E intanto di notte ne sbarcavano 51
Chissà come se ne sono andati a letto tristi, i magnifici tre.
Chissà come se ne sono andati a letto tristi, i magnifici tre.
Piccolo aggiornamento sui nemici che non vengono raccontati perché viene comodo discettare di attici inesistenti degli scrittori, di qualche immigrato che dà in escandescenze oppure della solita liturgia di insulti contro il Mimmo Lucano di turno: secondo uno studio della Commissione Europea in Italia ci sono 35,9 miliardi di euro di Iva evasi nel 2016. L’Italia da sola ha evaso un quarto dei 147,1 miliardi mancanti facendo la somma di tutti gli stati dell’Unione Europea.
Solo a Padova si stima che sia di 649 milioni di euro l’ammontare dell’evasione Iva. Per dare una proporzione: la Svezia ha un’evasione pari 465 milioni, la Lettonia 258. Sono i dati che ha elaborato Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, il cui presidente, Carlo Valerio, ha dichiarato (intervistato da Padova Oggi) che «se in Italia si evade così tanto è anche per via della troppa burocrazia che agevola coloro che non vogliono pagare le tasse, dell’eccessiva propensione all’uso del contante in confronto alle altre nazioni e del continuo ricorso da parte dei Governi che si sono succeduti negli anni di misure inquadrabili come condoni che sono, in un certo senso, una sorta di incentivo all’evasione.»
Sono cifre spaventose che da sole risolverebbero un bel pezzo dei problemi dei conti pubblici e della credibilità internazionale. Si potrebbe, ad esempio, anche parlare del fallimento dell’Ispettorato nazionale del lavoro che registra un calo dell’accertamento dell’evasione contributiva del con un calo (nel 2017) del 50% rispetto all’anno precedente e addirittura di più 60% rispetto al 2014. Oppure si potrebbe aggiungere il calo del 20% dei recuperi dell’Inail dal 2014 al 2016.
La pacchia degli italiani furbi, insomma, procede a gonfie vele. E il condono prossimo venturo così fortemente voluto da Salvini è un’ulteriore manna che piove dal cielo.
Intanto, ieri, quelli al governo ci hanno deliziato con Salvini e la Le Pen che hanno discettato di Europa (uno è stato l’assenteista numero uno e l’altra si è pagata le ostriche con i soldi di Bruxelles), il ministro Toninelli ci ha chiesto di non contestare il decreto su Genova (contestatissimo a Genova, altro che applausi da funerale) perché l’ha scritto con il cuore, il premier Conte ha smentito un’informazione che stava sul suo curriculum e un po’ tutti hanno discettato di spread e economia con lo spessore di un barbecue tra amici.
In Sicilia hanno minacciato Claudio Fava, anche. Ma anche questo sembra interessare quasi a nessuno.
Buon martedì.
Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/10/09/intanto-a-padova-si-evade-piu-iva-che-in-tutta-la-svezia/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.
Per la prima volta nei sondaggi la Lega di Salvini supera il Movimento 5 Stelle diventando così il primo partito italiano: è la naturale evoluzione di un governo che fin dall’inizio ha mostrato di essere il trampolino di lancio perfetto per il leader della Lega messo in condizione di fare il battitore libero nelle vesti di ministro dell’interno. E per il M5S non sarà facile uscirne.
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“Amava Charleston ed amava lottare per ciò che è giusto. Non ho mai incontrato nessuno più impegnato e laborioso di lui”, dice la nipote dell’attivista.
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L’ipocrisia è un ingrediente che va cotto con calma, servito con una certa impudenza e dissimulato con abilità: solo così ci si può permettere di dare una notizia con la leggerezza di un banale discorso da bar e fingere che “tutto va ben”.
L’ipocrisia oggi sta tutta nelle paginate di lodi sperticate riservate alla campionessa di scacchi Anna Muzychuk che ha deciso di non partecipare ai mondiali in Arabia Saudita per, come ha spiegato lei stessa, “non giocare secondo le regole altrui, non indossare un velo, non essere scortata in giro e non sentirmi una sottospecie umana”.
Via con gli elogi. Tutti a sottolineare come ci voglia coraggio per rinunciare ai titoli mondiali (due, nel caso della Muzychuk) per difendere i propri principi, tutti a sottolineare la grandezza di chi non legittima Paesi così poco democratici, tutti a insegnarci come lo sport ancora una volta sia un esempio altissimo.
Peccato che i sauditi dell’Arabia Saudita siano gli stessi a cui il governo italiano (Gentiloni e Pinotti in testa) hanno venduto ventimila bombe (e altro materiale bellico) che hanno provocato in Yemen almeno diecimila morti tra i civili. Peccato che il governo italiano sia lo stesso che in Europa ha votato una Risoluzione del Parlamento Europeo per “avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita”, in considerazione delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale perpetrate dall’Arabia Saudita nello Yemen e poi è diventato il suo primo spacciatore bellico. Peccato che i sauditi che oggi su tutte le pagine figurano come “cattivi” siano gli stessi con cui alti esponenti del nostro governo si sono fatti fotografare con pose sorridenti.
Peccato, soprattutto, che i giornalisti di casa nostra si dimentichino questo piccolo particolare mentre raccontano la favola della campionessa di scacchi. Già. Peccato.
Buon venerdì.
Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2017/12/29/applaudono-la-campionessa-di-scacchi-e-intanto-vendono-bombe/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui.
Al presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi «abbiamo portato un messaggio estremamente chiaro», e anche «molto unitario, della delegazione: L’Italia avverte fortemente il bisogno di verità» sul caso di Giulio Regeni, sull’ «omicidio di un nostro figlio», ha detto il senatore Nicola Latorre al Cairo aggiungendo che «questa verità ha bisogno di un impulso significativo nell’attività di cooperazione giudiziaria». Lunedì la delegazione del Parlamento italiano (guidata proprio dal senatore Latorre) ha raggiunto l’Egitto (anche) per capire a che punto stiamo con la verità su Giulio Regeni. Indietro. Molto indietro.
Per darvi un’idea: da una parte noi italiani abbiamo chiesto che si rafforzassero (o forse, si “attivino” sarebbe più giusto visti i risultati scarsi fin qui) le linee di cooperazione fra magistratura italiana e Egitto mentre Al Sisi rispondeva augurandosi di «proseguire la cooperazione stretta e continua fra gli inquirenti nei due Paesi». In pratica noi gli abbiamo detto «bisogna cambiare passo!» e quelli ci hanno risposto «avete ragione, allora continuiamo così!».
E qui sta il punto: la verità su Giulio Regeni passa per forza dal coraggio di dismettere i panni falsi cortesi di chi continua a trattare Al Sisi come il sincero democratico che non è. Lo spettacolo dell’Egitto avvenuto con la delegazione italiana (con il leader egiziano principalmente preoccupato di “rilanciare le relazioni internazionali” tra i due Paesi) è umiliante. Ancora. Per l’ennesima volta.
Anche se ogni volta sembra che se ne parli sempre un po’ meno.
E intanto Giulio Regeni appassisce.
Buon venerdì.
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Ogni giorno un cambio di casacca, un mito utile, un nuovo leader straniero da qualche parte del mondo qualsiasi per provare a risvegliare una fascinazione nutrita solo dall’emotività del protagonista. Nel giro di qualche giorno sono stati prima tutti Macron, poi tutti Corbyn e poi di nuovo Macron così come la destra italiana si è appesa nei mesi scorsi a Trump (prima di pentirsene) o alla Le Pen (prima di prenderne le distanze per il pessimo risultato elettorale). Così anche le analisi e gli scenari sembrano più figli di un’emotività corta piuttosto che di ideali o progetti dallo sguardo lungo: siamo passati dal patto del Nazareno tra Pd e Berlusconi (che anche qualcuno dai democratici cominciava a dare per scontato e che ha scatenato le ire addirittura del garbato Romano Prodi) fino a una presunta alleanza (meglio: un tentativo di alleanza) tra il Pd e Giuliano Pisapia.
A sinistra, intanto, l’appuntamento per il 18 giugno (a Roma, teatro Brancaccio, dalle ore 9.30) che nasce dall’appello di Anna Falcone e Tomaso Montanari e sembra avere raccolto l’iniziale disponibilità di un ampio fronte che parte da Rifondazione comunista passando per Sinistra italiana, Possibile, Mdp e diversi comitati civici sparsi sul territorio suggerendo l’inizio di un percorso che, nel caso in cui si realizzasse, sarebbe una buona notizia per la sinistra italiana troppo spesso arroccata e divisa. Se davvero si riuscirà a creare una condivisione di idee e di programmi senza infangarsi su leadership e cattivi propositi di preservazione del ceto politico fallimentare, il 18 giugno potrebbe essere il primo passo di un’alleanza non solo di “cartello”. Del resto le ultime elezioni amministrative hanno dimostrato che quando la sinistra (a sinistra del Pd) riesce a raggiungere un’unità credibile può raggiungere risultati davvero importanti.
Ma come sarà il futuro? Difficile dirlo. Certo Giuliano Pisapia e il suo Campo progressista (che dicono di voler presentare addirittura un simbolo e un programma per la loro convention del primo luglio) dovrà decidere se insistere nel tentare di modificare la natura renziana del Pd (perdendo così contatto con chi, a sinistra, ritiene il Partito democratico non più potabile) oppure se dedicarsi al progetto che vuole essere alternativo al renzismo e alle politiche di questi ultimi anni.
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A Torino un africano salva un bimbo cinese travolto da una calca di italiani spaventati dai musulmani (che invece erano italiani).
Si potrebbe già mettere il punto qui per un episodio che ancora una volta ci mette di fronte a quella complessità che qualcuno si ostina a banalizzare per qualche consenso in più. Un uomo salva un bambino travolto da altri uomini: si sarebbe dovuto scrivere così se smettessimo di fare titoli per nazionalità. No?
«Eravamo quasi attaccati al maxi schermo all’angolo con una via – racconta la sorella del piccolo Kelvin che in piazza a Torino ha rischiato la vita–. Volevamo già allontanarci perché c’era troppa confusione. Ma poi all’improvviso si sono messi tutti a correre, gridavano. Ci siamo trovati ammassati. Mi ha aiutato a tirare fuori il mio fratellino dalla calca un uomo di colore e vorrei rintracciarlo per ringraziarlo. Quando si è accorto di quello che stava succedendo ha urlato c’è un bambino, c’è un bambino. Poi ha cominciato a spostare la gente, tutta quella che poteva, e altri gli hanno dato una mano. Lo ha salvato lui».
Lui si chiama Mohamed e ieri è andato in ospedale per trovare il piccolo Kelvin.
Chissà ai categorizzatori xenofobi professionisti se non gli è esploso il cervello con tutte queste nazionalità così “insieme” nel terrore.
Intanto Kelvin, 7 anni, si è risvegliato dal coma. E questa è la notizia più bella di tutte.
Buon martedì.
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Forte questo governo Gentiloni. Ancora una volta, dopo quella brutta legge sulla legittima difesa (che si augurano di aggiustare in quel Senato che volevano abolire) ieri alla Camera sono riusciti a partorire una legge sulla tortura che appena nata ha già infranto parecchi record: non è stata votata dal suo primo firmatario Luigi Manconi (come se un ristoratore servisse nel suo ristorante un suo piatto avvisandovi che farà schifo), ha meritato critiche dalle associazioni umanitarie che si occupano di tortura e dai famigliari dei torturati e, per di più, è riuscita a fare arrabbiare anche le forze di polizia. Un capolavoro di inettitudine. Solo che questa volta è il Senato a confidare nella Camera perché “intervenga con le opportune migliorie”. In tempi di referendum i sostenitori della riforma costituzionale lo chiamavano “ping pong” e invece è banalmente dappocaggine.
Forte anche tutto il can can sul teorema Zuccaro: frotte di politici che si sono buttati a pesce che si doveva “fare chiarezza sulle ONG” dimenticandosi di essere pagati proprio per quello. Quando si sono ripresi hanno messo in piedi un’indagine conoscitiva affidata alla Commissione Difesa che finalmente ha prodotto un risultato: non ci sono inchieste in corso sulle ONG (ma va?) e c’è una sola inchiesta (“conoscitiva”) su alcune persone (non meglio specificate). In sostanza: non esistono al momento attuale elementi che possano farci dubitare di eventuali accordi illeciti tra ONG e scafisti. Balle, insomma. Balle grasse e stupide che hanno riempito la bocca di una manciata di politici pressapochisti che oggi invece rimangono muti.
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Nonostante sia un copione liso e scontato, provoca il sorriso la testardaggine con cui questi si ostinano a smentirla: a Palermo, in vista delle prossime elezioni amministrative, il Pd sosterrà l’attuale sindaco Leoluca Orlando (a cui, dicono, hanno fatto opposizione dura in questi ultimi cinque anni, per dire) insieme agli alsaziani (quel che ne resta) e ai rimasugli dell’Udc.
Ne esce una lista (dal nome appetitosissimo “Democratici e Popolari”) che richiama lontanamente i colori e le grafiche del Partito Democratico e di Alternativa Popolare (la neonata creatura di Angelino Alfano) senza però citarli; Leoluca Orlando, del resto, da mesi continua a spiegare un po’ dappertutto che Fassino ha perso proprio per “colpa” del partito. Quindi? Quindi tutti civici per finta con la pretesa di riuscire a darcela a bere. Democratici e popolari. Appunto.
(continua su Left)