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intercettazioni

De Girolamo e il consociativismo

de-girolamo-interna-640Si parla di consociativismo quando:

Il consociativismo è una forma di governo che garantisce una rappresentanza ai diversi gruppi che compongono un paese profondamente diviso. Viene spesso adottato per gestire i conflitti che sorgono in comunità nazionali profondamente divise per ragioni storiche, etniche o religiose.

I suoi obiettivi sono: garantire la stabilità del governo, assicurare la sopravvivenza degli accordi di divisione del potere e la sopravvivenza della democrazia, evitare l’uso della violenza politica. Quando il consociativismo viene organizzato secondo le diverse confessioni religiose che convivono in un determinato paese, è noto anche come confessionalismo. Un esempio di governo in cui sia stato applicato il confessionalismo è offerto dal Libano.

È spesso visto come un sinonimo dell’espressione ‘condivisione del potere’ (power-sharing), sebbene da un punto di vista tecnico sia solo una delle forme attraverso cui può realizzarsi la condivisione del potere.[1]

Qui, invece, in Italia il consociativismo è il modell0 sullo stile di Nunzia De Girolamo che decide di aprire le “larghe intese” per coinvolgere persone di diversa stirpe e appartenenza politica con interessi comuni: solidali tra sodali. Come un clan. E questi ancora non capiscono che è finir l’epoca dei reati ma oggi infastidisce di più un atteggiamento non “consono” umanamente e politicamente, prima che per la legge. Così anche oggi lo chiudiamo con questa brutta pagina:

30 luglio 2012, ore 19 e 15. Inizia la riunione a casa del padre di Nunzia De Girolamo. Dura 116 minuti. Ad un certo punto il ‘direttorio’ affronta il problema dell’ubicazione degli uffici Asl ad Airola.
Nunzia De Girolamo: “Sai cos’è? Che Tanga (?) vuole un compenso… Dove dovremmo metterlo? A Sant’Agata che Valentino (il sindaco, ndr) è uno stronzo? Cioè, nemmeno è venuto da me”.

Michele Rossi (manager Asl Benevento): “Ma aspetta, attenzione, perché noi questo… Valentino è diverso, Nunzia. A Valentino noi non gli stiamo facendo un piacere”.

Felice Pisapia (direttore amministrativo Asl): “Mh”.

Rossi: “A Valentino stiamo creando un po’ di problemi che lui intelligentemente ha incassato”.

De Girolamo: “Ah”.

Rossi: “Nel senso che noi gli stiamo spostando delle attività da…”.

Pisapia: “Dal centro città alla periferia”.

Rossi: “Dal centro città nell’ospedale”

(…)

Rossi: “Quindi lui ha incassato questa cosa…”.

De Girolamo: “Ma lui però non ha… Non avrà piacere che lo mettiamo ad Airola”.

(…)

Più avanti si parla di una struttura a Puglianello
Luigi Barone (collaboratore di Nunzia De Girolamo): “…fatto a Puglianello, il coso… Puglianello era centrale, eh!”.

Gelsomino Ventucci (direttore sanitario Asl): “No ma quello quando…”.

Barone: “…il sindaco era Tonino Bartone, non perché era centrale…”.

Ventucci: “Sì, volere è potere, politicamente si può…”.

Barone: “Allora dico (inc.) a me se i nostri sindaci non hanno interesse, si fa ad Airola e si può fare anche a Forchia!”.

De Girolamo: “No, Forchia no!”.

Barone: “No, voglio dire…”.

De Girolamo: “Preferisco poi darlo ad uno del Pd che ci vado a chiedere 100 voti…”.

Infine si parla dell’ospedale religioso Fatebenefratelli
De Girolamo: “Miché, scusami, al Fatebenefratelli facciamogli capire che un minimo di comando ce l’abbiamo. Altrimenti mi creano “coppetielli” con questa storia. Mandagli i controlli e vaffanculo”.

Pisapia: “Sempre colpa tua è!”.

(…)

De Girolamo: “Così si impara Carrozza (direttore amministrativo Fatebenefratelli, ndr)! E che cazzo! Va da Michele, Michele è sempre disponibile, viene da me…”.

Rossi: “Quelle lettere che lui mi chiese gliele ho fatte tutte e due”.

(…)

Pisapia: “Se Fra’ Pietro gli dà l’ok, Carrozza, anche se non è d’accordo, lo fa”.

(…)

De Girolamo: “E perciò, se tu gli crei un problema di controllo, devi vedere come diventano tirchi! Devi vedere Fra’ Pietro come dice a Carrozza: Accelera”!

Pisapia: “Eh, credo”.

De Girolamo: “E fagli il 700!”.

Cancellieri, fate i seri

Ora che sappiamo che un Ministro ha chiamato i famigliari di un condannato (con cui ha spartito interessi tramite alcuni suoi diretti famigliari) e ha promesso di fare tutto il possibile, ora che sappiamo che per difendersi ha parlato a sproposito di umanità (in un Paese disumano nelle carceri, nei diritti mica solo per la figlia di Ligresti), ora che sappiamo che un Ministro pensa che sia giusto risolvere una questione fondamentale come quella dell’insalubrità delle patrie galere affrontando (fingendo di crederci) un caso alla volta cominciando guarda caso proprio dalla figlia di Ligresti, mi piacerebbe sapere:

– cosa ne pensano i segretari dei partiti.

– cosa ne pensa Letta.

– cosa ne pensano i candidati al Congresso del PD.

Senza prese in giro, senza giri di parole. Così la politica sarebbe più appassionante e appassionata.

Le intercettazioni dimenticate in traghetto

La ‘ndrangheta non ha bisogno di sparare, no. La ‘ndrangheta sarebbe solo un accolita di stronzi se non succedessero fatti che passano (troppo) in silenzio e che dipingono perfettamente il livello di collusione con ambienti altri che di mafioso non hanno nulla, ad occhi nudi.

Se il faldone delle intercettazioni di uno dei processi chiave in corso in questi giorni a Reggio Calabria viene “ritrovato” dimenticato su un traghetto, aperto, significa che tutto il lavoro della Procura è appeso ad un filo. Eppure il processo “Meta” è fondamentale per dimostrare che le grandi famiglie De Stefano, Tegano, Libri e Condello – messe da parte le rivalità della seconda guerra di mafia – hanno deciso di unirsi in una sorta di “direttorio” per controllare in maniera oppressiva ogni settore cittadino (e non solo).

Il pubblico ministero della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, all’apertura dell’udienza di ieri del processo “Meta” ne ha dato comunicazione: i quattro plichi “dimenticati” su un traghetto sarebbero stati trovati integri e solamente uno risulterebbe “aperto”. Quelle stesse intercettazioni, tra l’altro, guarda il caso, dovrebbero essere già state trascritte ma, guarda il caso, il compito non è ancora stato svolto nonostante l’incarico sia stato dato diversi mesi fa.

In un Paese curioso una notizia del genere rimbalzerebbe in ogni angolo. In ogni angolo.

Il punto vero sulle intercettazioni

Per chi, e sono tanti, crede che l’Italia si meriti da tempo un’antimafia giudiziaria all’altezza della mafia il cosiddetto “problema delle intercettazioni” sta nella difficoltà per ragioni di bilancio di potervi accedere come strumento di indagine. Un po’ perché solo in Italia le compagnie telefoniche incassano così bene per un servizio che andrebbe ricontrattato sui parametri europei e un po’ perché le enormi professionalità che abbiamo nel campo delle indagini sono monche per motivi banalmente economici.

Ha ragione il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli Giovanni Conzo, titolare nel capoluogo partenopeo di alcune tra le indagini più significative a contrasto della diffusione nel nostro paese della criminalità organizzata non autoctona, quando dice:  “I cinesi che possono contare su un’economia illegale di grande profitto, hanno usante e riti molto differenti dai nostri. Per cui sono un universo inesplorato e vorrei dire inesplorabile. Inesplorabili perché hanno tanti dialetti, tante lingue e fare intercettazioni telefoniche è difficile, perché è difficile trovare interpreti. La maggior parte di loro ha paura, ma non solo. Occorrono risorse per pagarli, visto che svolgono un lavoro che naturalmente deve essere retribuito il giusto. E così, se non ci sono i fondi, è evidente che queste indagini nemmeno possono iniziate”.

 

La domanda del mattino

Ogni tanto al mattino mi sveglio e trovo nel caffè una domanda. Mi insegue tutto il giorno finché non trovo almeno un mezzo straccio di risposta dato almeno per finta.

Ma sulla questione del datagate che sta investendo Obama e gli USA qualcuno ha qualcosa da dire? Perché non abbiamo un politico al governo che veda almeno mezzo metro più in là del proprio orto?

 

Come (non) cambia il PD sulle intercettazioni

«Non è una priorità», dice il segretario Guglielmo Epifani, lasciando trasparire una velata minaccia di crisi. Il Pdl non ha «i numeri per imporre leggi o modifiche legislative non previste nel programma di governo», dice Luigi Zanda. «Porre ora il tema non è opportuno», ribatte il capogruppo a Montecitorio, Roberto Speranza. E Anna Finocchiaro, al Messaggero: «Allo stato non fa parte dell’impianto delle riforme». Sembra una questione di tempistica, di metodo più che di merito. 

Ha ragione Fabio Chiusi: ormai la questione della “legge bavaglio” sembra diventata inopportuna solo perché presentata ora e non perché è una scempiaggine orrenda e antidemocratica. Eppure i toni del PD sono molto cambiati in questi ultimi mesi sulle intercettazioni. O forse, non sono cambiati mai.

«Altro che politiche per la sicurezza. Questo testo farà brindare boss mafiosi e camorristi» (Donatella Ferranti, 11 giugno 2009).

«Prosegue il progetto che punta a garantire la totale immunità del presidente del consiglio rispetto alla legge, nell’ottica del legibus solutus consona alle monarchie assolute piuttosto che ai sistemi democratici a cui appartiene il nostro paese» (Pina Picierno, 10 giugno 2009).

«Le nuove norme sulle intercettazioni altro non stanno a rappresentare se non la morte della giustizia» (Maria Grazia Laganà Fortugno, 10 giugno 2009).

«Il ddl è una licenza a delinquere, è un provvedimento ammazza indagini» (Donatella Ferranti, 12 giugno 2009).

«Il ddl del governo sulle intercettazioni è criminale» (Felice Casson, 30 giugno 2009).

«Il disegno di legge sulle intercettazioni è un altro modo per evitare che vengano perseguiti per atti molto gravi i soli noti» (Anna Finocchiaro, 1 luglio 2009).

«Ladri, spacciatori, strozzini e sfruttatori sarebbero gli unici beneficiari di un provvedimento che ha il solo effetto di spuntare le armi dello Stato nella lotta alla criminalità» (Donatella Ferranti, 4 luglio 2009).

«L’articolo 21 della Costituzione verrebbe travolto» (Stefano Ceccanti, 7 luglio 2009).

«E’ lo stesso Berlusconi che oggi tuona contro le intercettazioni dei magistrati quello che ieri ringraziava chi, illegalmente, gli portava nastri rubati?» (Andrea Orlando, 24 marzo 2010).

«Un testo che mette a repentaglio la sicurezza nazionale» (Donatella Ferranti, 12 aprile 2010).

«E’ un provvedimento ingiustificato sotto tutti i punti di vista. Il vero obiettivo è mettere al riparo i tanti furbi e delinquenti, che ormai affollano le classi dirigenti del nostro Paese, sia dal giudizio della giustizia, sia da quello dell’opinione pubblica. Le limitazioni delle intercettazioni all’utilizzo dei magistrati e alla pubblicazione da parte dei giornalisti risponde a questo disegno. Nel frattempo la criminalità, grande e piccola, ringrazia» (Giuseppe Lumia, 29 aprile 2010).

«Non è una questione che attiene a una riforma di alcune parti della procedura penale, ma a una questione democratica che si è aperta nel Paese» (Anna Finocchiaro, 12 maggio 2010).

«Questo ddl è espressione della volontà di imbavagliare per sempre i giornalisti e di togliere ai cittadini il diritto ad essere informati» (David Sassoli, 19 maggio 2010).

«Grave la decisione di governo e maggioranza volta a mettere sotto la ghigliottina la libertà di stampa in Italia» (Felice Casson, 19 maggio 2010).

«Non si può, per tutelare la privacy, mettere il bavaglio alla stampa» (Beppe Fioroni, 24 maggio 2010).

«Stiamo consegnando una legge al paese che non si è mai vista in nessuna democrazia occidentale. Una stretta inconcepibile per la democrazia». (Pierluigi Bersani, 25 maggio 2010).

«Ci metteremo di traverso più che possiamo, con tutti i mezzi a disposizione. Questo ddl è una cosa vergognosa, insostenibile» (Pierluigi Bersani, 1 giugno 2010).

«Il ddl sulle intercettazioni è un regalo a Gomorra» (Ermete Realacci, 8 giugno 2010).

«Questo provvedimento ci fa pensare a una dittatura piuttosto che a una democrazia» (Ignazio Marino, 10 giugno 2010).

«Il governo Berlusconi ha esposto l’Italia a una umiliazione» (Enrico Letta, 15 giugno 2010, sui rilievi dell’Ocse al ddl intercettazioni).

«Penso che ogni italiano, nella sua vita quotidiana, trovi incredibile che il tema siano le intercettazioni (…) io dico banalmente chi se ne frega delle intercettazioni per la vita quotidiana di ogni italiano» (Enrico Letta, 4 luglio 2010).

«Una riforma delle intercettazioni avrebbe già potuto farsi se la maggioranza non avesse ritenuto di renderle una rarità, escludendole per reati importanti, alla ricerca della soluzione che più fa comodo anche per evitare che emergano vicende come il caso Ruby» (Anna Finocchiaro, 25 gennaio 2011).

«Limitare l’uso delle intercettazioni o addirittura proibirle significa fare il più grosso regalo possibile alla criminalità» (Dario Franceschini, 10 febbraio 2011).

«In questa materia non c’e’ alcuna possibilità di collaborazione con il governo, persino a prescindere dal merito. Il punto di partenza per discutere di questi temi è che Berlusconi si dimetta» (Massimo D’Alema, 22 febbraio 2011).

«Di nuovo, per gli interessi di uno si produce un danno grave per tutti» (Emanuele Fiano, 14 aprile 2011).

«Interventi di urgenza pensati ai fini del salvataggio del Premier sono inaccettabili, impotabili e velleitari perché Berlusconi non è più in condizione di fare una legge ad personam» (Pierluigi Bersani, 15 settembre 2011).

«La nostra opposizione sarà intransigente perché è inaccettabile che per nascondere i rapporti del presidente del Consiglio con escort e faccendieri si affossi uno strumento di indagine fondamentale per la ricerca della prova e si leda il diritto di cronaca» (Donatella Ferranti, 30 settembre 2011).

«Non accetteremo mai limitazioni all’uso delle intercettazioni» (Laura Garavini, 17 luglio 2012).

30 euro al voto

Succede a Milano. Con di mezzo la camorra:

polizia-arrestoMaxi operazione dei carabinieri di Monza tra la Lombardia e la Campania per smantellare un’organizzazione camorristica che aveva stretti rapporti con ambienti della politica brianzola. L’indagine, denominata ‘Briantenopea’, ha avuto inizio nel 2010, da una rapina a un punto Snai a Gorgonzola nel mese di maggio, a cui sono seguiti altri due simili episodi a Brugherio ed Arcore, che hanno permesso, con intercettazioni e pedinamenti, di mettere in evidenza l’operatività di una “radicata associazione per delinquere composta, prevalentemente, da soggetti italiani di origine campana di elevato spessore criminale, in contatto con esponenti di clan camorristici del napoletano come Gionta e Mariano. Il nome più in evidenza è quello di Giuseppe Esposito, detto ‘Beppe ‘u curtu’. 

I carabinieri del gruppo di Monza hanno eseguito 43 ordinanze di misura cautelare, di cui 35 in carcere e 8 arresti domiciliari, nelle province di Monza, Milano, Lecco, Padova, Napoli, Avellino, e Salerno. Tra gli arrestati c’è anche l’ex assessore all’Ambiente e al Patrimonio del Comune di Monza, Giovanni Antonicelli (Pdl), a cui è stato contestato il reato di associazione a delinquere, come ad altri 20 soggetti. In sostanza, in cambio di voti, l’ex assessore avrebbe favorito gli affari del clan. Proprio sulla compravendita dei voti l’organizzazione avrebbe addirittura stilato un tariffario che andava dai 30 euro per il singolo ai 50 euro per il voto di un’intera famiglia. 

Due i fronti sui quali la magistratura di Monza, coordinata dal sostituto procuratore Salvatore Bellomo, ha concentrato le attenzioni nei confronti dell’ex assessore Antonicelli. Il primo è relativo alla manutenzione degli alloggi Aler, incarico affidato alla Pmg; il secondo riguarda la raccolta dei rifiuti nel capoluogo brianzolo, da anni affare della Sangalli. A giugno, la guardia di finanza si era presentata in Comune per acquisire materiale proprio sugli appalti delle case popolari e della raccolta rifiuti. Un passo a cui si era arrivati dopo che i carabinieri di Monza avevano messo in relazione una serie di scenari anomali su tutto il territorio. Scenari che hanno portato gli inquirenti a parlare di una vera e propria ‘enclave’ camorristica sul territorio di Monza in grado di respingere perfino tentativi di espansione della ‘ndrangheta.

I reati contestati in generale vanno dall’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di gravi delitti quali rapine, estorsioni, usura, furti, ricettazione, al riciclaggio, spaccio di banconote false, detenzione illecita di sostanze stupefacenti e di armi e di reati contro la pubblica amministrazione. Citato ma non indagato, anche un ex consigliere comunale milanese del Pdl Renzo De Biase, in carica nella scorsa legislatura.

Il giudice filondrangheta

Vincenzo-GiglioIl magistrato del tribunale di Reggio Calabria, ora sospeso dal Csm,Vincenzo Giuseppe Giglio è stato condannato a 4 anni e 7 mesi di carcere nel processo milanese sulla cosiddetta “zona grigia” della ‘ndrangheta. I giudici hanno anche condannato a 8 anni e 4 mesi il consigliere regionale calabrese del Pdl Franco Morelli.

La Corte, presieduta da Maria Luisa Ponti, ha anche stabilito che alcuni degli imputati dovranno versare un milione e 400mila euro al comune di Milano che si era costituito parte civile per i danni patrimoniali e morali. Sia il consigliere Morelli che il giudice Giglio erano stati arrestati il 30 novembre 2011 nell’operazione della Dda di Milano coordinata da Ilda Boccassini contro la cosca Valle-Lampada infiltrata in Lombardia anche grazie ad appoggi nella cosiddetta “zona grigia”. Morelli era accusato diconcorso esterno in associazione mafiosa e corruzione, mentre Giglio rispondeva di corruzione, rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento aggravato dalla presunta agevolazione del clan.

I giudici hanno disposto anche l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici per Giglio. Per il consigliere calabrese Morelli i magistrati hanno disposto l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il tribunale, inoltre, accogliendo l’impianto accusatorio del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e del Pm Paolo Storari ha emesso altre sette condanne: 16 anni per il presunto boss Giulio Lampada; 9 anni e 6 mesi per Leonardo Valle; otto anni per Vincenzo Giglio (medico e cugino del giudice); 4 anni e sei mesi per Francesco Lampada; 7 anni per Raffaele Firminio; 3 anni e 3 mesi per Maria Valle. E’ stato anche condannato a 5 anni e 3 mesi l’ex militare della Guardia di Finanza Luigi Mongelli, mentre altri tre finanzieri sono stati assolti con revoca delle misure cautelari. Per il consigliere Morelli anche due anni di libertà vigilata.

Secondo l’accusa, il magistrato Giglio si sarebbe rivolto al consigliere Morelli per far ottenere a sua moglie la nomina a commissario della Asl di Vibo Valentia e Morelli avrebbe invece chiesto e ottenuto dal giudice notizie riservate su indagini. Entrambi poi, secondo le indagini, erano in rapporto con Giulio Lampada, il quale tra l’altro avrebbe gestito un business di slot machine e videopoker in diversi bar di Milano.Nel corso del processo era anche stato ascoltato come testimone il sindaco di Roma Gianni Alemanno, perché in alcune intercettazioni Giulio Lampada si vantava di averlo incontrato in un appuntamento elettorale a Roma.

(via Il Fatto Quotidiano)

Fare antimafia con “Abbondanza” in Liguria

Il mio pezzo scritto per IL FATTO QUOTIDIANO

gli-innominabili-FOTIA_ii-vol-quaderni-dell-attenzione“Due colpi di pistola alle gambe e se continua a scrivere un colpo alla testa che gli passa la voglia”, “Sanno tutto, scrivono di tutti”, “vanno lasciati perdere per un paio d’anni per eliminarli dopo”.
Dicono così i protagonisti delle intercettazioni dell’inchiesta “La Svolta” che ha colpito la ‘ndrangheta in Liguria. Messaggio chiaro: Christian Abbondanza e Marco Ballestra rischiano la pelle. Anche perché sono soli. Niente protezione per loro.

Comincia così l’articolo (che è più un grido di allarme) di Ferruccio Sansa su Il Fatto Quotidiano nel numero della vigilia di Natale; del bandito Christian ne abbiamo parlato e ne parliamo da un po’ cercando di sostenere  le sue denunce che risultano antipatiche e spigolose come sono spigolosi i rompipalle per vocazione. Vocazionista dell’antimafia più che professionista, si dovrebbe dire.

Se c’è qualcosa che a Christian va riconosciuto (da sempre) è l’amore per i dati, i confronti, i passaggi, le date e i collegamenti: merce rara in un movimento antimafia che rischai di diventare sociologico credendo di potersi bastare senza scendere nei dettagli investigativi e nella mappatura dei “cattivi” oltre alla memoria dei “buoni”, soprattutto se i “cattivi” sono sani, operativi e politicamente accolti nei loro territori.

So già (succede che me lo ricordino nei commenti ogni volta che ne scrivo) che Christian Abbondanza e la Casa della Legalità sono considerati scomodi anche da voci autorevoli dell’antimafia a cui sono molto legato (ne parla Savona News qui e risponde direttamente l’associazione qui) ma credo che il punto che oggi ci deve interessare sia un altro: la memoria antimafia deve essere abbastanza contemporanea da sfociare nella vigilanza per essere utile. E su questo credo non sia difficile essere uniti.

Oggi la Casa della Legalità decide di pubblicare uno dei loro Quaderni dell’Attenzione che contiene la raccolta (oltre 200 pagine), dal 2010 – 2012, delle pubblicazioni dedicata alla famiglia FOTIA ed alle loro imprese (il file è allegato). Il link per scaricare il volume [5,27 Mb] è questo (http://www.casadellalegalita.info/Gli-innominabili-FOTIA.pdf ).

La Nota Introduttiva al volume:

Questa è una raccolta dei testi sui FOTIA scritti e pubblicati tra il 2010 ed il 2012.
Molti di questi articoli hanno anche dato spunto ad attività investigative e giudiziarie e rotto
il silenzio che avvolgeva la famiglia FOTIA nonostante gli Atti parlassero da tempo
chiaramente.
Tutte le pubblicazioni si fondando su fatti di rilievo pubblico indiscutibile, ed informazioni
pubbliche relative ai FOTIA ed alle loro società.
Tra le fonti ufficiali utilizzate vi sono Atti Giudiziari (Sebastiano FOTIA, Pietro FOTIA,
SCAVO-TER, Mario VERSACI, indagine MAGLIO 3 e LA SVOLTA, TAR); Relazioni e
Rapporti della Procura Nazionale Antimafia, DIA, Commissione Parlamentare Antimafia;
Informative ROS e Polizia di Stato.
Sono stati inoltre richiamati articoli di stampa nonché documenti contabili e visure camerali
delle imprese dei FOTIA, oltre a delibere e determine di Enti Locali.
E’ una verità scomoda che qualcuno, oltre a loro, vuole oscurare, con una vera e propria
censura. Da un lato hanno tentato di fermarci con intimidazioni palesi, dall’altro con azioni
legali a raffica volte sempre a cercare di farci tacere. Hanno tentato aggressioni e
delegittimazioni di ogni genere… ma noi non abbiamo mai ceduto!
Noi non chiniamo il capo, altri sì, lo hanno fatto e lo continueranno a fare. Per noi conta la
verità dei fatti, piaccia o non piaccia agli “innominabili” signori FOTIA, secondo gli Atti:
cosca MORABITO-PALAMARA-BRUZZANITI.
Siamo o no dei “banditi”? Quindi, ecco a voi, questa storia, fatta di capitolo dopo capitolo,
in ordine cronologico di pubblicazione, dove la situazione veniva aggiornata, pezzo dopo
pezzo, sino ad oggi. Tasselli scomodi di una realtà indecente che bisogna conoscere!
Buona lettura e se volete diffondete!

Mafie, intercettazioni e collaboratori: a chi giova?

Giovanni Conzo, magistrato della DDA di Napoli si chiede (e ci chiede) a chi giova tutto questo:

Oggi lo strumento della collaborazione è l’unica via per sconfiggere definitivamente il clan dei casalesi, e in generale i clan, e soprattutto per capire ed identificare tutti gli imprenditori nel territorio nazionale che hanno accettato i soldi sporchi della camorra e li hanno reinvestiti nell’economia turbando il mercato così distruggendo le imprese oneste che non potevano competere, in crisi di liquidità e con la chiusura dei rubinetti delle banche, con la concorrenza e con l’immissione di danaro degli imprenditori-camorristi.

La collaborazione con la giustizia è lo strumento principale, insieme alla intercettazioni, per dare un nome ed espellere dal Parlamento e dai Comune Italiani quei politici che hanno accettato i voti della camorra, a seguito di uno scellerato patto con il quale si impegnavano, in cambio dei voti a far vincere gli appalti o far aver finanziamenti a imprenditori prescelti ed indicati dai camorristi .

Stiamo tuttavia avendo tante difficoltà proprio in questo momento cruciale.

La riduzione degli stanziamenti per il comparto giustizia, il taglio di fondi per assicurare, ad esempio, una casa ai parenti dei collaboratori di giustizia o ai figli di iscriversi a scuola, persone che non hanno nessuna colpa e che sono costretti a lasciare le proprie terre per recarsi in località protetta e non essere ammazzati, costituiscono eventi che scoraggiano i camorristi e mafiosi ad intraprendere la collaborazione con lo Stato.

Inoltre la legislazione obbliga il pubblico ministero ad interrogare i collaboratori di giustizia in sei mesi facendo dichiarare tutto quello che sanno in questo brave lasso temporale. Insieme alla attività di interrogatorio, noi Pubblici Ministeri dobbiamo istruire i processi, sostenere l’accusa in udienza, redigere richieste di intercettazioni, elaborare richieste di arresto, coordinare la polizia giudiziaria.

Un lavoro immane sempre affrontato con entusiasmo e la consapevolezza che non possiamo risparmiarci, ma dobbiamo dare tutto ed anche di più perché con il nostro lavoro è possibile disarticolare interi clan camorristici e perseguire quella oscura e fitta trama di reti e cointeressenza tra camorra, imprenditoria e politica.

Ma è tutto ogni giorno più difficile.

Alla luce di una recente circolare del Dap non possiamo più convocare i collaboratori nei nostri uffici ma dobbiamo recarci come “globetrotter” nelle carceri di Italia per interrogarli così sottraendo tempo ed energie alle importanti altre attività che prima ho descritto.

Ci viene detto, ad esempio, che non ci sono soldi e dunque dobbiamo restringere in numero dei collaboratori. Ci viene detto che le carceri non sono sufficienti per garantire l’applicazione del regime del carcere duro a pericolosi boss o ad imprenditori collusi.

Mi chiedo perché. Mi domando a chi giovi.