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Quando “EXPO dei popoli” sgombera i rom

articolo scritto per IL FATTO QUOTIDIANO

disegno-20080320_sgombero_romUna lettera, chiara ed efficace, dal campo Rom di Baranzate:

“Mancano due settimane alla data che tormenta le nostre notti e i nostri giorni. Il 15 febbraio, secondo quanto Infrastrutture Lombarde Spa ha detto ad alcuni di noi, verranno a sgomberare il nostro campo, a due passi da Rho, proprio a ridosso dell’autostrada dei Laghi, nel territorio di Baranzate. Un campo che sorge su terreni che abbiamo regolarmente comprato, circa 25 anni fa, e in cui viviamo da allora.

Devono fare l’Expo, ci dicono. Devono costruire una strada di collegamento tra Molino Dorino e l’autostrada. Siamo proprio nel mezzo, dobbiamo andare via.

Sono venuti da noi quelli di Infrastrutture Lombarde Spa, a metà settembre del 2012, hanno scattato delle foto. Alle nostre case e alla nostra terra. Ci hanno fatto firmare delle carte. Anzi le hanno fatte firmare a chi non sa leggere né scrivere in italiano. Ci hanno detto che erano per la privacy. In realtà erano documenti che stabilivano la presa in possesso dei terreni ad un prezzo bassissimo, sette euro a metro quadro.

Sette euro, tanto valgono per loro la nostra vita, la nostra storia, due decenni di vita in un terreno comprato da noi. Un terreno edificabile, adesso. Quando ci hanno fatto pagare le multe per le casette che abusivamente abbiamo costruito sui nostri campi, non siamo riusciti ad ottenere la variazione di destinazione d’uso da agricolo ad edificabile. Non era possibile. Non potevano mettere in regola i tetti che abbiamo tirato su per i nostri figli.

Poi, però, con l’avvento dell’Expo, il cambio di destinazione è stato magicamente possibile ed è stato inserito nel nuovo Pgt. Che strano. D’altra parte, noi Rom, per loro, valiamo molto meno di un’esposizione internazionale. Ma lo sappiamo già. Non ci stupisce. Noi non pretendiamo di essere lasciati nelle nostre terre. Possiamo anche abbandonare il campo, pacificamente. Vogliamo che il prezzo di vendita sia quello di mercato, ma di questo e delle procedure ingannevoli utilizzate nei nostri confronti si stanno occupando i nostri legali.

Quello che più ci preme, ora, è che la nostra dignità venga rispettata. Chiediamo solo di non essere mandati in mezzo ad una strada. Lo chiediamo per i nostri figli. Che studiano qui in zona per migliorare, per costruirsi un avvenire in questo Paese in cui sono nati.

Vogliamo che i nostri bambini, che ci emozionano quando leggono e scrivono in italiano, non vengano allontanati dalle loro scuole e dalla rete di amicizie che hanno costruito con fatica. Vogliamo che non perdano la quotidianità conquistata, nonostante le tante difficoltà, dai propri genitori.

Chiediamo al Comune di Milano, che continua a prendere tempo senza darci una garanzia chiara e una risposta precisa, quantomeno di attrezzare un’area, non lontana dal campo, dove poter continuare a vivere in attesa di una soluzione. E all’assessore Granelli chiediamo di farlo prima che arrivi losgombero. E che ci dia una scadenza certa, non oltre mercoledì 6 febbraio, per presentarci la sua soluzione e dirci chiaramente cosa accadrà. Non siamo terremotati, è vero, ma siamo 350 persone, alcuni anziani e qualche malato, che in una notte potrebbero perdere tutto. Ci sono dei neonati, 60 bambini vanno a scuola, 2 ragazzi frequentano con orgoglio le superiori, non siamo “involuti” come fa comodo credere e far credere.

Se Milano è una città che ama i diritti, una città di inclusione, ci dimostri davvero di esserlo. Anche se noi non siamo elettori, non siamo portatori di voti, abbiamo comunque dei diritti. Il diritto di non vedere i nostri figli finire sotto un ponte, senza un tetto, fuori dalla scuola ed estromessi dal loro futuro. Dal loro diritto al futuro. Che in un Paese civile dovrebbe essere universale.

Alcuni abitanti del campo Rom di Baranzate

Mafie e Expo: to be continued

Dal sito de L’Espresso:

L’appalto principale e più pagato per l’Expo 2015 a Milano è andato a imprenditori già in affari con la mafia. 

E’ quanto ha scoperto ‘l’Espresso’ nell’inchiesta esclusiva di copertina pubblicata nel numero in edicola da venerdì 30 novembre. Nella stessa cordata vincitrice, le imprese di sostenitori e collaboratori di due ex ministri, Altero Matteoli e Giancarlo Galan.

L’impresa in contatto con i boss di Cosa Nostra è la Ventura spa, società appartenente alla Compagnia delle opere, il braccio economico di Comunione e liberazione. La ditta, con sede in provincia di Messina, è specializzata nella progettazione e costruzione di strade, parchi e strutture di ingegneria civile. 

Il nome della Ventura spa appare in un’indagine conclusa la scorsa estate dalla Procura sulla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, una delle cosche più sanguinarie della Sicilia, lo stesso clan che ha ordinato l’omicidio del giornalista Beppe Alfano. Secondo i verbali di un collaboratore e di un imprenditore, che ‘l’Espresso’ pubblica in esclusiva, i proprietari della Ventura spa erano in contatto con il presunto boss dei lavori pubblici, Sam Di Salvo, 47 anni, nel tentativo di pilotare le gare d’appalto in provincia di Messina. 

Con la Ventura, nella stessa cordata: la Mantovani spa di Mestre, il cui presidente Piergiorgio Baita, 64 anni, è socio e amministratore in altre aziende del gruppo con l’ex segretaria di Galan; la Socostramo srl, del costruttore romano Erasmo Cinque, 72 anni, sponsor, consigliere e tra i fondatori del movimento politico dell’ex ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli; un consorzio di cooperative rosse e un’impresa specializzata in impiantistica. 

L’appalto per l’Esposizione universale da loro vinto è quello da 272 milioni assegnato la scorsa estate con un ribasso record di 106 milioni. La cordata dovrà costruire la “piastra”, la base di cemento, strade, servizi su cui verranno innalzati i padiglioni. 

Nell’inchiesta, anche i legami tra le imprese concorrenti all’Expo di Milano e il loro ruolo di alleate nella gestione del progetto Mose a Venezia. La società organizzatrice dell’Esposizione ha negato l’accesso ai documenti della gara vinta da Ventura, Mantovani, Cinque e le coop rosse. 

Il rischio di un ulteriore aumento dei costi, per un evento che costerà oltre due miliardi e mezzo, e altre rivelazioni su ‘l’Espresso’ in edicola da venerdì.

Intanto, per l’accesso agli atti, ci abbiamo pensato noi. E a noi (per legge) non possono dire di no.

Una nuova Lombardia #davvero /2

Cominciano ad arrivare le proposte sulla nostra piattaforma Lombardia #davvero mentre continua serrato il lavoro sul programma e l’opera di “spulciamento” della carta d’intenti delle primarie. E’ l’impegno che ci siamo presi di alzare i contenuti senza preoccuparci dei toni; suona “nuovo” ma dovrebbe essere sempre stato così se non fosse che ci siamo persi dietro formigonismi, trofismi, minettismi dimenticanto il fallimento politico dietro il sistema sanitario, nell’architettura delle funzioni di controllo e nella “disponibilità possibile” ai dialoghi con la criminalità organizzata.

Perché Formigoni non se n’è andato come credono in molti ma è tutto teso al mantenimento di un “sistema Lombardia” che ha ancora troppe promesse da mantenere da qui all’Expo 2015 e deformigonizzare la Lombardia non può che non passare da una “ripubblicizzazione” reale della regione. Ed è un lavoro da chirurgo ed artigiano insieme: chirurgico nell’analisi di ciò che è stato destrutturato (e qualche volta verrebbe da dire “distrutto”) dalla sanità alla scuola e i lavori pubblici fino alle pieghe più nascoste come Arpa, Genio Civile e molto altro e artigiano per l’umiltà che richiede nell’analizzare senza la sicumera di certi analisti.

Innanzitutto sarebbe il caso che la Lombardia cambi strada. Lo scrive Simone sulla nostra piattaforma di discussione: la Lombardia ha bisogno di ripensare completamente il modo in cui i suoi cittadini si muovono. Gli spostamenti nelle aree urbane, quelli dalle periferie al centro e quelli da città a città dovranno affrancarsi dal paradigma autocentrico, al quale la politica deve opporre un’alternativa vera, razionale, credibile: la Mobilità Nuova, ispirata ai risultati degli Stati Generali della Bicicletta e della Mobilità NuovaLeggendo il documento (che ha già tutto quello che serve per un metodo che dagli enti locali arriva fino al governo nazionale in un percorso di solidarietà per la mobilità dolce che ci piace molto) non ho potuto non pensare alla Lombardia 2.0 pensata da Legambiente Lombardia (il manifesto lo trovate qui) che abbiamo discusso qualche giorno fa a Milano. Nel capitolo mobilità scrive Legambiente (con tempi dei verbi in un presente imperativo che rende giustizia all’urgenza della sfida):

  • nella Lombardia del futuro ci saranno meno automobili, ma più libertà di movimento per le persone. Circoleranno meno TIR, ma le merci viaggeranno, nella misura in cui è necessario, all’interno di una filiera logistica industrializzata e ottimizzata. Le linee ferroviarie disporranno delle capacità necessarie a far fronte ad un aumento della domanda di traffico merci. I costi della mobilità, inevitabilmente, aumenteranno, ma politiche di trasferimento distribuiranno tale aumento a vantaggio dei modi di trasporto energeticamente più efficienti e ambientalmente performanti. Tutte le città si doteranno di misure di governo e riduzione della congestione da traffico, aumentando la sicurezza di tutti gli utenti della strada, e l’accesso allo spazio urbano da parte degli utilizzatori ciclo-pedonali 
E allora cominciamo a muoverci dalla mobilità, che suona anche meglio, perché, l’ha spiegato il presidente di Legambiente Lombardia alla sua assemblea, non si può avere un’idea di governo senza avere un’idea di Lombardia. E immaginare una Lombardia di autostrade e auto è miope nel migliore dei casi e colluso con tutti gli altri. Un po’ di presbiti ci fanno bene per scrivere il programma. Un programma presbite che veda lontano e da lontano. Si nota la differenza, no?
ps per idee e suggerimenti basta andare qui.

Lo sfascio della lentezza: buon compleanno Salerno-Reggio Calabria

L’autostrada Salerno-Reggio Calabria festeggia i suoi cinquant’anni. E’ nata nel 1962, A 50 anni dovresti avere già qualche buona storia da raccontare ai tuoi figli, si ha già un buon campionario di cose buone e meno buone su cui arrovellarti per spremere un po’ di esperienza, un lavoro che forse ti è piaciuto tantissimo e comincia a non piacerti più, l’idea di come vorresti invecchiare. Tutte quelle cose lì. Invece l’autostrada Salerno-Reggio Calabria a 50 anni è ancora adolescente e incompiuta come sono incompiuti gli adolescenti. Anche sfrontata nella sua incompiutezza così esibita. La guardi e ti sembra dire “anche quest’anno non mi avete finito”, con un sorriso da finto reduce con gli amici al bar davanti ad un bicchiere di bianco. Io, che sono più giovane della Salerno-Reggio Calabria, potrebbe essere quasi mia madre o sicuramente una zia, sono decenni che sento parlare di infrastrutture. Mi siedo in un Consiglio Regionale, qui in Lombardia, dove ogni conferenza stampa magnifica le prossime infrastrutture, la TEM, la Pedemontana e infrastruttura delle infrastrutture EXPO 2015. Berlusconi ci diceva che le Grandi Opere avrebbero rilanciato il Paese, e prima di lui Craxi e dopo di lui quelli che sono venuti e quelli che verranno, probabilmente. Abbiamo assecondato visionari che sognano ponti, porti, autostrade a otto corsie, fiere cementificate e intanto ci teniamo l’autostrada che non finisce. Lì, una strada in mezzo alla strada come sfascio di una lentezza che sembra non sbloccarsi mai e sopravvivere ai governi. Come una statua in mezzo alla piazza a ricordarci che le cose, in Italia, a volte serve solo iniziarle per muoverci tutto quello che c’è dietro, poi finirle è un dettaglio trascurabile.

La lezione olandese

Sarà che ci avevo visto giusto quando dicevo che la lezione olandese merita di essere seguita con attenzione ed analisi. Perché ora Roemer parla di sinistra, di Europa e soprattutto di alleanze. La responsabilità di dire cose di sinistra (senza cadere nelle facilonerie, ovvio) nel momento di crisi del liberismo è un imperativo che sembra essere più virale di quanto si pensi. E le nostre indecisioni e strategie sembrano ancora più incomprensibili mettendo il naso fuori dai confini nazionali e ascoltando la campagna elettorale olandese. Come racconta anche L’Espresso:

Ci sono un paio di cose da cambiare», afferma il leader socialista. «La principale è avere sul tavolo un’agenda sociale per l’Olanda e per l’Europa. Questa, adesso, è l’Europa per i mercati finanziari, per le grandi società, non è più l’Europa per le persone. Dobbiamo pensare che c’è una via sociale per uscire dalla crisi, dobbiamo avere la possibilità di dimostrare che esiste la possibilità di produrre lavoro, soprattutto per i giovani, di avere diritti sociali, buona sanità e buona istruzione e si può fare pagando tutti, non schiacciando il peso della crisi sulla pelle dei poveri». 

La sua ricetta è fatta di tasse più alte per i ricchi e per le società, rispettivamente al 65 per cento ed al 30 per cento, «cioè ai livelli di altri paesi europei», e di 3 miliardi di investimenti pubblici in infrastrutture. «Bisogna fare, non parlare». Quanto a parlare, ripete spesso la parola “solidarietà”, ma come un prodotto per la casa, non di esportazione. «Altri soldi alla Grecia? Non è una soluzione, negli ultimi mesi glieli abbiamo dati varie volte e le cose non stanno andando meglio. La Grecia ha bisogno di più tempo, non di più soldi». Spagna e Italia hanno invece bisogno di consolidare i conti pubblici e «di una Bce più attiva nel mercato dei titoli, è l’unico modo per abbattere le speculazioni e andare avanti». Sostegno quindi a Mario Draghi nel suo braccio di ferro con la Bundesbank. Quanto a Mario Monti, sospira, sorride e allarga le braccia: non è il suo tipo, glielo si legge in faccia. 

Il problema per Roemer è proprio quello delle alleanze, fuori e dentro l’Olanda. «Vedremo cosa succederà», conclude pensando al 12 settembre. «Io voglio un governo il più di sinistra possibile, voglio una risposta sociale alla crisi, non andrò al governo con nessun politico di destra e un’agenda liberale. E vorrei lavorare in Europa con altri governi socialisti». Merce rara.

#agendadigitale le cazzatine intorno

La terza cosa che penso – da circa 15 anni a dir la verità – è che quello dell’adozione tecnologica sia un tema quasi esclusivamente culturale. 20% infrastruttura, 80% illuminazione. Che il divario digitale non si risolve con un corso obbligatorio di “spingi qui, ora clicca lì” ma che servano, infrastrutture certo ma anche scuola, università, televisioni, salotti di casa e vita quotidiana mediati dalla tecnologia. Con un distinguo bolscevico importante: non ogni tecnologia è utile alla causa della crescita della società, non tutto quello che è Internet e digitale è automaticamente adatto. La responsabilità politica oggi come ieri è tutta nell’esercitare questa azione di indirizzo e scelta volando alti sopra le proposte del mercato: avvicinare i cittadini alle tecnologie “buone” e rimanere neutrali rispetto a tutte le cazzatine intorno. Non facile.

Massimo Mantellini sul suo blog con tre idee sulla chimera di una seria agenda digitale.

Quello che la politica non riesce a fare

Oggi su Repubblica uno scambio epistolare tra un lettore e Colaprico che è un punto di programma per la Lombardia che deve accadere. Perché a volte la politica sta tra le parole e le opinioni che non stanno per forza nei grandi editoriali di statisti à la page:

CA­RO Co­la­pri­co, mal­gra­do il pa­re­re con­tra­rio di tut­ti (co­mu­ni in­te­res­sa­ti, pro­prie­ta­ri dei ter­re­ni sot­to espro­prio, eco­lo­gi­sti, geo­lo­gi, eco­no­mi­sti, ec­ce­te­ra) gli in­sa­ni e cer­vel­lot­ti­ci «pia­ni per il traf­fi­co» del­la giun­ta re­gio­na­le lom­bar­da so­no sta­ti av­via­ti.
Mi ri­fe­ri­sco al­la rea­liz­za­zio­ne del­le «fa­mo­se» Pe­de­mon­ta­na, nuo­va au­to­stra­da Mi­la­no/Bre­scia e al­la Tan­gen­zia­le est ester­na. Al­tri mi­lio­ni di et­ta­ri di ter­re­no fer­ti­le sa­ran­no co­per­ti dal­l’a­sfal­to, ben­ché sia a tut­ti evi­den­te che il traf­fi­co su gom­ma sta di­mi­nuen­do, sia per il co­sto dei car­bu­ran­ti che per la cri­si eco­no­mi­ca, ed è de­sti­na­to ine­so­ra­bil­men­te in fu­tu­ro a di­mi­nui­re an­co­ra.
Que­ste ope­re inu­ti­li di­ven­te­ran­no al­tre «cat­te­dra­li nel de­ser­to», con un as­sur­do e mai tan­to in­sen­sa­to spre­co di de­na­ro pub­bli­co, a mag­gior ra­gio­ne in un mo­men­to co­me que­sto. Na­tu­ral­men­te «i so­li­ti no­ti» (fra i qua­li do­vre­mo an­no­ve­ra­re le va­rie ma­fie?) rin­gra­zia­no. La pia­nu­ra Pa­da­na è sto­ri­ca­men­te la par­te più fer­ti­le del no­stro pae­se, quel­la na­tu­ral­men­te de­sti­na­ta al­lo svi­lup­po agri­co­lo. È di­ven­ta­ta un’im­men­sa me­ga­lo­po­li, nel­la qua­le la teo­ria con­ti­nua di ca­se e ca­pan­no­ni è in­ter­rot­ta, di tan­to in tan­to, da qual­che di­ste­sa di cam­pi. Te­mo che fra non mol­ti an­ni si do­vran­no ara­re le stra­de (qual­cu­no­s’in­ge­gni a stu­dia­re vo­me­ri ade­gua­ti!).
Sil­va­no Fas­set­ta

Vor­rei av­vi­sar­la che la ri­vo­lu­zio­ne in­du­stria­le ri­sa­le al­l’800, che il boom eco­no­mi­co ita­lia­no è av­ve­nu­to al­la me­tà del se­co­lo scor­so e che Mi­la­no e Bre­scia so­no cit­tà do­ve le ci­mi­nie­re so­no spun­ta­te un bel po’ di tem­po fa. Lei cre­de­va di es­se­re in Ar­ca­dia, tra pe­co­re e pa­sto­rel­le e flau­ti? Ba­sta per­cor­re­re la Mi­la­no-Bre­scia per ren­der­si con­to del mon­do in cui sia­mo. Mol­ti an­ni fa Gior­gio Boc­ca rac­con­ta­va ai let­to­ri che usan­do il Po co­me una via d’ac­qua per le mer­ci, si sa­reb­be ot­te­nu­to il du­pli­ce sco­po di far di­mi­nui­re la con­ge­stio­ne del traf­fi­co su stra­da e tra­sfe­ri­re i con­tai­ner pre­sto e me­glio. Mol­ti an­ni fa… Me­no an­ni fa, quan­do co­min­cia­vo an­ch’io a fa­re il cro­ni­sta, ve­de­vo da vi­ci­no mol­te co­se e pur­trop­po og­gi, con tut­ta la mia espe­rien­za, do­po Tan­gen­to­po­li, le ma­fie, gli scan­da­li, i di­scor­si a pe­ra sul Nord, an­co­ra mi chie­do che co­sa mai ci re­sta da fa­re di le­ga­le. Per­ché noi po­ve­rac­ci sap­pia­mo ve­de­re spes­so le co­se giu­ste e le co­se sba­glia­te e ci chie­dia­mo: co­me mai, in po­li­ti­ca, pas­sa­no spes­so le co­se sba­glia­te? In qua­le la­bi­rin­to oscu­ro s’im­pri­gio­na chi fa po­li­ti­ca?
Piero Colaprico

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Il ponte

“Penso che il ponte sullo Stretto di Messina possa essere un ulteriore incubatore di sviluppo e di crescita per un’area di importanza strategica per tutto il paese”. Così parlava, due anni fa, Mario Ciaccia, amministratore delegato di BIIS – Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo (gruppo Intesa Sanpaolo), oggi vicesuperministro dell’Economia, delle infrastrutture e dei trasporti, accanto al “collega” Corrado Passera, “ex” consigliere delegato di Intesa Sanpaolo. A volte ritornano. (Claudio Fava)