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intervista

Omertà e ‘ndrangheta in Lombardia: intervista per Panorama

di Arianna Giunti (pubblicato su Panorama.it)

Sulla ‘Ndrangheta l’errore principale sa qual è? Che non riusciamo mai ad avere una visione di insieme. E ad uscire dalla classica trama da film”. Lui, invece, Giulio Cavalli, 35 anni, attore, scrittore, regista e soprattutto consigliere regionale del partito Sinistra Ecologia e Libertà, da sempre attivo nella lotta alla criminalità organizzata combattuta anche a colpi di piècesteatrali (e per questo sotto scorta da tre anni) un’idea ben precisa ce l’ha: “Cosa Nostra, con il fenomeno del pentitismo, ha perso credibilità agli occhi della criminalità organizzata straniera, in particolar modo con quella sudamericana. Che, allora, ha iniziato a fare affari con la ‘Ndrangheta. Reputando i boss calabresi più affidabili e – ai loro occhi – credibili”.

La ‘Ndrangheta si conferma ancora una volta come l’organizzazione criminale più capillare e silenziosa. Un “silenzio”, che lei ha sempre cercato di infrangere smuovendo le coscienze. Ma – le indagini lo dimostrano – sono sempre poche le persone che denunciano e che collaborano. Persino in Lombardia.

Ci dimentichiamo ogni volta che la grande forza della ‘Ndrangheta è quella di mimetizzarsi fra l’economia cosidetta “normale”, perché punta tutto sulla grande disposizione di liquidità. Parallelamente agli affari “sporchi”, come appunto il traffico di droga, ci sono quelli leciti. Che sono sempre lungimiranti.  Loro sanno sempre dove investire, individuano un attimo prima il settore in via si sviluppo che può essere più fruttifero. Pensiamo specialmente a quello delle sale gioco, il bingo, o le costruzioni. E poi, possono fare affidamento su avvocati scaltri e potenti, che trovano cavilli e scappatoie alle leggi. Vantano appoggi negli ambienti della massoneria e persino in quelli delleProcure.

E a quanto pare, viste le recenti inchieste, le infiltrazioni sono anche in campo politico.

A me farebbe comodo dire che queste “aperture” si sono manifestate più nell’area di centro destra che nel centro sinistra. Ma direi il falso. Loro cercano di corrompere chi governa, a prescindere dal colore. Questo è un problema politico, non partitico. Il fatto è che il Nord ormai è una terra di emergenza.

E cosa da dove si dovrebbe partire, secondo lei, per arginare l’impero della ‘Ndrangheta?

Innanzitutto, occorre fare un lavoro a livello capillare, sul territorio. La Prefettura, ad esempio, deve essere un presidio dello Stato nel territorio, e le leggi per contrastare la criminalità organizzata ci sono. Ma vanno applicate. Occorre che i prefetti siano più coraggiosi, e che non lascino gli atti eroici alle singole amministrazioni locali.

Solo pochi giorni fa gli investigatori hanno portato a segno l’ennesima operazione contro la ‘Ndrangheta al Nord, effettuando 37 arresti. Il procuratore aggiunto Ilda Boccassini ha sottolineato ancora una volta la pericolosa tendenza degli imprenditori lombardi a “piegarsi” al sistema mafioso. Senza denunciare.

Questo infatti è un quadro allarmante. Che, da padre, mi spaventa per il futuro dei miei figli. Dalle indagini emerge come i boss calabresi si sentano impuniti, tanto da poter agire quasi alla luce del sole, portando “stili” sempre più calabresi in Lombardia. Pensiamo solamente alla costruzione delbunker, che gli investigatori proprio nel corso di questa indagine hanno scoperto. Finora non si erano mai spinti a tanto. E – anche in maniera pratica –non è una cosa facile da fare. Occorrono deipermessi edilizi, imprese di costruzioni compiacenti, vicini di casa che fingono di non vedere cosa sta accadendo. Ripeto: il quadro è allarmante. Sul fronte degli imprenditori strozzati dalla crisi economica che chiedono prestiti agli usurai della ‘Ndrangheta, e non denunciano, però, il discorso è diverso: chiediamoci cosa facciamo noi, come Stato, per loro. E perché siamo arrivati a questo punto.

Ma, a livello sociale, c’è la speranza che l’opinione pubblica venga quantomeno sensibilizzata?

Certo che la speranza c’è. Ma il lavoro è difficile. E occorre che ognuno di noi faccia qualcosa, senza sentirci sempre vittime, senza subire. Dall’impiegato di banca che segnala l’apertura di un conto corrente “sospetto”, all’imprenditore vittima del racket che trova la forza di denunciare: ciascuno di noi può fare qualcosa.

#cosaseria Intervista per Gli Altri: il problema non è solo Casini

La mia intervista per il settimanale Gli Altri:

Vi abbiamo recentemente raccontato della Cosa Seria, il manifesto promosso da sei esponenti della sinistra diffusa italiana per chiedere un’inversione di marcia al centro-sinistra e per scongiurare derive al centro. All’uscita della notizia si è accesso un lungo dibattito in rete e anche su questo sito. Abbiamo quindi deciso di intervistare uno degli ideatori della Cosa Seria, il consigliere regionale lombardo Giulio Cavalli, con lo scopo di capire meglio le posizioni di quelli che abbiamo definito i “non allineati”. In realtà Cavalli si rivelato poco incline a cercare lo scontro aperto con i dirigenti del suo partito, Sinistra Ecologia Libertà, facendo intendere che la sua è una posizione condivisa e non da dissidente, anche se in realtà qualche elemento di rottura sembra esserci.

Come è nata l’idea della Cosa Seria e con quale scopo?

La Cosa Seria nasce come esigenza di condividere un’idea, un’opinione che mi sembra essere sentimento diffuso nel Paese e nella sinistra e abbiamo quindi ritenuto utile portare in superficie questo dibattito.

Lei ha annunciato la sua intenzione di trasformare la Cosa Seria in una mozione da presentare all’imminente assemblea nazionale di Sel. Possiamo affermare che è una posizione differente da quella della dirigenza del partito, che prevede l’accordo con Pd senza Idv e altre formazioni minori?

Non c’è alcuna divisione all’interno di Sinistra Ecologia e Libertà, né tra noi e i suoi dirigenti, con cui ho rapporti quotidiani. Ci sono però delle incompatibilità politiche con alcuni pezzi di partiti. C’è una tendenza a semplificare tutto a mera alchimia elettorale.

Si riferisce alla possibile alleanza con l’Unione di Centro?

A me non preoccupa solo l’Udc , preoccupa la declinazione politica di certi pensieri. Con l’Udc ci sono incompatibilità politiche ma per proprietà transitiva anche con quei pezzi di Pd che hanno scelto la strada suicida dell’alleanza con Casini. Su questo in Sel c’è stato un problema di comunicazione politica: ma ritengo che tutto il partito sia d’accordo sull’impossibilità di allearsi con chi ha una visione così distante dalla nostra.

Quindi esclude possibili scontri e divisioni all’assemblea di Sel?

C’è questa tendenza a voler ridurre tutto al livello dello scontro; ma la Cosa Seria non ha certo questo intento. La nostra è un’azione propositiva rivolta non soltanto a Sel, ma anche alla parte migliore del Partito Democratico. Diciamo le stesse cose che afferma Nichi nella sua ultima intervista a Repubblica riguardo alla necessità di costruire un campo largo ma che resti a sinistra: vogliamo costruire non solo una Cosa Seria, ma anche una “casa seria” dove non ci può essere posto per l’Udc. Si tratta di avere lo sguardo lungo, il nostro orizzonte non può essere quello del breve periodo. L’unica differenza con Vendola è che se lui dice “non mettiamo veti a Casini”, io invece il mio diritto di veto voglio esercitarlo.

Alla luce degli appoggi alla Cosa Seria di Ferrero, Diliberto, Sonia Alfano e tanti altri, pensa sia possibile la creazione di una lista unitaria della sinistra?

Non spetta a me decidere le modalità con le quali presentarsi alle elezioni, è compito dei dirigenti. Mi sento però di dire che nella sinistra c’è una divisione fittizia che non corrisponde alla realtà. C’è un movimento che nel Paese è unitario, e al quale pezzi del Pd non vogliono dare ascolto, perché rivendica con chiarezza che l’accordo con l’Udc non lo vuole.

#cosaseria eppur si muove

“Si alla sinistra nemica di populisti, ma l’Udc non fa parte del nostro campo. Noi gli siamo alternativi. Alleanze? Dico a Bersani: apriamo ai movimenti, ai sindaci, e credo si debba aprire un dialogo costruttivo con tutte le forze di sinistra. Mi candido alle primarie”. Lo dice Vendola nella sua intervista di oggi.

Si chiama “dibattito”, è il cuore della politica. E adesso è aperto.

 

 

 

Intervista per Byoblu: un incidente a sera tarda può capitare a tutti

Una mia intervista per Byoblu.

di Valerio Valentini
“Attore, scrittore, regista e politico italiano, nato a Milano il 26 giugno 1977”. C’è scritto più o meno così sulla prima riga della pagina di Wikipedia dedicata a Giulio Cavalli. Non c’è scritto che vive sotto scorta da 4 anni. Oggi ha particolarmente bisogno di non essere lasciato solo. L’ho intervistato per il blog.

“Possiamo anche non interessarci degli ‘ndranghetisti, ma loro sicuramente si interesseranno di noi”. Più volte ti ho sentito ripetere questa frase: che significato ha avuto nella tua esperienza di uomo e di artista?

Noi dobbiamo riuscire a sgretolare il muro dell’indifferenza. E per farlo credo che l’impegno sia quello di stimolare e allenare il muscolo della curiosità collettiva. Accendere l’acquolina in bocca sul tema mafie e antimafia anche alla “signora Maria” sotto casa, al bar, dal panettiere. Perché gli uomini di ‘ndrangheta conoscono e studiano le mozioni o gli ordini del giorno o i PGT (piano di governo del territorio, ndr) dei piccoli comuni più attentamente degli onesti? Perché utilizzano gli spazi lasciati liberi dalle collusioni, certo, e dall’inettitudine civica. Quindi interessiamoci di loro perché inevitabilmente loro si interessano di noi, per favore. Questo è il richiamo.

Un regista lombardo che denuncia la ‘ndrangheta: all’inizio qualcuno pensava a uno scherzo, dal momento che nella coscienza popolare la mafia calabrese era una faccenda del Sud. Eppure è dal 1979 che la ‘ndrangheta ammazza affiliati ribelli nei ristoranti del milanese come se si trattasse di gangster di Chicago, e nel decennio 1973-1983 furono più di cento i sequestri effettuati dalla criminalità organizzata in Lombardia. Perché, secondo te, c’è voluto tanto per comprendere che la mafia era arrivata anche al nord?

Per una questione politica e culturale. Politicamente, l’atteggiamento degli ultimi anni più in voga era il negazionismo a tutti i costi. La politica lombarda (almeno quella imperante) è vissuta sulla retorica dell’eccellenza in tutti i campi. La Lombardia come punto più alto dell’imprenditoria, della sanità, dell’organizzazione e della sicurezza. Riconoscere il problema delle mafie in fondo costringeva gli amministratori a rivedere dalle fondamenta il proprio “teorema lombardo”. Dal punto di vista culturale la Lombardia è la culla del federalismo. Ma non solo il federalismo bieco e secessionista della Lega quanto più un federalismo delle responsabilità per cui siamo tranquilli se la nostra città è tranquilla o addirittura ci basta che il nostro quartiere sia in sicurezza. Perso quindi il dovere di solidarietà evidentemente si sono create le pieghe culturali per un tranquillo pascolo delle famiglie mafiose. Anzi, negli ultimi vent’anni ci hanno fatto credere che la solidarietà (soprattutto qui in Lombardia) è un vezzo umanitario che non possiamo permetterci, una debolezza che mette a rischio i nostri figli. E così la vera secessione è stato l’egoismo civile.

Dal 2008 vivi sotto scorta: evidentemente un’esperienza molto difficile. Eppure, recentemente, è accaduto qualcosa che ha peggiorato di molto la tua situazione. Vuoi raccontarci cos’è successo?

Ho spiegato tutto nel mio blog. In realtà di minacce me ne arrivano molte e molto spesso personalmente. Ora, però, ci sono dei nomi e dei cognomi dichiarati apertamente in un video. Quindi c’è un reato chiaro: o minacce, o calunnia e procurato allarme. E soprattutto c’è da chiedersi cosa possa spingere un imprenditore a rilasciare un’intervista così disperata e disperante. Mi auguro che le istituzioni diano la risposta.

“Gliela faremo pagare, ma senza fretta. Un anno o dieci anni non è un problema”: più o meno in questo termini è stata formulata la minaccia nei tuoi confronti. Come va interpretata questa micidiale “pazienza” della ‘ndrangheta?

È la frase che più di tutte mi ha colpito e ha colpito alcuni investigatori con cui ho avuto modo di parlare in questo giorni. Se Gasparetto (l’imprenditore che ha lanciato l’allarme, ndr) avesse voluto cercare uno scoop avrebbe potuto favoleggiare di un attentato in pompa magna; invece il non avere fretta (ricordo in una telefonata qualcuno che, parlando di me, disse “un incidente a sera tarda può capitare a tutti”) è nel DNA delle ‘ndrine. Poco rumore. È finita l’era dei gesti eclatanti: conta solo il risultato.

Concretamente, da oggi come cambia (se cambia) la tua vita dopo quest’ulteriore esplicita minaccia?

Credo che i dispositivi della mia sicurezza rientrino in un patto tra me, la mia famiglia e lo Stato. Non amo mai parlarne e sentirne parlare.

Vivendo sulla tua pelle quest’esperienza, ti senti di indicare qualche provvedimento che ritieni opportuno le istituzioni prendano per migliorare le condizioni di collaboratori di giustizia, scrittori e giornalisti minacciati dalla mafia?

Difendere chi si espone è il modo migliore per lo Stato di dimostrarsi credibile. Non sempre ne è stato all’altezza.

In più occasioni hai affermato che il tuo impegno politico (consigliere regionale dal 2010 nelle file dell’IDV, poi passato a Sel) è in qualche modo complementare all’impegno di regista. Ti sei immediatamente impegnato per fondare “Expo No Crime”, l’ente interistituzionale che si occupa di vigilare sul rispetto della legalità in occasione della grande esposizione universale che si svolgerà a Milano. Quale minaccia rappresenta l’Expo 2015 in termini di infiltrazioni mafiose? E quali misure ritieni opportuno applicare per limitarle al massimo?

Hanno scritto un documento importante pochi giorni fa a Milano: il comitato presieduto da Dalla Chiesa direi che ha scritto un “bigino dell’antimafia” che porta soluzioni fattibili e concrete. Poi le leggi bisogna scriverle, usarle e osarle. Al di là delle leggi però la domanda vera è: abbiamo una classe dirigente con lo spessore etico e morale per affrontare la sfida EXPO?

Il tuo coraggio, la tua caparbietà, appaiono eroici. Eppure Giovanni Falcone diceva che non è con l’eroismo degli inermi cittadini che si può sconfiggere la mafia, ma con l’impegno costante delle forze migliori delle istituzioni. Cosa dobbiamo pretendere che faccia lo Stato, per vincere questa battaglia che tu hai deciso di combattere?

Niente eroismi. Ognuno faccia la propria parte. Senza indifferenti. L’articolo 4 della Costituzione: Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Nicola Gratteri, magistrato di Reggio Calabria da vent’anni in prima linea contro la ‘ndrangheta, sostiene che è nella scuola che si può vincere questa battaglia. E tu hai scelto l’arte per combatterla. Fa davvero così paura la cultura ai boss?

Io non credo che si vinca solo con la parola. Ma sicuramente la cultura svolge un ruolo importante: nell’alfabetizzazione della mafia, nell’educazione all’antimafia, nella costruzione di una lettura collettiva del fenomeno. E la scuola è il luogo che ha questo dovere perché, non dimentichiamolo, dovrebbe essere lo Stato ad assumersene l’onere. Non attori e scrittori.

E tutti noi, semplici cittadini troppo spesso abituati – anche noi – a demandare agli altri il compito di essere eroi, cosa possiamo fare?

Convincerci che è una battaglia bellissima. Difendere la propria terra nel senso più intenso della parola, creare una rete solidale che sia un’associazione civica di stampo costituzionale.

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‘L’innocenza di Giulio’: una bugia bipartisan

Con l’Agenzia Parlamentare per l’Informazione ho scambiato due battute sul mio libro ‘L’innocenza di Giulio’. Perché (per fortuna) un libro può ancora dire di più, di politica, di un comunicato stampa. E provare ad essere letteratura, insieme.

(AGENPARL) – Roma, 08 ago – “Io ho 34 anni e a quelli della mia età la storia di Andreotti non l’ha raccontata nessuno. Quello che abbiamo carpito da politici e intellettuali sono analisi sempre molto strumentali. Mi piaceva partire dai fatti: dalla bugia bipartisan sull’innocenza di Andreotti. Questo dimostra che il nostro Paese non riesce ad avere un atteggiamento critico rispetto alle bugie, quindi dopo un po’ che vengono ripetute si accettano come verità”. Così Giulio Cavalli, autore del libro “L’innocenza di Giulio” (ed. Chiarelettere) spiega l’idea di raccontare la vicenda del noto politico italiano. Cavalli è consigliere di Sel alla Regione Lombardia e autore di diversi testi teatrali che si occupano di denunciare pagine ancora avvolte da una zona d’ombra della nostra storia.
C’è un aspetto della vicenda andreottiana che ha catturato la tua attenzione?

Andreotti è una persona che mente, ma non solo dal punto di vista giudiziario, dal punto di vista della politica e della memoria storica si è seduto con gli uomini di mafia. Ha trattato con gli uomini di mafia, ha trattato finchè ci è riuscito, mollata perchè la mafia non accettava più di essere soggiogata. Ha saputo di omicidi che stavano per essere eseguiti e non ha fatto nulla. Ha utilizzato Cosa Nostra per gestire il consenso e organizzare il voto su alcuni territori. Oggi alcuni miei coetanei considerano Andreotti uno statista.

Nel libro c’è un’elencazione delle persone che sono venute in contatto con il politico Giulio Andreotti, spesso personaggi dal passato discutibile. Quello che vedi oggi intorno a te somiglia un po’ al passato?

Si perchè nonostante la vicenda Andreotti, non abbiamo imparato a distinguere i confini tra politica e opportunità. A me non interessa che Giulio Andreotti sia colpevole in Cassazione, a me interessa che questo Paese possa coltivare una generazione che sappia giudicare l’inopportunità e la non tollerabilità di fare politica per persone come Andreotti e molti altri. Quello dell’opportunità è un principio che non deve passare attraverso i tre gradi di giudizio, è lo spirito critico di una cittadinanza che ha il dovere di interessarsi alla politica e di controllare i suoi politici, altrimenti come diceva Pericle sono dei cittadini inutili al vivere civile.

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Ci mancava la Grosse Koalition

Il sottosegretario Polillo:
Grosse Koalition anche qui, dunque. L’hanno già deciso? «In Parlamento la dialettica è molto intensa ma non ideologica. Secondo me ci sono ampi margini». Con buona pace per il toto alleanze. Con Polilllo premier? «Io non sono nell’elenco». Ministro Economia? «Va benissimo Grilli».

Io, a dire la verità, non sono d’accordo proprio per niente.
Ci hanno intervistato insieme e le posizioni sono antitetiche. L’intervista, se la volete ascoltare è leggibile e ascoltabile qui

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Cos’è la bellezza? Mag Magazine intervista Giulio Cavalli

Pubblicata su Mag Magazine

Cos’è la bellezza?
Un campo in cui non si possono comprare le mediazioni, in cui non è concesso il servilismo e nemmeno la prostituzione. Davanti alla bellezza chi non è intellettualmente onesto e pulito di cuore non è credibile.

Quando ti senti veramente libero?
Sul palcoscenico, è il mio naturale momento di liberazione. Il recupero di un rapporto visivo e tattile con la gente. La celebrazione del rito laico dell’esercizio collettivo della memoria. In scena entro in uno stato confusionale creativo che è solo parola. Non esiste altro. La parola e il respiro e le reazioni del pubblico.

Negli anni è cambiato il tuo concetto di libertà?
Sicuramente. Ho sempre urlato – e continuerò a farlo – contro la censura in generale ma mi sono ritrovato troppo spesso a contatto con persone che si autocensurano, che ritengono più comodo dire una frase in meno o un cognome in meno. Ecco, la libertà è non paventare in nessun modo la possibilità dell’autocensura.

Guardando al passato cosa è rimasto come prima e cosa è totalmente cambiato?
È rimasta intatta la voglia di non scendere a compromessi nella stesura e nella visione degli spettacoli e dei libri. Sono nato “di parte” (dove per parte si intende la responsabilità di prendere una posizione all’interno della storia che racconto) e continuo ad impegnarmi e a non prendermi troppo sul serio (altrimenti il rischio sarebbe quello di piegarsi sulla narrazione di me piuttosto che raccontare i fatti). Oggi sicuramente la responsabilità che sento è esponenzialmente maggiore. Ma è un dazio dolce da pagare: significa che il mio pubblico e i miei lettori hanno deciso di affidarmi un compito che mi onora.

Perché vivi sotto scorta?
Perché siamo nel Paese in cui cinquecento anni fa i miei colleghi cantastorie venivano impiccati. E addirittura sepolti da indegni fuori dalle mura della città insieme alle prostitute (e pensare che oggi un giullare e una prostituta sono nella stessa assemblea legislativa). Il potere non sopporta di essere raccontato nella sua pateticità quando ha bisogno di diventare prepotente per governare perché non è in grado di farlo secondo le regole.

Qual è il tuo rapporto con la paura?
Molto privato e molto combattuto. La vera paura è il ritrovarsi solo.

Ti senti solo?
Spesso. Più a causa degli amici falsi cortesi che dei miei nemici dichiarati.

Se potessi tornare indietro rifaresti tutto?
Assolutamente si , perché mi ritengo un privilegiato, una persona che ha la fortuna di lavorare con gente straordinaria. Ho un pubblico che mi ascolta e questo è il sogno di qualsiasi attore e di qualsiasi scrittore; ho la fortuna di riconoscermi nella battaglia che porto avanti e in qualsiasi cosa faccio. Sono molto contento.

Ti alzi mai la mattina chiedendoti “ma ne valeva la pena”?
Sì, perché non farei mai tutto questo se non sapessi che un giorno i miei figli potranno goderne i frutti e perché c’è un articolo della Costituzione, che è l’articolo 4, che dice che ognuno di noi nella propria professione deve concorrere e ha il dovere di farlo alla crescita materiale e spirituale di questo Paese e, quindi, stare in silenzio è anticostituzionale.

Come vivi sotto scorta?
Normalmente, perché ci sono 670 persone sotto scorta in Italia, perché ci sono persone che rinunciano nei quartieri più difficili di Palermo di pagare il pizzo, magari dei panettieri, e non hanno la visibilità che tutela, invece, un personaggio come me. Io ho sempre sentito l’obbligo di utilizzare il mio aspetto pubblico non per fare ombra a queste persone, ma per illuminare storie che forse sono meno spendibili di quelle dell’attore o dello scrittore.

Quali sono stati i tuoi maestri?
Nel teatro penso a Paolo Rossi. È stato il mio primo incontro e sicuramente ha segnato una svolta. Poi negli anni penso all’incontro con Dario Fo e alla collaborazione su un suo testo. È stata l’unica volta che ho portato in scena un testo non mio. Poi penso a Renato Sarti, un esempio di teatro applicato alla cittadinanza che tanto mi ha insegnato e continua ad essere per me un riferimento non solo sulla scena, ma anche e soprattutto nella vita.

Perché, nell’ultimo tuo libro e spettacolo teatrale, hai deciso di raccontare la storia di Andreotti?
Perché è ancora attuale. Non mi interessa la sua storia in quanto tale, ma l’Andreottismo e i nuovi Andreotti. Per riconoscere i politici che fanno politiche convergenti con le mafie bisogna prima capire come funzionava l’originale.

Chi sono i nuovi Andreotti?
La vicenda di Dell’Utri è molto vicina a quella di Andreotti. I nuovi Andreotti sono tutti i politici che decidono di fare delle scelte politiche consultandosi non negli organi istituzionali ma nell’ombra, che potremmo definire osceno, ovvero fuori scena. Dove non possono essere visti da nessuno. Abbiamo migliaia di esempi.

C’è un collegamento tra il tuo essere scrittore e, allo stesso tempo, consigliere regionale di “Sel”?
Sì, nella scrittura teatrale ho sempre trattato temi fortemente politici. I miei spettacoli o libri hanno una chiara presa di posizione politica. Gramsci diceva che il buon politico deve essere un ottimo drammaturgo, perché deve riuscire ad immaginare il riflesso di qualsiasi scelta politica nella drammaturgia dei cittadini. Il teatro e i libri sono luoghi in cui si cerca di dare delle chiavi collettive su alcune problematiche, che è una cosa che dovrebbe fare la politica.

Il coraggio delle proprie debolezze

No, il titolo non è una confessione. Semplicemente vengo bonariamente sgridato perché mi dicono che ogni tanto nelle interviste racconto debolezze. Insomma, non tengo il personaggio.
Sono stato dagli amici di Radio Popolare, alla bella trasmissione Finalmente Soli abbiamo parlato di tutto. Anche di debolezze.

BRINDISI: LA PAURA FEROCE (intervista di Cadoinpiedi)

Il momento del dolore dovrebbe essere un momento molto silenzioso in cui un Paese si stringe. Solo successivamente arrivano indagini e analisi. I tempi, invece, sono stati confusi: gli analisti avevano fretta di intervenire e dare un cappello a questa storia

Sabato mattina l’esplosione di Brindisi. La paura, la morte, un Paese intero che rivive sentimenti andati. Oggi, a tre giorni di distanza, che analisi si può fare su quanto accaduto, anche alla luce del caos mediatico… ?

Immediatamente dopo il fatto di Brindisi si è accesa una paura feroce. E si è accesa per l’età della vittima e dei feriti, e poi perché è inevitabile che la scuola abbia un valore simbolico, poiché è il luogo della formazione e delle speranze per il futuro (anche se ci sarebbe poi da aprire una discussione proprio sulla scuola, tanto bistrattata negli ultimi anni e oggi diventata improvvisamente monumento dell’Italia migliore).
Quando si accende questa paura feroce si avverte un bisogno immediato di rassicurazioni, a volte anche spettacolari. Purché immediate.Personalmente credo che questa caccia al colpevole, che cammina su ipotesi basate su poco o niente, non sia del tutto etica e rispettosa.
A mio avviso il momento del dolore dovrebbe essere un momento molto silenzioso. Un momento in cui un intero popolo, un intero Paese si stringe. Solo successivamente arriva il momento delle indagini, e ancora dopo il momento delle analisi. Mi sembra, invece, che in questo caso i tempi si siano un po’ confusi: gli analisti avevano fretta di intervenire, gli opinionisti avevano fretta di dire la loro opinione. E si è cercato di mettere il cappello a questa storia.
Lo stesso giorno dell’esplosione ho visto anche alcune manifestazioni in piazza, a cui ho partecipato, in cui anche la politica credo abbia cercato di strumentalizzare il tutto, quasi a voler rivendicare la paternità del dolore delle persone che avevano deciso di scendere in strada per ricordare. Non dobbiamo dimenticare che in questi casi esiste solo una bandiera: quella della civiltà.

E l’informazione non ha fatto un gran lavoro, cercando di sbattere subito il mostro in prima pagina…

Sì, credo di sì. Non abbiamo visto un’informazione elegante e intellettualmente onesta. Del resto questo è un Paese che ha sempre cercato in qualche modo di delegare tutto, nel bene e nel male. Ci sono sempre stati gli eroi, che sono i protagonisti che incarnano lo spirito salvifico, e poi i cattivi che devono essere riconoscibili e il più possibilmente lontani dalla nostra quotidianità per poterci comunque permettere di sentirci sicuri.

da CADOINPIEDI