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il circo dell’antimafia

Forse sarebbe il caso di riflettere (a proposito di circhi antimafia)

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Ora è La Torre (l’articolo è qui) ma i segnali sono molti e nonostante il timore reverenziale generale cominciano a fare rumore. Forse sarebbe il caso che Libera si ponga qualche domanda. Senza paura. Con l’energia dei moltissimi che si spendono ogni giorno in ogni angolo d’Italia. I giovani sono una meraviglia, l’idea e lo spirito sono altissimi ma la classe dirigente è tutt’altro che infallibile. E i soldi sono troppi.

L’antimafia senza protagonismo? Semplice: toglietele i soldi.

pecunia_non_olet-600x450Ha ragione il Presidente del Senato (per presunti meriti antimafiosi) Pietro Grasso quando dice che l’antimafia ha bisogno di scrollarsi di dosso il protagonismo. Togliete i soldi. Fate in modo che non ci siano contributi per un’attività che deve essere un dovere costituzionale per i buoni cittadini. Fate in modo che gli amministratori siano bravi amministratori e magari anche antimafiosi, fate in modo che chiunque nel proprio mestiere abbia il piacere e la soddisfazione di prendere posizione sul tema senza contributi aggiunti. Vedrete come sarebbe bello (Gratteri in Calabria lo dice da anni). E vedreste chi rimarrebbe. Ma soprattutto chi no.

Buonanotte.

Il circo dell’antimafia: tutti su Helg e nessuno su Santi Palazzolo

Da sinistra: Santi Palazzolo e Roberto Helg. Il Il denunciante e l'estorsore.
Da sinistra: Santi Palazzolo e Roberto Helg. Il denunciante e l’estorsore.

di Salvo Vitale – 4 marzo 2015
La denuncia di Helg e il suo conseguente arresto ha alzato il velo su quella zona grigia che sta tra chi ricopre cariche pubbliche, cioè è uno dei padroni del vapore, chi usa il suo potere per aumentare la sua ricchezza, oltre che il suo prestigio, e, in questo caso, chi usa l’antimafia come vetrina e copertura per accreditare un’immagine di legalità che invece nasconde un profilo da volgare delinquente.
Roberto Helg attualmente è presidente della Camera di Commercio di Palermo, oltre che vicepresidente della Gesap, la società che gestisce l’aeroporto Falcone-Borsellino. Si tratta di uno degli esponenti più importanti dell’imprenditoria siciliana, appartenente all’area del centro destra e molto attivo nella difesa della categoria dei commercianti. E’ rimasto al vertice della Confcommercio di Palermo da 18 anni e, di quella siciliana da 9, gestendo un noto negozi di regali in fallimento da qualche tempo: Helg ha cercato di riprovare a rilanciare l’attività associandosi con la Carrefour per l’apertura di un centro commerciale il cui progetto non è stato approvato dal Comune di Palermo. Ufficialmente ha rappresentato il viso nuovo di quella Sicilia che vuole scrollarsi dall’ipoteca mafiosa, che si è impegnato nella lotta contro il racket, aprendo uno sportello per gli imprenditori vessati da usura o dal pizzo. In tal senso si è schierato con Montante, anche lui industriale antimafia ultimamente indagato per contatti con i boss di Caltanissetta e gli ha espresso solidarietà.

Una domanda nasce spontanea: siamo davanti a forme raffinate di strategia mafiosa, che si servono di un’apparente facciata di legalità, magari con la denuncia di qualche tentativo di estorsione, o, come si vorrebbe far credere, a singoli casi, a incidenti di percorso che non mettono in discussione la linea scelta dagli industriali siciliani di dire no alle richieste estorsive? Il caso di Helg, colto con le mani nella marmellata, sembra orientare verso la prima ipotesi. Il pensiero va anche ai fratelli Catanzaro, uno dei quali è vicepresidente della Confindustria siciliana, l’altro gestisce una delle più grandi discariche della Sicilia, prima appartenente al comune di Siculiana, poi finita nelle sue mani, con l’assoluzione della magistratura. Anche se non è un teorema, in Sicilia, così come in Campania, non ci si può occupare della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, senza fare i conti con Cosa Nostra. E allora? Allora due più due fa quattro, ma non si può dimostrare.
Ma torniamo ad Helg, che è componente di una decina di consigli di amministrazione di varie associazioni commerciali, ricopre numerose cariche direttive e pertanto che incassa già laute parcelle, ma che adesso, poverino, dice di avere agito per necessità perché ha la casa pignorata. In verità una necessità per rimediare alla quale ci vuole una mazzetta da 100 mila euro, la metà della quale dilazionata in rate mensili, suscita una spontanea voglia di prendere a calci in culo questo soggetto, di metterlo in cella e di gettare la chiave. Invece è stato trattato con tutte le premure possibili, prima perché malato e poi perché anziano. Una specie di Berlusconi nostrano che non andrà mai in carcere.
Il caso pone diverse considerazioni e interrogativi e che ci si augura possano suscitare l’attenzione delle forze dell’ordine: si tratta di un caso isolato, oppure, com’è più logico, conoscendo come funziona in Sicilia, tutti quelli che all’aeroporto hanno in concessione uno spazio commerciale pagano il pizzo? A chi? Solo ad Helg? Non sarebbe opportuno aprire un’indagine sulla Gesap e sulla intera gestione dei servizi aeroportuali, dalle assunzioni, ai lavori di pulizia e manutenzione, alle modalità di concessione degli spazi ed altro?
Tutti ieri hanno parlato di Helg, come il corrotto, il corruttore, l’estorsore. Nessuno lo ha definito mafioso, ma sarebbe opportuno discuterne: da secoli sappiamo che la mafia non è solo quella che spara.
Tuttavia oggi bisognerebbe parlare, riempire i giornali a lettere cubitali, non di un anonimo “titolare di un esercizio di ristorazione o di una pasticceria”, come si è scritto, ma di Santi Palazzolo, l’imprenditore di Cinisi che ha deciso di non pagare, si è rivolto alla polizia e si è prestato a predisporre la trappola a colui che voleva estorcergli il frutto del suo onesto lavoro. Si tratta del nipote di Don Santi, erede di un’attività che ha quasi un secolo di vita.
A Radio Aut, scherzando, lo chiamavamo don Profitterolo, per la sua abilità nel saper preparare i migliori profiterols della Sicilia. Il suo bar, sito tra la piazza e l’inizio del corso, era frequentato dalla Cinisi bene, cioè da professionisti, galantuomini e anche mafiosi che, soprattutto la domenica mattina andavano a comprare la guantiera di dolci per la famiglia o per l’ospite. Una volta Peppino Impastato si nascose in una casa di fronte per scattare di nascosto alcune foto a Tano Badalamenti e agli amici che lo circondavano. Lui, don Santi, aveva un sorriso e una gentilezza per tutti, spesso preparava una sorpresa sul bancone o dentro la vetrina, una torta esotica, un dolce originale, un gelato dal gusto strano, accanto agli immancabili cannoli. Poi tutto venne trasferito sulla strada provinciale, al limite con il semaforo che da accesso al paese. L’attività è continuata con la gestione dal nonno, al figlio, detto l’Avvocato e oggi al nipote, che porta il nome del nonno ed ha cercato di dare al locale una veste più moderna con i giornali del mattino e con attività culturali varie: è stata finanziata anche qualche pubblicazione sulla storia del paese e del bar e sono stati aperti altri punti vendita, uno dei quali quello dell’aeroporto di Punta Raisi e uno negli Stati Uniti.
Che tutto questo sia avvenuto a Cinisi, nel paese di Don Tano Badalamenti, ma anche di Peppino Impastato, significa che il muro una volta indistruttibile della cultura mafiosa comincia a manifestare qualche crepa e che comincia a diffondersi la cultura secondo cui ognuno ha il diritto di godere in pieno dei frutti del proprio lavoro, senza che i parassiti possano profittarne.
Il negozio dell’aeroporto rappresenta l’ultimo momento, per chi parte e vuole portare un sapore della Sicilia, una cassata, un cannolo, un frutto di “martorana”, un dolce tipico. Adesso, dopo la denuncia dell’estorsione fatta da Roberto Helg, per il rinnovo del contratto per l’area del negozio, quel dolce assume un sapore più significativo, il sapore della legalità.

(fonte)

L’antimafia che indaga sull’antimafia

Guida-Fisco-Certificato-Antimafia-2012E’ l’ultima uscita della Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Rosy Bindi che, detta così, lascia quasi dedurre che prima di oggi non si facesse. Comunque credo che ogni eccesso di curiosità su questo argomento (da parte anche delle istituzioni) possa solo fare bene. Poi un giorno magari si parlerà anche di zerbini, incompetenti, egocentrici e coglioni e così sarà chiaro a tutti che come disse Giovanni Falcone “la mafia è un fenomeno umano” e l’antimafia pure. E almeno si tornerà con i piedi per terra, va.

Perché tutti vogliono vedere cadere tutti. Per sentirsi migliori.

«In un paese come l’Italia niente sembra possibile. Si spera che tutti siano arrestati, che tutti cadano in scandali, dal flop dell’industriale al sindaco passando per l’attore, per potersi dire: non sono io incapace, è che chiunque ha un posto di valore è una schifezza, io non sono una schifezza quindi non lavorerò mai. Io sono nato in una terra dove agire, cercare di emergere, è visto con diffidenza. Dove fare è sospetto mentre non fare è sinonimo di onestà. La fama ti mette addosso un mirino. Perché tutti vogliono vedere cadere tutti. Per sentirsi migliori».

(Roberto Saviano, intervistato da Francesco Costa)

Per essere antipatici: una precisazione sugli spot antimafia di oggi

Come al solito senza peli sulla lingua Giovanna Maggiani Chelli, Presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, puntualizza qualcosa che conviene tenere a mente anche ai fidati consiglieri di Renzi che l’hanno convinto a pronunciare almeno la parola “mafia”:

Non abbiamo mai creduto agli spot antimafia sui beni confiscati a “cosa nostra“, perché poi abbiamo ben visto come è andata a finire, quando ci siamo presentati dopo una causa civile contro Salvatore Riina e Giuseppe Graviano, abbiamo trovato il Fondo 512 legge del 1999 per le vittime di mafia vuoto e ci sono voluti anni e abbiamo dovuto andare con gli striscioni di contestazione in via dei Georgofili, per sistemare la questione risarcitoria della nostra causa datata in via risolutiva ottobre 2007.
Peraltro oggi la situazione del Fondo 512/1999 legge apprezzata a livello mondiale, quale contrasto alle organizzazioni mafiose, non è poi così rosea come dovrebbe, perché ancora fatichiamo a far rientrare quelle insignificanti cifre che comunque spettano alle nostre vittime;
e inoltre il Fondo 512 è stato inglobato con altri fondi lacunosi che frenano irrimediabilmente i risarcimenti alle vittime di mafia che portano i criminali mafiosi prima in causa penale e poi in causa civile.
Quindi è con grande apprensione che ascoltiamo frasi ormai si può dire intrise di retorica per i beni confiscati alla mafia.
Temiamo ancora una volta la solita demagogia, il solito trionfalismo e soprattutto la solita ricerca affannosa attraverso spot e icone di confisca dei beni alla mafia per alimentare carriere politiche. Per non parlare poi di una voglia spasmodica che da anni sentiamo, quella di mettere le mani sui soldi che la mafia ha guadagnato illecitamente, non per fini di ritorno alle vittime di mafia, e ai territori depredati dalla mafia, bensì a chi dell’antimafia ha fatto un mestiere.

I dolori dell’antimafia e gli avvoltoi

Un pezzo di Massimiliano Perna che vale leggere, qui. Ed è da leggere senza poi perderci troppe energie ma almeno per guadagnare slancio in un’eterna divisione che insegue la scissione dell’atomo come nell’eterna sinistra da costruire. Avendo sempre paura di chi non ha dubbi ma ha solo certezze ma avendo cura almeno di verificare i fatti oltre che le fonti.

 

La cosa importante

Ci sono discussioni: tante, troppe, molte interessanti e moltissime ancora di più inutili. Ci sono diversi modi di rispondere: non rispondere è il modo per ritenere inaccettabile il senso, i protagonisti e l’atmosfera tutto intorno. Ho imparato qualcosa nella vita, facendo il possibile, e quello che ho imparato, e viva dio quanto ancora ho da imparare, me lo tengo stretto. Ci sono cose su cui sono un inetto puro, ad esempio: la gratitudine, la fiducia, per dirne qualcuna. Poi ci sono pochi concetti (pochi) che mi tengo a mente. Ecco.

La differenza vera è tra chi attacca le persone portatrici di qualche azione e chi invece decide di combattere le azioni e non le persone. In questo senso sono tra i secondi e in questo vortice di personalismi, prime donne (io: egocentrico come sono) mi viene il dubbio di essere addirittura un pacifista.