Un’intervista a Fassina sul caso petrolio e le prossime elezioni romane
Scritta per Fanpage. La trovate qui.
Scritta per Fanpage. La trovate qui.
Lo scrivo qui. Al riparo. Nel mio blog. Così non si scomodano strane dietrologie, anche se devo ammettere che mi fanno volare via dal ridere le dietrologie. Ho già scritto che ritengo Massimo Bray un ottimo candidato per Roma (alcuni dei motivi lo ho elencati qui) e sono convinto che su lui potrebbe convergere questa sinistra che sembra non convergere mai (anche se ho più di un dubbio che non lo voglia davvero, ma ci torneremo). Insomma Bray potrebbe essere il candidato di Sinistra Italiana (ovviamente con Fassina al suo fianco), di Possibile e di tutto un pezzo di Roma che sicuramente non nutre grandi aspettative per Giachetti e il PD. Io Bray me lo immagino seduto in mezzo a questi due poli (Civati da una parte e Fratoianni e Fassina dall’altra) che potrebbero per una volta avere un obiettivo in comune. Poi stasera mi capita di leggere un’agenzia di stampa, questa:
« (ANSA) – ROMA, 09 MAR – Ignazio Marino, a quanto si apprende, questa sera ha incontrato Stefano Fassina, attuale candidato di Sinistra Italiana al Campidoglio, e Nicola FRATOIANNI. Obiettivo: trovare una candidatura ampia e unitaria per il Campidoglio. Slittato l’incontro con l’ex ministro Bray previsto per oggi, i due dovrebbero vedersi o sentirsi nei prossimi giorni, con lo stesso obiettivo.»
E mi sfugge qualcosa. Perché (se non ricordo male) Fratoianni fu quello che di Marino chiese le dimissioni (leggete qui) e Marino fu quello che fece fuori Sel dalla giunta capitolina per accontentare Orfini.
Insomma, mi manca un pezzo. No?
Morto un Expo basta inventarsene un altro. Anche se a forma di Giubileo. Sul numero di Left questa settimana in edicola raccontiamo la Roma che si prepara con il vestito bello della festa. Io ci metto un dialogo surreale di un “Sire davanti allo specchio” e la lotta infinita tra la Cooperativa Artisti 7607 e il Nuovo IMAIE.
Il sommario è qui.
Si arrabbia. Esce dal personaggio (pessimo) che si è cucito addosso e dice le cose come stanno:
“Occorre invece ristabilire la verità: Renzi voleva Roma sotto il suo diretto controllo e se l’è presa, utilizzando il suo doppio ruolo: come segretario del partito ha voluto che i 19 consiglieri del PD si dimettessero, come Presidente del Consiglio ha sostituito il sindaco, legittimamente eletto, con un prefetto, certamente persona degnissima, che farà capo come dice la legge allo stesso Presidente del Consiglio.
Assistiamo a una pericolosa bulimia da potere, che elimina gli anticorpi democratici. Il messaggio è chiaro: chi non si allinea, chi non ripete a pappagallo i suoi slogan viene allontanato o addirittura bandito”.
Ha scritto così l’ex Sindaco della capitale e, in una democrazia allenata, questa accusa muoverebbe almeno una discussione politica e invece vedrete che anche questa passerà come uno sfogo personale, e tutti gufi quelli che ne scrivono.
Io vorrei che per un attimo dimenticassimo gli attori in scena, un processo di anonimato per entrare nel senso delle cose che accadono in queste ore a Roma: un partito politico x candida un proprio esponente (fondatore del partito, tra l’altro) alla guida della capitale del Paese. Facciamo anche che non sia Roma e non sia in Italia, non è importante. Questo nostro signor Nessuno diventa sindaco e, poco dopo, si ritrova nel bel mezzo di un verminaio in cui escono anni di corrotti e corruttori, tra cui anche autorevoli membri del suo partito x. Ad un certo punto (succede nei Paesi in cui la politica crede che la stampa sia l’opinione pubblica) la situazione precipita e il partito x per non perdere la faccia chiede al sindaco di dimettersi per alcune sue leggerezze che stanno al sistema criminale tutto intorno come la particella di sodio nella bottiglia d’acqua. Il sindaco Nessuno chiede al partito x: “esattamente mi dite perché mi dovrei dimettere?”. E cosa fa il (suo) partito? Studia il modo per portarsi via il pallone chiedendo ai suoi consiglieri comunali di dimettersi e, siccome non bastano, racimolandone altri in giro.
Ecco: se gli interpreti fossero Berlusconi o Forza Italia ci sarebbero girotondi scodinzolanti che urlerebbero al “colpo di stato”, se fossero Grillo e Casaleggio con un Pizzarotti qualsiasi suonerebbero le trombe degli editorialisti sempre pronti a sentire puzza di fascismo (degli altri) e invece succede ai democraticissimi del Partito Democratico e allora tutti allineati a gridare allo scandalo del sindaco che non mantiene la parola e intanto ovviamente non rispondono alla domanda. Ma perché si sono spente le antenne critiche dei processi politici?
(continua qui)
In cosa ha sbagliato politicamente il sindaco secondo il PD? Come il PD pensa di differenziarsi nella gestione di Roma dal suo sindaco dimissionato? Come può un partito sfiduciare un Sindaco che inevitabilmente stato è appoggiato in tutte le sue mosse dai consiglieri comunali piddini? Quali sono quindi le responsabilità personali che ci dovrebbero convincere a fare meno di Marino eppur di tenersi il PD alla guida di Roma? Queste sono le risposte che ci mancano. E per questo Marino farebbe bene a farsi sfiduciare dal PD.
Ne ho scritto per Fanpage qui.
Ma se abbassiamo il volume ai toni da melodramma di questa opera disastrosa, possiamo ricavarne qualche dato. Per farlo dobbiamo puntare la lente sulle questioni che la contraddittoria esperienza di Marino ha lasciato sullo sfondo: ossia quali sono le condizioni di Roma, che città è, quali sono i suoi bisogni – al di là delle “strade e i giardini da sistemare”, come scriveva con un tono davvero stucchevole qualche giorno fa sull’Unità Matteo Renzi.
Da leggere oggi Raimo su Internazionale.
Detto questo Ignazio Marino ha compiuto una lunga serie di azioni poco opportune per di più comunicate nel modo più sbagliato. Oggi noi discutiamo quindi del fallimento politico o del fallimento del comunicatore? Questo è il punto da chiarire. E dobbiamo essere consapevoli, ovviamente ognuno con le proprie idee, che nel giudizio che da oggi per il sindaco di Roma è diventata una difficilissima pressione c’è dentro tutta la superficialità e il malpensare popolare che è montato come panna ma è rimasto nascosto nel merito. Ignazio Marino è un testimonial sprovveduto per la capitale. Forse sì. Non ha le spalle larghe per sopportare la lava vomitata dai fanfaroni. Ma se deve essere fatto fuori, si parli anche di politica. Anche.
Ne ho scritto (poco prima delle dimissioni) qui.
(La vignetta è di Mauro Biani, azzeccatissima. Al solito.)
E niente: il Prefetto di Roma Gabrielli, che oggi ha presieduto la prima riunione per il prossimo “anno santo” (a poposito di priorità e laicità dello Stato, tra l’altro) non ce l’ha fatta a non cedere al machismo politico che di questi tempi va per la maggiore e davanti alle telecamere ha precisato che di sindaco ce n’è uno ma può cacciarlo quando vuole (banalizzando il “commissariamento” ad una questione di voglie del re) e ironizzando sulle vacanze di Marino (che, per carità, sono indifendibili). Così, in pratica, usando il cerino Marino ancora una volta si svilisce la politica facendo annusare un’oligarchia che (non in base a scelte democratiche) ci concede la democrazia solo perché si sente particolarmente in vena.
Il Prefetto nominato dal Governo (che non è uscito da nessuna urna) ci sta facendo il piacere di organizzare il piatto ricco degli appalti (sicuramente “urgenti” tra breve) lasciando in vita gli organi eletti.
Tutti turbopolitici con i voti degli altri.
Quindi alla fine Roma si tinge di monocolore PD mentre SEL se ne esce dalla Giunta e il sindaco Marino appare ancora di più il “barboncino” di Matteo Renzi. E chissà se il sindaco (che è fuori da alcuni “sistemi politici” ma non è certo uno sprovveduto) è convinto davvero quando ci dice che questo rimpasto porterà grandi risultati. Perché, da fuori, l’unica cosa che si nota di primo acchito è che (finalmente, opinione personale) si smette di vedere i rimasugli di Italia Bene Comune (PD e SEL, perché Tabacci mi rifiuto di considerarlo per ecologia intellettuale) che si oppongono in Parlamento e poi vanno a braccetto nelle amministrazioni locali, come quelle passeggiate delle coppie sapute da tutti cornute eppure a messa ogni domenica. E, insisto, basta con il “sistema” Milano o Cagliari o Canicattì che ogni volta ci viene rivenduto come l’eccezione che conferma la regola.
Serve la regola, alla sinistra di questo Paese. Già.