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Lo smemorato del Sussidistan

Eccolo qui, ancora, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi che come un falco rotto si lancia sul sistema Italia impartendo la sua lezione di politica dall’alto della sua (modesta) esperienza imprenditoriale e con i suoi soliti toni di guerriglia contro il Paese sociale. La sua ultima impresa, il suo ultimo bullismo lessicale è tutto nella parola «Sussidistan» con cui ha bollato l’Italia colpevole, a suo dire, di occuparsi troppo dei poveri e troppo poco delle imprese. «Aderire allo spirito dell’Ue significa una visione diversa dai sussidi per sostenere i settori in difficoltà. Nel lockdown il governo ha assunto misure di sostegno alla liquidità delle imprese e di rifinanziamento al fondo Pmi, ma i sussidi non sono per sempre, né vogliamo diventare un Sussidistan», ha detto Bonomi all’assemblea annuale degli industriali, riprendendo tra l’altro il termine già usato dall’economista del partito di Italia viva e trasformando un discorso serissimo e fondamentale per il futuro del Paese in uno slogan da macchiette.

Però ci vuole davvero un bel coraggio e tanta miopia per sostenere che il denaro a pioggia sia distribuito solo nella «logica del dividendo elettorale» nell’Italia in cui gli industriali hanno dimostrato di sapere battere cassa come forse da nessun’altra parte, tanto che al ministero dello Sviluppo economico c’è addirittura un’intera task force (un’altra, l’ennesima) dedicata esclusivamente agli incentivi alle imprese.

Forse bisognerebbe ricordare a Bonomi che già nel Dopoguerra fu lo Stato, attraverso le banche pubbliche, la Mediobanca di Enrico Cuccia e l’Iri a iniettare denaro nell’industria nazionale. Qualcuno potrebbe ricordare cosa accadde negli anni Novanta quando tutti i cittadini pagavano mutui con interessi a doppia cifra e lo Stato firmava il famoso “tasso Fiat” al 7% per aiutare l’azienda automobilistica italiana, quella che non ha avuto molti scrupoli poi a chiudere i suoi impianti italiani e delocalizzare con tanta agilità spostando tutto l’asse verso gli Stati Uniti.

Oppure si potrebbe tornare sul cronico tasto dolente di Alitalia che è stata privatizzata ma non è mai stata realmente privata nella distribuzione delle sue perdite che sono ricadute e continuano a ricadere nelle tasche dei contribuenti. Oppure si potrebbe ricordare i miliardi di euro che ogni anno arrivano come contributi indiretti o come sgravi fiscali all’industria del cemento che formalmente vanno a favore dei cittadini sotto i fantasiosi nomi di sismabonus, ristrutturazioni, rifacimento terrazze e soprattutto come bonus facciate ma che di fatto servono ad alimentare un settore in crisi profonda anche di idee che senza aiuti di Stato sarebbe fermo al palo. Dice il segretario Cgil Maurizio Landini in un’intervista a La Stampa che «il Sussidistan è quello delle aziende che vivono di contributi pubblici. Tra il 2015 e il 2020 alle imprese sono andati sussidi per più di 50 miliardi. E più di un terzo dei 100 della manovra del 2020. Una cifra consistente, una parte è prevista anche nella manovra più recente. Sono sussidi per incentivare assunzioni, sgravi fiscali, aiuti di ogni genere. Noi chiediamo di uscire dalla logica degli aiuti a pioggia per una nuova politica industriale che incentivi a creare lavoro di qualità e non precario innanzitutto per giovani e donne».

Il tema vero di questa epoca politica è che è in corso un attacco sconsiderato ai poveri e alla povertà (non certo per sconfiggerla con redditi decenti), che si camuffa come critica politica al Reddito di cittadinanza e a Quota 100 ma che sostanzialmente punta a spostare i soldi del prossimo Recovery fund sulle imprese che non vogliono perdere la propria occasione di sedersi al tavolo e di dividersi una bella fetta della torta. L’avevamo già scritto qualche numero fa proprio su queste pagine (vedi Left del 26 giugno, La democrazia secondo Confindustria, ndr): Confindustria ha lanciato Bonomi nell’agone politico con l’evidente obiettivo di succhiare più soldi possibili dai (molti) soldi che arriveranno dall’Europa. Solo questo. Tutto qui. E il trucco di non distinguere i piani del rilancio industriale da quelli della lotta alle povertà è astutamente utilizzato per confondere le acque.

Infine il prode Bonomi si lancia anche nella sconclusionata proposta di fare pagare l’Irpef direttamente ai dipendenti in nome di una “semplificazione” che non si capisce esattamente cosa porterebbe: in un Paese dove l’evasione fiscale costa 107 miliardi all’anno (metà del Recovery fund) e con la scandalosa statistica che ci dice che il 93% dell’Irpef è pagato dai lavoratori dipendenti e dai pensionati la proposta suona come un sottilissimo invito a investire in quelle stesse modalità che da anni azzoppano le casse pubbliche con l’enorme “fantasia fiscale” di una certa parte dell’imprenditoria italiana.

Un fatto però suona chiaro e cristallino: nel Paese dei capitalisti senza capitali che fanno imprenditoria con i soldi degli altri (o con i soldi pubblici) Carlo Bonomi si presenta con tutti i ghingheri che servono per apparire il perfetto protettore di un certo padronato che ha nel vocabolario del futuro solo una parola: soldi, soldi, soldi.

L’editoriale è tratto da Left del 9-15 ottobre 2020

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Le ossa rotte di Salvini in Toscana e Veneto: il declino del leader leghista

Bacioni, Salvini. Il leader leghista continua il suo filotto di sconfitte che rivende come vittorie e esce con le ossa rotte dalle elezioni regionali. Torniamo indietro di qualche ora: Matteo Salvini non riesce a non smargiassare e per mesi continua a urlacciare dappertutto che queste elezioni sarebbero state quelle che avrebbero “mandato a casa Conte e il suo governo” e che avrebbero dimostrato che la gente non ne poteva più del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle. Rendere delle elezioni regionali come cartina di tornasole del quadro nazionale è sempre un rischio ma il leader leghista ha questa grande, invidiabile caratteristica: le sbaglia tutte.

Così nonostante i suoi soliti messaggi che solleticano i soliti stomaci (riuscire a parlare solo di migranti in occasione di elezioni locali è una banalità da fuoriclasse) Salvini riesce a uscirne male in Toscana (dove la candidata Ceccardi era una “sua” creatura) e riesce a farsi sconfiggere perfino dal legista Zaia che in Veneto con la sua lista personale prende il triplo dei voti della lista ufficiale della Lega.

Dalle parti della Lega minimizzano ma proprio in Veneto Salvini pretese che tutti gli assessori uscenti fossero capilista della lista del partito e proprio in Veneto Salvini scrisse ai 400 segretari locali del Carroccio per invitarli a votare la lista ufficiale del partito e non quella di Zaia: missione fallita, evidentemente, lo dicono i numeri. “La lista del presidente intercetta il consenso che non va al partito”, ha detto ieri Zaia in conferenza stampa: chi ha orecchie per intendere intenda. I numeri, si sa, non mentono e i numeri dicono che i consensi della Lega sono in calo in tutti i territori e solo l’enorme ascesa di Giorgia Meloni è riuscita a tamponare una sconfitta di proporzioni maggiori.

Matteo Salvini politicamente negli ultimi 13 mesi, dal famoso pomeriggio del Papeete, è riuscito a sbagliarle tutte e se serve una fotografia di queste sue elezioni basta andare a Lesina, provincia di Foggia dove l’unico candidato sindaco era proprio un leghista: “Un sindaco pugliese lo abbiamo già eletto ancor prima del confronto elettorale”, disse Salvini il 23 agosto. Sbagliata anche questa: il candidato sindaco è riuscito nella mirabile impresa di non raggiungere nemmeno il quorum. Niente da fare.

Se, come diceva Salvini, queste elezioni sarebbero state la spallata definitiva del governo Conte e il primo passo per il suo ritorno al governo…Beh, Conte può dormire sonni tranquilli. Bacioni, Salvini.

TUTTO SULLE ELEZIONI REGIONALI 2020

TAGLIO DEI PARLAMENTARI: TUTTO SUL REFERENDUM COSTITUZIONALE

Leggi anche:
– Regionali, 3 scenari per il dopo-elezioni (di Luca Telese)
– Referendum, perché votare Sì contro l’establishment e la monarchia editoriale (di Alessandro Di Battista)
– Referendum, Francesco Merlo a TPI: “Votare no per fermare i progetti eversivi del M5s e della destra”
– Giovani per il No, over 50 per il Sì: il paradosso generazionale sul referendum

L’articolo proviene da TPI.it qui

I lavoratori pagano, i manager incassano

Sotto la guida di Bonomi, Confindustria si è lanciata in uno scontro con il governo per ottenere un posto riservato agli industriali al banchetto dei miliardi che arriveranno dall’Europa per il coronavirus. È la stessa associazione che critica lo strumento della cassa integrazione e poi “mette” in cassa i giornalisti del Sole24ore

Arriveranno soldi, molti soldi, su questo non ci sono grandi dubbi: sono almeno 172 miliardi dall’Europa oltre i 36 miliardi del fondo salva Stati Mes che potranno essere usati per la sanità e che il governo italiano, nonostante le enormi fibrillazioni nella maggioranza, sembra intenzionato a richiedere. Ciò che sembra sfuggire a molti commentatori politici è che in Italia si vedranno cifre che sarebbe stato folle anche solo immaginare prima della pandemia e ogni volta che all’orizzonte si intravede il denaro le lobby, dalle più fameliche alle più ostinate, si preparano a aprire le fauci per ingerire la propria fetta.

All’odore dei soldi si è mossa subito la nuova Confindustria di Carlo Bonomi, quello che non ha nemmeno fatto raffreddare il festeggiamento per la sua elezione e si è già lanciato in uno scontro a muso duro con Giuseppe Conte e il suo governo per chiedere che Confindustria possa avere il suo lauto posto riservato per il prossimo banchetto.

Curiosa la storia del capo di Confindustria: colui che dovrebbe rappresentare tutti gli imprenditori d’Italia, e che quindi dovrebbe presumibilmente esserne un fulgido esempio, è a capo di una piccola azienda biomedica che fattura qualcosa come due milioni di euro all’anno, una miseria nel panorama imprenditoriale italiano che già di suo non eccede nelle dimensioni medie. Ma Bonomi è stato scelto per fare la parte del cattivo e lui ha preso molto sul serio il copione eccedendo perfino nella sua libertà lessicale: giusto qualche giorno fa ha dato lezioni di diritto costituzionale lanciando l’idea di una nuova democrazia che ha chiamato «negoziale» auspicando «una grande alleanza pubblico-privato» in cui «il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale» ma dialoga «incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, del Terzo settore, della ricerca e della cultura».

Letta di primo acchito potrebbe anche sembrare avere un senso se non fosse che…

L’inchiesta prosegue su Left in edicola dal 26 giugno

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La democrazia secondo Confindustria

Carlo Bonomi si è lanciato perfino in un neologismo: “democrazia negoziale”. Quando mi è capitato di leggerlo ho pensato che la democrazia è democrazia, ed è contendibile per natura altrimenti non lo sarebbe poi ho letto ancora di più e mi sono accorto che sarebbe “una grande alleanza pubblico-privato” in cui “il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale” ma dialoga “incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo settore, della ricerca e della cultura”. È un fighissimo esercizio retorico ma in realtà, grattando grattando, significa che secondo Bonomi Confindustria dovrebbe essere la terza Camera dell’iter parlamentare. I cittadini votano un governo ma il governo deve essere avallato da loro. Forte, eh?

Peccato che proprio sulla rappresentanza di Confindustria ci sarebbe qualcosa da ridire visto che la Confindustria di oggi rappresenta quel bel capitalismo fatto con i soldi degli altri (Eni, Enel, Leonardo, Poste, tanto per citare qualcuno) che ha consigli d’amministrazione decisi dal governo e ha perso parecchia rappresentanza di quel capitalismo privato che ormai dalle nostre parti è diventato una rarità.

Ma non è tutto, no. Confindustria per bocca del suo presidente Bonomi ha criticato (legittimamente) le scelte del governo definendo (legittimamente) assistenzialismo le iniziative prese come i bonus e la cassa integrazione: peccato che proprio Confindustria abbia usato la cassa integrazione per i giornalisti del suo quotidiano Il Sole 24 Ore. Curioso, no?

E poi c’è la ricetta per ripartire, questo è il vero capolavoro: meno regole per gli appalti, più cemento per tutti e soldi alle imprese e possibilmente più possibilità di precarizzare i lavoratori. Sono le stesse ricette di tutti questi stessi anni. Sempre.

Sarebbe bastato dire invece: «caro Conte sappiamo che arriverà una montagna di soldi dall’Europa e vogliamo la nostra fetta». Un po’ crudo, molto più apprezzabile. Senza nemmeno troppo sforzo nell’inventare nuove parole.

Buon venerdì.

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Che affare, la pandemia

La pandemia no non ci ha reso tutti uguali e secondo il premio Nobel Joseph Stiglitz e l’economista francese Thomas Piketty «ha esacerbato le diseguaglianze». «Le stesse grandi compagnie di Internet, fino a ieri impegnate in pratiche di elusione fiscale, sono state le principali beneficiarie del coronavirus», ha detto Stiglitz durante la conferenza stampa virtuale convocata dalla Commissione indipendente per la riforma della fiscalità internazionale d’impresa (Icrict) e dall’Ong Oxfam.

Facebook, Amazon, Apple, Alphabet, Google nel cuore dell’Europa, in Irlanda, «pagano tasse su una frazione del loro fatturato», dicono i due economisti che propongono anche un soluzione: un regime fiscale minimo. «Sarà molto difficile», ha detto Piketty, ma il fatto che tutta l’Europa stia riflettendo sul debito e stia muovendo somme impensabili potrebbe fare ritrovare il coraggio di parlarne una volta per tutte.

Eppure se ci pensate sono molte le disuguaglianze di cui si è discusso durante l’epidemia, quando davvero si credeva che potesse essere messo in discussione almeno un pezzo di sistema e invece è tornato già tutto nei binari normali. Anche gli eroi si sono già normalizzati, rientrati nei ranghi. Infermieri, insegnanti e perfino i rider, quelli che ringraziavamo ogni giorno su tutte le prime pagine dei giornali, sono finiti ancora nelle retrovie. La scuola è rimasta l’ultima preoccupazione del governo che non ha riaperto le aule e che non sa ancora quando e come si riapriranno mentre ci si assembra sui campi da calcio e nelle manifestazioni politiche. Gli artisti che hanno addolcito la quarantena sono lasciati a inventarsi qualcosa. Lo spettacolo dal vivo è ripartito claudicante.

Tutto bene, tutto normale. Che affare, la pandemia, per i ricchi che sono rimasti ricchi e non sono nemmeno stati messi in discussione. Che affare, la pandemia, per gli eroi che hanno avuto i loro 5 minuti di notorietà e ora devono tornare ai loro posti.

Buon mercoledì.

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Il colloquio di lavoro

(Ripensavo a un testo per questo primo maggio e per questo lavoro piuttosto deteriorato e mi è venuto in mente un capitolo del mio romanzo Santamamma. Ora, non è mai bello autocitare un romanzo, suona sempre come mossa promozionale, eppure è una scena che contiene molte delle cose che ho vissuto io che sono di quella generazione a cavallo tra il “lavoro” come lo intendevano i nostri genitori e poi il “lavoro” come sarebbe diventato. Eccolo qui)

«Carlo Gatti»

«Sì, buongiorno. Eccomi.»

«Titolo di studio?»

«Maturità classica.»

«E basta?»

«Già, sì.»

«Strano, una maturità classica senza università…»

«Ho preferito cominciare a lavorare.»

«Sì. Ma non ha cominciato a lavorare visto che è qui per il colloquio.»

«Ho fatto il benzinaio.»

«Con la maturità classica. Un po’ pochino, eh. Chissà come saranno stati fieri i suoi genitori.»

«Lavoro estivo. Una cosetta così.»

«Ma qui c’è scritto settembre aprile.»

«Intendevo estivo nell’interpretazione. Anche se d’inverno.»

«Ah, nell’interpretazione, pensa te. Speriamo che non interpreti anche di fare finta di lavorare, ahinoi.»

L’ufficio aveva piante finte in tutti gli angoli. Smorte comunque. Almeno una spolverata, pensavo, almeno quella ci vorrebbe. Lui rigirava una penna. Lo insegnano a tutti gli ingiacchettati: tenere qualcosa tra le mani evita la fatica di pensare dove metterle. Trucchetto curioso per chi dovrebbe ribaltare l’economia del mondo, ma tant’è. I colloqui di lavoro hanno tutti un filo comune: la recitazione da parte dell’esaminato di un bisogno ma non troppo, di un entusiasmo ma non troppo, di competenze ma non troppo, di umiltà ma non troppo, di troppa buona educazione e una combinazione d’abiti che non vedi l’ora di dismettere. L’esaminatore, invece, sfoggia l’abilità di esaminare ma non troppo, annusa che tu sia brillante ma che non possa fare ombra, gioca al caporale e tu la truppa e poi diventa servo se entra il capo. Al decimo colloquio di lavoro potresti farne la regia in un teatro da mille posti, disegnarne la radiografia. Che messinscena.

«Suona. Anche.»

«Suonavo. Ho studiato pianoforte fin da piccolo. E violoncello.»

«La mia figlia più piccola va a danza. Le maestre dicono che sia portata. Vedremo un po’. Quindi ha suonato alla Scala?»

«Alla Scala c’è una stagione sinfonica. Non concerti solisti.»

«Ho capito, ho capito. Suonava così. Per passione…»

«Ho studiato. Frequentavo anche il conservatorio.»

«Ah, è diplomato! Allora un giorno la invito a vedere mia figlia ballare così mi dice.»

«Non mi sono diplomato. Mi sono fermato al nono anno.»

«Gatti, Gatti… non è riuscito a finirne una…»

«Ho avuto un lutto in famiglia.»

«Oh, mi spiace.»

Almeno un limite di potabilità, me lo ero imposto. Almeno non farsi sbavare addosso. E il lutto è un jolly: funziona a scuola per l’interrogazione e funziona anche qui. Del resto sono tutti maestrini, questi qui.

«Le spiego. Lei sa di cosa ci occupiamo?»

«Ho preso alcune informazioni. Consulenza aziendale specializzata in logistica, mobilità e ottimizzazione.»

«Ha sfogliato il depliant. Almeno quello l’ha finito.»

«Mi informo sempre. Amo sapere con chi sto andando a parlare.»

«Va bene Gatti, adesso non esageriamo. Quello è il mio lavoro. Comunque: esistiamo dal 1949 e il fondatore era un piccolo padroncino che si occupava di consegne e spedizioni nella zona fino poi a coprire tutto il territorio nazionale. Quando l’azienda è passata di mano al figlio, il signor Monti che poi è quello che la pagherebbe se io decido che lei può andare bene, abbiamo deciso di internazionalizzare l’impresa e oggi siamo tra i leader in Europa nella consulenza per le più importanti aziende logistiche. Trattiamo bancali e container che partono dall’Islanda e viaggiano fino alla Nuova Zelanda. Spedizioni che fanno il giro del mondo. Mi segue?»

È forte questa cosa degli incravattati che ripetono manfrine sulla storia dell’azienda com’è scritta sui volantini. È la recita di natale che si ripropone nella versione adulta, solo che qui a noi tocca fare i parenti commossi.

«Noi ci occupiamo che la spedizione avvenga con tutti i crismi: velocità, cortesia, qualità e produttività, soprattutto. Produttività. Abbiamo due divisioni: slancio e controllo. La figura che cerchiamo è per il reparto di slancio.»

«Sì. Di slancio. Che sarebbe?»

«Molto semplice. Il cliente x dice che deve spedire il bancale y da Roma a Berlino. Lei ha i numeri telefonici dei camionisti che collaborano con noi e il nostro sistema le fornisce un’indicazione di prezzo che noi chiamiamo cuneo. Il suo lavoro è di trovare velocemente quale dei nostri trasportatori è disposto a fare la tratta al prezzo più basso. Sulla differenza tra il cuneo e il prezzo che lei è riuscito ad ottenere le spetta una provvigione del 2,5% fino a un abbassamento del 25%, una provvigione del 5% fino al 50% e addirittura del 10% se il cuneo supera il cinquanta. Sembra difficile ma è molto semplice: quel viaggio dovrebbe costare 10.000 euro ma lei riesce a venderlo a un camionista a 5000 e con una telefonata si  è guadagnato 500 euro puliti. Mica male, eh?»

«Eh.»

«Già.»

«Ma perché slancio?»

«Il nome? Perché questo nome?»

«Sì. Una curiosità.»

«Mi sembra facile. Iniettiamo soldi nel mondo del lavoro, creiamo economia, spostiamo merci, accontentiamo clienti e lavoratori. Se al camionista non arrivasse quella telefonata avrebbe il camion fermo in giardino per farci giocare il figlioletto con il clacson e la leva del cambio. Il suo lavoro è tenere tutte queste persone in circolo, con tutti i loro talenti.»

Qui sorrise con trentadue canini. Era evidente che aveva trovato una formula diversa dalla consuetudine intirizzente e ne era entusiasta. L’avrebbe raccontata ai colleghi, agli amici del golf e alla mogliettina simulatamente fiera che l’avrebbe ascoltato mentre sceglieva il sushi. Da noi, in quegli anni lì, il sushi era un marziano con il salotto aperto solo agli eletti.

«Ma lei capisce, signor Gatti, che la responsabilità del ruolo e il prestigio dell’azienda ci impone di scegliere persone con i giusti talenti.»

Daje, con i talenti. Mi venne in mente zio Paperone. Con i sacchi di talenti.

«Per questo ho bisogno di sapere tutto di lei e di protocollo le farò anche delle domande personali. Dobbiamo avere la certezza di affidare il nostro slancio a persone che insieme a noi vogliano cambiare il mondo, aperte a sfide nuove e capaci di interagire con il futuro dandogli del tu.»

«Ovvio.»

«Mi dica Gatti, perché è interessato ad entrare nel mondo della logistica e della grande distribuzione?»

«Perché amo la mobilità. Ecco.»

«Cioè?»

«Credo che il commercio sia la più alta realizzazione delle capacità umane e essere partecipe di un’organizzazione che riesce a dare del tu a tutti i continenti sia una bella sfida.»

«Perfetto. Molto bravo. Ha già capito il nostro spirito. Siamo esploratori, noi. Ha intenzione di farsi una famiglia?»

«Certamente. Pur rispettando la mia autonomia.»

«Appunto. Perché qui non si può fermare il mondo per un anniversario, lei mi capisce. Questo non è un lavoro…»

«È una missione.»

«Una missione. Esattamente. Vuole avere figli?»

«Per ora no. Una famiglia mi basterebbe. Vorrei prima concentrarmi sulla realizzazione personale

«È molto maturo per essere un musicista della domenica, Gatti. Anche se ha letto il greco e latino.»

«La ringrazio.»

«Qui c’è gente che si è presentata in braghe di tela come lei e ora si porta a casa dodici, quindici, diciotto milioni al mese. Ma bisogna crederci, essere all’altezza dei propri sogni, come dice il nostro capo tutti gli anni alla cena di natale. Mi dica Gatti, ma lei è all’altezza dei suoi sogni?»

«Oh certo.»

«Perché qui ha il dovere di sognare. Non so se mi capisce. Questo non è un lavoro, come dirle, è l’affiliazione a un sogno. Qui non ci sono orari e domeniche perché i nostri collaboratori hanno bisogno di venire in ufficio, hanno bisogno di ribassare il cuneo e sentono la necessità di dimostrare al mondo che è possibile spostare un bancale di mille chilometri a metà del prezzo che la società ci vorrebbe imporre. È un fuoco che senti dentro».

«Capisco bene.»

«Capisce, va bene, ma lei ce l’ha il fuoco? Me lo faccia vedere! Ce l’ha il fuoco dentro?»

Sai che forse ci credono davvero questi a quello che dicono? Francesco una volta mi disse che sì, che secondo lui succede che a forza di riempire di polpettone il tacchino qualche tacchino si convince di essere polpettone. Lui aveva suo padre che vendeva porte blindate, le porte blindate più blindate tra le porte blindate, e quando a casa di Francesco gli zingari gli sono entrati in casa per rubargli pochi spicci, le mozzarelle e cagargli sul divano anche quella volta lì suo papà disse che dovevano essere una banda di professionisti, rapinatori da musei e ministeri, se erano riusciti a debellare la sua porta blindata.

«Io ce l’ho il fuoco. Me lo sento che brucia.»

«Perché questo è il punto di partenza essenziale. Senza quello io e lei non facciamo neanche questo appuntamento, altrimenti. Perché è lei che vuole venire con noi. Ma come lei ce ne sono migliaia. E bisogna scegliere bene chi ci prendiamo in famiglia.»

«Certamente. La sua è una bella responsabilità, mi immagino.»

«Lo può dire forte, Gatti! Lo può scrivere mille volte sulla lavagna! Ma lei cosa vuole fare da grande?»

«Essere in squadra per una grande impresa

«Molto bene.»

«Grazie.»

«Guardi questo test, guardi qui. Deve mettere una croce. È alla guida di un treno e c’è una biforcazione. Se continua sulla sua direzione troverà sei persone sui binari e inevitabilmente sarò costretto a ucciderli però può azionare lo scambio e decidere di prendere l’altra biforcazione dove sui binari c’è un uomo solo. Da che parte va, lei, Gatti?»

«Non è facile.»

«Non c’è tempo Gatti! Non ha troppo tempo! Non si può spegnere lo slancio!»

«Ne uccido uno solo, forse.»

«Ma è colpa sua, così!»

«Beh, non credo che se uccido gli altri sei mi facciano patrono del paese…»

«Sa qual è la risposta giusta?»

«No.»

«La risposta giusta anche se non c’è il quadretto della risposta giusta?»

«Mi dica.»

«La strada più breve. La più breve è la risposta giusta.»

«Ah, ok.»

«Ha qualche domanda?»

«Niente in particolare. Volevo chiedere, nel caso in cui io possa andare bene, l’inquadramento. Lo stipendio.»

«Le do un consiglio Gatti. Al di là di questo nostro incontro e che poi venga o no a lavorare con noi. Le do un consiglio. Parlare di soldi a un colloquio di lavoro è terribilmente inelegante».

«Sì, questo lo so».

«Però ci è ricascato. Pensi lei se io dovessi essere così rozzo da raccontarle che dispendio di soldi, tempo e energie è per noi fornirle una postazione, occuparci del telefono, le cuffie, il computer, i programmi, il suo armadietto, il badge, la mensa. Pensi quanto mi costa impiegare qualche collega esperto, di quelli che hanno lo slancio dentro, per spiegarle come funziona. Pensi a uno della nostra squadra che piuttosto che iniettare economia deve istruire uno appena arrivato. Gliene ho parlato? Forse mi ha sentito che le faccio pesare il fatto che qui da noi sapere sviolinare il pianoforte conta come il due di picche quando briscola è bastoni? È cambiato il mondo per voi giovani. Io vi invidio. Avete di fronte un futuro aperto a tutte le possibilità: la domanda che dovete fare non è «quanto mi pagate» ma «quanto valgo, io?». Io non le do niente, io non voglio essere come una volta il padrone della sua vita, io sono qui perché lei mi dica quanto guadagnerà. Sono io che glielo chiedo. Quanto guadagnerà Gatti?»

«C’è un rimborso spese?»

«Sono duecentocinquantamila lire di anticipo di provvigioni per i primi sei mesi. Volendo vedere c’è anche un milione di computer sulla sua scrivania, ottocentomila lire di media di bolletta telefonica per ogni collaboratore, la cancelleria e soprattuto questa azienda che vede, che il proprietario ha voluto bella e accogliente più di casa sua.»

«Ho capito. Mi è tutto chiaro.»

«Lei mi piace Gatti. Glielo confesso perché mi piace. Magari mi sbaglio anche se in tutta la carriera non mi sono sbagliato mai ma sento il suo fuoco. Mi prendo il rischio, via: se vuole domani ci vediamo alle 7 e iniziamo. Non lo dica a nessuno che l’ho deciso così su due piedi ma ogni tanto voglio fidarmi del mio istinto. Forse si è perso un po’ con la musica e la scuola ma le posso raccontare di un collega che non sapeva nemmeno parlare in italiano e ora è un caporeparto con la Golf aziendale e uno stipendio da favola. Non le dico il nome solo perché sarebbe inelegante ma lei ha quella luce negli occhi. Se lo prende qui da noi il diploma, si laurea in slancio. Eh?”

«Domani però non posso. Domani.»

«E perché?»

«Ho avuto un lutto.»

«Mi dispiace tanto.»

«Però vi chiamo. Vi chiamo io.»

«Va bene Gatti. Va bene. L’aspettiamo. Come una famiglia!»

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/05/01/il-colloquio-di-lavoro/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Il parassita e le imprese

Oggi va letto Bernardo Luraschi perché, mentre in Parlamento ci si attorciglia intorno all’elezione del Presidente della Repubblica, qui fuori le imprese chiudono, si scollano e aspettano qualche risposta:

In Italia ci sono quattro milioni d’imprese che non producono più utili tali da giustificare l’attività imprenditoriale, nonostante questo non chiudono continuano a lavorare per non creare crisi sociale e licenziare dipendenti che conoscono da una vita, in quel lavoro c’è la loro dignità di cittadini e pur con enormi sacrifici continuano a resistere.

Questi imprenditori, commercianti e professionisti, questi borghesi, cosa hanno da spartire con i capitalisti?  Ormai nulla, in tutto il mondo si è creata una frattura netta tra la finanza e le imprese quotate in borsa da una parte e le piccole e medie imprese dall’altra. In questo senso è evidente che sia per il piccolo imprenditore che per il suo dipendente, il nemico di classe è la finanza che non fa credito, che ritira i fidi o lo stato che non onora i debiti e non mantiene i patti per finire con la grande industri che sfrutta nell’indotto.

Questa è la realtà che si è creata in un mondo in cui il denaro è una pura rappresentazione del valore delle cose, che non ha più reale contropartita in un valore di garanzia (parità con l’oro).

Ad esempio, in ragione dell’onorabilità di una scrittura contabile che ha creato valuta conseguentemente all’attivazione di un fido, si procede al sequestro dei beni materiali necessari all’attività produttiva di un’azienda, causandone il fallimento, che renderà impossibile onorare qualsiasi altro debito pregresso o aprire altre linee di credito.

In natura, un parassita che causa la morte del proprio ospite è destinato all’estinzione e questo sarà il destino dell’attuale finanza, il guaio è che insieme al parassita si estingue anche l’ospite, per questo è vitale che tutti noi prendiamo coscienza della pericolosità del momento e che lottiamo insieme per arginare questa follia generale.

Se EXPO assomiglia alla Salerno – Reggio Calabria

La notizia è questa e la scrive Il Fatto Quotidiano:

Expo, la Prefettura blocca un’altra impresa e stavolta il collegamento con la criminalità organizzata è la base della decisione. Un fulmine, il secondo in pochi mesi, nel cielo di Milano e sotto l’arcobaleno di Giuliano Pisapia. Nella serata di mercoledì la Prefettura ha siglato un provvedimento di interdizione nei confronti di un’azienda che opera sui lavori di interconnessione stradale che portano al cantiere dell’Expo 2015. Si tratta della Fondazioni Speciali spa, società parmense di geoingegneria del gruppoItalterra con commesse in tutta Italia che sta ristrutturando la viabilità per congiungere la fermata metropolitana di Molino Dorino con l’autostrada delLaghi A8/A9.

Forse adesso risulta più chiaro perché ci avevamo tenuto tanto a pubblicare su questo piccolo blog un articolo che ci stava a cuore e che ci interessava fosse letto (oh, viene voglia di fare la commissione antimafia 2.0, per dire):

A fare le spese più pesanti del racket dei Nasone, però, è stata la Fondazioni Speciali S.p.A., che ha ottenuto un subappalto per eseguire dei lavori di consolidamento per 850 mila euro sulla A3 all’altezza di Scilla. Hanno aperto i cantieri a luglio del 2011 e in meno di due mesi hanno subito tre danneggiamenti. Il 28 agosto a un impiegato della ditta viene danneggiata l’auto privata. Il capocantiere, che ha capito bene cosa sta succedendo, gli consiglia di «non parlare troppo», di non dire in giro che lavora per la Fondazioni Speciali. «Tu devi fare una cosa Salvo, quell’adesivo che gli hai messo cosi bello carino che si vede lì glielo devi togliere». Spiega, il capocantiere, che prima, quando non serviva, di fronte al recinto c’era una postazione dell’esercito, e che ora che servirebbe come protezione l’hanno rimossa.Poi, per diversi mesi, le acque sembrano essersi calmate. Non per merito, però, delle denunce contro ignoti ai carabinieri: pochi giorni dopo quelle intimidazioni, la Fondazioni Speciali ha accettato di rifornirsi dal bar dei Nasone in paese per la colazione degli operai. Fino a dicembre.Il 3 marzo scorso, allora, il giorno dopo avere messo in piedi un’intimidazione a un’altra ditta che lavorava su altri cantieri dell’autostrada, la cosca si riunisce al solito bar per progettare un nuovo attentato alla Fondazioni Speciali. Gli uomini del clan hanno già fatto dei sopralluoghi, hanno studiato i mezzi per scegliere quale danneggiare. Alla fine decidono di togliere i freni a un compressore e lasciarlo cadere giù per un dirupo. «Là ci sono le ruote, ci sono due pietre. Togli quelle pietre; di qua davanti ha una levetta (incomprensibile) freno a mano (incomprensibile) precipitano di sotto nella strada. Che cazzo ce ne fottiamo!».

Poi pianificano una via di fuga coi motorini, semmai qualcuno capitasse nei paraggi. E una scusa nel caso dovessero essere colti in flagrante. E se i carabinieri non dovessero credere loro, nessun problema: «Che mi interessa? Gli faccio scoppiare in aria!». L’obiettivo della missione è costringere l’azienda a trattare. L’intimidazione deve essere abbastanza grande da spingere gli uomini della Fondazioni Speciali a farsi vivi con i boss. «Io voglio almeno che andiamo al fine di farli venire. Non che io vado e loro dicono: sono stati ragazzini di due anni. Dev’essere un lavoro bello, in maniera da scendere», da farli venire a negoziare. «E se non vengono?». «E se non vengono glieli bruciamo».

Quella notte, il compressore liberato dai freni si schianta contro uno spartitraffico in cemento. La mattina dopo, gli operai della ditta lo trovano semidistrutto. Sopra c’è una bottiglia di plastica piena di una sostanza liquida, tutta avvolta da un nastro da imballaggio marrone. Sembra un ordigno pronto a esplodere, ma la miccia è finta. Serve solo a spaventare.Gli uomini della ‘ndrina però non sono soddisfatti. Quel macchinario non doveva finire sul guard rail: secondo i piani sarebbe dovuto cadere di sotto, nella scarpata. «Non valiamo nulla. Anzi, soprattutto tu non vali niente, perché io – ride, spaccone – io sarei andato. Che cazzo me ne sarebbe fottuto? Io non ho problemi con l’altezza. Io se mi devo buttare da una montagna, mi butto, non ho paura di buttarmi. Posso rompermi le gambe qualche volta. Lì sai cos’è stato? Non è caduto di sotto! Se fosse caduto lì sotto mi sarei divertito di più io!».
Quell’intimidazione non basta a ridurre la ditta a farsi viva. Bisogna tornare sul cantiere. La notte tra l’8 e il 9 marzo alla Fondazioni Speciali viene danneggiato un altro macchinario. Un semaforo finisce sotto la scarpata.Da un po’ di giorni, però, una microspia, che la Procura di Reggio Calabria aveva fatto installare nel bar, stava registrando tutti i colloqui dei boss. Gli inquirenti avevano potuto assistere in diretta al lavoro quotidiano di soprusi ed estorsioni della ‘ndrangheta. Potrebbero continuare a registrare per raccogliere altre prove. Ma c’è un imprevisto. Una talpa tra le forze dell’ordine ha avvertito i Nasone delle indagini in corso. A dire il vero, che ci fossero indagini in corso su di loro e che i magistrati fossero intenzionati a farli arrestare, i Nasone lo sapevano già da novembre. Lo era venuto a sapere Domenico Nasone e lo aveva raccontato a sua cugina Annunziatina che aveva avvertito suo fratello, Giuseppe Fulco, in carcere, dov’era andata a fargli visita accompagnata dalla madre.Nel verbale di questo colloquio, finora inedito, avvenuto nel carcere di Benevento l’11 novembre scorso e filmato a loro insaputa, la madre dice al figlio detenuto che «è tutto registrato». «Pure in cella», aggiunge la sorella. «Non devi aprire né bocca né niente», lo avvertono.Nelle indagini l’atteggiamento della ditta Fondazioni Speciali SPA risulta molto controverso, del resto. Leggere le carte, studiare, analizzare: ecco il protocollo che funziona.

Ma c’è dell’altro. Operazione “Alba di Scilla” a carico della cosca Nasone-Gaietti. Negli atti si legge:

Dalle intercettazioni telefoniche attivate in conseguenza delle denunce presentate (R.I.T. n°1718/11 – proc. pen. 6612/11 RGNR mod. 44), ed in particolare dalle conversazioni di seguito riportate, emerge il clima di timore ed omertà sorto tra i dipendenti della Fondazioni speciali spa in conseguenza di tali indimidazioni:

  • in data 25.08.2011, MUSUMECI Concetto
  • , responsabile del cantiere di Scilla per conto della Fondazioni speciali spa, riferisce ad un collaboratore quello che è successo la notte precedente in merito all’asportazione di un semaforo. Il collaboratore gli chiede se stanno continuando a lavorare. MUSUMECI gli riferisce di sì, che ci sono alcuni problemi con la direzione dei lavori e che ha saputo che la zona su cui stanno lavorando è una zona calda.

MUSUMECI C.:- Si, ci sei adesso?———————————————————————–//

CILLO:- Si, con i Carabinieri cos’era successo?————————————————-//

MUSUMECI C.:- Che questa notte hanno trafugato un semaforo, quello di monte!—————–//

CILLO:- Hanno?————————————————————————————-//

MUSUMECI C.:- Trafugato! Trafugato, che poi si è scoperto che non era stato trafugato ma solo rimosso e buttato giù per la scarpata.  E quindi niente abbiamo denunciato questo atto vandalico e sono arrivati, anche perché sembra che quella sia una zona calda e quindi particolarmente “attenzionata”. -//

(Conversazione del 25.08.2011 alle ore 16:36, registrata sull’utenza nr. 3939324493 in uso a MUSUMECI Concetto al progressivo n°9, R.I.T. n°1718/11)

  • in data 28.08.2011 MUSUMECI Concetto parla con ZAPPIA Salvatore, il quale gli racconta dell’anomalo danneggiamento del lunotto posteriore della propria autovettura. MUSUMECI Concetto gli consiglia di non far sapere in giro che lavora per conto della “Fondazioni Speciali” e pertanto di rimuovere dall’autovettura l’adesivo della ditta, ritenendo implicitamente che il danneggiamento sia stato effettuato proprio in quanto dipendente della predetta società.

ZAPPIA S.:- Pronto

MUSUMECI C.:-Ciao Totò

ZAPPIA S.:- Buon giorno!

MUSUMECI C.:-Ciao, mi hai chiamato?

ZAPPIA S.:- Ti disturbo?

MUSUMECI C.:-Eh?

ZAPPIA S.:- Ti disturbo?

MUSUMECI C.:-No, no dimmi … dimmi?

ZAPPIA S.:- Allora ieri sera mi hanno, non so se mi hanno rotto un vetro oppure è scoppiato in macchina.

MUSUMECI C.:-Cosa ti hanno scoppiato in macchina?

ZAPPIA S.:- Il vetro di dietro del porta bagagli!

MUSUMECI C.:-Ah!

ZAPPIA S.:- Non so se me l’hanno rotto o se è scoppiato, questo non lo so. Dentro non c’era nulla, fuori …incomprensibile….

MUSUMECI C.:-Ed è scoppiato da solo, ma dove?

ZAPPIA S.:- Sotto casa mia!

MUSUMECI C.:-Minchia! Ma tu non sei il Sindaco, il figlio del ….. o no?

ZAPPIA S.:- E che vuoi che ti faccio?

MUSUMECI C.:-Eh! Vedi quando ti dico di non parlare troppo perché,

quando … quando la situazione.. che … tu devi fare una cosa Salvo, quell’adesivo che gli hai messo cosi bello carino che si vede lì glielo devi togliere.

ZAPPIA S.:- Si lo so!

MUSUMECI C.:-Eh!

ZAPPIA S.:- Allora oggi vado dai Carabinieri 

MUSUMECI C.:-Fai denuncia contro ignoti. Non lo so scoppiare, che scoppia un vetro così?

ZAPPIA S.:- No, può anche .. può succedere  ..in teoria.

MUSUMECI C.:-Si va bene, però!

ZAPPIA S.:- Dentro non c’era nulla Concetto!

MUSUMECI C.:-Come?

ZAPPIA S.:- Dentro non c’era nulla.

MUSUMECI C.:-L’ho capito, ma non è detto che l’hanno spaccato per farti .. 

per rubarti qualcosa. Può essere che l’hanno spaccato così per sfregio, per dispetto, per farti danno insomma.

ZAPPIA S.:- Si va bene ma io non ho problemi, non ho mai avuto problemi con nessuno. Di questo ieri parlavo con mio padre.

MUSUMECI C.:-No, tu non hai mai avuto problemi con nessuno ma la macchina è Fondazioni Speciali

ZAPPIA S.:- Si lo so

MUSUMECI C.:-Nemmeno io ho mai avuto problemi con nessuno se no quelli che sappiamo però! 

(Conversazione del 28.08.2011 alle ore 13:05, registrata sull’utenza nr. 3939324493 in uso a MUSUMECI Concetto al progressivo n°116, R.I.T. n°1718/11)

  • in data 23.09.2011 MUSUMECI Concetto conversa con un soggetto non meglio identificato sulle difficoltà incontrate sul lavoro. L’interlocutore riferisce che “la cosa più brutta è l’aria che si respira”. MUSUMECI risponde a tale commento asserendo che da questo punto di vista “si sono calmati”, perchè egli è andato dai Carabinieri. L’interlocutore dice che, prima, quando non serviva, di fronte al cantiere c’era una postazione dell’Esercito, ora che potrebbe servire come protezione allo stesso quella postazione è stata rimossa.

UOMO:- La cosa più brutta è l’aria che si respira, veramente!

MUSUMECI C.:- Ma diciamo che da questo punto di vista si sono anche abbastanza calmati. Anche perché io me ne sono andato dove dovevo andare … dai Carabinieri ed ho detto senti o mi fanno lavorare oppure cioè non me ne fotte un cazzo!

(Conversazione del 23.09.2011 alle ore 09:57, registrata sull’utenza nr. 3939324493 in uso a MUSUMECI Concetto al progressivo n°2116, R.I.T. n°1718/11)

Per diversi mesi la ditta in questione non ha denunciato altre azioni intimidatorie, ciò fino ai primi giorni del mese di marzo 2012 allorquando sono state compiute e regolarmente denunciate dalla Fondazioni speciali spa le seguenti azioni delittuose:

  • la notte tra il 3 ed il 4 marzo 2012, presso il cantiere “PARATIA SCILLA” in cui la ditta Fondazioni speciali spa è impegnata in lavori di perforazione adiacenti alla strada Provinciale per Melia (comune di Scilla), viene liberato dai freni e dai fermi un compressore marca “INGERSOL”; il mezzo, collocato in un tratto di strada in discesa, va ad urtare contro uno spartitraffico in cemento, riportando danni rilevanti. Su tale compressore inoltre, viene rinvenuta posizionata una bottiglia di plastica contenente una sostanza liquida, avvolta da nastro da imballaggio di color marrone e con una finta miccia incendiaria realizzata con della carta arrotolata. 

Sul medesimo cantiere viene inoltre danneggiata una sonda marca “COMACCHIO” modello MC 1200 attraverso la distruzione del quadro di comando. Anche su tale mezzo viene posizionata una bottiglia di plastica avente le medesime caratteristiche di quella sopra indicata.

  • la notte tra l’8 ed il 9 marzo 2012, nel cantiere sopra indicato, viene ulteriormente danneggiato, mediante un corpo contundente, il quadro comando ed i tubi idraulici della sonda di cui sopra. Inoltre, il semaforo mobile presente sul cantiere, utilizzato per la regolazione della circolazione stradale, come già in occasione dell’atto intimidatorio compiuto il 25.08.2011, viene gettato nell’adiacente scarpata.

Ma c’è un punto che è interessante:

BURZOMATO e PUNTORIERI continuano a discutere sul come comportarsi all’interno del cantiere ed ipotizzano il rischio che il mezzo che vogliono danneggiare possa fermarsi sulla discesa a causa degli spartitraffico che sono stati posizionati in prossimità del cantiere (situazione che, come vedremo, si verificherà concretamente). Pertanto, BURZOMATO chiede a PUNTORIERI se non sia il caso di evitare di danneggiare i mezzi e limitarsi a posizionare solo delle bottiglie (“Per forza danni gli devi fare? E se gli mettiamo solo le bottiglie e basta?”). PUNTORIERI teme però che l’intimidazione non risulti  abbastanza chiara ed efficace (“E se non vengono? E se non vengono?”), in tal modo provocando la reazione di BURZOMATO, il quale lo rassicura affermando che in quel caso tornerebbero sul posto a bruciare i mezzi (“E se non vengono glieli bruciamo”). 

Il suddetto contesto dialogico conferma – se ve ne fosse bisogno – che i suddetti interlocutori stanno organizzando un’azione intimidatoria di tipo estorsivo ai danni di una ditta impegnata nei lavori di ammodernamento dell’autostrada SA-RC (nella specie la Fondazioni Speciali spa); l’espressione “se non vengono” non si presta infatti ad altra interpretazione, se non quella riferita al contatto che i rappresentanti della ditta danneggiata cercheranno al fine di regolare i conti con la cosca mafiosa operante a Scilla. 

(Per i curiosi l’ordinanza è qui in pdf)

Insomma basterebbe essere curiosi, scassaminchia, leggere e fare. Perché se le stranezze si notano nei blog non si capisce dove si perdano tra le decine di protocolli, comissioni, convegni sulla legalità e presentazioni di libri. Se ci è arrivato il Prefetto di Milano a intervenire significa che assistiamo al primato della Prefettura e quindi ha perso il primato della politica. Appunto.

#nonmifermo La piccola media impresa che va a fuoco

Questa è ormai un’emergenza tale per cui si è arrivati addirittura ad istituire una rete di psicologi ed un numero verde anti-suicidi come sostegno per coloro che ormai sono stati colpevolmente abbandonati dalle Istituzioni.

Non è sostenibile un sistema dove lo Stato pretenda di imporre una pressione fiscale insostenibile senza, però, far fronte ai propri debiti in tempi ragionevoli.

Ridurre l’intero dibattito sul lavoro alla mera regolamentazione delle modalità con cui i lavoratori possono prestare le proprie mansioni, denota una mancanza di conoscenza della specificità del tessuto sociale italiano. In tal modo, ancora una volta, si lasciano al di fuori del dibattito gli artigiani ed i piccoli imprenditori.

In Italia non esistono solo evasori fiscali, ma anche imprenditori che si uccidono per la vergogna di non poter più pagare i propri operai. Imprenditori che non possono far fronte all’insostenibile pressione fiscale, che non si traduce in servizi.

Ne scrive Davide Mapelli qui.