Vai al contenuto

imi

Il passaggio parlamentare

Si potrebbe partire da quella relazione che già a ottobre alla Camera definiva «indispensabile» che «le camere siano coinvolte nell’intero iter della predisposizione del Pnrr». Il governo, che era un altro governo, aveva riconosciuto essenziale il «coinvolgimento di tutto l’arco parlamentare». Anche in Senato si era deciso di impegnare il governo perché «le camere siano parte attiva, coinvolte in modo vincolante, nella fase di individuazione e scelta dei progetti». Sui giornali era stato lo stesso: tutte le forze politiche, fin dall’inizio del percorso, hanno rilasciato decine di interviste in cui chiedevano un dibattito ampio e trasparente. Qualche forza politica, non vi sarà difficile ricordarlo, aveva indicato nell’opacità della discussione del Pnrr un buon motivo per fare cadere il governo.

L’ultimo monito è di poco fa, del 31 marzo: il Senato aveva «ribadito l’esigenza di un successivo passaggio parlamentare che riguardi la versione definitiva del piano, evidenziando quali indicazioni del parlamento siano state recepite dal governo».

Il passaggio parlamentare è avvenuto ieri 72 ore prima che il piano venga consegnato in Europa. Mario Draghi l’ha illustrato disinfettando la politica e provando a restare sui numeri, così come gli viene benissimo, raccontando cosa vorrebbe fare: «Sono certo che riusciremo ad attuare questo piano, sono certo che l’onestà, l’intelligenza e il gusto del futuro prevarranno sulla corruzione, la stupidità e gli interessi costituiti», ha detto in chiusura del suo intervento. I parlamentari hanno ricevuto le 270 pagine alle 13.57 in Senato e a alle 14.00 alla Camera. Oggi voteranno un sì che ha la stessa matrice di tutto questo governo: una delega quasi totale alla figura di Draghi che è ispirazione, certificazione, garanzia, controllo.

I partiti che si credono più furbi, quelli che sono sempre sul limite della campagna elettorale, sanno benissimo che questa è un’occasione: potranno dire di non avere avuto modo e tempo di approfondire, potranno lamentarsi poi dei vincoli che l’Europa mette sulla spesa fingendo di dimenticarsi di averli votati. C’è già la propaganda scritta, è un copione ben noto.

«Devo ringraziare questo Parlamento per l’impulso politico che anima tutto il piano», ha detto ieri Draghi e alla Camera si è alzato un brusio, tutti a chiedersi esattamente cosa sia “l’impulso politico” e quali responsabilità possa comportare in futuro. Qualcuno dice che è stato deciso “cosa fare” ma ora rimane da decidere “il come”: sembra la giustificazione di un Parlamento che è diventato socio di minoranza, con diritto di ratifica in consiglio di amministrazione. Qualcuno fa notare che manca una seria riforma del fisco (che sta nel cassetto delle “varie e eventuali”), del mercato del lavoro, della sanità pubblica (con quei Livelli essenziali di assistenza di cui si parla da 20 anni e che non si realizzano mai) e che alle imprese vanno quasi 50 miliardi di euro mentre alle politiche per il lavoro vanno solo 6,6 miliardi.

Ma non è il tempo di discutere, ora, dicono, ora c’è da votare sì. Ora il passaggio parlamentare. Poi si vedrà.

Buon martedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Insozzare la Liberazione

Ci sono molti modi di insozzare il 25 aprile, ognuno con il proprio stile ma tutti tesi (come un braccio teso) per svilire e in fondo per provare a non scontentare i fascisti. Siamo ancora al punto in cui almeno si vergognano di leccare spudoratamente i fascisti e quindi provano ad accarezzarli di sponda. Almeno questo.

Giorgia Meloni se la gioca (come era immaginabile) trasfigurando la libertà di andare al ristorante e mette in mezzo partigiani (senza citarli, sia mai) e lavoratori provando a innescare la solita guerra tra disperazioni: “La libertà, mentre la celebriamo, non è più scontata – scrive – a oltre 70 anni dall’inizio della nostra Repubblica democratica, e ad oltre un anno dall’inizio della pandemia, il governo ancora pensa di potersi arrogare il diritto di decidere se e quando gli italiani possano uscire di casa. Appello a tutti coloro che credono nel valore della libertà: aiutateci ad abolire il coprifuoco“. Insomma: il coprifuoco è il nuovo fascismo, dice Giorgia Meloni. Complimenti.

A ruota arriva Salvini, che ormai è una Meloni in versione analcolica. Pubblica un video sui suoi social e urla: “Noi, donne e uomini liberi d’Italia, chiediamo la cancellazione dell’insensato COPRIFUOCO e la riapertura di TUTTE le attività nelle zone (gialle o bianche) in cui il virus sia sotto controllo’. Al momento le adesioni sono 7.750. Nel video pubblicato sul web, Salvini aggiunge: “Se saremo 10mila è un conto, se saremo 100mila o un milione… Oggi è la giornata della Liberazione. Io e la Lega daremo l’anima dentro al governo, perché le le battaglie si combattono stando dentro e non uscendo o scappando, cercando di limitare la prepotenza di chi vede solo rosso, divieti, chiusure e coprifuoco”. Insomma, una Giorgia Meloni al maschile con la differenza che lui sta al governo con quelli che vorrebbe pugnacemente combattere. Un eroe.

Pietro Ichino prova a allargare il campo riuscendoci male: “La Festa della Liberazione non può ridursi a un’acritica celebrazione dell’epopea partigiana: deve essere anche occasione per riflettere sulle responsabilità delle forze antifasciste nell’avvento della dittatura”. Benissimo: poi scriviamo un saggio sulla colpa degli ebrei che la Shoah se la sono andata a cercare.

Il sindaco di Codogno Francesco Passerini dimostra di essere più pandemico della pandemia rifiutando di togliere la cittadinanza onoraria a Mussolini con motivazioni che fanno spavento: “Codogno diede l’onoreficenza a Mussolini nel 1924, fu una iniziativa nazionale dell’Anci del tempo. E’ un atto storico, come quando Napoleone ha dormito a Codogno e poi andò a Lodi a far guerra. Non è che poi è venuto giù il palazzo dove dormì. Abbiamo anche alcune strutture che ricordano il periodo fascista, come Villa Biancardi che è ancora lì. E per fortuna. Non si può pensare di cancellare e demolire tutto perché costruito da una parte della storia ‘particolare’”. Insomma erano particolari, mica fascisti.

Fenomenale anche il sindaco di Salò: “Dopo la caduta del Fascismo – dice all’opposizione che chiedeva simbolicamente di togliere la cittadinanza onoraria a Mussolini – sui banchi dove state ora accomodati, si sono seduti uomini che di antifascismo e lotta partigiana potevano sicuramente fregiarsi di sapere tanto, tanto più di Voi, e di Noi, avendo fatto parte personalmente di quella lotta, avendoci messo la faccia e, avendo spesso, rischiato la vita per gli ideali in cui credevano. Eppure queste persone non si posero, allora, il problema della Cittadinanza onoraria”. Insomma: se non l’hanno fatto gli altri io mi sento assolto.

Sceglie la linea del banalissimo e goffo provocatore anche il professore universitario Riccardo Puglisi, star presso se stesso su Twitter, che ci butta un po’ di liberismo d’accatto: “Mi sembra di capire che parecchi partigiani comunisti volessero passare direttamente dalla liberazione alla dittatura del proletariato”. Che spessore, ma dai.

Infine lui, Renzi: “Oggi è festa di libertà. Memoria di chi ha combattuto per salvarci, impegno per il futuro. Rileggere oggi le lettere dei condannati a morte della resistenza commuove e spalanca l’anima”. Non è festa di libertà ma festa della Liberazione dal nazifascismo, ma figurati se riesce a dirlo. E scrive “resistenza” in minuscolo, genio. Però la festa della libertà, se gli può interessare, si festeggia proprio domani in Sudafrica. Sempre che non abbia impegni dal principe saudita.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Strage in mare: 130 naufragi in difficoltà da giorni, ma con le Ong lontane gli Stati hanno fatto finta di niente…

Il fatto è che ormai questi morti non pesano più, sono battute, qualche centinaio di battute che finiscono sulle pagine dei giornali, quando va bene in una notizia che è poco di più una semplice “breve”, oppure farciscono un lancio di agenzia. Perfino quelli che (giustamente) ogni giorno provano a sottolineare i quintali di carne morta per Covid non riescono ad avere la stessa attenzione per i morti nel Canale di Sicilia. Lì abbiamo deciso che “devono” morire, che “possono” morire, come se davvero nel 2021 potesse esistere una parte di mondo che preveda ineluttabile l’annegamento, va così, ci si dà di gomito, ci si intristisce di quel lutto passeggero che si dedica alle notizie di cronaca nera e quelli non esistono più, non erano nemmeno vivi prima di essere morti, quelli che attraversano il Mediterraneo esistono perfino di più quando sono cadaveri che galleggiano nel mare.

130 migranti morti, 3 barconi messi in mare dai trafficanti libici e tre navi commerciali (lì dove ci dovrebbero essere le autorità coordinate dall’Europa) a deviare dalle loro rotte per provare ad evitare il disastro che non è stato evitabile. “Gli Stati si sono opposti e si sono rifiutati di agire per salvare la vita di oltre 100 persone. Hanno supplicato e inviato richieste di soccorso per due giorni prima di annegare nel cimitero del Mediterraneo. È questa l’eredità dell’Europa?”, dice la portavoce dell’iim, l’organizzazione dell’Onu per i migranti, Safa Mshli ma anche le parole dell’Onu ormai pesano niente, sono una litania che si ripete regolarmente e che non scalfisce quest’Europa che riesce a passarla sempre liscia. Anche dal punto di vista giudiziario sorge qualche dubbio, pensateci bene: le Procure che rinviano a giudizio Salvini non si accorgono (o non si vogliono accorgere?) Delle responsabilità dell’Europa?

Perché questi non rimangono nemmeno sequestrati, questi muoiono, annegano, galleggiano sul mare e vengono recuperati senza nemmeno uno straccio di qualche fotografia di cronaca. Sopra a quei tre gommoni di gente viva che poi è morta sono perfino transitati perfino velivoli di Frontex eppure non è scappato nemmeno un messaggio di allerta alla cosiddetta Guardia costiera libica che ha pensato bene di non inviare nemmeno una delle motovedette (che le abbiamo regalato noi). Troppa fatica. Quando i morti cominciano a non valere più niente allora ci si può permettere di lasciare morire e forse un giorno ci interrogheremo sulla differenza tra lasciare morire e uccidere, forse un giorno decideremo, avremo il coraggio di riconoscere, che questa strage ha dei precisi mandanti e dei precisi esecutori.

“Quando sarà abbastanza? Povere persone. Quante speranze, quante paure. Destinate a schiantarsi contro tanta indifferenza”, dice Carlotta Sami, portavoce dell’alto commissariato per i rifugiati e il dubbio è che ormai non sarà più abbastanza perché quando si diventa impermeabili ai morti allora quelli aumenteranno, continueranno a morire ancora di più, continueranno a cadere e intorno non se ne accorgerà nessuno. Centotrenta persone annegate. Le autorità dell’Ue e Frontex sapevano della situazione di emergenza, ma hanno negato il soccorso. La Ocean Viking è arrivata sul posto solo per trovare dieci cadaveri: è un’epigrafe che fa spavento ma che non smuove niente.

Sono passate due settimane da quando il presidente del Consiglio Mario Draghi ha ringraziato la guardia costiera per i “salvataggi” e quando qualcuno si è permesso di ricordare che in Libia e in quel tratto di mare mancano completamente tutti i diritti fondamentali i sostenitori del governo si sono perfino risentiti. E la storia di questo annegamento, badate bene, non è nemmeno un incidente: comincia mercoledì alle ore 14.11 con il primo allarme e si è conclusa il giorno successivo alle 17.08 con una mail di Ocean Viking che comunicava di avere trovato “i resti di un naufragio e diversi corsi, senza alcun segno di sopravvissuti”. Nessuna motovedetta libica all’orizzonte. Lì sono annegati loro ma in fondo continuiamo ad annegare anche noi e la cosa mostruosa è che ci siamo abituati.

L’articolo Strage in mare: 130 naufragi in difficoltà da giorni, ma con le Ong lontane gli Stati hanno fatto finta di niente… proviene da Il Riformista.

Fonte

Chiedere aperture è diventato “di destra”, affidarsi alle chiusure “di sinistra”: ma è un errore pericoloso

Piccola nota iniziale: qui non si discute dell’effettiva utilità del coprifuoco alle 22 o alle 23. Si potrebbero riportare le parole di Crisanti che dice “stare a discutere di un’ora è pazzesco, ridicolo” poiché “un’ora, dalle 22 o dalle 23 non fa nessuna differenza. Hanno aperto i ristoranti a cena, che senso ha? Epidemiologicamente un’ora in più o meno non cambia, a quel punto era meglio farli contenti” oppure lo studio dell’epidemiologo Samir Bhatt secondo cui un coprifuoco notturno da solo aiuterebbe a ridurre di circa il 13 per cento l’indice Rt del coronavirus: la letteratura scientifica sul tema è piuttosto limitata e riconosce che il coprifuoco abbia un’efficacia limitata soprattutto se abbinata a diversi provvedimenti.

Qui si discute piuttosto della pericolosa e sconfortante polarizzazione che nel corso dei mesi è riuscita a dividere un dibattito necessario trasformando ogni riflessione in un banale esercizio di appartenenza politica. Se un leader politico da cui ci sentiamo rappresentati propone un’apertura o una chiusura allora la cavalchiamo senza se e senza ma e al contrario rifiutiamo qualsiasi proposta dei politici che avversiamo. Così in una graduale discesa dalla complessità al tifo oggi chiedere aperture è diventato “di destra” e affidarsi alle chiusure “di sinistra”, come se in mezzo non ci siano un centinaio di infinte sfumature, come se non fosse segno di una democrazia matura pretendere di conoscere i dati, i reali risultati di ogni iniziativa, i riscontri delle varie limitazioni.

Si scappa a gambe levate dalla complessità, ci si affida a una banalizzazione che vorrebbe applicare perfino a un virus il modello delle opposte tifoserie. Eppure la scienza in questi mesi insiste nel ripeterci che il valore primario sia proprio quelli di avere dubbi, di coltivarli, di verificarli e sperimentarli.

Sia chiaro: che su questa pandemia si giochi la propaganda di chi parla a vanvera di “libertà” come se non ci fosse un evidente problema sanitario è sotto gli occhi di tutti ma che la giusta reazione sia quella di pesare le proposte in base alla provenienza politica risulta quantomeno semplicistico e forse perfino pericoloso.

Se “voler valutare l’efficacia del coprifuoco” significa essere additati come sostenitori di Salvini allora abbiamo un altro virus da combattere in fretta: la disabitudine alla complessità necessaria per un dibattito sano, maturo e probabilmente più efficace. È un argomento troppo serio per lasciarlo ai capibastone politici e ai tifosi.

Leggi anche: 1. Decreto anti-Covid, salta la riapertura dei centri commerciali nel weekend, ira della Lega: “Così non va” /2. Retroscena TPI, telefonata Draghi-Salvini: “La Lega sta col governo”, “Allora rispettate le decisioni”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Niente padri e madri della vittima?

Nel gran rito collettivo della difesa del leader da due giorni si sta consumando un’inaspettata empatia per l’accusato nonostante da anni in molti abbiano provato a convincerci che fosse una postura immorale, sospettosa, perfino colpevole. Solo che questa volta il “padre” con cui solidarizzare è il simbolo di un partito politico e quindi molti si sentono in dovere di farlo. Quando si dice “politicizzare” le vicende giudiziarie si intende proprio questo: qualcuno con un grande seguito che usa vicende penali (che dovrebbero essere personali) come paradigma di un clima politico. È la stessa cosa di Berlusconi che si dichiara perseguitato per via giudiziaria dai suoi avversari politici, è lo stesso di Salvini che ci vorrebbe convincere che la “sinistra” lo manda a processo. Uguale uguale. Pensateci.

Poi ci sono i soliti ingredienti che intossicano tutte le volte le presunte vittime di stupro: un uomo potente (e con il potere di parlare a molti) che urlaccia e vittimizza la presunta vittima un’altra volta. Incredibile la discussione sulle ore che servono a denunciare uno stupro: una bassezza da fallocrati davanti allo spritz che viene rivenduta ancora una volta su tutti i media nazionali. Beppe Grillo è riuscito a condensare in pochi minuti tutta la cultura dello stupro: un giudizio personale che vorrebbe valere come Cassazione, una discussione spostata sulle presunte colpe della presunta vittima e noi dei presunti colpevoli e perfino quel “lo dico da padre” che ci ha fatto incazzare per mesi quando pronunciato da Salvini.

Non solo. Grillo ha pubblicamente dato della bugiarda alla vittima. Come scrive giustamente Giulia Blasi per Valigia Blu: «Ogni volta che ci domandiamo come mai in Italia sia così difficile parlare di abusi sessuali, ricordiamoci questo: che il capo di un partito politico può tentare di immischiarsi nel procedimento giudiziario a carico di suo figlio e aggredire verbalmente la donna che lo accusa, senza che ci siano conseguenze immediate, che il partito stesso se ne dissoci e lo costringa a farsi da parte (“dimettersi” sarebbe impossibile, data la natura liquida del ruolo di Grillo, che rimane tecnicamente un privato cittadino). La vita, la sicurezza e l’integrità fisica delle donne contano così poco, di fronte alla necessità di mantenere il quieto vivere».

Tutti pronti a mettersi nei panni del padre e della madre del presunto colpevole e nessuno in quelli della presunta vittima. Annusate l’aria che c’è in giro in questi giorni e avrete la dimostrazione plastica del perché per una donna sia così difficile denunciare.

È stato un gesto sconclusionato e pessimo e al Movimento 5 stelle conviene dirlo forte e chiaro per non essere invischiato. A meno che non si voglia votare in Parlamento che quella fosse la figlia di Mubarak, visto che ci sarebbero perfino i numeri per farlo.

Buon mercoledì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

E anche Beppe Grillo scoprì cos’è il giustizialismo

Caro Beppe Grillo, ti do una notizia: tutti gli accusati, anche quelli dei crimini peggiori, anche quelli che subiscono processi che durano anni e che poi finiscono in niente, perfino quelli che vengono arrestati e subiscono detenzioni che poi si dimostrano ingiuste, tutti hanno un padre, molti sono padri, esattamente come accade a te con tuo figlio Ciro.

Caro Beppe Grillo, ti do un’altra notizia: in un Paese che avrebbe di che occuparsi per le malefatte compiute personalmente da politici e governano che (con sentenza definitiva) sono stati ritenuti colpevoli di deprecabili azioni che hanno danneggiato l’amministrazione pubblica e quindi il Paese e i cittadini, già da qualche anno si è presa l’abitudine di rovistare anche nelle colpe dei figli, dei genitori e perfino degli amici per reati che non hanno niente a che vedere con il loro ruolo.

Forse di questo te ne ricordi perché, mentre c’erano tutti gli elementi legittimi per costruire una critica (anche feroce) politica contro certi leader di partito, si è preferito invece rovistare nel casellario giudiziario dei loro congiunti.

E guarda, caro Grillo, te lo scrive uno che è tutt’altro che garantista peloso, di quel garantismo che viene troppo spesso sventolato per proteggere i colletti bianchi: eppure ho sempre creduto che ci siano evidenze giudiziarie talmente importanti su un Berlusconi (per dirne uno qualsiasi) che alla fine ho avuto la sensazione che occuparsi dei suoi presunti reati minori (come le sue abitudini sessuali) fosse un favore che gli abbiamo concesso mentre il suo braccio destro è condannato definitivo per mafia.

Io non so se tuo figlio, caro Beppe Grillo, sia innocente o colpevole. Mi auguro che sia innocente e mi auguro che possa risolversi il dolore dei presunti assassini come quello della presunta vittima.

Comprendo anche il tuo dolore da genitore, ma vivo in un Paese in cui credere nella Giustizia è elemento fondante per la tenuta democratica: lo avete ripetuto anche voi per anni, lo scrivono tutti i giorni i giornalisti che ti sono più vicini.

Forse il tema vero su cui varrebbe la pena riflettere è che, prima o poi, nella vita potrebbe capitare di essere sotto accusa o terribilmente fragili e hai ragione quando dici che fa schifo usare tutto questo come clava per fare politica.

Il tuo sfogo è comprensibile, umanissimo ma sei sicuro di non avere contribuito al clima da bastonatori irridenti degli sfoghi degli altri? Non è un’accusa, sia chiaro: è una riflessione politica. Ah, hai ragione, questa speculazione fa schifo.

Leggi anche: Beppe Grillo: “Mio figlio non è uno stupratore. Allora arrestate me”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Prima ha depredato la Sanità lombarda, ora gli restituiscono anche il vitalizio

Il più grave danno al garantismo, quello che dovrebbe essere assicurato in uno Stato di diritto e che è sancito chiaro chiaro nella nostra Costituzione, è proprio il garantismo quando diventa peloso, quando serve per condonare i potenti e soprattutto quando viene utilizzato non come metodo universale ma solo per alcune categorie.

Il fatto che Roberto Formigoni stia pagando i suoi debiti con la giustizia è la normale conseguenza di un giusto processo che ha stabilito delle responsabilità penali. Il fatto che si pretenda l’oblio per un danno erariale di 47,5 milioni di euro di soldi pubblici per il caso Maugeri in Lombardia e che ci si aspetti che nessuno si permetta più di scrivere che la sua rete di amicizie e il suo “mercimonio della propria funzione” (lo scrive la sentenza di Cassazione) abbiano devastato la Sanità lombarda pare, invece, davvero un po’ troppo.

E allora la vicenda del suo vitalizio da 7mila euro al mese che il “Governo dei migliori” gli sta apparecchiando forse assume una prospettiva nettamente diversa: è etico che una persona condannata per reati gravissimi (che ne hanno comportato anche l’esclusione politica e che sono diventati sentenza definitiva) possa godere degli stessi benefici di chi ha svolto con moralità il proprio ruolo?

È normale e accettabile che esistano ruoli e cariche che beneficino di trattamenti diversi rispetto ai normali lavoratori? Conoscete qualcuno che, dopo essere incappato in una grave condanna che certifichi un suo danneggiamento verso l’azienda per cui lavorava, possa godere comunque di una pensione e un vitalizio?

La delibera Grasso-Boldrini fu approvata nel 2015 in Parlamento non per “punizione” ma per garantire uguaglianza tra i parlamentari e i “normali” lavoratori: qui il punto non è il garantismo ma decidere se abbia un senso che gli italiani continuino a mantenere una persona che li ha danneggiati.

E non c’è solo Formigoni: il ricorso dell’ex presidente di Regione Lombardia sblocca la situazione di Silvio Berlusconi, di Ottaviano Del Turco e perfino di Marcello Dell’Utri.

Infine, sorge un dubbio: ma Salvini e Meloni – quelli che “butterebbero le chiavi” quando si tratta di punire (per loro: vendicarsi) un povero disgraziato che commette un reato (seppur odioso) – non hanno niente da dire con i criminali grossi e potenti quando sono loro amici?

Tintinnano le manette per i ladri di polli e poi si diventa garantisti per i colletti bianchi condannati in via definitiva? Lo chiamano garantismo e invece è solo “essere amici degli amici”.

Leggi anche: Salvini contro i vaccini ai detenuti in Campania e Lazio, ma dimentica che va così anche nelle Regioni leghiste (di Giulio Cavalli)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Giornalisti intercettati, dopo Trapani ne spuntano altri 33 ascoltati per il caso Mimmo Lucano

Ci sono fatti che stanno uscendo in questi giorni che messi in fila fanno spavento, notizie che vengono ingegneristicamente spezzettate per non avere il quadro d’insieme mentre la prospettiva generale è qualcosa di spaventoso, un modus che meriterebbe una riflessione larga su politica e giustizia. Forse proprio per questo conviene rivenderli come singoli casi di cronaca.

Facciamo un passo indietro: è notizia di qualche giorno fa (ormai diventata “vecchia” e quindi facile da scavalcare liscia) che tra le carte della fumosissima inchiesta del 2017 della procura di Trapani che avrebbe dovuto dimostrare i legami illeciti tra Ong e scafisti ci siano centinaia di pagine di intercettazioni trascritte e depositate che riguardano giornalisti ascoltati mentre parlano con le loro fonti, mentre discutono tra di loro, addirittura mentre parlano con i loro avvocati. Una pesca a strascico che non segue nessuna logica procedurale e che sono gravissime violazioni in uno Stato di diritto. La ministra Cartabia ha deciso di inviare gli ispettori per vagliare le carte e le procedure eseguite, al fine di accertare eventuali comportamenti non consoni attuati dalla procura.

Facciamo un secondo passo. Quell’inchiesta è finita in niente, la tesi dell’accusa però è stata il copione di una narrazione politica frequentata sia dall’ex ministro dell’Interno Minniti sia da Salvini che ne fece il plot di tutta la sua campagna elettorale che l’avrebbe portato al Viminale. Anni di criminalizzazioni delle Ong che non hanno nessun riscontro giuridico, nessuna sentenza, nessuna condanna in nessun grado. E non c’è solo l’inchiesta di Trapani: in questi anni sono stati aperti ben 16 fascicoli sulle organizzazioni umanitarie e non si è mai arrivati in nessun caso al processo. Non si parla di assoluzioni, badate bene: non c’è mai stato uno straccio di prova che giustificasse nemmeno un dibattimento. Qualcuno come il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro ha dovuto ammettere di non essere riuscito ad andare oltre la suggestione dei suoi sospetti nonostante ne abbia parlato lungamente sui giornali, in televisione e perfino nelle sedi istituzionali della politica.

La sua inchiesta sulle Ong (la prima in ordine di tempo) è ancora oggi sventolata come “prova” nonostante sia stata chiusa dopo due anni di indagini: la confusione è talmente tanta sotto il cielo che ora basta perfino essere indagati, senza nemmeno essere accusati, per essere “sporchi”, per essere delegittimati e additati come colpevoli che sono riusciti a farla franca. In compenso in questi anni di inchieste abbiamo assistito a presunti scafisti che erano solo scambi di persona, traduzioni sbagliate che hanno incarcerato innocenti e riconoscimenti che si sono rivelati fallaci.
Facciamo un altro passo. Si scopre che tra il 2016 e il 2017 nell’ambito dell’inchiesta “Xenia” che ha portato all’arresto del sindaco di Riace Mimmo Lucano facendolo decadere da sindaco per poi riabilitarlo quando ormai il danno era fatto, 33 giornalisti siano stati intercettati (senza mai essere iscritti nel registro degli indagati), sono stati ascoltati 3 magistrati, uno degli avvocati difensori di Lucano e un viceprefetto. Nel fascicolo dell’indagine (carte praticamente pubbliche) ci sono utenze telefoniche, indirizzi mail e dati di tutti gli intercettati. Lo scopo? Sempre lo stesso: smascherare i buonisti che erano già stati condannati da certa politica.

Lo scenario quindi è questo: politica e magistratura hanno concorso per anni nell’ossessivo sostegno di una tesi che ha portato popolarità e consenso a entrambi, hanno trovato una convergenza nel dipingere una realtà che non ha ad oggi nessun riscontro e hanno usato (resta da capire se di comune accordo) metodi forse non leciti e sicuramente non etici. Una tesi politico-giudiziaria ha modificato il corso di questi anni, una tesi senza nessun riscontro. Questo è l’aspetto più spaventoso e allarmante e su questo bisognerebbe avere il coraggio di aprire una discussione. Funziona un Paese così?

L’articolo Giornalisti intercettati, dopo Trapani ne spuntano altri 33 ascoltati per il caso Mimmo Lucano proviene da Il Riformista.

Fonte

Draghi dì qualcosa: ora abbiamo bisogno di una data (e di una soglia) per sapere quando ne usciremo

Se mancano i dati, se mancano i riscontri reali, se mancano le spiegazioni precise allora diventa facile governare e farsi governare dall’emozione. Al netto di chi in questi mesi continua a lucrare sulla disperazione della gente con vergognose operazioni di sciacallaggio si può dire che in questo anno di pandemia abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a comunicazioni contraddittorie, confuse e molto spesso lacunose.

È un tema tutto politico: se continuano a mancare informazioni precise sulle misure prese e sugli impatti attesi dalle limitazioni che vengono imposte, l’aspetto emozionale (e il lucrare sulla limitazione di libertà) riuscirà sempre a trovare terreno fertile. 

Per capirci: le scuole sono state riaperte con dati peggiori rispetto a quando erano state chiuse e il ministro Speranza ha dichiarato, riconoscendo la cosa, che la scelta è stata fatta in correlazione con le vaccinazioni fatte (vaccinazioni ad insegnanti che sono state sospese) e per “investire sui giovani”.

La risposta, legittima, però cozza con le iniziative che non sono mai state prese sui trasporti, sulla ventilazione meccanica in classe e soprattutto con un rischio in ambito scolastico che non è mai stato spiegato lucidamente. Abbiamo ascoltato tutto e il suo contrario e la scuola è solo uno dei tanti esempi possibili.

Chi per lavoro ha viaggiato in questi mesi di pandemia sa benissimo che le distanze che vengono imposte sui treni a lunga percorrenza sono molto diverse rispetto ai protocolli di un semplice volo aereo, per non parlare della drammatica situazione del trasporto locale. 

Qui non si discute, sia chiaro, dell’importanza di arginare il virus e di non mandare in tilt il sistema sanitario ma avere un chiaro e periodico flusso di dati a disposizione permette una lucida valutazione delle proporzioni delle restrizioni: se non c’è chiarezza e accesso ai dati viene difficile anche valutare la bontà delle decisioni prese dalla politica.

USA e Gran Bretagna hanno fissato date per le riaperture sulla base di dati chiari e sottoposti ai cittadini. Non si tratta di aprire tutto e subito come chiedono gli sconsiderati ma forse Draghi dovrebbe sentire il dovere di fissare un’asticella (di contagi, di pressione ospedaliera, di numero totale di infetti) sotto la quale allentare i divieti.

Non è solo una questione di virus, è questione di controllo della democrazia, di trasparenza e responsabilità: comunicare con chiarezza tiene in equilibrio il patto sociale, altrimenti diventa solo una questione di pancia.

Leggi anche: Italia, cinema chiusi: ma va bene se un parroco apre la sala per trasmettere in streaming la messa pasquale

L’articolo proviene da TPI.it qui

Diritti di Cristello

Mi sembra che si parli molto poco, troppo poco, con quel silenzio cortese che si crea di solito per inzerbinarsi a qualche potente, della storia di Riccardo Cristello, che da 21 anni lavora all’ex Ilva di Taranto, che è stato operaio in magazzino e poi tecnico controllo costi dell’acciaieria, che ha aiutato anche in amministrazione per le fatture e che dopo una vita vissuta all’interno dell’azienda senza mai nemmeno una virgola fuori posto ora si ritrova disoccupato, licenziato per “giusta causa” solo che a guardarla da fuori la causa sembra tutt’altro che giusta.

La colpa di Cristello sarebbe quella di avere condiviso sul suo Facebook (e ci potete scommettere che Riccardo non sia propriamente un influencer capace di raggiungere milioni di persone) una lettera non sua, arrivata da un gruppo watshapp, in cui si invitava a seguire in televisione la fiction Svegliati amore mio (un programma con Sabrina Ferilli, eh, mica un pericoloso documentario di giornalismo di inchiesta) in cui si denunciano i danni che il siderurgico provoca in termini di salute pubblica. Sia chiaro: la serie televisiva non è sull’ex Ilva e non ha riferimenti su niente.

Seduto sul divano Riccardo Cristello e sua moglie devono avere pensato che valesse la pena sprecare una serata per un argomento così vicino alla loro vita e alla vita dei loro concittadini, in quella Taranto dove quasi tutti hanno un amico o un parente ucciso dalla gestione criminale dell’acciaieria, ben prima che arrivasse ArcelorMittal a gestirla.

«Dopo anni di rapporti umani vissuti nella fabbrica, mi hanno chiamato la domenica delle Palme dicendomi che c’era un problema di numero e che dovevo rimanere in cassa integrazione per una settimana. In verità mi stavano sospendendo per poi licenziarmi, senza nessun avvertimento, nessuna telefonata, se non la raccomandata col provvedimento», racconta in un’intervista a Repubblica Cristello. Licenziato così, su due piedi, per un post su Facebook che ha fatto rumore solo dopo il licenziamento. Una scelta di marketing tra l’altro che grida vendetta per stupidità e per cretineria.

Poi, volendo vedere, ci sarebbe anche quella vecchia questione dei diritti da rispettare, della politica che dovrebbe alzare la voce (almeno una parte) e di una violenza che ha distrutto la vita di una persona. «Ho l’impressione di essere il capro espiatorio. Lo spirito sembra sia quello di punirne uno per educarne cento. Non possiamo più parlare, non possiamo più commentare, dobbiamo stare zitti e basta», dice Cristello.

Viene da chiedersi se in questo periodo in cui alcuni vedono “dittatura” dappertutto non sia il caso di alzare la voce per una situazione del genere: c’è dentro il diritto al lavoro, il diritto alle proprie opinioni (che tra l’altro nulla c’entrano con l’azienda) e soprattutto c’è il diritto di dire forte che Taranto è stata devastata e sanguina ancora.

Aspettiamo con ansia.

Buon martedì.

Nella foto frame da una videointervista del Corriere della Sera

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.