorano certa criminalità organizzata nel Lazio (ma i lettori più attenti lo sapevano da tempo che certi clan hanno fatto campagna elettorale nel Lazio per Lega e Fratelli d’Italia) e infine c’è quella registrazione vergognosa in cui Durigon tutto sornione confida di non avere nessuna preoccupazione sulle indagini sui soldi della Lega perché il generale della Guardia di Finanza che se ne occupa è un uomo che hanno “nominato” loro: «Quello che fa le indagini sulla Lega lo abbiamo messo noi»

Tutto grave, tutto gravissimo. Tra l’altro fa estremamente schifo anche questo atteggiamento di politici con il pelo sullo stomaco che ancora si atteggiano come i peggiori politici socialisti, i peggiori unti democristiani che sventolavano il potere come se fosse un mantello, per piacere e per piacersi. Fa schifo questa esibizione dello scambio di favori. Fa schifo tutto.

Fa schifo anche Salvini che ieri alla Camera ha risposto ai rappresentanti del M5s che sottolineavano l’inopportunità di un tizio del genere come sottosegretario mettendosi a parlare di Grillo. Il solito gioco da cretini di buttare la palla in tribuna. Il solito Salvini. Se posso permettermi è parecchio spiacevole anche il composto silenzio del Pd che vorrebbe rivendere il poco coraggio come diplomazia. Siamo alle solite.

C’è però anche un altro punto sostanziale: della vicinanza tra Durigon e uomini della criminalità organizzata durante la sua campagna elettorale ne avevano scritto un mese fa Giovanni Tizian e Nello Trocchia su Domani, degli intrecci mafiosi su Latina ne scrivono da anni dei bravi giornalisti chiamati con superficialità “locali” e che invece trattano temi di importanza nazionale. Sembra che non se ne sia mai accorto nessuno e questo la dice lunga sulla percezione che in questo Paese si continua ad avere della criminalità organizzata. Anche questo fa piuttosto schifo.

Buon venerdì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Expo 2015 spa e la Bracco(baldo)

diana-bracco-presidente-expo-2015-spa_tEvasione fiscale e appropriazione indebita. Diana Bracco, presidente di Expo 2015 Spa, è indagata in qualità di presidente del consiglio d’amministrazione della Bracco spa. L’indagine è stata chiusa ed è stato effettuato un sequestro da circa 1 milione di euro. L’ipotesi è che le fatture false siano servite in relazione a lavori su case private e barche. “Non c’è stata alcuna frode fiscale”, ha commentato l’avvocato difensore di Bracco Giuseppe Bana, “si tratta di contestazioni riguardanti l’inerenza all’attività d’impresa di fatture, situazione non rilevante sotto il profilo penale. Abbiamo già definito con l’Agenzia delle entrate attraverso il ravvedimento operoso, siamo solo al termine delle indagini preliminari e non è stata ancora formalizzata la richiesta di rinvio a giudizio”.

Come si legge in un comunicato del procuratore della Repubblica Edmondo Bruti Liberati, nell’ambito dell’inchiesta condotta dal Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di finanza e coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco e dal pm Giordano Baggio, “è stato notificato avviso di conclusione delle indagini” a carico di Diana Bracco, di Pietro Mascherpa, presidente del Cda di Bracco Real Estate srl, e di due architetti dello studio Archilabo in Monza, Marco Pollastri e Simona Calcinaghi. In particolare Bracco e Mascherpa sono accusati di evasione fiscale attraverso l’emissione di fatture false e di appropriazione indebita.

Dalle indagini “è emerso che fatture” per oltre 3 milioni di euro, confluite nella contabilità e nelle dichiarazioni fiscali “presentate dalle società del gruppo Bracco per i periodi di imposta dal 2008 al 2013″, erano riferite “all’esecuzione di forniture o di prestazioni rese presso locali in uso alle medesime società ma effettivamente realizzate presso immobili e natanti di proprietà, ovvero nella disponibilità” di Diana Bracco e del marito defunto Roberto De Silva.

Lo scorso 5 marzo, si legge ancora nel comunicato, la Guardia di finanza ha eseguito un decreto di sequestro preventivo emesso dal gip Roberta Nunnari nei confronti di Diana Bracco per 1 milione e 42 mila euro “corrispondente all’importo totale dell’imposta complessivamente evasa per effetto dell’utilizzo delle predette fatture”. Nella nota si legge infine che lo scorso 21 maggio “sono stati depositati” in Procura da parte delle Fiamme gialle “i verbali di constatazione delle correlate violazioni di carattere amministrativo”.

Nel 2010 Bracco era stata denunciata dalla Guardia di Finanza di Genova per lo yacht ”If Only”, un 40 metri costruito nei cantieri olandesi Feadship e intestato alla Ceber, società di Milano che ha come ragione sociale il noleggio di unità da diporto. Le quote erano della signora Diana Bracco e della Dolfin srl, interamente detenuta dalla presidente del gruppo farmaceutico. Secondo la finanza, il panfilo, registrato a Sanremo e ormeggiato ad Antibes in Costa Azzurra, sarebbe stato usato privatamente dai Bracco.

(fonte)

Uno su tre

corruzioneC’è un’ansa battuta questa mattina che dovrebbe essere tenuta in tasca o almeno a mente tutte le volte che sentiamo l’odore dell’ottimismo forzato sulle grandi opere, il vero feticcio di questi ultimi anni:

Tra frodi ai finanziamenti pubblici e sprechi nella Pubblica amministrazione, lo Stato ha subito un danno di 4,1 miliardi nel 2014. Lo rende noto la Gdf nel suo ‘Rapporto annuale’. Oltre 3.700 le persone denunciate per reati contro la Pa. Appalti pubblici per 1,8 miliardi, più di un terzo di quelli controllati e monitorati, sono stati assegnati illecitamente nel 2014. La Gdf ha effettuato verifiche su 220 appalti; denunciate 933 persone, di cui 44 arrestate.

A Roma a tavola ti serve la ‘ndrangheta

ristorante-tipico-romano-02Ci sono anche «due noti ristoranti», La Rotonda e Er Faciolaro, entrambi nella zona del Pantheon, una delle zone più belle e conosciute della Capitale, fra i beni e le attività sequestrate giovedì 12 marzo all’alba dalla guardia di finanza, nel corso di una maxi-operazione dell’antimafia contro la cosca della ‘ndrangheta che fa capo alla famiglia Piromalli. Le due attività hanno un valore stimato di 10 milioni di euro e fanno capo a Salvatore Lania, imprenditore calabrese ritenuto però dagli inquirenti un prestanome. E’ l’ennesima conferma di come i clan siano riusciti a infiltrarsi nel tessuto imprenditoriale a Roma, in particolare nel settore della ristorazione, spesso utilizzato per il riciclaggio del denaro frutto di attività criminali.
Le indagini sono partite da Reggio Calabria, nell’operazione – nel corso della quale sono state emesse undici ordinanze di custodia cautelare – è coinvolto anche un imprenditore della Piana di Gioia Tauro, titolare di un piccolo impero economico-commerciale costruito con l’aiuto del clan. L’operazione, denominata «Bucefalo», è stata eseguita dal comando provinciale della Guardia di finanza di Reggio Calabria insieme al Nucleo speciale di Polizia valutaria e dallo Scico di Roma. I reati contestati agli arrestati sono associazione per delinquere di stampo mafioso, contraffazione, frode in commercio, ricettazione e vendita di prodotti industriali con segni mendaci. L’impero che era stato costituito dall’imprenditore colluso con la cosca Piromalli è stato difeso, nel corso del tempo – rivelano gli investigatori – dalle potenziali minacce di altre cosche criminali concorrenti. Tale protezione ha consentito all’imprenditore colluso di imporsi sul mercato agendo da assoluto monopolista. I beni sequestrati, tra cui dodici società, hanno un valore complessivo di circa 210 milioni di euro. Sono state effettuate inoltre 26 perquisizioni tra Calabria, Campania e Toscana.

(clic)

La mafia gioca a videopoker

online-videopokerVideopoker e slot machine in provincia di Lecce erano “cosa loro”: impossibile per titolari di bar ed esercizi commerciali sottrarsi alle imposizioni di due gruppi criminali, sgominati dalla Guardia di finanza nell’ambito dell’operazione “Clean Game”. Ventisette le ordinanze di custodia cautelare (19 in carcere e 8 ai domiciliari eseguite in Salento, a Rimini, Crotone, Milano e Modena), firmate dal gip Antonia Martalò su richiesta dei sostituti procuratori Carmen Ruggiero e Giuseppe Capoccia, che hanno coordinato le indagini delle fiamme gialle, nate due anni fa, all’esito di controlli che hanno rilevato manomissioni delle slot.

Le ipotesi di reato contestate sono associazione per delinquere di stampo mafioso, truffa ai danni dello Stato, frode informatica, esercizio di giochi d’azzardo ed esercizio abusivo di giochi e scommesse, aggravati dal metodo mafioso, illecita concorrenza con minaccia e violenza, trasferimento fraudolento di valori, corruzione per atti contrari a doveri d’ufficio e associazione a delinquere. Nel mirino degli inquirenti i fratelli De Lorenzis di Racale (Saverio, Pietro, Pasquale e Salvatore, quest’ultimo noto anche per l’amicizia burrascosa con Patrizia D’Addario e per il matrimonio con la gieffina Carolina Marconi), titolari di un impero di macchinette, che vengono considerati “i capi promotori e organizzatori” del sodalizio criminale.

Per il procuratore di Lecce, Cataldo Motta, “avvalendosi della forza di intimidazione legata al nome che si erano fatti, anche in virtù dei passati legami con il clan Troisi di Casarano e Padovano di Gallipoli”, avrebbero imposto l’acquisto e l’utilizzo dei loro apparecchi taroccati a decine di esercizi commerciali. I software delle slot,  stando a quanto è emerso dalle indagini, sarebbero stati alterati per limitare il numero delle puntate vincenti da parte dei giocatori e anche per trasmettere solo parzialmente i dati delle giocate ai Monopoli. Proprio negli uffici dei Monopoli di Stato, il gruppo De Lorenzis avrebbe avuto un complice molto attivo, ovvero un funzionario che informava gli indagati di ispezioni e controlli, tenendoli costantemente aggiornati sulle attività investigative di cui era a conoscenza, finito agli arresti per corruzione e concorso esterno in associazione mafiosa.
Altri complici – come ha spiegato il procuratore della Dna Francesco Mandoi – i salentini li avevano trovati nel clan calabrese dei Femia, che forniva le schede contraffatte da imporre ai commercianti. Oltre agli arresti i militari del Nucleo di polizia tributaria e del Gico (coordinati dal colonnello Nicola De Santis e dal maggiore Giuseppe Dinoi) hanno effettuato il sequestro di 69 fabbricati, 25 terreni, 3 autovetture, 10 società di capitali e 2 ditte individuali, nonché soldi attivi di conti

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‘Ndrangheta a Reggio Emilia: 10 milioni sequestrati

La Guardia di finanza di Reggio Emilia ha sequestrato beni per oltre 10 milioni di euro a un imprenditore residente a Montecchio che si ritiene legato alla cosca della ‘ndrangheta dei Grande Aracri. Terreni, fabbricati, aziende, auto e conti corrente che dal cuore dell’Emilia arrivano fino al profondo sud della Calabria, tutti di proprietà di Palmo Vertinelli e della sua famiglia, anche se il 54enne di origine cutrese residente a Montecchio, nel reggiano, dichiarava redditi sulla soglia dell’indigenza. Il provvedimento, emesso ai sensi della normativa antimafia dal Tribunale di Reggio su proposta del procuratore capo Giorgio Grandinetti, riguarda l’imprenditore e i suoi famigliari. Dalle prime ore di mercoledì 21 gennaio i finanzieri del nucleo di polizia tributaria delle Fiamme gialle stanno mettendo sotto sequestro beni riconducibili all’uomo, che sono collocati nel territorio reggiano, parmense, e nella zona di Crotone.

Il sequestro è scattato dopo un’approfondita attività di indagine su Vertinelli da parte degli uomini della Guardia di Finanza, che hanno riscontrato una “conoscenza interessata” di ambienti associativi criminali. Il nome dell’imprenditore era già noto agli inquirenti per la sua vicinanza al clan dei Grande Aracri. Il 54enne era apparso in un’inchiesta antimafia nel 2003, anche se allora venne escluso un suo coinvolgimento con le organizzazioni criminali. A suo carico ci fu anche una denuncia per dichiarazione fraudolenta per un giro di false fatture e infine venne colpito da un’interdittiva della prefettura di Reggio per le sue frequentazioni con la famiglia Grande Aracri, ma anche con altri pericolosi esponenti di Cutro e di Isola di Capo Rizzuto.

Dagli accertamenti della Guardia di finanza è emerso come l’imprenditore dichiarasse redditi molto bassi, quasi sulla soglia dell’indigenza, che gli investigatori hanno definito “neppure sufficienti a coprire la spesa media annua individuata dall’Istat e quindi di far fronte alle normali necessità di sostentamento”, a fronte di un patrimonio personale che è risultato essere molto cospicuo. Da qui la decisione di far scattare il provvedimento. I finanzieri hanno sequestrato quote societarie dell’Impresa Venturelli srl, Edilizia Costruzioni Generali srl, Mille Fiori srl, Bar Tangenziale Nord-Est Sas. Numerosi anche i beni immobili sotto sequestro, tra cui un complesso immobiliare costituito da nove appartamenti e un’autorimessa a Isola di Capo Rizzuto, un terreno a Crotone. A Montecchio (Reggio Emilia) sono stati sequestrati un complesso immobiliare da dieci appartamenti, due autorimesse e un magazzino, due appartamenti e un complesso immobiliare di otto appartamenti e tre autorimesse. Sempre nel reggiano, a Gattatico, è stato posto sotto sequestro un complesso immobiliare costituito tra tre appartamenti e tre autorimesse. Altri sequestri hanno riguardato anche il parmense, dove i sigilli sono stati messi a un complesso immobiliare di tre appartamenti e tre autorimesse e un terreno a Montechiarugolo, a un complesso immobiliare costituito da un appartamento e tre autorimesse a Soragna, e a un appartamento a Busseto.

Nel silenzio Roma gocciola corruzione

Dopo poche settimane da Mafia Capitale, da ieri un nuovo terremoto si è abbattuto tra i politici e gli imprenditori della provincia di Roma. Tra i 22 arrestati dalla Guardia di Finanza per corruzione e concussione, c’è anche l’imprenditore Franco De Angelis, proprietario dell’Icpl, la società dell’interporto di Civitavecchia.

L’operazione «Vitruvio», condotta dai finanzieri del Comando Unità speciali della Guardia di finanza di Roma, ha portato all’arresto anche molti dipendenti della P.A. della capitale per corruzione, concussione e tangenti da 1.000-1.500 euro, intascate per non aver rilevato abusi edilizi. Questi i reati che vengono contestati a 28 persone, 10 funzionari pubblici, 13 imprenditori e 5 professionisti raggiunti da ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Anna Maria Gavoni.

Arrestati anche funzionari dell’ufficio tecnico dei municipi XIII e XIV (nella zona nord-ovest di Roma) e tra gli indagati anche un ispettore dello Spresal (Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro) della Asl Rm E, che in cambio di soldi evitava di riscontrare irregolarità nei cantieri o il mancato rispetto delle normative sulla sicurezza.

“Le indagini hanno svelato una realtà illecita diffusa – ha detto il procuratore aggiunto Francesco Caporale – che potrebbe estendersi anche ad altri municipi della Capitale”.

Per arrivare a cogliere in flagranza gli arrestati era da tempo che venivano effettuate intercettazioni da parte della GDF. Ad esempio, In un colloquio, due imprenditori edili raccontano di un’ispezione da parte di un funzionario della Asl Roma, che viene definito ”corrotto” e per il quale uno dei due imprenditori ha dovuto sborsare 8 mila e 500 euro per rinnovare le pratiche della sicurezza. ”Qui mi è venuto un ispettore, un altro venduto corrotto di merda dell’Asl – racconta al telefono uno dei due imprenditori -. Sai che ho fatto? Ho preparato la mia busta, mi è costato 8 mila e 500 euro per rifare il rinnovo di tutte quante le pratiche”.

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Trezzano sul Naviglio: il PGT come pompino per un centro commerciale

La Lombardia e i suoi comandamenti. Primo: desidera il centro commerciale d’altri.

Sono 8 in tutto, le persone arrestate, nella mattinata, da personale della D.I.A. di Milano, tra pubblici amministratori, professionisti e imprenditori a seguito di un’indagine, diretta e coordinata da Paolo Storari e da Laura Pedio della D.D.A. di Milano, che ha fatto luce su un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Numerosi i fatti emersi in gran parte legati all’approvazione del P.G.T. del comune di Trezzano sul Naviglio e ai tentativi di condizionarne gli atti. Eseguite, con la collaborazione di personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, piu’ di 30 perquisizioni.

Le perquisizioni sono state fatte in varie localita’ della provincia di Milano, Varese e Bergamo e notificate informazioni di garanzia nei confronti di altre 8 persone coinvolte a vario titolo negli illeciti accertati. Gli arrestati, indagati per associazione a delinquere e corruzione aggravata in concorso, sono: Oreste Sciumbata di 54 anni, Assessore ai Servizi Sociali del comune di Trezzano; Giacomo Velardita di 54 anni, Comandante della Polizia Municipale del citato comune; Giorgio Rossetto di 65 anni, Assessore ai Lavori Pubblici del medesimo ente; Antonio Di Stasio di 66 anni, imprenditore; Massimo D’Anzuoni, di 49 anni consulente; Anna Galli di 43 anni, commercialista con ufficio a Bergamo; Alessandro Beccaro Migliorati, di 66 anni, commercialista in Milano; Marco Citelli di 59 anni, geometra dell’Ufficio Tecnico del comune di Trezzano.

Dalle indagini e’ emerso un pesante quadro di corruttele e illegalita’ con pubblici amministratori asserviti agli interessi di imprenditori e con professionisti abili nel mascherare, con un giro di false fatturazioni, il pagamento di tangenti. Significativo l’episodio legato al tentativo di spostare l’asilo comunale di via Fogazzaro nel comune di Trezzano sul Naviglio per far posto ad un parcheggio destinato ad un centro commerciale. Vicenda collegata alla promessa di una somma non inferiore a 500 mila euro e alla corresponsione, in piu’ occasioni, di una somma non inferiore a 230 mila euro; in una circostanza e’ stata documentata la consegna di una tangente avvenuta all’interno di un’auto; tangenti di cui e’ stato accertato il trasferimento su conti in Svizzera.

La criminalità è organizzata, la tracciabilità dei rifiuti no

L’avevano annunciato in pompa magna e avrebbe potuto essere davvero un ostacolo per la criminalità organizzata: il sistema SISTRI per la tracciabilità dei rifiuti era un’innovazione notevole in un campo dove l’illegalità e le mafie continuano a mietere guadagni illeciti. Nel sito ufficiale si legge: “La lotta alla illegalità nel settore dei rifiuti speciali costituisce una priorità del Governo per contrastare il proliferare di azioni e comportamenti non conformi alle regole esistenti e, in particolare, per mettere ordine a un sistema di rilevazione dei dati che sappia facilitare, tra l’altro, i compiti affidati alle autorità di controllo.”

Oggi rimbalza la notizia. Uno scandalo annunciato. Tre persone in carcere, altre 19 agli arresti domiciliari, 4 con l’obbligo di presentarsi agli inquirenti e una miriade di società vuote e di conti all’estero individuati dalla Guardia di Finanza. Così arriva alla svolta l’inchiesta della Procura di Napoli su un grande imbroglio. Ovvero: l’ambizioso progetto di tutela ambientale battezzato Sistri, il sistema di tracciabilità dei rifiuti ideato dalla società Selex service management (gruppo Finmeccanica) con un contratto classificato come “riservato”, da 146,7 milioni di euro in 5 anni, lievitato fino a 400 milioni, e di fatto mai realizzato. Il previsto monitoraggio di ogni carico di scarti industriali o di immondizia urbana sul territorio nazionale (in special modo in Campania), difatti, non era mai partito, nonostante i 30 milioni di euro già bruciati per l’organizzazione e nonostante i notevoli costi imposti a centinaia di utenti, aziende, camion, perfino municipalizzate, costretti a dotarsi di una scatola nera sui camion. Nel corso delle indagini probabilmente saranno ascoltati come testimoni gli ex ministri dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, dei Verdi, e Stefania Prestigiacomo. Nel 2007, sotto il governo di centrosinistra, si cominciò infatti a lavorare al piano che sarà portato a compimento l’anno successivo, quando a Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi, che nel settembre del 2008 appose il segreto amministrativo “sul progetto, le opere, i servizi, e le forniture per la realizzazione del Sistema”. Il progetto risulta attualmente bloccato almeno fino al 30 giugno prossimo a seguito delle perplessità espresse dalla Digit Pubblica Amministrazione.

Così lo strumento antimafia diventa un fardello inoperoso di burocrazia sugli imprenditori e le mafie continuano ad agire indisturbate. Viene da chiedersi perché la criminalità riesca ad organizzarsi e lo Stato no. Perché?