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immigrazione

“Non è vero che sono perseguitati”: il nuovo razzismo perbenista della classe media

Alessandro Robecchi. Tutta da leggere.

Siccome il catalogo delle ipocrisie planetario si arricchisce ogni giorno di più, servirebbe una bussola, un tutorial su YouTube, o almeno un rinnovo periodico del vocabolario. Il trucchetto funziona sempre: se non si riescono a cambiare le cose si cambiano le parole. Le parole nuove vengono ripetute e quindi accettate, e così, ecco che il migrante non è più migrante semplice, ma si divide in migrante perseguitato e migrante economico, con il corollario che il primo è un migrante vero, e l’altro una specie di furbacchione che non vuole lavorare al suo paese, è povero e cerca di esserlo meno andando via di lì.

Col suo piglio neogollista da glaciale sciuparepubbliche il presidente francese Macron l’ha detto meglio di tutti: “Come spieghiamo ai nostri cittadini, alla nostra classe media, che all’improvviso non c’è più un limite?”. Perfetto e di difficile soluzione, in effetti: come spiegare a gente che borbotta se trova più di tre persone in fila alla cassa dell’Autogrill che ci sono migliaia di uomini e donne che vengono qui sperando finalmente di mangiare qualcosa? Mentre Macron diceva quelle cose (notare l’equazione “cittadini” uguale “classe media”), nei boschi tra Ventimiglia e Mentone era in corso una poderosa caccia all’uomo con i cani lupo alla ricerca di qualche decina di migranti passati clandestinamente in Francia. Scene degne dell’Alabama di fine Ottocento, a poche centinaia di chilometri dalla recente esibizione di grandeur di monsieur le Président.

Dietro le parole, le formule, le riunioni politiche ai massimi livelli, insomma, si certifica e accetta un concetto caro al pensiero liberale: i poveri sono in qualche modo colpevoli di esserlo, e quindi un po’ – lo dico in francese – cazzi loro. Le Le Pen e i Salvini e tutta la compagnia neofascista che ogni giorno starnazza dalle cronache, hanno il loro conclamato razzismo, certo. Ma esiste un razzismo molto più presentabile e pulito, accettabile e incoraggiato, da “classe media” per dirla con monsieur Macron, ed è quello contro i poveri. L’aggettivo “economico” è usato a piene mani per descrivere chi non ce la fa, chi rimane sotto le soglie, chi resta stritolato. Restando alle voluttuose giravolte del vocabolario, non è un caso che i licenziamenti economici nelle politiche del lavoro italiano si chiamino “licenziamenti per causa oggettiva”. Capito? Il mercato è oggettivo, le vite delle persone invece sono soggettive, e quindi (di nuovo) cazzi loro.

Non è niente male come paradosso per iniziare un secolo e un millennio: superate le ideologie (ahahah), archiviata ogni idea di socialismo, di pari diritti, di pari dignità eccetera eccetera, ecco che il mondo – e l’Europa in prima fila – riscopre una grandissima rottura di palle per ceti medi: i poveri. Irritano i migranti economici, in quanto poveri, irritano i turisti low cost che mangiano il panino in strada invece di andare al ristorante, con grande scorno dei Briatore e dei Nardella, irritano i laureati poveri che reclamano una vita più decente, con grande scorno dei Poletti. E’ come se si affermasse (a destra e a sinistra) un nuovo status sociale: l’equazione cittadino uguale ceto medio che Macron ha così soavemente esposto, penetra nelle coscienze. Come la bella Lisa, la prosperosa salumiera de Il ventre di Parigi di Zola, tutti paiono vagamente, persino subliminalmente convinti che il povero “si è cacciato in quella situazione”, e in un piccolo, veloce passaggio logico si trasforma la povertà in una colpa. Ecco spiegata la guerra in atto: una guerra contro i poveri, colpevoli di minare – con il loro colpevole essere poveri – la tranquilla stabilità di tutti gli altri. Non male come modernità: sono cose che si sentivano dire a tavola tanto tempo fa, quando annuendo e dicendo “signora mia”, si passava la salsa allo zar.

Lettera a un leghista (di Barbara Gigante)

Barbara Gigante scrive una lettera ai leghisti (che pazienza):

Caro leghista,

io ti vorrei capire. Non tanto le tue posizioni, quelle le ho intese, sono le soluzioniche proponi a turbarmi o semplicemente non credo il partito che sostieni ne abbia mai trovata mezza.

Ti sento spesso sbraitare di essere “contro l’immigrazione”, senza sapere bene cosa significhi. Si può essere “contro” qualcosa che non abbiamo la più pallida idea di come fermare? Il fenomeno c’è, questo è un dato, migliaia di persone continuano ad arrivare. E allora, che si fa?

Come si chiude il mare?

I muri nell’acqua non li possiamo alzare. Avremmo, però, potuto evitare cose svantaggiose per l’Italia, come per esempio la ratifica, senza chiedere garanzie in cambio, di un trattato che impone di prenderci in carico nei centri di prima accoglienza tutti, ma proprio tutti, coloro che sbarcano in Italia.

Lo sapevi, caro leghista, che esiste un trattato che si chiama Dublino come la città?

Impone ai richiedenti asilo di fare domanda per il Paese in cui vogliono essere ospitati esclusivamente dal Paese nel quale arrivano. Ora, secondo te, stando alla posizione geografica, ci voleva tanto a capire in quali nazioni sarebbero più facilmente arrivati in massa? Ovviamente è andata peggio a noi e a quegli altri poracci dei greci. Senza battere ciglio, abbiamo assicurato all’Europa che avremmo pensato da soli alla prima accoglienza e se oggi t’indigni per gli alberghi riempiti dallo Stato con queste persone, salvo poi non volersene occupare e abbandonarli lì senza far niente, è proprio a causa di questo benedetto trattato di Dublino.

Indovina, caro leghista, chi lo ha firmato questo trattato?

Il primo passo fu la Convenzione di Dublino del 1990. Dopo, però, venne il governo Berlusconi. Un governo di destra, quindi, vostro alleato, che sulla retorica degli immigrati cattivi ci ha fatto una testa come una capanna. Ci si sarebbe aspettato, allora, che al momento di firmare il trattato di Dublino II, nel 2003, avrebbero indietreggiato inorriditi in nome della protezione dei confini nazionali.

Macché. Quando vai a votare la Lega Nord ricordatelo, mio verde compaesano, che il trattato di Dublino II porta la firma di Maroni. Quel Maroni là, l’amico tuo, quello della Lega, che quando si è trattato di fare come diceva l’Europa si è messo nella posizione del missionario esattamente come gli altri.

Forse, tra le cose che il tuo partito ha fatto per convincerti di starsi occupando del problema, c’è la famosa, ormai inattuabile, legge Bossi-Fini. Quel capolavoro di legislatura, per il quale il Consiglio d’Europa stava per toglierci il titolo di Paese civile, che impediva di soccorrere in mare imbarcazioni di clandestini. Quindi, nel caso in cui un peschereccio si fosse trovato davanti a un naufragio, doveva rimanere là, impassibile, a godersi lo spettacolo di persone morenti a cinque minuti da dove si trovava. E ci sono stati casi di uomini che, non potendo resistere a quello spettacolo, hanno prestato aiuto ai migranti con le loro imbarcazioni, salvo poi essere indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Quello che favoreggia una legge del genere, invece, è il culto del girarsi dall’altra parte davanti a un uomo che muore.

Indubbiamente una soluzione efficace per non farli arrivare, ma se la accetti, se ti sta bene lasciar affogare nell’indifferenza migliaia di bambini che pure sono in mezzo a quei migranti, quantomeno smettila di definirti appartenente a una cultura superiore e guarda in faccia il fatto di essere come l’Isis.

Finiscila, per coerenza, di trincerarti dietro a un Cristianesimo che non rappresenti affatto. Il crocifisso nelle scuole che difendi con le unghie non è per te: rappresenta un uomo morto nell’indifferenza circostante, anzi, a furor di popolo, che poteva pure risparmiarselo essendo Dio, ma doveva far capire a te cosa fosse un’ingiustizia.  Solo agli sciocchi serviva che risorgesse pure. In realtà la sua morte era sufficiente a rendere palese agli uomini come non si dovevano comportare. Da buon cattolico, dovresti cercare la tua ragione di vita nel sacrificio in nome di un ideale che vale ben oltre l’asservimento alle esigenze dell’individuo.

Se la risposta all’Islam non è la laicità ma il Cristianesimo, allora fermati, e se vengono a tirarti una sciabolata porgi l’altra guancia. Se vuoi il Paradiso, non puoi uccidere, né lasciar morire. Così dice la tua Bibbia. Quella che millanti sia assai meglio del Corano. Solo che ti dimentichi di applicarla.

Quando parli di “radici”, ricordati che la religione che professi non ha mai giudicato l’albero dalle radici, ma dai suoi frutti (Matteo 7:16-20).

Significa che il vero profeta è quello in grado di realizzare la pace e la convivenza civile tramite un messaggio intriso d’amore, solo così lo riconosci. Non da dove viene, ma in che direzione va. Quello conta.

(continua qui, vale la pena leggerla fino alla fine)

Per fare chiarezza su “valori”, “accoglienza” e la sentenza della Cassazione

Poiché mi appassionano da sempre le cose fatte bene vi invito a leggere cosa scrive Giampaolo Coriani sulla recente sentenza della Cassazione che è stata magistralmente sventolata per dire altro:

La lettura della sentenza n. 24084/17 (il caso riguarda il porto in luogo pubblico di un coltello sacro per la religione Sikh e la conseguente richiesta di esimente del portatore per motivi religiosi) non solo chiarisce come mai la Corte abbia imposto ai migranti l’accettazione e la conformazione a tutti i nostri valori culturali e religiosi (come la conversione al cattolicesimo, mangiare la pizza e gli spaghetti o tifare rumorosamente per una squadra di calcio, tralasciando le nostre consolidate “tradizioni” nel campo della criminalità organizzata per cui siamo noti nel mondo tanto come per la pizza) ma come abbia semplicemente espresso un concetto già pacifico e consolidato in materia:

In una società multietnica, la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l’identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell’art. 2 Cost. che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante. È quindi essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all’ordinamento giuridico che la disciplina. La decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza ne impone il rispetto e non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante. La società multietnica è una necessità, ma non può portare alla formazione di arcipelaghi culturali configgenti, a seconda delle etnie che la compongono, ostandovi l’unicità del tessuto culturale e giuridico del nostro paese che individua la sicurezza pubblica come un bene da tutelare e, a tal fine, pone il divieto del porto di armi e di oggetti atti ad offendere.

Viene poi espressamente specificato il principio di diritto conseguente: “va affermato il principio per cui nessun credo religioso può legittimare il porto in luogo pubblico di armi o di oggetti atti ad offendere.”

La sentenza forse non è rigorosissima dal punto di vista lessicale, poiché induce a confondere i “valori” in generale con i valori del nostro ordinamento giuridico, che sono gli unici ai quali chiunque risieda in Italia si deve conformare.

Il concetto era stato espresso in modo migliore e più chiaro meno di un anno fa dalla stessa Corte sulla medesima fattispecie con la sentenza n. 25163/2016 “… dovendo la manifestazione delle pratiche religiose necessariamente adeguarsi ai valori fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, coi quali non possono entrare in contrasto (così come riconosciuto dall’art. 8 secondo comma Cost.), nel cui ambito assume rango primario la tutela della sicurezza pubblica e dell’incolumità delle persone assicurata dalla disciplina delle armi e degli altri oggetti atti ad offendere, che non può certamente legittimare – in relazione ai parametri di luogo, di persona, di natura e funzione dell’oggetto, che sono stati sopra indicati – la condotta del ricorrente”.

Il principio è condivisibile e condiviso, ed è altrettanto ovviamente strumentalizzato dalla destra più becera, che subito ha cercato di far passare un concetto diverso, cioè che il migrante sia obbligato ad abbandonare tutti i propri valori, anche quelli compatibili con il nostro ordinamento (come il velo ad esempio) altrimenti debba “tornarsene” a casa propria.

(trovate tutto qui)

Cosa sta succedendo con le ONG che salvano vite nel Mediterraneo

C’è mare mosso. Come si poteva immaginare. Ora sotto attacco sono finite le ONG che si occupano di salvare le vite nel Mediterraneo; serve sempre qual è cunicolo per versarci dentro un dubbio e giustificare il razzismo. Come la storia dei 35 euro a al giorno (falsa), degli attentatori che arrivano sui barconi (falsa) e tutte le altre sparate che i Salvini di turno (e questa volta ci si mette anche Grillo) lanciano per rimestare nel torbido, giusto per il tempo in cui ci abbocca qualcuno e poi si seccano.

La vicenda di queste ore la spiega magnificamente Annalisa Camilli su Internazionale:

Giuristi come Fulvio Vassallo Paleologo e Dario Belluccio hanno spiegato che nei soccorsi in mare viene applicata la convenzione di Amburgo del 1979 secondo cui lo sbarco deve avvenire in un “porto sicuro” anche dal punto di vista dei diritti che vengono garantiti alla persona soccorsa, non solo nel porto più vicino. Vassallo Paleologo spiega che il porto dove sbarcare i migranti deve essere scelto in base “alla possibilità di richiedere asilo e di ottenere un’accoglienza dignitosa”. Per questo la Tunisia non può essere ritenuto un paese sicuro. L’avvocato Belluccio dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione ricorda che in Italia e in Europa le normative puniscono chi favorisce l’immigrazione illegale, ma che nel caso dei salvataggi la priorità è “il soccorso della vita umana” e il diritto del mare “obbliga ai soccorsi”. Nella sua audizione davanti alla commissione del senato il generale della guardia costiera Stefano Screpanti ha spiegato che per la convenzione di Amburgo il soccorso in mare spetta allo stato più vicino. Ma nel caso della Libia, la guardia costiera del paese non risponde alle chiamate di soccorso e per questo la responsabilità del soccorso spetta a chi ha ricevuto la richiesta di aiuto, quindi all’Italia. Per le autorità italiane non è una scelta intervenire: è un obbligo dettato dalle leggi internazionali.

Tutti gli operatori delle ong assicurano di essere coordinati dalla centrale operativa della guardia costiera di Roma e di ricevere indicazioni precise sul porto di sbarco direttamente dal ministero dell’interno. “L’accusa di un coordinamento con i trafficanti è infondata per il semplice motivo che seguiamo alla lettera le indicazioni che ci vengono fornite dalla guardia costiera e dal ministero dell’interno e siamo tenuti a comunicare alle autorità tutti gli spostamenti e salvataggi che facciamo”, spiega Riccardo Gatti di Proactiva open arms.

Riguardo all’accusa che le ong intralcino il lavoro della autorità italiane, la ministra della difesa Roberta Pinotti, rispondendo a un’interrogazione alla camera dei deputati ha detto: “Non abbiamo evidenza di manovre o attività a opera di natanti delle ong che abbiano costituito intralcio allo svolgimento delle operazioni della marina militare italiana”.

L’articolo (lungo, perché la complessità ha bisogno di studio, tempo e attenzione) è qui.

Buona lettura.

Sorpresa: gli stranieri diminuiscono in Lombardia (e lo dice la Regione). Non ditelo a Salvini.

Il bravo (e curioso) Stefano Catone (a proposito: leggetevi il suo libro Nessun Paese è un’isola) è andato a ripescare il rapporto 2016 sull’immigrazione in Lombardia scoprendo che la retorica leghista è contraddetta proprio in terra di Lega:

«Da alcuni anni la dinamica dei flussi migratori dall’estero sembra essersi decisamente affievolita. I dati statistici ufficiali di fonte Istat indicano per il 2015 un aumento della popolazione straniera residente in Italia che è “solo” di 12mila unità, mentre l’equivalente dato lombardo evidenzia persino un calo di 3mila residenti.

È pur vero che i numeri della crescita (o della decrescita) andrebbero rivisti anche alla luce sia del forte aumento di acquisizioni di cittadinanza – 178mila in Italia e 46mila in Lombardia – sia del movimento naturale; tuttavia, sembra innegabile che nella realtà migratoria del nostro tempo si stia progressivamente avviando un nuovo corso: se infatti fino agli anni della crisi era il saldo migratorio dall’estero a spingere la crescita della popolazione straniera presente in Lombardia e il contributo netto del saldo naturale trovava quasi del tutto compensazione nelle “perdite” per passaggio alla cittadinanza italiana, nel secondo decennio del secolo il flusso netto dall’estero si è progressivamente contratto, al punto da non compensare, come è accaduto nel 2015, le stesse acquisizioni di cittadinanza.

È dunque in atto una stagione che mentre da un lato evidenzia un freno all’attrattività “tradizionale” per via delle persistenti difficoltà di ordine economicooccupazionali, senza per altro impedire ulteriori progressi nei percorsi di integrazione di chi è da tempo presente (e la crescita delle acquisizioni di cittadinanza lo dimostra chiaramente), dall’altro vive gli effetti della forte pressione prodotta dai flussi “straordinari” legati al consistente aumento degli sbarchi e al fenomeno dei richiedenti asilo, con la loro imprevedibilità e problematicità.»

Eccolo qui:

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Cosa non torna nel piano sull’immigrazione dello sceriffo Minniti

(Lo scrive con un’invidiabile chiarezza Filippo Miraglia, vice presidente Arci, che merita di essere letto con attenzione)

Il Ministro Minniti ha finalmente presentato in Parlamento il suo piano sull’immigrazione. Un piano che non si occupa delle questioni critiche che riguardano la presenza in Italia, a vario titolo e per ragioni diverse, di persone di origine straniera.

Per lo più le proposte rispondono alla retorica rappresentazione pubblica che dell’immigrazione viene data. Non abbiamo letto invece una parola su come le persone possano evitare di mettersi nelle mani dei trafficanti, rischiando la vita e pagando un prezzo elevatissimo, per attraversare le frontiere, sia per chiedere protezione che per cercare lavoro.

Non un accenno al decreto flussi, che non riguarda più i lavoratori e le lavoratrici a tempo indeterminato dal 2010 e quindi impedisce a qualsiasi azienda o famiglia di assumere regolarmente un operaio o una baby sitter.

Non un cenno alla riforma della legge sulla cittadinanza. E la lista delle questioni importanti ma assenti potrebbe continuare ed è molto lunga. Quel che invece c’è nel piano Minniti è proprio ciò di cui non si sentiva il bisogno. Per esempio diminuire i tempi dell’attesa per chi è arrivato in Italia e chiede protezione va bene, ma non a scapito delle garanzie e dei diritti. Non è questa la strada.

Una scorciatoia sbagliata e pericolosa, palesemente in contrasto con la nostra Costituzione. Di fatto si vuole introdurre una procedura meno garantista, discriminante, proprio per un gruppo socialmente molto debole. Oggi i tempi sono lunghi soprattutto fino al giudizio di primo grado e non è quindi saltando l’appello, abbassando le garanzie, che si risolverà alcunché.

Ci sono migliaia di richiedenti asilo che hanno aspettato mesi per poter compilare la domanda d’asilo, più di un anno per avere un colloquio con la Commissione Territoriale (ottenendo, nel 60% dei casi, un esito negativo, frutto troppo spesso dell’incompetenza di chi gestisce l’accoglienza e dovrebbe preparare le persone ai colloqui e dell’incompetenza di chi fa parte delle Commissioni), altri mesi, a volte un anno, per conoscere l’esito del colloquio (davvero non si capisce il perché di questo ritardo) e poi, in caso di diniego e successivo ricorso, uno o due anni per avere una sentenza non definitiva che, stando ai dati del Viminale (in particolare della Commissione Nazionale) con risposte favorevoli ai ricorrenti nel 70% dei casi.

Una percentuale, questa sì, che dovrebbe allarmare il ministro Minniti e suggerire una riforma delle Commissioni e del sistema d’accoglienza, non una riduzione delle garanzie. Peraltro è facile calcolare che il 70% del 60% dei dinieghi è pari a un altro 40% delle domande. Il che porta all’80% la percentuale di persone che, prima o poi, ottengono un titolo di soggiorno. Senza che questo abbia a che fare con l’appello che si vuol cancellare.

Concentrarsi sul 20% di persone che rimangono senza un titolo di soggiorno, aumentando il numero dei Cie (che cambierebbero nome), ci sembra guardare il dito senza accorgersi della luna. Sui Cie invece, che cambiando nome ma non cambiano ruolo, perché la legge rimane invariata, bisognerebbe far notare al ministro Minniti che in questi anni l’aumento o la diminuzione dei posti disponibili e dei tempi di detenzione non ha inciso in maniera sensibile sull’esito dei provvedimenti di rimpatrio forzato attraverso i Cie. Chiamarli CPR e distribuirli in tutte le regioni non consentirà di ottenere un numero più alto di rimpatri, ammesso che questo sia il problema principale.

E ancora, se è apprezzabile la preoccupazione di non lasciare inattivi per anni i richiedenti asilo in attesa di una risposta definitiva, si poteva fare di meglio che imporre lavori socialmente utili da svolgere in modo gratuito. Noi suggeriamo, per esempio, di allargare il Servizio Civile a tutti i richiedenti asilo, quale strumento per favorire l’integrazione sociale, attraverso progetti specifici delle organizzazioni sociali e degli enti pubblici, con una strumentazione e una procedura già sperimentata e funzionante.

Se si vuole intervenire utilmente, anche senza modifiche legislative, per migliorare la condizione di migranti e rifugiati c’è la possibilità di farlo. Riproporre il binomio immigrazione-sicurezza, insieme a vecchi schemi e a vecchie formule, che hanno già dimostrato di non funzionare, se non per produrre sprechi e alimentare il razzismo, non è la strada giusta.

(fonte)

Eccolo, Trump

Ne scrive Il Post:

L’ultimo ordine esecutivo firmato dal presidente americano Donald Trump, che inasprisce i criteri per entrare negli Stati Uniti per i rifugiati o i cittadini di sette paesi a maggioranza islamica, sta creando disagi e proteste in varie città degli Stati Uniti. L’ordine esecutivo, firmato venerdì sera, blocca l’accoglienza dei richiedenti asilo di qualsiasi nazionalità per 120 giorni, e impedisce temporaneamente l’accesso al territorio americano dei cittadini di Iraq, Siria, Iran, Sudan, Libia, Somalia e Yemen, anche se in possesso di regolare permesso di soggiorno. Potenzialmente, l’ordine interessa migliaia di persone già atterrate o in arrivo negli Stati Uniti. L’unico documento che esclude i cittadini di queste nazioni è una cittadinanza statunitense. L’ordine esecutivo vieta anche l’ingresso ai cittadini di quei paesi in possesso di una doppia cittadinanza: per esempio quelli con cittadinanza libica e canadese. In più, l’ingresso dei rifugiati siriani negli Stati Uniti è stato bloccato a tempo indeterminato: non solo per 120 giorni.

I giornali americani stanno documentando diversi casi di richiedenti asilo e semplici cittadini a cui viene impedito di imbarcarsi per gli Stati Uniti oppure che vengono arrestati al loro arrivo (questi ultimi, secondo una stima citata dal New York Times, sono fra i 100 e 200).

L’ordine esecutivo di Trump è probabilmente illegale, ma la legge impone di rispettarlo finché non viene sospeso da un tribunale. Nelle ultime ore due giudici americani sono riusciti a sospendere parzialmente alcune misure contenute nel decreto e hanno permesso che alcune persone arrestate una volta arrivate negli Stati Uniti fossero rilasciate, ma il corpo principale della legge è tuttora in vigore. Una volta che gli effetti dell’ordine esecutivo hanno iniziato a concretizzarsi, sono iniziate anche le proteste organizzate tenute negli aeroporti delle principali città, fra cui New York, Dallas, Chicago e Los Angeles. In particolare, la New York Taxi Workers Alliance (un sindacato di tassisti di New York) ha deciso di non andare a prendere i passeggeri dei voli atterrati a New York, in solidarietà con chi protestava contro Trump.

(continua qui)

La “notte dei cristalli” milanese. E la vergogna.

“Andiamo là e facciamogliela vedere. Io vengo, e porto uno che conosco”. Sono entrati in pieno giorno con taniche di benzina e fuochi artificiali nello stabile di via Adriano a Milano, abitato da alcuni migranti e già finito al centro di polemiche per il degrado e la percezione della sicurezza. Dieci uomini, nove italiani e un sudamericano, sono stati denunciati per aver dato fuoco all’edificio – che in quel momento era vuoto – il 4 settembre scorso. Un ‘blitz’ messo a punto “col passaparola” da residenti del quartiere, non criminali, che sarebbero, secondo le prime informazioni, tutti incensurati. Non una banda, dato che alcuni nemmeno si conoscevano tra loro. In comune avrebbero avuto un bar come luogo di ritrovo abituale. E risentimento ed esasperazione per le condizioni di degrado dello stabile e per alcuni scippi e atti di vandalismo cui è stata data la responsabilità agli occupanti del dormitorio.

Lo straniero indagato, di cui non si conoscono le sue generalità, è stato definito “integrato” e vive nel quartiere. Un fatto che confermerebbe la natura trasversale del blitz. Alcuni membri del gruppo avrebbero deciso di “dare una lezione agli occupanti abusivi”, bruciandone i pagliericci e gli effetti personali, e avrebbero coinvolto altri conoscenti della zona: tutti, pur non conoscendosi tra loro se non di vista o comunque superficialmente, avrebbero deciso di partecipare alla spedizione. Al momento la Digos che ha condotto le indagini, non ha ravvisato estremi ideologici tali da contestare l’accusa di razzismo, mentre i dieci sono indagati per incendio doloso e detenzione illecita di materiale esplodente.

A permettere l’identificazione delle dieci persone che sono entrate nello stabile, le testimonianze di alcuni cittadini che avevano dato l’allarme e le immagini estrapolate dalle telecamere municipali. Le indagini condotte dagli operatori Digos hanno portato a individuare i sei soggetti, tutti residenti nella zona: nei confronti di questi sono stati emessi i decreti di perquisizione, durante la cui esecuzione si è poi risaliti alle identità dei quattro individui mancanti, subito anche loro sottoposti a perquisizione. Tra gli indagati, tutti incensurati, ci sono due dipendenti di un bar della zona, frequentato anche da altri partecipanti al fatto.

(fonte)