immigrazione
Ripensare la Bossi-Fini
Lo dice la Carfagna qui. Per dire. La Carfagna.
Cadaveri in spiaggia
Il viaggiare per profitto viene incoraggiato; il viaggiare per sopravvivenza viene condannato, con grande gioia dei trafficanti di “immigrati illegali” e a dispetto di occasionali ed effimere ondate di orrore e indignazione provocate dalla vista di “emigranti economici” finiti soffocati o annegati nel vano tentativo di raggiungere la terra in grado di sfamarli.
Zygmunt Bauman, La società sotto assedio, 2002
Mio fratello galleggia
“Perché hai lasciato il tuo paese?”
Un attimo di silenzio, un po’ d’imbarazzo, poi la risposta:
“C’era la guerra, sono scappato con mio fratello su un barcone, l’ho visto galleggiare morto nell’acqua.”
Come si ascolta una risposta di questo genere?
In silenzio.
– Fernanda, infermiera sul Polibus a Castel Volturno
Quanto deve essere grande il cimitero della mia isola?
Di chi sono i morti? Di chi li perde, di chi li uccide e anche di chi li dimentica, forse. Riflettevo qualche giorno fa con gli amici di SEL Recanati in un bella serata di bella politica sul fatto che le parole non pronunciate nei comizi siano sempre amore e morte. Sembra banale, lo so, ma non lo è: rimane la sensazione che per le più basse tragedie e le più alte poesie in politica si debba trovare una formula accomodante che eviti di centrare il punto travestendosi da analisi in improbabili sigle: coppie di fatto, omogenitorialità e diritti civili senza pronunciare “amore” e immigrazione, sbarchi, flussi o tragedie del mare piuttosto che pronunciare “morte”.
Non so se mi hanno fatto bene questi due anni e poco più di politica per la mia igiene affettiva. Non so se sia strategicamente sbagliato rinunciare alla rincorsa disperata e disperante dell’anaffettività per essere forte, coraggioso e oltraggioso quanto basta, sempre in difesa di bassezze che sono umane prima che politiche. Non so nemmeno se sia folle coltivare amicizie in un campo dove ogni apertura diventa uno spiffero buono per entrarci a piedi uniti.
Quello che so, e non è poco, è che se la politica diventa disumana e incapace di usare il vocabolario del sentimento e della speranza diventa inattiva, retorica e terribilmente lontana.
Poi a volte leggi lettere come quella del sindaco di Lampedusa di Giusi Nicolini. Le ritrovi di solito in rete o in qualche occhiello basso di un quotidiano mentre sfogli veloce la rassegna stampa insieme al caffè. Di solito sono i lamenti e gli sguardi di qualche amministratore locale (non è un caso, del resto) che precipitano fortunosamente nel cuore più sentimentale del problema, nel nocciolo da cui partire prima di costruire l’analisi, nel dolore da non dimenticare per trovare soluzioni efficaci sì, economicamente sostenibili anche ma umane. Politicamente umane. Senza commissariamenti del dolore, dell’amore e in questo caso della morte:
“Sono il nuovo Sindaco delle isole di Lampedusa e di Linosa
Eletta a maggio, al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa e questa per me è una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore. Abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai Sindaci della provincia per poter dare una dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme, perché il Comune non aveva più loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti una domanda: quanto deve essere grande il cimitero della mia isola?
Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l’idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l’inizio di una nuova vita. Ne sono stati salvati 76 ma erano in 115, il numero dei morti è sempre di gran lunga superiore al numero dei corpi che il mare restituisce.
Sono indignata dall’assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell’Europa che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra.
Sono sempre più convinta che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente. Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l’unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l’Europa motivo di vergogna e disonore.
In tutta questa tristissima pagina di storia che stiamo tutti scrivendo, l’unico motivo di orgoglio ce lo offrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai naufraghi, come è successo sabato scorso, ed avrebbe dovuto accorrere con le velocissime motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quelle motovedette vengono però efficacemente utilizzate per sequestrare i nostri pescherecci, anche quando pescano al di fuori delle acque territoriali libiche.
Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all’accoglienza, che dà dignità di esseri umane a queste persone, che dà dignità al nostro Paese e all’Europa intera. Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza”.
Giusi Nicolini
Lettera di un’iscritta PD
Un pezzo a cuore aperto di Manila Filella per Non Mi Fermo. Manila oltre ad essere dei nostri per le attività di Non Mi Fermo è dirigente PD, per dire:
Ripeto a me stessa che il Pd è costituito da tante anime, perché ognuno possa ritrovare la sua, che la pluralità e la diversità delle sue componenti siano fonte di arricchimento culturale, che la complessità e la varietà ideologica siano la sua forza.
Mi convinco che i giovani, le donne, gli omosessuali, i disabili, avranno spazio… prima o poi…
– che se studi, approfondisci, segui la linea, mantieni un profilo basso, sei corretta e leale, i colonnelli delle varie segreterie saranno meritocratici…prima o poi;
– che se non ti pieghi agli interessi delle correnti e mantieni l’onestà intellettuale, troverai dei mentori che ti faranno crescere…prima o poi;
– che se presti, umilmente, la tua competenza professionale, offri un servizio utile agli elettori e di questo ti saranno grati…prima o poi;
– che da dirigente devi essere zelante, seria e non cadere in dinamiche che ti rendono ricattabile.
A volte mi ripeto che il Pd è un partito che premia le capacità della gente di spessore (dunque mi sopravvaluto, perché non sono ancora stata “premiata”);
– che solo l’etica ed il rigore morale è criterio di scelta dei rappresentanti istituzionali del partito;
– che l’estetica, soprattutto nelle donne, è solo un valore aggiunto, e che è immorale considerarlo come primario (salvo poi rilevarlo in camera di consiglio…con grande ipocrisia).
E invece a destra, da sempre, in modo opinabile, ma coerentemente, lo si utilizza come strumento di scelta!
Mi chiedo se ho compreso realmente la linea del mio partito, se ho ancora fiducia ed in cosa mi rappresenta realmente questa compagine confusa, se i vertici della struttura crollano sul famigerato art.18, prendendo posizioni al di fuori delle logiche.
Esistono tra i parlamentari del Pd o la dirigenza interna dei colleghi avvocati giuslavoristi? E qualcuno ha mai difeso in giudizio un lavoratore licenziato? In che modo? Lasciando a casa la coscienza?
E che dire dei toni morbidi o dicotomici del mio partito sulle questioni di natura etica? Ma qualcuno nella dirigenza è mai stato scosso dalla notizia di aver cresciuto un figlio omosessuale, a cui vengono negati i diritti fondamentali? O si è mai trovato nell’impossibilità di avere dei figli, confrontandosi con il tema dello straziante percorso dell’inseminazione artificiale?
Mi sono chiesta se per il mio partito gli stranieri siano davvero un patrimonio per il nostro paese o se la loro tutela sia strumentale ad una battaglia che predica la tolleranza meramente a fini propagandistici.
Inviterei i miei colonnelli nei tribunali o nelle carceri, a sostenere le ragioni dei clandestini, o in Questura, all’ufficio immigrazione, dove la dignità della persona umana viene calpestata giornalmente, pur di ottenere un permesso di soggiorno valido.
Oppure potrei invitarli a sentire le deposizioni dei minori stuprati da genitori “normali”, in famiglie borghesi, costituite da madri e padri eterosessuali.
Sciacallaggio 2.0
Francesco su Non Mi Fermo segnala un inquietante caso di sanatoria per niente sana. A parecchi euro. Ed illegale. Sarebbe il caso di farla girare e chiedere nelle sedi opportune.
Il web, come il mondo offline, è pieno di insidie, soprattutto per chi è in difficoltà.
Capita così che da un tweet pubblico, si scopra una storia che, da qualsiasi angolo la si guardi, è decisamente poco limpida, per usare un eufemismo.
Il sito Africa-News.eu, riporta oggi un articolo inquietante: invita i cittadini africani presenti in Italia, a non pagare per procurarsi falsi documenti, e punta il dito verso il sito www.sanatoria2012.com.
“Il sito promette aiuto a tutti quei lavoratori che non sono in regola. Promette anche di procurare documenti all’immigrato lavoratore, per dimostrare di essere entrato in italia prima del Dicembre 2011. […] Considerate che questi servizi sono tutti illegali. Chiunque abbia bisogno di aiuto, viene invitato a contattare le persone che gestiscono il sito (nessuno sa chi essi siano), con la garanzia di venire aiutati a trovare la soluzione appropriata. I gestori di sanatoria2012.com chiariscono di offrire il servizio a pagamento […]. Il sito non ha un indirizzo fisico o un numero di telefono, ed è così impossibile sapere a chi vadano in mano i tuoi soldi.”
Il post è qui.
Se muore Saamiya
Al Mattino, un ufficiale medico imbarcato con la Guardia costiera a largo di Lampedusa racconta come raggiunse il barcone dove l’atleta somala, insieme ad altre quarte persone, aveva trovato la morte. “Saamiya era incinta”, dice. Una storia terribile che deve aiutarci a farci riflettere: nel nostro paese è cambiato il governo ma non sono cambiate le politiche sui respingimenti.
La pancia di Saamiya interroga l’occidente. Interroga i media che di certe cose preferiscono non parlare. Il corpo di Saamiya è stato trovato a 87 miglia a sud di Lampedusa. Il dottor Giuseppe Saviano dice di averla vista serena, placida nel momento della morte. Saviano parla di un sorriso e di una Saamiya tutta accartocciata su se stessa come un feto, come una Madonna. Con lei, sempre secondo il mattino, sono morte 4 giovani. Ora tutti e cinque giacciono in una tomba senza nome a Lampedusa. Sarebbe doveroso dare a quella tomba un nome. E costruire magari un monumento a tutte le Saamiya che hanno solcato il mare per poter coronare un sogno di sport.
Le domande di Igiaba Scego per Pubblico. Che sono anche le nostre, ma non sono nell’agenda di governo.
Vaghiamo come zombie
Dalla prigione per innocenti di via Corelli questo è quanto siamo riusciti a raccontare.
Luoghi fallimentari sotto ogni punto di vista: da quello scontato e minimo dei diritti umani, a quello di chi vuole espulsioni e politiche repressive verso i migranti: c’è da chiedersi, dal loro punto di vista, come possa essere considerato funzionante ed efficiente un sistema che tiene ingabbiata una persona fino a 18 mesi perchè non è in grado di identificarla.
Con tutto quello che questo comporta in termini di esasperazione nei centri e di soldi pubblici pagati. E di mesi di vita rubati.
I giornalisti entrano nel CIE di via Corelli, a Milano. Lo raccontano MilanoX, e Redattore Sociale.
Dieci anni di Bossi-Fini
Nel luglio 2002 il Parlamento approvava la legge Bossi-Fini. Dieci anni dopo, insieme al più recente “pacchetto sicurezza” lascia un’eredità pesante. Il suo obiettivo non era quello di frenare gli ingressi, bensì di ridurre la permanenza sul territorio dei lavoratori immigrati. Tanto che oggi è previsto un sistema di crediti e debiti che può portare anche alla revoca del permesso di soggiorno. L’esatto contrario di quanto suggerito dall’Unione Europea: politiche di integrazione per chi è già all’interno di un paese, con flussi di ingresso più contenuti.
Andrea Stuppini propone un’analisi dei (pessimi) risultati raggiunti. Noi ne abbiamo parlato con Non Mi Fermo e un’agorà a Bergamo. E il tema in questi ultimi dieci anni è stato un continuo incartarsi tra chi ha rincorso una xenofobia moderata e all’apparenza democratica o tra chi ha preferito non parlarne.
Per evitare alle prossime politiche di essere sbiaditi (come dieci anni fa) proviamo a partire da qui.
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