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Il cookie (e il solito garante)

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Prendo pari pari le parole di Mantellini e come lui vi invito a leggere e sottoscrivere la petizione al Garante qui.

Questo blog non ha alcuna intenzione di adeguarsi alla normativa sui cookie che il Garante della Privacy ha predisposto e che entra in vigore domani. Trova che sia una iniziativa sproporzionata che occupandosi di un tema reale incasina (come al solito e con grande noncuranza) la vita a tutti. Piuttosto trasferisco il dominio a Tonga.

Gli imbecilli della rete

Illuminante Mantellini:

Il linguaggio d’odio quello no. L’hate speech è un tema rilevante che va affrontato con intelligenza. Non perché io creda che le parole d’odio in rete siano un problema rilevantissimo (non lo sono troppo, tranne che in alcuni casi molto particolari) ma perché le parole d’odio oltre ad essere codarde e oltraggiose saranno una scusa per fare altro domani. Da questo punto di vista credo che il contenzioso legale in rete al riguardo sia in Italia ancora troppo modesto e incentrarlo nella discussione pubblica su singoli fatti personali contribuisce a creare un cortocircuito pericoloso. Invece che portare il diffamatore davanti ad un giudice (ma ancora prima più banalmente all’attenzione di Facebook che gli chiuderà il profilo), si preferisce occuparsi del tema in senso generale con editti del tipo: ehi voi, guardate, mi hanno offeso on line. Dobbiamo fare qualcosa! (Laura Boldrini docet). Una quota di imbecilli che scrive “devi morire” in rete rimarrà sempre, ma la parte più rilevante della discussione sulle parole d’odio riguarda altre persone, la maggioranza, e meccanismi basici di controllo dell’interfaccia. Fino a quando questi verranno ignorati ci saranno due tipi di imbecilli nei commenti su Internet. Gli imbecilli imbecilli e gli imbecilli che se avessero avuto idea della propria imbecillità avrebbero fatto in modo di recuperarla prima che fosse troppo tardi.

Il Governo, gli sputi e internet

Aspettiamo da tempo un governo che conosca i modi e le parole per potere affrontare il tema della rete e tutti i suoi derivati. Da anni abbiamo intelligenze (e attività) che chiedono che l’Italia esca dalla preistoria tecnologica e di approccio per allinearsi agli Stati che finalmente hanno fatto pace con i luoghi comuni su internet e riescono ad utilizzarne i vantaggi senza sclerotizzarsi sulle paure. Il convegno sulla “violenza in rete” organizzato dalla Presidenza della Camera dei Deputati avrebbe potuto essere una buona occasione per cominciare a fare le cose seriamente: non è andata così.

Lo spiega bene Massimo Mantellini qui e Vittorio Zambardino:

Quindi me ne vado. E mentre scendo le scale della Camera ripenso che ognuno di noi affonda le sue convinzioni anche nella vita, nella conoscenza di ciò che ha visto o vissuto. Ripenso a un ragazzino di dodici anni, in una scuola in provincia di Napoli, pestato ogni giorno. Gli dicevano ” ricchione”. Lo pestarono fino a quando lui imparò a difendersi. Parlarne ai genitori o ai professori sarebbe stato solo moltiplicare la condanna e le botte. Come spesso oggi. Però era la prima metà degli anni ’60, più di 50 anni fa. Non c’era la Rete. Ma c’era già l’ odio. C’era il disprezzo, c’erano gli sputi, c’erano l’avvilimento e il ricatto. Andava in linea ogni giorno all’uscita. Ora vorrebbero farmi credere che c’entra la Rete, mentre io ricordo bene che c’entra quell’ abisso che è il cuore degli umani. (qui)

 

Usare un bazooka per centrare una mosca

Sulla polemica di Mentana e Saviano di questi giorni per twitter c’è un pensiero che vale la pena analizzare. E’ di Galatea, che sta sulla rete, in casa, in giro. Come tutti gli altri.

Non pensate, cari Mentana e Saviano e vip tutti, di essere gli unici ad avere questo tipo di problemi: chiunque sta su internet, persino il più ignoto autore di blog, ha in media una decina di questi personaggi qua, che passano il tempo (alle volte anche anni) a spedirti commenti e persino mail piene solo di insulti a vuoto. Non si attaccano a voi, quindi, come dice Saviano, solo per vivere della mostra fama riflessa: si attaccano a voi perché gli state sulle balle, come gli sto sulle balle io quando scrivo sul mio blog un articolo che a loro non piace, anche se non sono nessuno.

Non è Twitter, il problema, né il fatto che ci si possa iscrivere con un nick: tanto anche con il nick, se scatta la denuncia, li beccano senza problemi. Il problema, invece, e qui scusatemi ma devo proprio dirvelo, sembra piuttosto il fatto che voi, in quanto vip, restiate spiazzati dallo scoprire che anche le persone comuni (non anonime, come dite voi: semplicemente non famose) alle volte sentono il bisogno di rispondervi, e, quando gli fate girare le balle, vi prendono anche in giro pubblicamente, con i loro post su Twitter o sui loro blog, come il buon Pasquino faceva con il Papa e i Cardinali ai tempi dello Stato Pontificio. Volete dire che non possono e farci la figura del Pio IX di turno e invocare leggi e regolamenti repressivi? Volete rispondere piccati come il Marchese del Grillo “Io so’ io e voi nun siete un c***?” Be’ questo sta a voi.

Ma, lasciatevi dare un consiglio: andarsene irati da Twitter e poi fare il pellegrinaggio delle sette chiese in tv per dire che è un posto pieno di maleducati, o scriverci sopra articoli che vanno in prima pagina sui quotidiani nazionali partendo dal fatto che due scemi ti han mandato un vaffanculo tramite web o che qualche centinaio di persone ti ha preso per il sedere con post ironici o sarcastici è come usare un bazooka per centrare una mosca.

Internet, la democrazia al chilo e le quirinarie

Non sopporto l’informazione al chilo, la cultura al chilo e negli ultimi giorni comincio a diventare intollerante di fronte a internet e democrazia vendute al chilo. Ne scrivevo giusto ieri qui di come sia semplicistico pensare ad una democrazia diretta direttamente dipendente alla rete in sostituzione di tutto il resto. Per carità, l’idea della rete come madre della democrazia è affascinante in un Paese come il nostro dove internet è ancora in piena fase pionieristica (dietro a Barbados e Panama, al 50° posto per economia digitale) ma l’alfabetizzazione all’analisi è ancora una chimera. Ieri sentivo qualcuno lamentarsi delle 55 cartelle di Fabrizio Barca nel suo documento per un buon Governo: non riusciamo ad avventurarci più in là del singolo click.

Per fare un altro esempio, il post di questo piccolo blog più letto di ieri (e scommetto che lo sarà anche di oggi) è questo e sono in molti ad avere commentato in facebook o su twitter semplicemente il titolo senza nemmeno avere aperto il link: la compulsione da click, appunto.

E anche sul presunto attacco hacker al blog di Beppe Grillo varrebbe la pena andare un po’ più a fondo. Federico Mello prova a ricostruire la vicenda con un po’ di logica e analisi, appunto:

Ma è proprio così? Qualcuno è volutamente entrato nel sistema della Casaleggio per boicottare questa prova di democrazia? Se fosse, sarebbe molto grave. Chi l’avrebbe fatto, per conto di chi? E non dovrebbero essere preoccupati, Grillo e i suoi, per questo boicottaggio? È come se il Pd avesse annullato le sue primarie dopo il furto di un gran numero di schede.

Ma la verità in questo caso è un’altra: non c’è stata alcuna intrusione esterna. Lo spiega bene il comunicato della Dnv, l’azienda specializzata che ha “certificato” le operazioni di voto. Dice infatti: «A seguito di uno dei controlli pianificati, relativo all’integrita del sistema, è stata rilevata un’anomalia, i cui effetti sono stati verbalizzati. L’anomalia ha compromesso in modo significativo la corrispondenza tra i voti registrati e l’espressione di voto del votante». Significa che sono stati registrati più votanti degli aventi diritto. Sempre la Bnv specifica inoltre: «Trattandosi di un controllo periodico non è stato possibile determinare con certezza il momento iniziale della compromissione».

Di hacker, non si fa alcun cenno. E non potrebbe essere altrimenti: la Bnv è una azienda di certificazione, non di sicurezza informatica. Nel suo “chi siamo”, spiega: «DNV Business Assurance Italia svolge, da parecchi anni, un’intensa e competente attività nel settore delle verifiche, ispezioni e certificazioni di sistemi di gestione, prodotti in campo industriale e nei settori dei servizi». Insomma, rispetto a procedure concordate, l’azienda verifica che vengano svolte in modo corretto. E non è un caso che abbia fatto dei “controlli periodici”: non ha le competenze informatiche per “difendere” un server, e non ha sistemi di monitoraggio, nè di tracking, di tracciamento, per risalire a possibili incursioni.

Dove è venuta fuori allora la storia degli hacker? Dalle parole di Grillo. E, indirettamente, da quelle di Messora. Perché? Bhè, la risposta non la sapremo mai. Ma l’ipotesi più probabile è che alcuni utenti abilitati al voto abbiamo potuto votare più volte per una difetto nel sistema costruito dalla Casaleggio. E, invece di ammettere l’errore, (un pessimo viatico per chi che nel suo statuto intende dare “al popolo della rete” la titolarità del governo), quando le cose non hanno funzionato, ecco subito gridare allo scandalo, all’attacco informatico.

Se vogliamo un approccio serio all’applicazione politica della rete non possiamo rinunciare ad una scolarizzazione seria e collettiva (democratica, appunto) sui suoi meccanismi e il Movimento 5 Stelle dovrebbe (o potrebbe) essere l’avamposto culturale. In fretta. Come dice Leonardo nel suo post di oggi:

Io credo che i militanti del M5S che chiedono insistentemente, da mesi, una piattaforma realmente democratica a Grillo e Casaleggio dovrebbero riflettere seriamente su quello che sta succedendo. Se la tanto promessa piattaforma non è mai pronta, forse non si tratta soltanto di un problema di tempo, come a volte avete letto su beppegrillo.it. Casaleggio avrà anche tanti impegni, ma quello che vi ha promesso, tecnicamente, non ve lo può dare. Il fatto che succeda di nuovo un incidente del genere, dopo i disguidi durante le parlamentarie, la dice lunga. Noi non sappiamo esattamente quanti siano gli iscritti al MoVimento al 31 dicembre 2012 (quelli che avevano diritto di votare), ma Casaleggio sì, lui lo sapeva. Ha tutti i dati necessari a capire quanta gente avrebbe votato ieri e a prevedere i possibili picchi di traffico. Ma non ci riesce. O non ne ha i mezzi o, probabilmente, non ne è capace. Ma non ha la minima importanza, così come non ne ha avuta per le parlamentarie. Non si tratta di eleggere veri rappresentanti: si tratta di vendere l’idea del movimento che decide in rete, con tutto il bello e tutto il brutto della rete, compresi i malvagi hacker inquinatori della volontà popolare. Grillo e Casaleggio non hanno la minima idea del futuro che stanno vendendo: è un pacco, intanto lo piazzano, se poi dentro c’è qualcosa che funziona tanto meglio, ma non dipende da loro. Loro fanno il marketing, loro piazzano il pacco.

Viene in mente la teoria di Steve Jobs su come i venditori rovinino le grandi aziende, quando vanno al potere al posto degli ingegneri. Il M5S non è una grande azienda, è un movimento politico, dentro un pacco. Volete che funzioni? Scartate via il pacco, licenziate i professionisti dei fiocchetti. Sono stati molto bravi, ma da qui in poi possono soltanto rovinare tutto.

Perché altrimenti non c’è differenza: stiamo semplicemente al Drive-In e il paraberlusconismo 2.0.

Wu Ming 1 su internet e Movimento 5 Stelle

internet_009Ecco l’audio della puntata di «Tutta la città ne parla» dedicata all’uso di Internet da parte del Movimento 5 Stelle. E’ andata in onda su Radio 3 la mattina del 6 marzo 2013. Conduce Giorgio Zanchini, le voci sono quelle di Luca SofriWu Ming 1Matteo Mangiacavallo (deputato M5S), Lella Mazzoli e Juan Carlos de Martin. Dura 43 minuti. L’ascolto è interessante perché la rete è libera ma terribilmente seria, soprattutto quando si parla di democrazia.

Vale la pena ascoltarlo. E per me vale la pena sapere cosa ne pensate. Qui il parere dei Wu Ming sul loro sito:

E’ doveroso incalzarli sulle loro contraddizioni, facendo esempi esempi esempi, chiudendo loro le scappatoie e prevenendo l’uso di formulette standardizzate. E’ necessario farlo, per incrinare la facciata del “feticismo digitale” grillino e rivelare il “doppio” verticistico e autoritario di quella che chiamano “democrazia diretta”, che in realtà sarebbe tutt’altra cosa.
Solo così, scegliendo non l’accondiscendenza ma la schiettezza, faremo un favore alle tante persone che hanno scelto il M5S credendo in un cambiamento democratico etc. Bisogna far notare che tra quel che Grillo dicee quel che Grillo fa c’è di mezzo un mare, e non è attraversabile a nuoto.

Suicidi, omofobia e rete

Mi ha molto turbato la vicenda del quindicenne suicidatosi (si dice) per la frustrazione dovuta all’ironia sulla sua omosessualità. La regola del buon blogger e dell’opinionista sempre sul pezzo comanderebbe di costruirci subito un opinione dopo avere letto i primi lanci di agenzia, tipo “fast news” da pagare alla cassa del seguito e del consenso. Sarebbe bastato leggere il resoconto della deputata Paola Concia che ha incontrato i compagni di classe del ragazzo per capire che le semplificazioni (anche quelle giornalistiche) in questi casi rischiano di essere dannose.

Poi ovviamente oggi si titola che “la rete uccide”, che “i social sono troppo pericolosi” e tanto altro sulla stessa linea. Come scrive Fabio Chiusi sul suo blog:

E quindi, è il passo ancora successivo, sceglierebbero l’unica strada possibile: i filtri preventivi. Con questo non si vuole minimizzare o banalizzare il problema del cyber-bullismo, degli insulti che alimentano spirali di disperazione la cui profondità è insondabile a chiunque non ne sia mai stato almeno sedotto. Si vuole semplicemente – e banalmente – dire che «la Rete» non uccide nessuno, che sono le persone a farlo. Che prima di emettere sentenze bisognerebbe cercare, con molta umiltà, di capire. E che, specie in casi delicati come questi, le esigenze giornalistiche dovrebbero lasciare il passo al rispetto per l’umanissima complessità dei fatti.

Perché quando non sono più le persone ad essere il soggetto dell’analisi e dell’opinione la cautela è un dovere morale.

Web democracy e meetup: la politica nella rete

Al netto delle beghe interne tra Giovanni Favia, Casaleggio e Beppe Grillo (perché sarebbe bello ascoltare cosa pensano molti parlamentari dei propri leader) è interessante leggere l’uso della rete che il Movimento 5 Stelle ha lanciato come “mezzo” politico. Perché mentre in Europa il Partito Pirata ha costretto gli altri partiti ad alfabetizzarsi e professionalizzarsi qui il dibattito è “1.0” affidato a segreterie che credono ancora che “internet” sia poco di più che incollare i propri comunicati stampa sugli status di fb.

Francesco su Non Mi Fermo analizza (finalmente con un’analisi e senza livore) la piattaforma scelta da Beppe Grillo per sviluppare la democrazia sul web. E i limiti e le opportunità sono un suggerimento che vale per tutti perché forse internet non cambierà il mondo ma sicuramente sta già cambiando le competenze richieste nella comunicazione dei partiti Perché ogni tanto vedere le espressioni poco convinte mentre ne racconto le potenzialità mi provoca un certo sconforto e perché come scrive Francesco nel suo articolo per “dialettica”, si dovrebbe intendere un insieme di voci che giungono a un risultato medio che rappresenti il miglior compromesso tra le preposizioni iniziali e il risultato finale: il programma. Questo aspetto, più che la proprietà del simbolo, il marchio registrato e quant’altro, mi preoccupa. La poca consapevolezza periferica di quale sia la “stretegia di rete”, l’accettazione passiva di un sistema che non è stato progettato per organizzare un movimento politico nazionale. Mezzo inadeguato, insomma.

Quanto internet c’è in Assange

Prova a raccontarlo (riuscendoci) nel suo blog Mantellini. Perché se diventa chiara la metonimia diventano più chiare le ragioni per difenderlo.

Pubblicare sul web documenti autentici ricevuti da terzi non è una colpa, da qualsiasi lato la si osservi. Quello che resta dopo è molto peggio ma ugualmente reale. È la rappresentazione inedita che per un breve periodo Wikileaks ci ha dato di un mondo corrotto e perduto, un carrozzone che noi stessi abbiamo creato e di cui non abbiamo avuto occasione di vergognarci abbastanza; diplomazia, doppiogiochi, agenti corroti, omicidi, tragedie e crudeltà inutili viste dal display di un elicottero da combattimento e poi ostinatamente negate.

Tutto questo schifo sopravviverà alla fine di Julian Assange e di Wikileaks. E poco importa se un tribunale di cartone nei giorni scorsi ha dichiarato illegittimi i blocchi che Visa e Mastercard avevano imposto ai loro clienti desiderosi di aiutare Assange a suo tempo (ormai è tardi) in nome di una etica di rete anch’essa temuta come la peste nei palazzi del potere. Il diavolo a volte si racchiude nei giri del cronometro, posticipare è più che sufficiente.

Nelle prossime settimane quando penseremo all’annientamento di Assange in corso d’opera, dovremo per forza di cose pensare anche all’annientamento di Internet in quanto luogo di una alternativa identitaria, dove le miserie delle diplomazione mondiale potevano essere descritte senza imbarazzi eccessivi e dove questa cronistoria generava poi conseguenze.

Internet come Assange, in bilico come Assange fra cattiva reputazione in qualche misura meritata e sogni di libertà e di un mondo migliore, cancellati dagli sporchi traffici dietro i quali nessuno è innocente. Non il governo USA che trama da tempo per mettere le mani sull’uomo che come pochi ne ha mostrato le miserie, né i suoi sodali in giro per le diplomazie europee. Non i giornali che in questi giorni si affannano a descrivere i nuovi indecenti compagni di viaggio di Assange, da Vladimir Putin al presidente dell’Ecuador Correa noto persecutore di giornalisti, ignorando sia la disperazione dell’australiano abbandonato a sé stesso, sia il contributo di trasparenza e verità che i cablogrammi di Wikileaks hanno imposto al mondo dell’informazione prima ancora che a chiunque altro.

Con Assange ingabbiato in una stanza dell’ambasciata ecuadoregna a Knightsbridge (i peggiori cronisti raccontavano in questi giorni perfino i pasti dei ristoranti alla moda recapitati all’ambasciata) viene chiusa a doppia mandata anche una certa idea della rete Internet. La Internet imperfetta ma autentica che amiamo ma che spaventa orribilmente i peggiori di noi