RadioMafiopoli 6a Puntata: “Quali sono i giornalisti impiegati e i giornalisti servi?”
Chi sono i giornalisti giornalisti, i giornalisti impiegati, i giornalisti servi e i cani e i padroni. Con un’intervista a Pino Maniaci di Telejato.
Chi sono i giornalisti giornalisti, i giornalisti impiegati, i giornalisti servi e i cani e i padroni. Con un’intervista a Pino Maniaci di Telejato.
La mia intervista per Byoblu:
È morto Giulio Andreotti, e questo era prevedibile, perché la biologia è sicuramente l’arma più tagliente anche rispetto alla prescrizione giudiziaria. È morto Giulio Andreotti; io credo che però l’andreottismo in realtà sia in ottima saluta, a differenza di Giulio, e questa è una pessima notizia per l’Italia. Perché nella morte di Giulio Andreotti, in queste ore, in queste ultime 24 ore, si sta perpetuando quella macchina infernale che Andreotti è riuscito per primo a praticare, trovando degli ottimi allievi, in primis Silvio Berlusconi. Ovvero quello di dividere, fondamentalmente, l’aspetto dell’etica da quello giudiziario; e non solo: permettersi di mettere in discussione le carte giudiziarie manipolando la sentenza.
Cosa dice la legge italiana? Cosa dice la sentenza della corte d’appello [di Palermo] confermata poi in Cassazione? Che Giulio Andreotti ha dimostrato un’ampia disponibilità con la mafia fino alla primavera del 1980, cioè si è seduto con i più importanti uomini della Cupola mafiosa, ha ascoltato le loro richieste, e sicuramente ha preso delle decisioni – scientemente o no, questo lo deciderà la storia, e non la storia breve di questi giorni in cui Andreotti può permettersi di utilizzare anche da morto alcuni studi televisivi come suoi bidét, di questi suoi ululanti censori in continuazione – e ha preso delle decisioni che sicuramente sono state convergenti con gli interessi di alcuni uomini di Cosa Nostra. Questo cosa significa? Significa che noi in Italia, ancora oggi, non sappiamo che essere amico di un mafioso, non è un reato. E quindi se si riesce a spostare – come è riuscito Andreotti, come continuano a riuscire i suoi allievi – a spostare l’aspetto dell’opportunità sul campo giudiziario, be’, mai nessuno sarà condannato perché è amico dei mafiosi. Non sarà mai condannato perché – io credo – i nostri padri costituenti non avrebbero mai pensato che un popolo potesse sopportare e tollerare una classe del genere con amicizie del genere, provate. E poi perché la legge è stata, nel corso degli anni, sempre sfiancata da questo punto di vista per cercare di depenalizzare le amicizie, e per rendere sempre più difficile, dal punto di vista giudiziario, la prova certa di eventuali scambi di favore.
E allora cosa succede? Che noi abbiamo celebrato Giulio Andreotti come assolto, quando in realtà semplicemente è stato prescritto, cioè significa che dal punto di vista giudiziario il suo reato, che risulta commesso, non è punibile, perché è passato il periodo che lo rende, dal punto di vista giudiziario, punibile. In un Paese normale sarebbe stato punito dalla memoria; in questo Paese che di normale ha poco, invece, è stato premiato con il ruolo di senatore a vita. E oggi si piange un amico dei mafiosi come se fosse uno statista. Dimenticando, secondo, tutte quelle che sono le sue mediocrità: che non sono solo quelle di essere profondamente bugiardo – questo, diciamo, noi Italiani siamo abbastanza abituati a una classe dirigente che, per difesa, racconta delle enormi palle, rendendole assolutamente credibili soprattutto perché sparate dai cannoni delle trasmissioni in prima serata e molto spesso da una stampa compiacente.
La cosa che a me colpisce più di tutte è che Andreotti ad esempio è ritenuto un buon cattolico, quando ha bestemmiato in realtà Dio nel suo agire politico, tradendo la fiducia del bene comune, del bene pubblico, anzi molto spesso si è interessato a un bene che interessava tre o più persone, e che danneggiava nei suoi risultatati amministrativi il bene pubblico. Abbiamo premiato come cattolico – e in questi giorni basta leggere i giornali di oggi, i coccodrilli, viene addirittura celebrato come uomo di Chiesa – un uomo che si è permesso di infangare la memoria del generale Dalla Chiesa, raccontando e giustificando la sua assenza al funerale, dicendo che aveva sempre preferito i matrimoni ai funerali. Oppure l’Andreotti che sull’avvocato Ambrosoli, disse che era uno che, in romanesco, se l’andava a cercare. Oppure l’Andreotti che tiene un atteggiamento, perlomeno con qualche ombra su Aldo Moro, e che da Aldo Moro viene raccontato, secondo me in una delle descrizioni letterarie più belle, come un uomo grigio, ma di quel grigiore che viene scambiato ogni tanto per una virtù politica, cioè nel sapere stare in mezzo, e invece è in realtà un grigiore che è figlio di mediocrità. Quando Aldo Moro dice: “Si può essere grigi ma onesti, grigi ma buoni”, dice: “Le manca proprio il fervore umano”. E, visto che è una delle ultime lettere scritte da Aldo Moro nella sua prigionia, penso che sia davvero difficile pensare che ci possa essere un dibattito politico dietro, e non un semplicemente giudizio profondamente umano.
La cosa che mi preoccupa più di tutte è che c’è una generazione intera in questo Paese – ho letto anche una dichiarazione di un deputato del Movimento 5 Stelle che diceva, appunto. “Io sono molto giovane, quindi non ho potuto conoscere la vita di Andreotti, però mi è stato passato, diciamo così, come statista” – insomma un Paese che ha sempre premiato i mediocri. Cioè che crede che quella capacità di star nel mezzo, cioè di non prendere posizione, sia una virtù politica. E mi fa molto paura, perché se Pericle diceva che gli indifferenti sono pericolosi per la politica, e sono i cittadini che stanno nel mezzo che sono dannosi per la democrazia, be’, Giulio Andreotti è stato quello che lì, in mezzo al guado, s’è permesso e ha potuto usufruire di quell’ombra che gli ha garantito degli incontri che non sono proprio leciti e nemmeno opportuni, e soprattutto è quello che riuscito a convincerci che la mediazione ad ogni costo, anche se puzza di compromesso, in realtà è un intelligente agire politico.
Del resto Andreotti muore sotto un governo che vuole raccontarsi, con una letteratura, il grande governo delle grandi intese, e invece non è nient’altro che un enorme compromesso che ci viene rivenduto, nel nome della responsabilità, come negli ultimi anni sta succedendo in questo Paese. E allora io credo che se non si capisce che mentre noi, ogni tanto, ci stupiamo o rabbrividiamo leggendo di questi sindaci di alcuni paesi del Sud, ma anche del Nord ultimamente, che si siedono al tavolo della mafia e stringono accordi, ecco non si capisce perché un amministratore di Andreotti che ha dimostrato di non essere capace di amministrare secondo le regole, ma in modo molto patetico ha avuto bisogno, molto spesso, di governare fuori dalle regole, o con rapporti fuori dalle regole, invece non debba meritare gli stessi brividi, lo stesso disgusto.
Poi secondo me Andreotti è un grande inventore di una nuova formula di comunicazione, cioè della pubblicità applicata alla politica. Cioè del riuscire sa rivendere solo gli stimoli ottimi di un prodotto, nascondendone i difetti in una sorta di comunicazione comparativa per cui si urla cercando di raccontare i difetti degli altri, per poter godere di un’impunità dei propri:è il berlusconismo. Non è nient’altro che la figura del berlusconismo, e ovviamente il berlusconismo ha modernizzato questo modo di fare, però se ci pensiamo Andreotti è stato il primo che ci ha detto che alcuni rapporti, anche abbastanza scuri, sono inevitabili per chi fa politica anche a grandi livelli. Ed è il modo migliore per riuscire a creare quel fossato tra i politici e i cittadini, che è quello che poi oggi è diventato, secondo un certo stile narrativo, la Casta, o, secondo un altro stile narrativo, l’incomprensibilità di certe di alcune dinamiche politiche. Dipende poi dalle accezioni di ognuno. Ecco, Andreotti è quello che ha convinto le nostre nonne che il voto dovesse essere una delega totale, e per cui che il politico non dovesse dare delle spiegazioni: questo è un passaggio che, in questi giorni, è molto poco analizzato, ma la lontananza della politica è stata creata proprio nel momento in cui la Democrazia Cristiana ha raccontato, ad esempio, che le alleanze non dovessero avere per forza un principio di idealità e idealismo comune, ma dovessero rispondere anche a dei termini algebrici. Non vedo grandi differenze con il governo Letta, in questo momento.
E allora io ero certo che i coccodrilli di Andreotti oggi avessero questo tono. Ero certo che il servilismo su Andreotti si è sempre dimostrato veramente apicale, e ancora oggi venisse esercitato in modo così intenso. Mi preoccupa non tanto Giulio Andreotti: oggi muore un amico dei mafiosi, tra l’altro molto mediocre anche nelle sue amicizie; muore una persona assolutamente anaffettiva, che viene a sapere della morte programmata di Piersanti Mattarella e decide di non salvarlo, per cercare di salvare gli equilibri di corrente del proprio partito; non muore neanche, se ci pensiamo, una persona che ha raccolto enormi consensi, perché in realtà la corrente andreottiana, all’interno della Democrazia Cristiana era piccola, assolutamente minoritaria, semplicemente era una di quelle correnti che era disposta a svendersi al miglior offerente, e quindi che più di tutte ha fatto in modo che i valori della politica fossero una questione di somma, piuttosto invece che una comunione d’intenti. La cosa che mi preoccupa è che l’andreottismo, invece, parlo dell’andreottismo di Formigoni, che si rivende paracattolico con Comunione e Liberazione, e in realtà è solidale tra sodali, che è quello che Andreotti aveva fatto per primo, e quindi una solidarietà che non è più cattolica, ma essendo ristrette ad una cerchia ben definita, in realtà ha le dinamiche del clan; mi preoccupa un Parlamento che onora, da destra a sinistra, un uomo semplicemente perché morto. Ecco, io credo che noi, se ogni volta decidiamo che, in nome di non so quale buonismo, mi sembra un’enorme irresponsabilità, di premiare un defunto indipendentemente da quello che ha compiuto in vita, be’ allora siamo un Paese che non crescerà mai, e che non avrà nemmeno quel briciolo di memoria per riconoscere la ciclicità dell’andreottismo e per dare delle chiavi di lettura collettive per riconoscere i nuovi Andreotti, oggi.
La strategia dei due forni, cioè quando Andreotti diceva: “Andiamo alle elezioni, poi decidiamo se allearci col centrodestra dei suoi tempi, o col centrosinistra”, ecco la strategia dei due forni, se non viene passata di generazione in generazione, non ci può fare capire le dinamiche politiche che sono avvenute oggi.
Poi qualcuno dice: “Sì, be’, Andreotti è sopravvissuto a tutte le repubbliche”. Lui diceva, tra l’altro con questo suo modo molto sardonico: “I miei amici che facevano sport sono morti da tempo. Ho visto la prima repubblica, forse anche la seconda, e mi auguro di vedere anche la terza”. Be’, io credo che il fatto che Andreotti sia sopravvissuto così a lungo come personaggio politico dimostra che i veri colpevoli del processo Andreotti, di tutti i processi Andreotti – ma in primis quello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa – sono gli elettori, che ancora una volta dimostrano di godere di quell’indignazione passeggera che dura un battito d’ali di farfalla e di non andare mai sull’analisi. E soprattutto di non avere voglia di costruire una chiave di lettura collettiva delle inopportunità. Ricordare oggi, in questo modo, Andreotti, sui maggiori quotidiani italiani, significa uccidere ancora una volta Ambrosoli, uccidere ancora una volta, da morto, il generale Dalla Chiesa, ma soprattutto significa uccidere Pio La Torre, o tutti quei politici, mi viene in mente Borsellino, quegli uomini della magistratura, che hanno provato ad urlare che l’opportunità è un confine molto più largo di quelle che sono le responsabilità giuridiche, e non sono state definite dal punto di vista giudiziario perché un popolo maturo, una democrazia matura, deve esser in grado di riconoscere ciò che è opportuno o inopportuno. Ecco, a tarpare e narcotizzare l’opportunità, Andreotti c’è riuscito benissimo. Oggi, secondo me, laggiù – perché non credo proprio che sia andato in alto, seco0ndo me sta ridendo, sempre sardonico, vedendo come il suo meccanismo perverso stia continuando a funzionare.
Sulla questione dell’assoluzione di Andreotti, semplicemente è stato coltivato un analfabetismo di base che fa in modo che in questo Paese le opinioni si creino sulle diversi tesi e opinioni delle sentenze. E questi si sono creati questi due gradi di separazione, che chissà perché fanno in modo che i magistrati debbano improvvisamente diventare degli intellettuali, anche, esponendosi tra l’altro – come abbiamo visto – al cannibalismo politico, perché gli intellettuali, non si sa perché, oltre a Pirandello, ultimamente, sembrano poco interessati a cercare di creare una coscienza comune. E quindi l’analfabetismo è quello che ci dice che Andreotti è stato assolto perché l’ha detto Vespa. Ma attenzione: anche che Andreotti è colpevole perché l’ha detto Travaglio. L’errore di fondo è identico. Perché nel momento in cui noi per delega costruiamo delle opinioni, in realtà pecchiamo nello stesso modo. Poi possiamo avere il 50% delle possibilità di imboccare la strada giusta dal punto di vista giudiziario.
Il farlo per il bene del Pese … è proprio questo: il passaggio culturale di cui cercavo di parlare prima è proprio … quando Craxi dice: “Sì, abbiamo preso tangenti ma le metropolitane a Milano le abbiamo costruite molto più velocemente”, riesce proprio a far passare questo diritto, se non addirittura dovere, della politica, di percorrere non sempre strade lecite, per riuscire ad ottenere un risultato migliore. È quello che nelle regioni del Nord è accaduto da sempre. Questa Lombardia ce lo racconta benissimo: per essere locomotiva dell’Italia è inevitabile che la spericolatezza politica e la spericolatezza imprenditoriale insomma vadano sopportate. Andreotti dice: “Per difendersi dal Comunismo, e per difendersi dall’avanzata coloniale, quasi, degli Stati Uniti, noi abbiamo bisogno di stringere rapporti che non possiamo raccontarvi perché altrimenti si corrompono, e rendono la trattativa politica del tutto molto più difficile. Andreotti, in realtà, è quello che legittima la politica oscena. Andreotti è un uomo fondamentalmente osceno. Un uomo che ha chiesto di essere giudicato per i risultati, risultati politici che giustamente, come dicevi tu, sono preservazione del potere: Andreotti non è un riformista, dal punto di vista – se ci pensiamo anche – politico, non ha attuato nessun progresso, a meno che non intendiamo il progresso nell’accezione ormai medievale delle grandi infrastrutture. Però per chi non crede al Ponte di Messina come progresso del Paese, non è riuscito a portare avanti questa cavalcata dei diritti. Addirittura, quando si ritrova a firmare la legge sull’aborto, lo fa perché la forza spintanea del popolo non gli permetteva di fare altro. È osceno perché decide di prendere delle decisioni fuori scena insieme a due o tre persone. E semplicemente si preoccupa di costruirne, direbbe Vendola, una narrazione democraticamente accettabile, e quindi fare in modo che si potabile la decisione raccontando quelli che sono i passaggi. È come se fosse un trovarobe, che vive soprattutto in camerino, e che in realtà viene scambiato per un grande drammaturgo, quando in realtà si preoccupa di avere solo qualche pupo che entra in scena per rendere digeribile le conclusioni a cui bisogna arrivare. Però non è molto diverso da oggi: cioè oggi capita ancora molto spesso, ma anche nei piccoli comuni, in generale nel percorso politico e di lettura dei fatti politici, capita molto spesso che qualcuno che sia classe dirigente ci dica: “Voi preoccupatevi del risultato. Non è un vostro diritto sapere come ci arriviamo”. E quindi come venga vissuto addirittura come un appetito di pornografia il volere sapere quali sono i passaggi che portano a qualcosa. È identico, se ci pensiamo, a quello che sta succedendo oggi. Cioè, che Andreotti muoia mentre c’è un governo in cui Miccichè viene riciclato e può permettersi di raccontare di essere fiero delle sue amicizie di uomini condannati per mafia, significa in realtà che l’andreottismo sta benissimo. E indipendentemente dalla mediocrità umana, di sensibilità politica, di intellighenzia dei suoi interpreti, è un meccanismo assolutamente rodato.
La domanda vera è: perché tutti incensano Andreotti? Perché Andreotti ha costruito rapporti politici basati molto spesso sul ricatto. Cioè Andreotti comincia ad affondare, nel processo di Palermo, quando ad un certo punto non erano più ricattabili i suoi referenti mafiosi, che avevano deciso di non essere più ricattabili perché avevano invertito – avrebbero voluto invertire: forse ci sono riusciti e non ce ne siamo ancora accorti – il rapporto di forza e quindi hanno detto: “Noi, Cosa Nostra, non siamo più camerieri della politica; noi, Cosa Nostra, vogliamo che la politica sia nostra cameriera”. A quel punto Andreotti decide di ritirarsi e decide di utilizzare i suoi compagni di partito come scudo. E quindi, io penso che Andreotti si in realtà colpevole anche di un concorso esterno anche in omicidi politici, dal punto di vista intellettuale.
Il problema qual è? L’andreottismo, se ci pensi, è un po’ come Via d’Amelio, è un po’ come Capaci, un po’ come la trattativa: oggi è raccontato per fazioni politiche. Se sei di centrodestra Andreotti è uno statista, se sei di centrosinistra Andreotti è un colpevole. Non ci sono motivazioni reali perché sia uno statista, ma in realtà anche chi lo ritiene colpevole non ha contezza e coscienza di quali siano le motivazioni reali. Nel momento in cui diventa una diatribe prettamente partitica – neanche politica, perché in realtà di politica c’è molto poco – diventa poco interessante per tutte le generazioni che vengono, soprattutto per i più giovani. Cioè, a un giovane non interessa sapere perché quel comunista di cavalli dice che Andreotti è un mafioso; perché per Cavalli Andreotti è mafioso perché è comunista. Riuscire a spostare il confronto politico nella questione di tifo di diverse fazioni, be’ penso che anche qua un grande interprete ultimamente l’abbiamo avuto.
E il livellamento, il nutrire la superficialità del dibattito, anche questo l’ha fatto Andreotti ma l’aveva teorizzato Licio Gelli. E il problema vero qual è? Che Andreotti, comunque sia, io da drammaturgo, non da politico, direi: “è uno troppo sfigato per aver fatto tutto quello che ha fatto”. Troppo sfigato perché, se ci pensi, in tutte le favole dell’orrore che abbiamo avuto in questi ultimi decenni, i cattivi di tutte le storie d’Italia prima o poi son stati fotografati mentre citofonavano a casa sua. E quindi è un po’ come se dentro Biancaneve, o tutti le Biancanevi raccontate a tutti i bambini del mondo, ci fosse un personaggio unico che era sempre parente alla lontana che era amico del lupo. Quindi il vero problema qual è? Che lui è riuscito in modo molto pop, molto popolare, a raccontarsi come perseguitato; dall’altra parte gli avversari di Andreotti, secondo me sono semplicemente i coltivatori della verità, ancora una volta – e questa è una cosa tutta della sinistra italiana – hanno deciso di affrontare in modo molto intellettualoide, pensando di essere intellettuali, i principi di colpevolezza. Quindi lui andava a Porta a Porta e sullo sfondo era scritto “ASSOLTO” e noi continuavamo a fare, più i nostri padri che noi, i nostri convegni nelle sezioni di partito, in cui dicevamo che i compagni dovevano essere consapevoli … Non siamo riusciti a far venire l’appetito alle casalinghe sulla storia di Andreotti; cioè la storia di Andreotti non è stata considerata interessante, e ancora una volta, secondo me, abbiamo perso l’occasione – io c’ho provato con il libro, ci provo con lo spettacolo, direi che ci stiamo provando in tanti in questo momento – oggi mi sento un ambientalista. Cioè cerco di preservare l’ecologia dell’etica di questo Pese: cioè sto cercando di raccogliere veramente tutte le erbacce, le erbe di cani, in quel giardino pubblico che dovrebbe essere il Paese Italia. E oggi invece non solo nessuno ha la paletta per raccogliere le defecazioni di questi giornalisti leccaculo, ma addirittura in queste ultime 24 ore stanno arrivando le badilate. E quindi noi siamo gli spazzini: sai quegli uccelli sulla schiena dell’ippopotamo, che cercano di tenerlo pulito? Ecco, oggi l’ippopotamo è questa prostituta che sta facendo quest’enorme popmpino alla memoria di Andreotti e noi solleviamo il becco molto fino e cerchiamo di spulciare, facendo molto fatica.
Io Andreotti e i nuovi Andreotti che cercano di fermare il Comunismo riesco anche a sopportarli per i prossimi 50 anni. È questo Comunismo così flebile, che sembra un ruttino di un neonato, che sembra un rigurgito di prima mattina, che mi lascia un po’ perplesso. Perché il problema vero è che lì la battaglia ad Andreotti si faceva fermando le ruspe insieme agli agricoltori per cercare di salvare il salvabile, oggi questo neo-Comunismo che è così andreottiano invece in alcuni suoi spigoli, fa dei grandi convegni sul consumo di suolo, e poi nelle Commissioni vota insieme ai consumatori di suolo. Io credo che la differenza rispetto ad allora è che la sinistra sia molto meno appuntita, e sia molto meno appuntita perché viene il dubbio che sia stata ben pagata nel suo ruolo di moderata opposizione. E quindi oggi fare un’opposizione fare opposizione convinta … oggi Pio La Torre sarebbe un terrorista; oggi Peppino Impastato sarebbe un visionario. Io mi auguro che se si incrociano, e se si incrociano si incrociano solo sul ballatoio, sicuramente, perché non vanno nello stesso posto, però almeno Agnese Borsellino una sberla ad Andreotti gliela possa dare, in questo momento in cui deve più tenere quella forma delle celebrazioni di Stato. E quindi la differenza vera qual è? Prima si occupavano di tenere fuori le forze politiche più spigolose dal Parlamento, oggi invece hanno imparato ad ammaestrarle. O forse la sinistra di oggi ha una classe dirigente che è molto più facilmente ammaestrabile.
Come si esce dall’andreottismo? Pretendendo l’esatta conoscenza di tutti i processi politici che stanno dietro a qualsiasi decisione, e rifiutando, anche nel caso in cui i risultati siano buoni, una classe dirigente che si prende il lusso di non raccontare queste dinamiche. Esercitando il diritto e il dovere dell’opportunità, e quindi decidere che ci sono delle leggi che non state scritte perché probabilmente nessuno avrebbe pensato che avremmo avuto bisogno di una legge che vietasse ad un politico di essere amico dei mafiosi. E poi, secondo me, cercando di raccontare come la politica sia una cosa molto semplice, molto leggibile, e che dovemmo preoccuparci un po’ meno, secondo me, dell’IMU, e rincominciare invece a leggere le mozioni del nostro Consiglio Comunale, cominciare a capire che quegli strumenti – che sono degli strumenti meravigliosi per me che faccio teatro, perché sono la drammaturgia del vivere insieme, se ci pensi, di una comunità, che sia una provincia, un comune, una regione, o a livelli più alti una nazione o l’Europa – ecco, pretendere che dentro la drammaturgia siano considerate anche le nostre parti, e quindi qual è il nostro ruolo, quali sono le battute che dobbiamo portare in scena, qual è la nostra responsabilità in scena. È un percorso che, secondo me, bene o male, si sta avviando. Poi con alcune caratteristiche che io non amo molto, con alcuni grillismi esasperati, ma secondo me il Movimento 5 Stelle, ad esempio, da questo punto di vista ha aperto una ferita di coscienza che può essere assolutamente sana. Insieme e a loro anche alcune forze politiche, poche, che stanno cercando di portare avanti un lavoro politico.
Due parole con gli amici di ‘Cultura e Culture’. Qui.
Giulio Cavalli, inizia la sua carriera di attore nel lodigiano. Dopo anni di teatro la svolta arriva nel 2008, quando debutta con lo spettacolo Do ut Des, spettacolo teatrale su riti conviti mafiosi. In seguito a questa messa in scena riceverà della minacce di stampo mafioso, a causa delle quali gli verrà assegnata una scorta. Dal 2009 Giulio Cavalli inizia la sua lotta alle mafie sul palcoscenico con Radiomafiopoli, A cento passi dal duomo, e nel 2010 esce il suo primo libro Nomi, cognomi e infami. Nel 2009 è stato ricevuto dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano. Dal 2010 è stato consigliere regionale in Lombardia, come indipendente nella lista dell’Idv; oggi aderisce a SEL, è stato nuovamente candidato come consigliere alle regionali 2013, ma alla luce dell’1,8% ottenuto dal suo partito non è stato rieletto.
Funziona tutto al contrario sig. Cavalli? Lei nel suo teatro ha iniziato a parlare della mafia, e ad accorgersene non è stato il ceto civile del nostro paese (questo si che non sente, non vede e non parla), ma, paradossalmente, la mafia stessa. I primi a venire a teatro sono i figli di quei mafiosi che, come dice lei, non azzeccano un congiuntivo nemmeno per sbaglio. Questi guardano il suo spettacolo e poi la minacciano, e così la minaccia diventa la prima vera pubblicità della sua attività. E le jeux son fait!
Effettivamente sembra che le mafie abbiano una sensibilità che le antimafie scoprono sempre un secondo troppo tardi. Per questo abbiamo ritenuto importante ritirare da subito lo spettacolo “contestato”, per evitare un perverso gioco di vouyerismo. Bisognava subito spazzare il campo da eventuali occasioni di lucro. Ma è importante ricordare sempre che chi ti minaccia sa benissimo che la prima cosa che si accende, nell’opinione pubblica, è il sospetto, che spesso diventa motivo isolamento per l’artista.
Ho sentito Saviano dire che la colpa di “quelli come voi” è di essere ancora vivi, di questo in fondo vi accusa la gente. Altra frase che mi ha colpito è che “quelli come voi”, agendo, mettono in crisi l’intera comunità circostante, che riconoscendovi dei meriti verrebbe a sentirsi in difetto: “sporca” per non aver fatto altrettanto. In realtà la penso diversamente. Secondo me quello che non vi viene perdonato è la popolarità che avete acquisito, con questa “storia delle mafie” siete diventati dei veri e propri vip.
Non credo che la nostra colpa sia quella di essere vivi. Su questo non sono d’accordo con Saviano. Piuttosto la colpa può essere la tentazione di raccontarsi piuttosto che raccontare, e allora certo si cade in un’autocelebrazione che credo interessi poco (se non ai fans, ma le mafie non sono temi da isterie celebrative, sono punti di democrazia e Costituzione). Poi credo che un Paese in cui chiedere legalità e normalità porta ad essere un’eccezione è un Paese che dovrebbe interrogarsi. Non è la media del coraggio o dell’onestà a definire i limiti consentiti. Certo questa storia di minacce e scorte è un vizio tutto italiano di questi ultimi anni, che assomiglia per alcuni meccanismi alla banalità del Grande Fratello dell’antimafia. In Italia ci sono quasi ottocento persone sotto scorta, mica solo quelli che finiscono sotto i riflettori. E tra l’altro siamo la nazione che dimentica spesso i testimoni di giustizia (coloro che hanno semplicemente avuto la sfortuna di essere testimoni di un reato e hanno avuto l’onestà intellettuale di denunciarlo) e per sopravvivere devono sparire piuttosto che finire sotto luci della ribalta.
Sig. Cavalli: teatro, televisione, giornali….ora anche la politica. E la ‘ndrangheta è sempre il tema principale, forse l’unico. Lo stesso vale per Saviano con la camorra (e mi scusi se ripropongo ancora questo parallelismo). Sembra che il contatto, quello vero, diretto, con la malavita segni un punto di non ritorno. La mafia diviene argomento radicale della vostra vita, non c’è più spazio per altro. E’ come se vi fosse stata affidata una missione. E’ come se arrivare a conoscere davvero la mafia sia un pò come arrivae a conoscere davvero Dio.
Diceva Falcone che nella lotta alle mafie ci capiti per caso e per destino. In realtà non credo di occuparmi solo di mafie (basta seguirmi non solo sulle riviste patinate). Lavoriamo per la libertà e per la democrazia. E le mafie sono tra i nemici più pericolosi.
Una mia intervista ad Affari Italiani che (a parte il titolo) dice due o tre cose che penso:
Giulio Cavalli è uno dei leader di Sel in Lombardia. In un’intervista ad Affaritaliani.it attacca la dirigenza del partito, dopo che alle ultime elezioni non hanno ottenuto neppure un seggio al Pirellone. “Noi fuori? Colpa di una campagna elettorale gestita male fin dall’inizio. Sel? Bisogna che si faccia il congresso. Civati segretario del Pd? Sono pronto a seguirlo, sono a sua disposizione perché le sue idee sono anche le mie”
Giulio Cavalli, Sel è morta?
Non siamo morti. Abbiamo un progetto da rivedere perché abbiamo perso.
Siete fuori dal consiglio regionale lombardo.
Non abbiamo perso solo perché siamo fuori. La politica non si fa solo dentro o fuori. Abbiamo perso perché non abbiamo numeri che dicano che siamo vagamente convincenti. Il problema non è avere o no i consiglieri. Il problema è riuscire ad essere credibili: l’1,8 per cento non è abbastanza.
Di chi è la colpa?
E’ colpa di una campagna elettorale gestita male fin dall’inizio, di una perversione di Sel di accodarsi al Pd per poi svicolare in modo labirintico. La sinistra ha mostrato di vincere quando fa la sinistra, sul modello Pisapia, e non quando scimmiotta il centro.
Pisapia è stato tra i main sponsor di Ambrosoli.
Pisapia prenderà le responsabilità politiche anche di questo. Perché dobbiamo prenderle solo noi?
Adesso che cosa succederà? Passa nel Partito Democratico.
No. Io penso che adesso bisogna capire Sel che cosa fa. Se vuole rimanere la correntina esterna, che poi visti i numeri significa un “refolo”, del Pd, mi pare non valga la pena. Se vuole raggiungere risultati importanti allora bisogna che riprenda a dialogare con pezzi con i quali ha smesso di dialogare da qualche tempo. Avevo scritto che il progetto era fare in modo che questa sinistra fosse meno diffusa a livello di partiti e un po’ più diffusa a livello di percentuali.
Lei che cosa farà?
Io sono un umile servitore nella vigna di Sel. I dirigenti si prendano le loro responsabilità.
Quindi?
Quindi in fase congressuale ci saranno delle linee da rivedere e da decidere nuove linee e nuove sintesi.
Lei parteciperà in maniera attiva al congresso?
Io faccio politica scrivendo libri e facendo spettacoli teatrali. Dentro Sel ho trovato tantissima gente che ha la stessa idea di Paese che ho io. Non permetterò che per spirito di autoconservazione basti ai dirigenti il fatto di aver ottenuto un posto ma che si lavori sempre come una chiave collettiva di ideale.
In questa sconfitta Chiara Cremonesi ha qualche responsabilità?
Non più di quante ne abbia io. Poi devo dire che in tutti i partiti si tenta in ogni modo di fare campagne elettorali che somigliano da fuori a masturbazioni interne.
Se Pippo Civati divenisse segretario del Partito Democratico lei seguirebbe il suo amico?
Io penso che il Pd non sarebbe più il Pd. Il partito di Pippo Civati ha la stessa agenda politica che ho io. Sicuramente sarei a disposizione di Pippo perché possa fare in modo che le sue idee, che sono anche le mie, possano essere maggioranza.
Due parole sulla cultura in Lombardia, anche quella che vorremo fare. Trovate tutto qui.
Per la corsa al Pirellone è testa a testa tra Maroni ed Ambrosoli. Almeno secondo Giulio Cavalli, consigliere regionale in Lombardia con Sel e candidato con la coalizione di centrosinistra. Sulla campagna elettorale si dice ottimista e deciso a puntare su temi concreti: “Dobbiamo segnare una discontinuità dal formigonismo”. La proposta di Maroni di trattenere il 75% delle tasse in Lombardia? “Un paradosso – dice Cavalli -, in altre parole propone di trasformarci in una Regione a statuto speciale, proprio la Lega che ha sempre mal sopportato le Regioni a statuto speciale”. E sull’inchiesta della magistratura relativa ai rimborsi elettorali, che nelle ultime settimane, dopo Pdl e Lega, ha visto coinvolti anche esponenti del Pd, Idv e Sel si dice però sereno: “Io non sono indagato e mi risulta difficile pensare che quei fondi siano stati utilizzati per scopi non politici da parte del mio gruppo consiliare. Esiste, però, una questione giuridica e una questione di opportunità. E il centrosinistra in Lombardia è stato certamente inopportuno”.
La mia intervista per Affari Italiani:
di Fabio Massa
Giulio Cavalli, attore antimafia e consigliere regionale di Sel, sceglie Affaritaliani.it per lanciare un messaggio forte al suo candidato, Umberto Ambrosoli: “Invece di andare dietro a montiani disgiunti, sarebbe il caso di raccontare che un’alternativa alla Lombardia che c’è stata è assolutamente possibile. Nel momento in cui noi accontentiamo i montiani, avendo noi una opinione completamente diversa, forse c’è qualche problema a livello di comunicazione. Bisogna avere il coraggio una volta per tutte di dichiararsi di parte”. E sulle indagini dei rimborsi…
Giulio Cavalli, iniziamo dai sondaggi. Di fatto pare che Ambrosoli non sfondi. In tempi non sospetti lei chiese un forte cambio di passo. E’ stato fatto?
Io credo che la campagna elettorale sino a questo momento abbia fatto fatica a far emergere i contenuti. Maroni, lo vediamo tutti, è bravo a far emergere le spigolosità giuste per solleticare lo stomaco degli elettori. Il segnale che dobbiamo dare noi è un segnale di discontinuità. Una cosa che Maroni non può fare semplicemente perché volente o dolente o nolente ha alle spalle Formigoni. Piuttosto che parlare di alleanze elettorali dobbiamo essere discontinui.
A proposito di alleanze, si parla di voto disgiunto.
Appunto, invece di andare dietro a montiani disgiunti, sarebbe il caso di raccontare che un’alternativa alla Lombardia che c’è stata è assolutamente possibile. La seconda cosa: è anche il caso di dire che l’eccellenza lombarda esiste. Ma che è l’eccellenza dei lombardi. Non dei politici. La nostra proposta si propone di riconoscere la proposta dei lombardi e di governarla con formule virtuose.
Il suo partito, Sel, è – secondo i sondaggi – al 2,8% o 3 per cento. In questo modo su Milano passa un consigliere solo: c’è una competizione interna…
Il mio interesse è fare vincere Ambrosoli. E mi auguro che tutti i partiti della coalizione non cerchino di lucrare sulla propria linea di galleggiamento ma che cerchino di far cambiare davvero questa Regione. Questa è un’occasione unica. Sel farà il suo compito: non credo che finiremo con quella percentuale. Conterà il fatto che i richiami ad Ambrosoli a giocare sulla fascia sinistra saranno rilevanti. Noi abbiamo dalla nostra parte qualcosa della quale vado fiero: nel momento in cui tutti dicono che fare il consigliere regionale è quasi un’onta, io sono molto fiero di aver lavorato nel gruppo Sel…
Anche perché lei, per la questione dei rimborsi, non è indagato. A differenza della sua capogruppo Chiara Cremonesi.
Io non sono indagato. E questa cosa voglio dirla con forza. Per quanto riguarda le indagini, spero che quanto prima ci venga detto chi è stato rinviato a giudizio e chi no, per evitare il gioco di “tutti uguali”. Non lo siamo.
C’è un’altra polemica su Sel: pare che il vostro partito sia al top nella classifica poco onorevole dell’affisione dei manifesti abusivi in città.
Io credo che la questione dell’affissione dei manifesti sia stata presa molto sottogamba in tutti questi ultimi anni, e in generale. Gli elettori non hanno attenzione per quello che c’è nei manifesti, ma per notare l’irregolarità dell’affissione. Io sto aspettando che siano sorteggiati gli spazi per affiggere i miei.
Albertini pare molto in difficoltà: i suoi iniziano a dire di votare Ambrosoli. Per voi è un plus o un handicap?
Nel momento in cui noi accontentiamo i montiani, avendo noi una opinione completamente diversa, forse c’è qualche problema a livello di comunicazione. Bisogna avere il coraggio una volta per tutte di dichiararsi di parte. Questo è il segnale di discontinuità. Anche perché in Lombardia stanno nascendo nuove figure mitologiche, dopo gli unicorni ci sono i moderati. Di persona non se ne incontra uno, a dire la verità. La mia campagna è “Ostinatamente smoderato”, il concetto mi sembra chiaro. Piuttosto che inseguire le percentuali ridicole dei montiani, bisogna pensare a tutti quelli che non hanno intenzione di votare. Meglio inseguire gli astenuti piuttosto dei montiani. Anche perché tra unicorni e montiani, qualche astenuto lo conosco.
@FabioAMassa
Duomo d’Onore, a cento passi dal Duomo capitolo secondo. Ritorna Giulio Cavalli con la seconda parte del suo spettacolo dedicato alle mafie milanesi e del nord Italia, scritto con Gianni Barbacetto, Cesare Giuzzi, Giuseppe Gennari, Giovanni Tizian e Biagio Simonetta. Da domani al 16 dicembre al Teatro della Cooperativa, Via Hermada 8.
L’intervista originale la trovate qui.
Giulio Cavalli è consigliere regionale della Lombardia. Eletto inizialmente come candidato indipendente nelle liste di IDV ha aderito, successivamente, al gruppo diSINISTRA ECOLOGIA E LIBERTA’.
Oltre che con la politica, Giulio Cavalli, esprime la sua passione civile e lo spirito di appartenenza attiva ad una comunità attraverso la sua multiforme attività di narratore, artista, autore e scrittore.
I suoi libri, “LINATE 2001: la strage” – “Nomi Cognomi ed Infami” – “L’innocenza di Giulio” e gli spettacoli teatrali che scrive e mette in scena sono contaminati da un impegno civile forte ed appassionato.
Le produzioni artistiche ed intellettuali di Giulio Cavalli sono la declinazione più naturale della sua partecipazione umana ed emotiva ai grandi temi della vita civile.
Nei suoi spettacoli ha “sbeffeggiato” la mafia ed, a causa delle minacce ricevute dalle cosche, vive sotto scorta.
Nel dicembre 2009, Giulio Cavalli è stato ricevuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che gli ha manifestato la propria solidarietà.
Ho chiesto al consigliere regionale lodigiano di SEL di aiutarci a ragionare sulla situazione politica attuale e sugli scenari futuri dell’Italia che verrà. Lo ringrazio molto per la disponibilità.
La fiducia nella politica e negli uomini che la rappresentano ha raggiunto ormai livelli sconcertanti di impopolarità. Meno del 3% della popolazione è ancora disponibile a riconoscerle un valore positivo. Ci dobbiamo davvero rassegnare alla situazione di rabbia e disaffezione che accomuna indistintamente tutti i politici ?
La rassegnazione non è nel mio vocabolario, sia quello politico che, in modo più largo, in quello professionale e umano. La disaffezione ai partiti è l’effetto di una causa che va affrontata con la voglia di mettersi in discussione sul serio, pensando che la “partecipazione” e la “democrazia interna” non possono essere slogan elettorali ma pratiche reali. Non credo che la disaffezione ai partiti si possa semplicemente risolvere con un “movimentismo” retorico quanto piuttosto con una riforma reale nei bilanci, nei finanziamenti, nella scelta della classe dirigente e nella scuola politica interna. Se il partito viene vissuto come un accrocchio di poche persone che coltivano la propria autopreservazione è normale che i risultati siano quelli che ci si presentano in questo periodo.
A livello nazionale SEL ha aderito formalmente all’alleanza con il PD. Non ritiene che su alcune questioni decisive vi sia una distanza talmente inconciliabile di vedute da disorientare l’elettorato ? Penso ad esempio al giudizio sulle riforme Monti, agli impegni militari internazionali, alla diversa visione sull’utilità delle opere pubbliche (TAV – rigassificatori), ai rapporti con il mondo della finanza e dell’economia.
Il rischio c’è ed è alto. La scelta di SEL è quella di rinunciare a lasciare il campo del centrosinistra scoperto per rivendicare i propri temi in un’ottica di governo. Si può essere d’accordo o meno nella scelta (è la bellezza della politica, del resto) ma resta un segnale chiaro di assunzione di responsabilità in un dibattito con posizioni spesso così diverse. La riuscita del percorso si può leggere nel momento in cui alcuni punti fortemente di SEL sono entrati nel dibattito delle primarie costringendo tutti i candidati a prendere una posizione. La vittoria stessa di Bersani bilancia la coalizione verso l’ala che non vede nessuna possibilità di un Monti bis. I prossimi mesi potranno dirci quanto possiamo riconoscere di avere influito su programmi e alleanze.
Il Movimento 5 Stelle è ormai segnalato come la seconda forza politica del Paese. Non le pare troppo sbrigativo liquidarlo come un fenomeno populista e frutto del sentimento incalzante dell’antipolitica ?
Certamente sì. Spesso sono stato criticato perché considerato troppo vicino al Movimento semplicemente perché ne sottolineo una rappresentatività che è da irresponsabili ricondurre al populismo. Il M5S risponde ad esigenze che non trovano risposte nelle altre forze politiche: questo dovrebbe essere lo spunto da cui partire. Quali dei punti di programma possono essere adottati anche da noi in modo intellettualmente onesto? Ci sono dei meccanismi del M5S che siamo pronti a riconoscere e sviluppare? Se partiamo da queste domande ritorneremo finalmente nel campo della politica.
Il consiglio regionale lombardo è stato falcidiato da una sequenza impressionante di episodi legati all’illegalità, alla corruzione ed alle infiltrazioni mafiose. La domanda è ricorrente: è mai possibile che solo l’intervento della magistratura possa modificare l’andazzo vergognoso della politica ?
E’ la sconfitta del primato della politica che proprio per questo paga pegno nel campo della credibilità. La caduta di Formigoni deve essere la discussione di un nuovo modello politico al di là delle responsabilità di questo o quell’assessore. La magistratura e gli scandali (se visti dall’alto con oggettività e la giusta distanza per giudicare le cose) raccontano un modello amministrativo in balìa dell’etica e della corruttibilità dei diversi interpreti assolutamente incapace di difendersi. Formigoni ha puntato tutto in questi 17 anni sull’accentramento dei poteri alla Giunta svuotando di fatto il Consiglio dei propri diritti e doveri di controllo e indirizzo: solo così infatti ha potuto prolungare un’attività di lobby che in Lombardia ha svenduto diversi settori a questo o quel gruppo di amici da mantenere.
Il suo giudizio sulla Lega 2.0. La convince il nuovo corso targato Maroni ?
Pubblicità allo stato puro e più banale: rimozione del passato per proiettare un futuro di speranza ignorante.
Le grandi opere regionali, la sanità, gli appalti ed EXPO sono materie particolarmente appetitose per la criminalità mafiosa. Dal suo punto di osservazione (da uomo politico, scrittore e conoscitore dei fenomeni mafiosi) qual è il livello di compromissione con la mafia e la corruzione della vita pubblica nella nostra regione ?
Al di là del fattore politico la questione lombarda è una questione morale. Mi rimane il dubbio che i “premiati” di questi ultimi anni siano (e non è un caso) coloro che sono riusciti a misurare con attenzione le proprie spericolatezze. Abbiamo dimenticato di innescare processi etici non solo in politica ma anche nell’imprenditoria, nell’educazione civica e nell’applicazione di una meritocrazia che premi la moralità. Quando ero poco più di un ragazzino coglievo già questo fenomeno tutto lombardo di ammirazione per le carriere “con ombre” come se fossero necessarie per tenere alto il PIL lombardo.
Formigoni non manca di celebrare pubblicamente l’eccellenza di regione Lombardia. Un confronto oggettivo con il resto del Paese ed il raffronto con i più standard avanzati europei depongono a favore della dichiarazione del presidente. Anche i cittadini lombardi riconoscono una elevata qualità complessiva del sistema dei servizi regionali. Qual è la sua opinione ?
Parlare di eccellenza lombarda è offensivo. Formigoni spieghi l’eccellenza della sanità ai parenti delle vittime della clinica Santa Rita o alle famiglie rimaste senza reddito dei lavoratori del San Raffaele. Poi ne riparliamo.
So che non è un argomento di cui parla volentieri, ma può chiarire meglio la vicenda della sospensione della sua scorta ? Le è stata reintegrata ? Come ha vissuto quel passaggio delicato della sua vita personale ? La questione è, a mio parere, di rilievo pubblico perché la sua battaglia contro la mafia è la battaglia della gente perbene e corrisponde al nostro desiderio di Stato e legalità.
Ritengo le questioni di scorte e sicurezza non notiziabili. La mia sicurezza rientra in un “patto” tra me e lo Stato che inevitabilmente ogni tanto si inceppa in alcuni atteggiamenti dei diversi interpreti come succede in ogni burocrazia. Sono e mi sento al sicuro.
Conferma la sua decisione di candidarsi alla guida di regione Lombardia ? Quali saranno i punti qualificanti del suo programma ?
La decisione definitiva è stata quella di appoggiare la candidatura di Umberto Ambrosoli che, tra le altre cose, è anche un amico. Credo che il rilancio etico della Lombardia possa trovare in lui un ottimo volano.
Il dopo Monti è una prospettiva ancora sfocata ed oggi impossibile da rappresentare. Quali sono secondo lei le linee guida che dovranno ispirare la nuova stagione politica ?
L’alternativa a Monti. Uscire dall’angolo in cui ci hanno cacciato tutti coloro che insistono nel convincerci che non esiste alternativa all’austerità per uscire dalla crisi, possibilmente con una sinistra che si prenda la responsabilità di essere di sinistra e di governo.
Dobbiamo davvero considerare concluso il periodo storico che passa sotto il nome di “berlusconismo” ? Che eredità lascia quest’esperienza ventennale al Paese ?
Culturalmente ci vorranno anni per un dipanarsi serio e sincero nei diversi strati sociali e nei modi della comunicazione imprenditoriale e politica. Il berlusconismo è l’amor proprio elevato a dovere antisociale per le legittima difesa, è la banalizzazione dello scontro per creare tifo e annullare le analisi, è nello strizzare l’occhiolino ai furbi che si arrovellano in prepotenze comunque legali e nelle regole privatizzate e vendute al migliore offerente. Purtroppo è un modello politico, imprenditoriale e sociale: ci vorrà un convincente controlavoro per rimettere in rete chiavi di lettura collettive di questi ultimi vent’anni.
Il suo giudizio sulle elezioni primarie del centro-sinistra.
Partecipate nella discussioni e nell’ampiezza della discussione, sicuramente, ma le primarie si pesano quando si arriva alla sintesi finale che serve per risultare convincenti alle secondarie. E le secondarie da sempre sono le elezioni che mi interessano di più.