Oggi sono intervenuto nella trasmissione radiofonica TUTTA LA CITTA’ NE PARLA, su RadioTre. Abbiamo parlato di buoni, di buonisti e di quello che da giorni sto provando a ripetere. Il mio intervento è qui:
Sono rimasto incagliato in un paio di inchieste e ho avuto poco tempo per scrivere. Ma ci sono. E la notizia che mi porto in tasca di questi giorni è la grande (quasi ingestibile) solidarietà vista a Milano e Roma per aiutare i migranti arrivati in Italia. Cibo, pannolini, vestiti, giocattoli e accoglienza in tutte le sue forme. Sarà che il nostro giornalismo ha disimparato il vocabolario della tenerezza ma molti articoli che hanno raccontato questa rivoluzione gentile sembrano quasi cigolare d’imbarazzo, come se i sinonimi dell’umanità fossero stati chiusi a chiave convinti di non doverli mai più usare.
Ecco allora io mi chiedo: dove sono tutte queste meravigliose persone? Dove sono state? Chiuse in casa non credo, non avrebbero potuto sopportare il putridume diventato talk-show. Cosa pensano di questa muscolosità lessicale che ha conquistato tutti i “leader” politici? Perché tacciono di fronte a questo razzismo ignorante e proprio perché ignorante ancora più pericoloso? Come rispondono ai luoghi comuni che strisciano negli uffici, sull’autobus, tra la gente? Ma soprattutto: cosa votano?
Perché io sono sicuro che se ci fosse una forza politica che riuscisse a rappresentare quella bontà che abbiamo incrociato fuori dalle stazioni questo sarebbe un Paese migliore. Io voglio iscrivermi al movimento di quelli lì.
In un dibattito surreale che arrichisce solo i voti dell’odio i Radicali di Roma e l’associazione èpossibile hanno preparato un documento che vale la pena leggere. Lo trovate qui.
Da custodire la conclusione:
(PS Siamo in dirittura d’arrivo del nostro crowdfunding per il mio prossimo spettacolo e libro. Se volete darci una mano potete farlo qui. E passatene parola. Se potete e se volete. Grazie.)
Questa settimana nel nostro consueto monologo di carta con Edda Pando, coordinatrice Rete sportelli immigrazione – Arci Milano, abbiamo raccontato di migranti, stranieri e mediterraneo. Lo trovate qui. E nel numero in edicola.
Ci abbiamo pensato a lungo: ho molti colleghi che da tempo cercano di convincermi che la copertina di un settimanale ne determina in gran parte le vendite; tra l’altro si esce di venerdì ed è quasi il 25 aprile e quanta gente ha voglia di condannarsi a riflettere nel fine settimana? Molti. Io credo molti. Io spero molti. Per questo con un Mediterraneo insanguinato com’è in questi giorni abbiamo deciso di dare la copertina secondo le priorità di umanità e abbiamo deciso di prendere una posizione, stare fortemente da una parte, essere partigiani insomma. Con una copertina così (da venerdì, Left, in edicola):
Ne scrive Gian Antonio Stella, che di numeri ne mastica:
Ha ragione papa Francesco: gli immigrati sono una ricchezza. Lo dicono i numeri. Fatti i conti costi-benefici, spiega un dossier della fondazione Moressa, noi italiani ci guadagniamo 3,9 miliardi l’anno. E la crisi, senza i nuovi arrivati che hanno fondato quasi mezzo milione di aziende, sarebbe ancora più dura. Certo, è facile in questi tempi di pesanti difficoltà titillare i rancori, le paure, le angosce di tanti disoccupati, esodati, sfrattati ormai allo stremo. Soprattutto in certe periferie urbane abbruttite dal degrado e da troppo tempo vergognosamente abbandonate dalle pubbliche istituzioni. Ma può passar l’idea che il problema siano «gli altri»?
Non c’è massacro contro i nostri nonni emigrati, da Tandil in Argentina a Kalgoorlie in Australia, da Aigues Mortes in Francia a Tallulah negli Stati Uniti, che non sia nato dallo scoppio di odio dei «padroni di casa» contro gli italiani che «rubavano il lavoro». Basti ricordare il linciaggio di New Orleans del 15 marzo 1891, dove tra i più assatanati nella caccia ai nostri nonni c’erano migliaia di neri, rimpiazzati nei campi di cotone da immigrati siciliani, campani, lucani.
Eppure quei nostri nonni contribuirono ad arricchire le loro nuove patrie («la patria è là dove si prospera», dice Aristofane) proprio come ricorda Francesco: «I Paesi che accolgono traggono vantaggi dall’impiego di immigrati per le necessità della produzione e del benessere nazionale».
Creano anche un mucchio di problemi? Sì. Portano a volte malattie che da noi erano ormai sconfitte? Sì. Affollano le nostre carceri soprattutto per alcuni tipi di reati? Sì. Vanno ad arroccarsi in fortini etnici facendo esplodere vere e proprie guerre di quartiere? Sì. E questi problemi vanno presi di petto. Con fermezza. C’è dell’altro, però . E non possiamo ignorarlo.
Due rapporti della Fondazione Leone Moressa e Andrea Stuppini,collaboratore de «lavoce.info», spiegano che non solo le imprese create da immigrati sono 497 mila (l’8,2% del totale: a dispetto della crisi) per un valore aggiunto di 85 miliardi di euro, ma che nei calcoli dare-avere chi ci guadagna siamo anche noi. Nel 2012 i contribuenti nati all’estero sono stati poco più di 3,5 milioni e «hanno dichiarato redditi per 44,7 miliardi di euro (mediamente 12.930 euro a persona) su un totale di 800 miliardi di euro, incidendo per il 5,6% sull’intera ricchezza prodotta». L’imposta netta versata «ammonta in media a 2.099 euro, per un totale complessivo pari a 4,9 miliardi». Con disparità enorme: 4.918 euro pro capite di Irpef pagata nel 2013 in provincia di Milano, 1.499 in quella di Ragusa.
A questa voce, però, ne vanno aggiunte altre. Ad esempio l’Iva: «Una recente indagine della Banca d’Italia ha evidenziato come la propensione al consumo delle famiglie straniere (ovvero il rapporto tra consumo e reddito) sia pari al 105,8%: vale a dire che le famiglie straniere tendono a non risparmiare nulla, anzi ad indebitarsi o ad attingere a vecchi risparmi. Ipotizzando che il reddito delle famiglie straniere sia speso in consumi soggetti ad Iva per il 90% (escludendo rimesse, affitti, mutui e altre voci non soggette a Iva), il valore complessivo dell’imposta indiretta sui consumi arriva a 1,4 miliardi di euro». Più il gettito dalle imposte sui carburanti (840 milioni circa), i soldi per lotto e lotterie (210 milioni) e rinnovi dei permessi di soggiorno (1.741.501 nel 2012 per 340 milioni) e così via: «Sommando le diverse voci, si ottiene un gettito fiscale di 7,6 miliardi».
Poi c’è il contributo previdenziale: «Considerando che secondo l’ultimo dato ufficiale Inps (2009) i contributi versati dagli stranieri rappresentano il 4,2% del totale, si può stimare un gettito contributivo di 8,9 miliardi». Cosicché «sommando gettito fiscale e contributivo, le entrate riconducibili alla presenza straniera raggiungono i 16,6 miliardi».
Ma se questo è quanto danno, quanto ricevono poi gli immigrati? «Considerando che dopo le pensioni la sanità è la voce di gran lunga più importante e che all’interno di questa circa l’80% della spesa è assorbita dalle persone ultrasessantacinquenni», risponde lo studio, l’impatto dei nati all’estero (nettamente più giovani e meno acciaccati degli italiani) è decisamente minore sul peso sia delle pensioni sia della sanità, dai ricoveri all’uso di farmaci. Certo, è maggiore nella scuola «dove l’incidenza degli alunni con cittadinanza non italiana ha raggiunto l’8,4%», ma qui «la parte preponderante della spesa è fissa».
E i costi per la giustizia? «Una stima dei costi si aggira su 1,75 miliardi di euro annui». E le altre spese? Contate tutte, rispondono Stuppini e la Fondazione. Anche quelle per i Centri di Identificazione ed Espulsione: «Per il 2012 il costo complessivo si può calcolare in 170 milioni».
In ogni caso, prosegue il dossier, «si è considerata la spesa pubblica utilizzando il metodo dei costi standard, stimando la spesa pubblica complessiva per l’immigrazione in 12,6 miliardi di euro, pari all’1,57% della spesa pubblica nazionale. Ripartendo il volume di spesa per la popolazione straniera nel 2012 (4,39 milioni), si ottiene un valore pro capite di 2.870 euro». Risultato: confrontando entrate e uscite, «emerge come il saldo finale sia in attivo di 3,9 miliardi». Per capirci: quasi quanto il peso dell’Imu sulla prima casa. Poi, per carità, restano tutti i problemi, i disagi e le emergenze che abbiamo detto. Che vanno affrontati, quando serve, anche con estrema durezza. Ma si può sostenere, davanti a questi dati, che mantenere l’estensione della social card ai cittadini nati all’estero ma col permesso di soggiorno è «un’istigazione al razzismo»?
Per non dire dell’apporto dei «nuovi italiani» su altri fronti. Dice uno studio dell’Istituto Ricerca Sociale che ci sono in Italia 830 mila badanti, quasi tutte straniere, che accudiscono circa un milione di non autosufficienti. Il quadruplo dei ricoverati nelle strutture pubbliche. Se dovesse occuparsene lo Stato, ciao: un posto letto, dall’acquisto del terreno alla costruzione della struttura, dai mobili alle lenzuola, costa 150 mila euro. Per un milione di degenti dovremmo scucire 150 miliardi. E poi assumere (otto persone ogni dieci posti letto) 800 mila addetti per una spesa complessiva annuale (26mila euro l’uno) di quasi 21 miliardi l’anno. Più spese varie. Con un investimento complessivo nei primi cinque anni di oltre 250 miliardi.
Miei concittadini americani, questa sera, vorrei parlare con voi di immigrazione.
Per più di 200 anni, la nostra tradizione di accoglienza a immigrati provenienti da tutto il mondo ci ha garantito un enorme vantaggio sulle altre nazioni. E ci ha tenuti giovani, dinamici e dalla mentalità imprenditoriale. Ha formato il nostro carattere come popolo con possibilità illimitate – un popolo non intrappolato nel passato, ma in grado di rimodellare se stesso come noi crediamo.
Però, oggi, il nostro sistema di immigrazione non funziona più – e tutti lo sanno.
Le famiglie che entrano nel nostro Paese nel modo giusto e si comportano secondo le regole vedono altri non rispettare le regole. Proprietari di aziende che offrono ai loro lavoratori buoni salari e benefici vedono la concorrenza sfruttare gli immigrati senza documenti, pagando molto meno di loro. Tutti noi ci indigniamo di fronte a chi raccoglie i frutti della vita in America senza assumersi le responsabilità della vita in America. E gli immigrati privi di documenti che disperatamente vogliono abbracciare queste responsabilità vedono altra scelta che rimanere nell’ombra, o il rischio di vedere lacerate le loro famiglie.
E andata così per decenni. E per decenni, non abbiamo fatto molto a riguardo.
Quando ho assunto l’incarico, mi sono impegnato a rimettere in sesto il malfuzionante sistema di immigrazione. E ho cominciato facendo quello che ho potuto, per proteggere i nostri confini. Oggi, utilizziamo più agenti e tecnologia per garantire il nostro confine meridionale che in qualsiasi altro momento della nostra storia. E nel corso degli ultimi sei anni, gli attraversamenti di frontiera illegali sono stati ridotti di oltre la metà. Anche se questa estate si è verificato un breve picco di minori non accompagnati fermati al nostro confine, il numero di questi bambini è ora effettivamente inferiore a quello che è stato in quasi due anni. Nel complesso, il numero di persone che cercano di attraversare illegalmente il nostro confine è al suo livello più basso dal 1970. Questi sono i fatti.
Nel frattempo, ho lavorato con il Congresso su una completa riforma, e l’anno scorso, 68 democratici, repubblicani e indipendenti si sono riuniti per approvare una legge bipartisan al Senato. Non è stato un accordo perfetto. E ‘stato un compromesso. Ma rifletteva il senso comune. Sarebbe raddoppiato il numero di agenti di pattugliamento delle frontiere dando agli immigrati clandestini un percorso alla cittadinanza se avessero pagato una multa, cominciando a pagare le tasse, e ricominciando daccapo. E gli esperti indipendenti hanno detto che avrebbe fatto crescere la nostra economia e ridurre il nostro deficit.
Qualora la Camera dei Rappresentanti avesse concesso questo tipo di disegno di legge un semplice voto sì-o-no, sarebbe passato con il supporto di entrambe le parti, e oggi sarebbe legge. Ma per un anno e mezzo ormai, leader repubblicani alla Camera hanno rifiutato di permettere quel semplice voto.
Ora, io continuo a credere che il modo migliore per risolvere questo problema sia quello di lavorare insieme per superare questo tipo di diritto del senso comune. Ma finché questo non accade, ci sono azioni che ho l’autorità legale di prendere come presidente – lo stesso tipo di azioni intraprese da presidenti democratici e repubblicani prima di me – che contribuiranno a rendere il nostro sistema di immigrazione più equo e più giusto.
Stasera, annuncio quelle azioni.
In primo luogo, noi continueremo a costruire il nostro progresso al confine con risorse aggiuntive per le nostre forze dell’ordine in modo che possano arginare il flusso di attraversamenti illegali, e accelerare il ritorno di coloro che attraversano.
In secondo luogo, per gli immigrati altamente qualificati, laureati e imprenditori renderò più semplice e veloce la possibilità di rimanere e contribuire alla nostra economia, come tanti imprenditori hanno proposto.
In terzo luogo, prenderemo provvedimenti per affrontare in modo responsabile il tema dei milioni di immigrati clandestini che già vivono nel nostro paese.
Voglio dire di più su questo terzo numero, perché genera più passione e polemiche. Anche se siamo una nazione di immigrati, siamo anche una nazione di leggi. Lavoratori privi di documenti hanno violato le nostre leggi sull’immigrazione, e credo che vadano essere ritenuti responsabili – in particolare quelli che possono essere pericolosi. Ecco perché, nel corso degli ultimi sei anni, deportazioni di criminali arrivano all’80 per cento. Ed è per questo che abbiamo intenzione di continuare a concentrare le risorse di polizia sulle minacce reali alla nostra sicurezza. Criminali, non le famiglie. I criminali, non i bambini. Membri delle gang, non una mamma che sta lavorando duramente per mantenere i suoi figli. La renderemo la priorità, così come l’applicazione della legge fa ogni giorno.
Ma anche se ci concentriamo su deportare i criminali, il fatto è che milioni di immigrati in ogni stato, di ogni razza e nazionalità vivono ancora qui illegalmente. E siamo onesti – rintracciare, arrotondando per eccesso, e deportando milioni di persone non è realistico. Chi suggerisce il contrario non è sincero con voi. Neanche rispecchia ciò che siamo in quanto americani. Dopo tutto, la maggior parte di questi immigrati vivono qui da molto tempo. Lavorano duro, spesso in posti di lavoro difficili e a bassa retribuzione. Sostengono le loro famiglie. Pregano nelle nostre chiese. Molti dei loro figli sono nati in America o hanno speso la maggior parte della vita qui, e le loro speranze, i sogni, e il patriottismo sono proprio come il nostro. Come il mio predecessore, il presidente Bush, una volta disse: “Sono una parte della vita americana.”
Dunque, ecco quanto: ci aspettiamo che le persone che vivono in questo paese si comportino secondo le regole. Ci aspettiamo che chi hanno passato il segno, non vengano ingiustamente premiati. Quindi, arriviamo a offrire il seguente accordo: se siete stati in America per più di cinque anni; se si hanno bambini che sono cittadini americani o residenti legali; se vi registrate, passate un controllo dei precedenti penali, e siete disposti a pagare la giusta quota di tasse – sarete in grado di applicare a rimanere in questo paese in modo temporaneo, senza timore di essere espulsi. È possibile uscire dall’ombra e mettersi a posto con la legge. Questa è la base dell’accordo.
Ora, cerchiamo di essere chiari su ciò che questo accordo non comprende. Questo accordo non si applica a chi è venuto in questo paese di recente. Non si applica a chiunque possa venire in America illegalmente in futuro. Esso non concede la cittadinanza, o il diritto di stare qui in modo permanente, o gli stessi vantaggi che i cittadini ricevano – solo il Congresso può farlo. Tutto quello che stiamo dicendo è che non abbiamo intenzione di rimandarvi indietro.
So che alcuni dei critici di questa azione la chiamino amnistia. Beh, non lo è. Amnistia è il sistema di immigrazione che abbiamo oggi – milioni di persone che vivono qui senza pagare le tasse o senza comportarsi secondo le regole, mentre i politici usano la questione per spaventare la gente e montare voti al momento delle elezioni.
Questo è il vero condono – lasciando questo sistema danneggiato così com’è. Un’amnistia di massa sarebbe ingiusta. Le espulsioni di massa sarebbero impossibili e contrarie al nostro carattere. Quello che sto descrivendo è la responsabilità – un buon senso, una via di mezzo: se soddisferai i criteri, potrai uscire dall’ombra e metterti a posto con la legge. Se sei un criminale, verrai espulso. Se avete intenzione di entrare negli Stati Uniti illegalmente, le vostre probabilità di essere scoperti e rispediti indietro sono aumentate.
Le azioni che sto prendendo non solo lecite, sono il tipo di azioni intraprese da ogni singolo presidente repubblicano e ogni presidente democratico per mezzo secolo. E a quei membri del Congresso che mettono in dubbio la mia autorità per rendere il nostro sistema di immigrazione più efficiente, oppure si interrogano sulla mia saggezza che agisce dove il Congresso non è riuscito, ho una risposta: approvate un disegno di legge.
Voglio lavorare con entrambe le parti a passare una soluzione legislativa più duratura. E il giorno in cui firmerò per tramutare quel disegno in legge, le azioni che prendo oggi non saranno più necessarie. Nel frattempo, non lasciate che un visioni diverse su una singola questione compromettano l’accordo nella sua totalità. Non è così che funziona la nostra democrazia, e il Congresso di certo non dovrebbe bloccare di nuovo il nostro governo solo perché non siamo d’accordo su questo. Gli americani sono stanchi dello stallo. Ciò che il nostro paese ha bisogno di noi in questo momento è uno scopo comune – uno scopo più alto.
La maggior parte degli americani sostengono il genere di riforme di cui ho parlato questa sera. Ma capisco il disaccordo di molti di voi a casa. Milioni di noi, me compreso, possono tornare indietro per generazioni in questo paese, con gli antenati che hanno messo nel lavoro scrupoloso di diventare cittadini. Quindi, non ci piace l’idea che chiunque possa ottenere un pass gratuito per la cittadinanza americana.
So che alcuni temono l’immigrazione cambierà il tessuto stesso di ciò che siamo, o ci farà perdere i nostri posti di lavoro, o un farlo pesare sulle famiglie della classe media in un momento in cui già si sentono di aver subito ingiustizie per oltre un decennio. Comprendo queste preoccupazioni. Ma non è quanto questi passi realizzeranno. La nostra storia ed i fatti dimostrano che gli immigrati sono un vantaggio per la nostra economia e la nostra società. E credo che sia importante che tutti noi abbiamo questo dibattito senza impugnare il personaggio di qualcun altro.
Perché per tutto l’andirivieni da Washington, dobbiamo ricordare che questo dibattito riguarda qualcosa di più grande. Si tratta di ciò che siamo come paese, e che vogliamo essere per le generazioni future.
Siamo una nazione che tollera l’ipocrisia di un sistema in cui i lavoratori che raccolgono la nostra frutta e rammendano i nostri letti non hanno la possibilità di mettersi a posto con la legge? O siamo una nazione che dà loro la possibilità di mettersi in regola, di assumersi le responsabilità, e dare ai loro figli un futuro migliore?
Siamo una nazione che accetta la crudeltà di strappare i bambini dalle braccia dei loro genitori? O siamo una nazione che valorizza le famiglie, e lavora insieme per tenerli insieme?
Siamo una nazione che educa i migliori e più brillanti del mondo nelle nostre università, solo per rimandarli a casa per creare imprese nei paesi che competono con noi? O siamo una nazione che li incoraggia a rimanere e creare posti di lavoro qui, creare imprese qui, creare industrie proprio qui in America?
Questo è tutto ciò che riguarda questo dibattito. Abbiamo bisogno di più di politica come al solito quando si tratta di immigrazione. Abbiamo bisogno di un motivato, premuroso, compassionevole dibattito che si concentri sulle nostre speranze, non le nostre paure. So che la politica di questo problema sono duri. Ma lasciate che vi dica il motivo per cui sono arrivato a convincermi così fortemente su di esso.
Nel corso degli ultimi anni, ho visto la determinazione dei padri immigrati che hanno lavorato due o tre posti di lavoro senza prendere un centesimo da parte del governo, e a rischio ogni momento di perdere tutto, solo per costruire una vita migliore per i propri figli. Ho visto il cuore spezzato e l’ansia dei bambini le cui madri potrebbero essere portate via da loro solo perché non possiedono le giuste carte. Ho visto il coraggio di studenti che, fatta eccezione per le circostanze della loro nascita, sono americani come Malia e Sasha; gli studenti che coraggiosamente escono allo scoperto senza documenti, nella speranza di poter fare la differenza nel paese che amano.
Queste persone – i nostri vicini, i nostri compagni di classe, i nostri amici – che non sono venuti qui in cerca di un giro gratis, o una vita facile. Sono venuti a lavorare, e studiare, e servire nel nostro esercito, e, soprattutto, a contribuire al successo degli Stati Uniti.
Domani, mi recherò a Las Vegas e incontrare alcuni di questi studenti, tra cui una giovane donna di nome Astrid Silva. Astrid è stata portata in America quando aveva quattro anni. I suoi unici beni erano una crocifisso, la sua bambola, e il vestito variopinto che aveva indosso. Quando ha iniziato la scuola, lei non parlava inglese. Si è legata ad altri ragazzi leggendo i giornali e guardando PBS, e divenne un bravo studente. Suo padre lavorava nel giardinaggio. Sua madre puliva case di altri. Non avrebbero lasciato Astrid fare domanda per una scuola di tecnologia dei magneti, non perché non l’amassero, ma perché avevano paura che gli impiegati dell’ufficio li avrebbero la avrebbero denunciata come immigrato senza documenti. Così ha applicato in segreto, riuscendo a entrare. Quindi, lei ha per lo più vissuto nell’ombra – finché sua nonna, che visitava ogni anno dal Messico, morì, e lei non poteva recarsi al funerale senza il rischio di essere scoperta ed espulsa. E ‘stato in quel periodo in cui prese la decisione di iniziare a difendere se stessa e gli altri come lei, e oggi, Astrid Silva è uno studente di college al lavoro per la sua terza laurea.
Siamo una nazione che butta fuori determinati, fiduciosi immigrati come Astrid, o siamo una nazione che trova il modo di accoglierla? La Scrittura ci dice che non dobbiamo opprimere un estraneo, perché conosciamo la vita del forestiero – anche noi eravamo stranieri, una volta.
Miei concittadini americani, siamo e saremo sempre una nazione di immigrati. Eravamo stranieri anche noi, un tempo. E se i nostri antenati erano forestieri che hanno attraversato l’Atlantico o il Pacifico, o il Rio Grande, siamo qui solo perché questo paese li ha accolti, insegnando loro che essere americano è di qualcosa di più di quello che sembriamo, o ciò che sono i nostri cognomi, o del modo in cui preghiamo. Ciò che rende noi americani è il nostro impegno comune per un ideale – che tutti noi siamo creati uguali, e tutti noi abbiamo la possibilità di fare della nostra vita ciò che vogliamo.
Questo è il paese che i nostri genitori e nonni e le generazioni prima di loro hanno costruito per noi. Questa è la tradizione che dobbiamo difendere. Questa è l’eredità che dobbiamo lasciare per coloro che verranno.
Grazie. Dio vi benedica. E Dio benedica questo paese che amiamo.
In questi giorni vi stiamo raccontando quello che sta succedendo a Tor Sapienza, con la “rivolta” nei confronti degli ospiti del centro per rifugiati e le più o meno gradite visite di esponenti politici locali ed amministratori (mentre il Governo ha scelto di lavarsene le mani ed il Pd ha preferito abbandonare al proprio destino il sindaco di Roma Ignazio Marino). Intorno alla vicenda è esploso un dibattito variegato e le analisi si sono concentrate su diversi livelli di profondità: dalla specificità del caso romano (i 4 campi solo al Prenestino), ai problemi delle periferie, dalla crisi economica che ha esasperato i ceti meno abbienti alle lacune normative nei processi di accoglienza / espulsione dei clandestini e via discorrendo. Su una cosa però analisti e commentatori sembrano concordare: sulla crescita del fronte dell’odio, della rabbia e dell’indignazione, soprattutto nelle periferie dei grandi centri urbani. Sentimenti certamente coltivati da una certa parte politica ma anche nutriti da una sequela impressionante di notizie false, esagerazioni, allarmismi e speculazioni che hanno trovato nei social network dei megafoni formidabili.
Tutto o quasi ruota intorno al denaro, alle risorse che lo Stato dilapiderebbe per soccorrere, accogliere e assistere gli immigrati che raggiungono le nostre coste. Abbiamo già provato a chiarire, ad esempio, le esatte dimensioni dell’impegno finanziario del nostro Paese nell’operazione Mare Nostrum, oppure a far chiarezza sull’insussistenza di quel “l’Europa non ci aiuta”, vero tormentone degli ultimi mesi, o sul fatto che la spesa per l’immigrazione sia meno del 3% della spesa sociale; ma le informazioni parziali e decontestualizzate sul tema sono tante e così surreali che resta difficile finanche impostare un debunking più o meno serio. Si consideri ad esempio la questione dei costi totali, spiegata in maniera surreale da un (cliccatissimo) pezzo de Il Giornale, in cui si stima in 12 miliardi di euro l’anno il costo degli sbarchi:
“I capitoli più costosi sono la sanità (3,6 miliardi) e la scuola (3,4). I trasferimenti monetari (assegni familiari, pensioni e sostegni al reddito) valgono 1,6 miliardi. Eclatante il dato della giustizia: 1,75 miliardi […] Un immigrato che accetti di essere registrato nei centri di accoglienza costa alla collettività 2.400 euro, il doppio dello stipendio di un agente addetto ai controlli. Il conto è semplice. Si parte dalla «diaria» di 30 euro al giorno per le spese personali: 900 euro esentasse, più di molte pensioni e casse integrazioni. Altri 30 euro al giorno vanno come rimborso a chi li ospita (bed&breakfast, case private, ostelli). Aggiungiamo un’assicurazione mensile di 600 euro e si arriva alla rispettabile somma di 2.400 euro mensili spesi dallo Stato per ogni straniero sbarcato e assistito”
Un minestrone in cui coesistono numeri veri, bufale, imprecisioni, inesattezze e vere e proprie invenzioni: il risultato è la trasmissione a catena di informazioni errate e strumentali ad un certo racconto. Ma il discorso sull’utilizzo strumentale di dati e cifre (tra decontestualizzazioni, forzature e falsificazioni) è evidentemente lungo e complesso (si potrebbe citare, ad esempio, il miliardo e mezzo speso per la sorveglianza coste, dato vero ma da distribuire nel periodo 2005 – 2012). Meglio provare a chiarire alcuni punti, a cominciare dalla “retribuzione giornaliera” che lo Stato corrisponderebbe agli immigrati.
Ecco, molto semplicemente: lo Stato non corrisponde neanche un singolo euro agli immigrati clandestini che vivono nel nostro Paese. Il discorso è invece in parte diverso per i richiedenti asilo, i rifugiati e gli “ospiti” dei Cie, Cda, Cpsa e Cara. Ogni migrante trattenuto in un centro di accoglienza riceve infatti in media circa 2,5 euro, il cosiddetto pocket money che dovrebbe servire alle piccole spese giornaliere (effetti personali, bevande calde ai distributori e sigarette). Come si vede, siamo ben lontani dalla cifra di 30 / 40 euro al giorno di “retribuzione”, rilanciata continuamente dalla presunta “controinformazione”. Tra l’altro, come rilevato dall’inchiesta di Repubblica, ci sono seri dubbi sulle modalità e sull’effettività dell’erogazione del contributo, che spesso finisce per ingrassare speculatori ed affaristi, che letteralmente prosperano sulla pelle dei migranti.
Per tutti i servizi connessi all’accoglienza e al mantenimento dei migranti nei Cie lo Stato spende circa 30 euro al giorno. Discorso in parte diverso per quel che concerne i Cara (i centri di accoglienza per richiedenti asilo) e la messa a disposizione di posti straordinari per la prima accoglienza dei cittadini stranieri, gestiti da cooperative o da privati. È interessante precisare però che il “reclutamento” delle strutture non è a totale discrezione delle prefetture (il riferimento è ai fantomatici hotel 5 stelle lusso con piscina, sauna e sala giochi in cui sarebbero ospitati i migranti), ma avviene con un “modulo precompilato” con procedure e standard fissi, messo a disposizione dal ministero dell’Interno. Il gestore che stipula la convenzione si impegna ad offrire “servizi di gestione amministrativa, di assistenza generica, di pulizia e igiene ambientale, di erogazione dei pasti”, nonché all’erogazione del pocket money (che per i nuclei familiari non può superare i 7,5 euro) e di una tessera telefonica di 15 euro. La somma complessiva per singolo ospite del centro varia a seconda degli accordi tra prefettura e gestori, ma in media si aggira sui 40 euro che, come spiega Daniela Di Capua, direttrice del servizio centrale Spar a Redattore Sociale, “servono a pagare gli operatori, l’affitto ai privati degli immobili, i fornitori di beni di consumo. Una piccola quota va per gli interventi di riqualificazione professionale, come i tirocini, orientati a permettere ai migranti di vivere in autonomia una volta usciti dal sistema di accoglienza […] Queste risorse fanno parte di un fondo ordinario del ministero. Non sono spese straordinarie”.
Per i minori le cifre salgono, come si legge su Internazionale: “Il costo pro capite varia a seconda delle rette delle singole comunità di accoglienza […] Le rette possono dunque superare anche i 140 euro, ma per quelli che rientrano nello Sprar, indipendentemente dalla rette della comunità, noi eroghiamo 80 euro al massimo”.
Insomma, per farla breve: ai clandestini che dimorano nel nostro Paese non diamo nulla, a chi è in attesa di risposta alla domanda di tutela come profugo o rifugiato politico o a chi risiede nei centri di accoglienza o di identificazione diamo 2,5 euro al giorno. Quando questi soldi arrivano nelle loro tasche, ovviamente. Se cercate “chi ci guadagna” da questa situazione, converrà volgere lo sguardo altrove.