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Il governo “tecnico” non esiste

La definizione di “governo tecnico” è una truffa: è una locuzione che si ritira fuori ogni volta che non si ha il coraggio di assumersi le proprie responsabilità

Per disinfettare la scarsa credibilità che sono riusciti ad accumulare in questi anni i partiti (praticamente quasi tutti) si sono accodati alla narrazione fallace del “governo tecnico”, della “responsabilità”, al feticcio “dell’alto profilo” e al “governo voluto dal Presidente”. Vorrebbero convincerci quindi che siano in pratica “costretti” a partecipare al governo Draghi per condonare qualsiasi azione venga compiuta nei prossimi mesi, in caso di insediamento del governo, e poter poi ricominciare a sparare a palle incatenate contro Draghi l’uomo solo al comando che ritornerà utile abbattere quando calerà il consenso popolare di questo o di quel leader.

La definizione di “governo tecnico” è una truffa: è una locuzione che si ritira fuori ogni volta che non si ha il coraggio di assumersi le proprie responsabilità e viene spalmata da certi giornaloni nella speranza di “sospendere la politica” in un liberi tutti che sospenda ogni giudizio. Eppure il prossimo governo Draghi, com’è giusto che sia, sarà un governo politicissimo: cosa c’è di più politico di decidere una maggioranza in Parlamento che si prenda la responsabilità di guidare un Paese in piena pandemia? Non è politica prendersi la responsabilità di scrivere una legge elettorale? Non è politica l’elezione prossima del Presidente della Repubblica? Non è politica decidere le priorità nella spesa dei soldi che arrivano dall’Europa? Non è politica decidere come e quanto ristorare un Paese in piena crisi occupazionale a causa del virus? Non è politica decidere come provare a fare ripartire un Paese?

Dai, non prendiamoci in giro, su. Questa smania di queste ore che ha colpito taluni capi di partito mentre si mettono in disparte in nome del culto di Draghi come se fosse un Babbo Natale da aspettare solo strizzando gli occhi e sperando di sentire il tintinnio delle renne non ha niente a che vedere con quel senso di responsabilità che viene sventolato in queste ore da tutte le parti. Non si appoggia Draghi perché “calcia le punizioni come Baggio” o perché è un “Ronaldo che non può stare in panchina” (a proposito: avrebbe dovuto essere l’inizio di una politica alta ma il livello dell’analisi è puro bar sport) ma ci si prende la responsabilità di ascoltare e porre i propri temi.

I temi, appunto: la scomparsa dei punti programmatici che fino a qualche giorno fa sembravano imprescindibili dimostra un primo preoccupante effetto Draghi che era facilmente immaginabile ovvero la tentazione dei partiti di nascondersi sotto la sua ombra per poi accoltellarlo alle prossime idi. Se davvero è il momento della serietà allora che si faccia i seri e che questo giro di consultazioni apra un dibattito vero su quali siano gli eventuali punti d’intesa di una maggioranza che potrebbe mettere insieme formazioni politiche inconciliabili fino all’altro ieri.

Perché più continueranno le iperboli sul nome di Draghi senza scendere nella discussione dei punti e più si sente l’odore della truffa. Fingono di prendersi Draghi a scatola chiusa perché sognano di rivendercelo, a scatola chiusa.

Buon venerdì.

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Renzi ha fatto saltare Conte “per i contenuti” ma ora prende Draghi a scatola chiusa

Ognuno porta avanti le sue trattative politiche come preferisce. La politica, si sa, è l’arte del possibile e le posizioni si modificano in continuazione, travolte dagli eventi. Però, mentre il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi si prepara ad affrontare i leader di partito (tanti auguri per questo giro negli inferi sfilacciati), vale la pena registrare fin da subito qualche curioso atteggiamento di chi, fino a poche ore fa, berciava a tutto volume su principi che sembravano inossidabili e che invece ora sembrano dissolti.

Insomma ci tocca parlare di nuovo dei due Mattei, sempre loro, che insistono lesti nel rivendere le fanfaronate come strategia quando invece sono banalotti Giani bifronte che inseguono il proprio piccolo interesse particolare.

Matteo Renzi continua a superare se stesso. Lui e i suoi tifosi imboccati insistono per intestarsi una “vittoria” come se Mattarella fosse l’esecutore di un leader decaduto che stagna al 2% ma soprattutto nelle ultime ore è riuscito sostanzialmente a rimangiarsi tutti i “valori” su cui ha bluffato per tutta la crisi.

Proprio nel momento in cui faceva saltare il tavolo con i suoi ex alleati di maggioranza, durante il mandato esplorativo di Fico, ha ripetuto mille volte in ogni dove che non era “un problema di nomi ma di programmi”.

Con il tweet che suggellava la fine delle trattative era stato chiaro: Mes, Anpal, alta velocità, reddito di cittadinanza, scuola e Arcuri erano i temi imprescindibili su cui si consumava la rottura del governo. E, su quei temi, loro di Italia Viva non erano disposti a fare nemmeno un passo indietro, provocando piuttosto la crisi che hanno provocato.

Ora lo stesso Renzi, tutto ringalluzzito per avere eliminato l’avversario perché per lui il potere sta semplicemente nel creare l’occasione del fallimento altrui, dice di sostenere a tutta forza Draghi in un momento in cui non si è ancora affrontato nessun punto di un eventuale programma.

Ma come? Una risposta la lascia intendere il suo compagno di partito Scalfarotto, che oggi su Twitter scrive: “Questa volta chi sia, cosa pensi, cos’abbia scritto e fatto e quali successi abbia ottenuto il prossimo PdC è noto a livello planetario. Su quella base penso che ci sia abbondantissimo materiale per votargli la fiducia”.

In sostanza i punti che prima erano insostituibili ora vengono schiacciati dalla biografia. Non male per un partito che vorrebbe stare “nel merito” delle cose.

E così alla fine accade che l’altro Matteo (Salvini) diventi un’indispensabile risorsa “europeista” per dare vita al governo che dovrebbe riportare la politica al suo punto nobile, lontana da sovranismi e populismi. Un capolavoro, davvero.

Leggi anche: 1. Sono grato a Conte. La prospettiva politica dell’alleanza giallorossa non va dispersa (di Goffredo Bettini) / 2. Perché bisogna dire no a Draghi (di Alessandro Di Battista) /3. Il sonno della politica genera tecnici (di S. Mentana)

4. Conflitto d’interenzi (di Giulio Gambino) / 5. Il dilemma Pd: un governo Draghi è possibile. Ma solo governando con la destra sovranista / 6. La verità che nessuno ha il coraggio di dirvi: Renzi oggi vuole solo una cosa. Spaccare il Pd (di Luca Telese)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Gazebo e mascherine inutili: gli sprechi (milionari) di Arcuri, che ora dovrà risponderne davanti a Draghi

Immaginatevi la scena: di fronte al compito Draghi, da sempre abituato al nocciolo delle questioni e al loro funzionamento, il super turbo commissario Domenico Arcuri sfoglia l’album delle figurine con i suoi bei gazebo a forma di primule dove doveva partire di grancassa il piano vaccinale anti Covid che invece è già iniziato.

Mentre gli racconterà dell’effetto petaloso della sua grande idea forse sarà la volta buona che qualcuno finalmente si renda conto dell’enorme e pericoloso spreco di un padiglione che costerà circa 400mila euro e a questa modica cifra è in grado di fare 6 vaccinazioni alla volta e quindi impiegare tre mesi per vaccinare meno di 30mila persone, un piccolo centro di provincia, spendendo “solo” 10 volte tanto rispetto a un punto vaccini di analoga portata nella sala civica, in quella parrocchiale, nella palestra, sotto la tenda degli alpini e via dicendo. Chissà che Draghi non si accorga anche che il commissario Arcuri ha in testa di ordinarne “fino a 1.200”, dice così il bando, per una cifra mostruosa che si aggira sul mezzo miliardo di euro, sempre per quella vecchia storia della credibilità verso l’Europa su come spendiamo i nostri soldi.

E a proposito di soldi spesi chissà se Arcuri risponderà almeno a Draghi, visto che non lo fa con noi giornalisti, di quelle mascherine cinesi acquistate lo scorso 11 settembre (molti mesi dopo l’inizio della pandemia, quindi con tutto il tempo per compiere la scelta migliore) dalla società olandese YQT Health Care B.V. (con un solo dipendente, costituitasi a marzo dell’anno scorso): 105 milioni di euro per 100 milioni di mascherine, 1,05 euro a mascherina, mentre l’azienda ospedaliera «Ospedali riuniti Marche Nord» di Pesaro ne ha comprate 2 milioni riuscendo a pagarle 37 centesimi l’una (umiliando le presunte capacità commerciali del nostro commissario) o addirittura il Gruppo San Donato che è riuscito a comprale prodotte in Italia a 0,91 centesimi l’una.

E chissà che magari Draghi riesca a sapere da Arcuri come sia successo che il bando del 27 luglio per l’acquisto di attrezzature e ventilatori ci abbia messo ben 5 mesi e mezzo ad arrivare alle aziende ospedaliere. E magari tanto che ci siamo si potrebbe avere anche qualche risposta sulla fornitura da 10 milioni di euro per l’acquisto di 157 milioni di siringhe di precisione «luer lock» su cui ha messo gli occhi anche la Corte dei Conti per capire se sia fondato il sospetto che avrebbero potuto essere comprate siringhe decisamente meno costose.

E poi c’è il ritardo di consegna dei famosi banchi a rotelle (perché, chissà, deve essere difficile prevedere che dei banchi servano entro la data d’inizio delle scuole) e poi ci sono i medici e gli infermieri per il vaccino (nelle famose primule) che sono stati reclutati male (con un bando andato deserto in prima battuta) e in ritardo. E chissà che senza più Conte finalmente ci si possa anche liberare di un commissario che sarebbe già stato licenziato mesi fa in una qualsiasi azienda che non fosse di Stato. Sempre a proposito di quella meritocrazia che viene sempre evocata quando riguarda gli altri.

L’articolo Gazebo e mascherine inutili: gli sprechi (milionari) di Arcuri, che ora dovrà risponderne davanti a Draghi proviene da Il Riformista.

Fonte

Messianismo, ancora

Il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi inizia oggi il suo giro di consultazioni. Le premesse non sono facili e questo è un punto politico, ci torneremo, ma ciò che conta che ad oggi Draghi l’abbiamo visto arrivare ai vari incontri istituzionali (i presidenti della Camera e del Senato e il presidente del Consiglio uscente), l’abbiamo ascoltato per qualche manciata di secondi in conferenza stampa mentre comunicava di accettare l’incarico con riserva e ne abbiamo potuto osservare l’eleganza del completo e la fulminante capacità di indossare correttamente la mascherina sopra al naso. Oggi inizierà a “fare politica”, oggi.

Eppure fin dalle prime ore di ieri mattina in Italia è scoppiato il messianismo e ancora una volta abbiamo assistito allo sport preferito di certa classe dirigente e di certo mondo dell’informazione: genuflettersi al prossimo leader, anche se ancora con riserva, e affidare a lui tutti i nostri vizi e le nostre fobie come se fosse uno psicoterapeuta e soprattutto comportarsi nel modo che abbiamo sempre criticato ai nostri avversari. Quelli che volevano il programma stampato con tutte le specifiche e i progetti declinati in centinaia di pagine ieri sono diventati barzotti per pochi secondi di discorso di circostanza: “ha sorriso!”, dicono, e in quel sorriso ci stanno infilando in queste ore tutto un ripieno di considerazioni politiche e finanche antropologiche, perfino il fatto che Draghi abbia sbagliato il lato dell’uscita dopo l’incontro con i giornalisti è diventato “un errore che lo rende più umano” come ha avuto il coraggio di scrivere qualcuno. Se fosse stato un avversario politico fino a due giorni fa ci avrebbero fatto un meme con una bella frase da sfottò. Poi ci sono quelli che per mesi ci hanno detto che “contano i fatti” e invece ora strepitano sul fatto che non dare la fiducia a Draghi sarebbe un sacrilegio: non si sa ancora un’idea che sia una di come Draghi abbia intenzione di portarci fuori dalla palude, sono gli stessi che ripetevano il ritornello del “contano le idee non le persone” e oggi si sono inzerbinati alle persone. Perché in fondo ciò che conta è l’atavica e feroce pulsione di gioire nella speranza della sparizione degli avversari, solo quella, solo per quello, un movimento di stomaco come il populismo che dicono di combattere.

In mancanza di temi veri la stampa ieri ha intervistato un centinaio di compagni di classe di Mario Draghi, un autorevole quotidiano che vorrebbe darci lezioni di giornalismo misurato ha scritto un lungo articolo su Mario “alunno brillante che non rinunciava alle battaglie con i cannoli e agli assalti ai prof con le pistole a riso”, Giancarlo Magalli è diventato un testimonial d’eccezione (come Salvini quando riporta le parole di Red Ronnie sul Recovery Fund), ovviamente ci si è buttati a pesce sulla moglie come curioso oggetto ornamentale da raccontare in tutti i suoi angoli d’osservazione. Agiografie dappertutto come se piovesse. Occhi puntati sui mercati come se fossero i giudici supremi della politica (perché è così che piace a molti di loro). Le agenzie di stampa battono convulse: “#Governo, look istituzionale per #Draghi”. Se lo aspettavano in braghette corte e anello al naso, probabilmente. Evviva, evviva. Dovremmo essere felici perché Draghi ha intenzione di relazionarsi con “rispetto” al Parlamento, evviva evviva. Anzi i più sfegatati invitano addirittura Draghi a “spazzare via tutti gli incompetenti in Parlamento”, qualcuno dice che dovrebbe “metterli a cuccia” e dire “faccio io”. Un delirio di incompetenza politica e di miseria istituzionale di un popolo perdutamente innamorato dell’uomo solo al comando, quello che da solo dovrebbe salvare l’Italia e che poi nel caso torna utilissimo da odiare in fretta e furia. Quelli che contestavano i “pieni poteri” che reclamava Salvini oggi vorrebbero un DPCM per affidare “pieni poteri” a Draghi: l’uomo forte al comando è un’idea che ha sempre germi che non portano a nulla di buono. 

Solo che oggi si comincia a fare sul serio e torna in campo il Parlamento, la politica, i partiti. Il primo capolavoro è avere resuscitato Salvini che era scomparso e ora è l’ago della bilancia. Non mi pare davvero una buona notizia. Anche questa volta la possibilità che si possa lavorare per ricostruire un centrosinistra seppur sgangherato sembra andare in frantumi, sarà per la prossima. C’è da trovare una maggioranza in Parlamento con quello che c’è e quel Parlamento è l’espressione democratica di quello che siamo noi. Ora siamo alla luna di miele ma quando ci sarà da parlare di soldi finirà questa tregua fatata e si ricomincerà di nuovo. È un moto circolare: ieri era l’ora dell’inno a Renzi che ci ha liberato da Conte, che ci aveva liberato da Salvini, che ci aveva liberato da Gentiloni, che ci aveva liberato di Renzi. Sempre con la soddisfazione bassa di avere eliminato qualcuno. E vorrebbero essere costruttori.

Ah, per i tifosi che leggono senza intendere: questo non è un articolo di critica preventiva verso Draghi di cui, vale la pena ripetere, al momento non conosciamo le proposte. Questo è un articolo per un pezzo di mondo che chiede “serietà” agli avversari e poi infantilmente tratta la politica come un reality show, anche senza Casalino.

Buon giovedì.

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L’impolitica

La sola idea che basti il nome di Mario Draghi perché l’Italia torni a volare è il sintomo più lampante della decadenza di una classe politica che si è fatta implodere e di una classe culturale eternamente appesa al prossimo salvatore

C’è un’aria frizzante questa mattina tra politici e commentatori, quasi tutti felici per avere demolito l’esistente e tutti subito attaccati alle braghe del commissario, tutti con quella felicità della classe che ha appena scoperto che oggi ci sarà il supplente e quindi sicuramente non interroga, non controlla i compiti fatti a casa e forse se va bene non si fa nemmeno lezione.

La giornata di ieri del resto è stata una convulsa regressione verso il gnegneismo che si possa ricordare. Tutti in fila a dare il peggio di sé dentro una trattativa politica che è stata uno spettacolo indecente: i Cinquestelle con Vito Crimi (il pro tempore più duraturo nella storia delle reggenze politiche) issato a difendere perfino l’indifendibile, il Partito Democratico come spesso accade trascinato dalla corrente, Renzi e la sua ciurma a fare finta di trattare come a una recita di fine anno mentre alzava la posta in gioco ogni minuto che passava e divertendosi come un matto. Uno spettacolo indecoroso mentre là fuori morivano le solite 500 persone a cui ci siamo abituati come se fossero brina mattutina.

E così quelli che per settimane ci hanno sfrantumato dicendo che la politica si fa con le idee e non si fa con i nomi ieri sera sono andati a dormire tutti esultanti perché sono riusciti a demolire gli avversari e si sentono rassicurati dall’arrivo del nuovo logo Mario Draghi, come se bastasse un’etichetta per nobilitare un Parlamento farcito di capetti viziati e capricciosi che si sono litigati la merenda fino all’ultimo minuto dell’intervallo e che ora esultano per un probabile governo verde loden. La sola idea che basti il profumo di Draghi perché l’Italia torni a volare è il sintomo più lampante della decadenza di una classe politica che si è fatta implodere, di una classe culturale eternamente appesa al prossimo salvatore e di un giornalismo rassicurato dall’essere fedele al prossimo padrone.

Alla fine in mezzo ai bambini è arrivato il Presidente Mattarella che ormai appare l’unico adulto là dentro e che prova tutti i giorni a metterci una pezza a questa immatura inconcludenza. Ma è lo stesso Mattarella che ieri nel suo discorso ha parlato di un governo «che non debba identificarsi con alcuna formula politica» e vedere esultare la politica per un governo impolitico rende perfettamente l’idea della crisi di rappresentanza democratica che sforna soluzioni costituzionalmente legittime ma che sono tutt’altro che una vittoria. Mario Draghi inevitabilmente perseguirà, com’è nell’anima di ogni governo, interessi e valori che probabilmente riusciranno a cementare una certa idea di centro (tendente a destra) che tanto piacciono a Renzi, a Berlusconi, a Calenda e a tutta quella compagnia di giro ma forse in mezzo a tutta questa esaltazione varrebbe la pena ricordare che le scorie del governo Monti portarono all’esplosione del populismo e di certa destra salviniana. Esulterei un po’ meno, ecco tutto.

Se invece il gioco è quello di convincerci che peggio di com’eravamo messi non potrebbe andare e quindi bisogna esultare perché “un governo Draghi non può fare peggio di questo governo” allora si rientra nel campo del fideismo da tifoserie e nell’infantile speranza che riesce ad accendersi solo quando vede le macerie. E si torna al punto di partenza: un impolitico gioco di specchietti per le allodole. Manca la politica, appunto.

Buon mercoledì.

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Italia Viva pretende 4 ministeri: ma non aveva detto che le interessava solo il programma?

“Non è una questione di poltrone, non ci interessano le poltrone, quello che conta è il programma”: è stata la frase più ripetuta dall’inizio di questa crisi di governo e tutti si aspettavano (meglio, speravano) che davvero questi giorni di consultazioni fossero un’esplosione di idee sul futuro del Paese, sulle priorità da discutere e su innovativi piani per uscirne tutti presto, tutti meglio.

Del resto sarebbe stato il minimo sindacale non assistere alla sfrenata corsa a questo o a quel ministero, almeno per non farsi attanagliare dalla sensazione di perdere tempo prezioso per i piccoli egoismi dei piccoli capi di piccoli partiti. E invece la cronaca di queste ultime ore del mandato esplorativo di Roberto Fico è tutto un assembramento di posizioni, di ministeri, di rivendicazioni, posti da occupare e presunzioni di credersi determinanti.

Gli ultimi aggiornamenti del desolante quadro dicono che il PD vorrebbe mantenere tutti i suoi ministri, magari aggiungendone uno che dovrebbe essere Andrea Orlando; il M5S non vuole cedere posti anche se ormai da quelle parti sanno tutti che la missione sarà impossibile; Conte (nel caso in cui si vada verso il Conte ter) vorrebbe tenere i suoi uomini; poi ci sono i cosiddetti “responsabili” che ovviamente pur volendo passare da costruttori frugano tra le macerie per trovarsi un posticino, si bisbiglia che sia Tabacci e che potrebbe finire alla Famiglia.

E poi ci sono loro, quelli di Italia viva, quelli che non erano interessati alle poltrone e invece si accapigliano chiedendone addirittura 4. Gli sventolamenti di Maria Elena Boschi sono una significativa cartina di tornasole: ieri è stata data in mattinata come nuova ministra della Difesa, poi al Mise o alle Infrastrutture, poi si racconta che abbia furiosamente litigato con Renzi che intanto spingeva per Elena Bonetti al Lavoro o all’Interno o all’Università o all’Agricoltura.

Solo per intervento del Quirinale Italia viva non ha preteso il ministero all’Economia che dovrebbe rimanere saldo a Gualtieri. Il M5S intanto per i suoi equilibri interni spinge Buffagni, magari spostando Patuanelli e assiste all’autocandidatura di Vito Crimi (capo politico che avrebbe dovuto essere pro tempore e invece rimane saldissimo da mesi).

E il programma? Quello si abbozzerà di corsa, nel caso, pronto per essere declamato e per nascondere il mercimonio sui nomi. E poi ricominceranno la solfa del cambio di passo, della ripartenza, delle priorità e di tutto il resto. Sotto sotto, intanto, s’accapigliano sui nomi e sulle poltrone. Quelle poltrone che non interessavano a nessuno.

Leggi anche: 1. Basta assurdi egoismi, rendiamo pubblici i brevetti per produrre i vaccini anti-Covid / 2. Rendiamoci conto: con questa crisi si torna a parlare di Berlusconi presidente della Repubblica / 3. Conflitto d’interenzi (di Giulio Gambino)

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Partoriranno il topolino

Rimarrà (a noi) il dubbio che per risolvere la crisi sarebbe bastato (a loro) parlarsi, di persona, senza spararsi palle incatenate sui giornali e in televisione

Se le cose andranno come sembra che potrebbero andare qualcuno dovrà rispondere dell’avere provocato una crisi politica che è solo un rimpasto travestito da duello finale tanto per aggiungere pathos e meritarsi un po’ di visibilità. Anche perché di pathos, quello vero, quello ruvido che sanguina e che strozza la gola, qui intorno ce n’è già parecchio e non avevamo proprio bisogno di aggiungerci una montagna che partorisce un topolino e che sta tenendo tutto sospeso e tutto bloccato per svolgere una trattativa politica che una politica seria, quella che tende più alla politica che allo spettacolo, avrebbe risolto come le risolvono le maggioranze responsabili.

Anche perché se si annusano gli ultimi venti di questa aria che tira intorno al governo che non c’è sembra che si assisterà all’ennesima trasformazione di una metamorfosi da cui ne escono tutti peggiori. Si è partiti con un presidente del Consiglio che teneva insieme il M5S (quelli che avevano spergiurato di non allearsi mai con nessuno) e Salvini e tutti a braccetto ci dicevano che erano fieri di essere populisti e di essere sovranisti. Quel primo Conte addirittura rivendicava la presenza del sovranismo all’interno della Costituzione e si prendeva scroscianti applausi. Dall’altra parte il Partito democratico ripeteva come un mantra che non si sarebbe mai alleato con il M5S, mai e poi mai, mentre il M5S diceva del Partito democratico che erano un partito di gaglioffi, di pedofili, che rapivano i bambini e che erano il peggio del peggio che si fosse mai visto. Fino a quando il Pd e il M5S (quello che aveva spergiurato di non allearsi mai con nessuno) non si sono presi a braccetto e hanno rinnovato il primo Conte che è diventato il secondo Conte trascinando con loro anche Matteo Renzi che ce l’aveva a morte con chi esce dal Pd per farsi il proprio partito e si è fatto il suo partito e ce l’aveva a morte con i «partitini che provocano la crisi» e ha provocato la crisi. Ora siamo agli stessi attori in campo (più qualche transfugo che avrebbero chiamato «traditore» e che invece ora è diventato «responsabile e costruttore») che vorrebbero fare un governo, loro, per arginare il populismo e il sovranismo.

Ieri hanno discusso di un programma scritto che però hanno deciso di non scrivere. Renzi ha alzato la posta (ma va?) chiedendo più soldi sulle infrastrutture e visto che ci sono hanno anche chiesto il ministero. Poi hanno parlato del Mes, non riescono a mettersi d’accordo sul Mes ma fanno filtrare che sono stati fatti “passi avanti”. Poi hanno parlato di legge elettorale. Eh sì, la legge elettorale: ricordate che avevano rassicurato tutti dopo il taglio dei parlamentari dicendo che era urgente pensare una buona legge elettorale che garantisse l’equilibrio di rappresentanza? Si erano scordati. Ieri al tavolo delle trattative gli è tornata in mente. Poi, siccome dovrebbero essere l’argine di Salvini e dei populisti che vorrebbero governare con l’emotività spicciola, Matteo Renzi ha pensato bene di sparare un tweet che dice così: «A quelli che dicono: “Ma che bisogno c’era di fare la crisi adesso?” Rispondete mostrando una foto dei vostri bambini che giocano in un asilo. Noi oggi stiamo decidendo il loro futuro, i loro debiti». A proposito di bambini e di emotività spicciola. Il più lucido alla fine è parso Tabacci (eh sì, il M5S è stato con Salvini, con Zingaretti, con Renzi e ora anche con Tabacci) che ha fatto notare che forse il programma si dovrebbe discutere con un presidente del Consiglio che per ora non c’è. Pensa te.

Potrebbe finire insomma che si spartiscano le poltrone. Ve lo ricordate quello che all’inizio di tutta questa crisi diceva che non sarebbe finita così? Ecco, sta finendo più o meno così. E se la soluzione sarà questa rimarrà il dubbio che sarebbe bastato parlarsi, di persona, senza spararsi palle incatenate sui giornali e in televisione. Ma vuoi mettere come si sono divertiti? Loro.

Buon martedì.

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Basta assurdi egoismi, rendiamo pubblici i brevetti per produrre i vaccini anti-Covid

Se si volesse “restare alti”, come dicono in questi giorni alcuni esponenti politici (che di solito considerano “basso” rispondere alle domande che vengono loro poste), se si volesse davvero dare una “spinta” importante nella battaglia contro la pandemia, se ci fosse la voglia di combattere sul serio “i poteri forti” (quelli che vengono inutilmente evocati per battaglie immaginarie) e se si volesse dimostrare di tenere davvero alla salute pubblica più di ogni altra cosa in questo momento, allora c’è una battaglia già bell’e pronta da inforcare: superare il nodo dei brevetti dei vaccini e accelerare così la produzione e la distribuzione liberandosi dai lacci delle grandi aziende farmaceutiche.

Attenzione, stiamo parlando di un preciso accordo (Trips: Trade Related Intellectual Property Rights) relativo alla proprietà intellettuale dell’Organizzazione mondiale del commercio, che scrive nero su bianco come i governi possano in situazione di emergenza sanitaria (e non è questa l’emergenza sanitaria del secolo?) permettere anche ad aziende non detentrici del brevetto di produrre versioni generiche equivalenti dei farmaci pagando un’opportuna royalty all’azienda della proprietà intellettuale.

Lo stesso Carlo Cottarelli ieri, ospite da Fabio Fazio, ha chiesto uno “sforzo di guerra” per aumentare la produzione mettendo “più risorse per produrre i vaccini superando gli attuali vincoli di produzione”.

Sarebbe uno sforzo diplomatico, certo, ed economico. Ma forse varrebbe la pena, di fronte alla previsione che l’Italia per la pandemia perderà più o meno 300 miliardi di euro Pil nel biennio 2020-2021 a causa della pandemia.

Già a dicembre Medici Senza Frontiere esortava tutti i Paesi a raggiungere un accordo sulla proposta di India e Sudafrica di sospendere la proprietà intellettuale sui prodotti salvavita in pandemia. Qualche giorno fa il farmacologo Silvio Garattini in un’intervista a Il Mattino ha dichiarato che “se ci sono ragioni importanti di salute pubblica gli Stati possono chiedere o pretendere la licenza del farmaco per produrlo in grosse quantità”.

“L’Italia, l’Europa possono chiederlo. In un momento di grandi difficoltà bisognerebbe avere il coraggio di abolire i brevetti sui farmaci salva-vita come i vaccini”, ha detto Garattini.

Tra l’altro c’è da considerare che la ricerca che ci ha portato ad avere i vaccini in così breve tempo è stata possibile anche grazie alle ingenti risorse pubbliche e ai finanziamenti filantropici.

Nei giorni scorsi in Italia 43 associazioni (tra cui Acli, Arci, Cgil, Cisl, Uil, Emergency, Libera e altri) hanno dato vita al Comitato Italiano per l’Iniziativa Cittadini Europei “Per il diritto alla cura, nessun profitto sulla pandemia”, che chiede una immediata moratoria sui brevetti e la messa a disposizione di tutti dei vaccini quale bene comune.

“C’è ragione di essere in allarme”, scrive il comitato. “Con lo strapotere delle grandi aziende farmaceutiche, padrone dei brevetti per 20 anni, fonte di guadagni miliardari, e con l’attuale sistema di accordi commerciali, c’è il rischio di ‘tagliare fuori’ dalle vaccinazioni, interi Paesi e Continenti ‘poveri e incapienti’, con un rischio gravissimo per la salute mondiale”. La battaglia è qui, pronta. Ora non resta che avere il coraggio di farsene carico.

Leggi anche: 1. Il 14% dei Paesi ricchi avrà il 53% delle dosi di vaccino: la bomba sociale che l’Europa finge di non vedere / 2. I vaccini no-profit di Cuba che salveranno i Paesi in via di sviluppo

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Matteo risponde (male)

«Il regime saudita è un baluardo contro l’estremismo islamico… è grazie a Riyadh che il mondo islamico non è dominato dagli estremismi». Lo ha detto il leader di Italia Viva in una intervista in cui ha parlato del suo viaggio in Arabia Saudita. Dove c’è una costante violazione dei diritti umani

Ieri Matteo Renzi è stato intervistato da Maria Teresa Meli per il Corriere della Sera. Chiamarla intervista in realtà è una parola grossa visto che l’ex premier, come spesso accade, ha potuto comiziare per iscritto praticamente intervistandosi da solo, come piace a lui. Poiché ormai la notizia del suo viaggio in Arabia Saudita è diventato un fatto non scavalcabile il senatore fiorentino è stato costretto a rispondere sul punto (senza rispondere, ovvio) e ha inanellato una serie di panzane che farebbe impallidire anche il più sfrontato dei bugiardi ma che Renzi invece ha sciorinato come se fosse un dogma.

«La accusano di avere fatto da testimonial del regime saudita», dice Maria Teresa Meli e l’ex presidente del Consiglio risponde: «Sono stato a fare una conferenza. Ne faccio tante, ogni anno, in tutto il mondo, dalla Cina agli Stati Uniti, dal Medio Oriente alla Corea del Sud. È un’attività che viene svolta da molti ex primi ministri, almeno da chi è giudicato degno di ascolto e attenzioni in significativi consessi internazionali». Renzi non è andato a fare una semplice conferenza ma siede nel board della fondazione Future investment initiative che fa capo direttamente al principe Bin Salman e per questo è pagato fino a 80mila euro all’anno. Non era lì in veste di conferenziere ma è uno dei testimonial dell’organizzazione di queste iniziative. La differenza è notevole, mi pare. Poi: Renzi dice che molti ex primi ministri svolgono questa stessa attività ma dimentica di essere un senatore attualmente in carica, l’artefice principale di questa crisi di governo, un membro della commissione Difesa nonché lo stesso che chiedeva di avere in mano la delega ai Servizi. Se non vedete qualche problema di conflitti di interessi allora davvero risulta difficile perfino discuterne.

Poi, tanto per leccare un po’ il suo narcisismo e il suo odio personale per Conte Renzi aggiunge: «Sono certo che anche il presidente Conte, quando lascerà Palazzo Chigi, avrà le stesse opportunità di portare il suo contributo di idee». Roba da bisticci tra bambini. E addirittura rilancia: «E grazie a questo pago centinaia di migliaia di euro di tasse in Italia». Capito? Dovremmo ringraziarlo che paga le tasse. Dai, su.

Ma il capolavoro dell’intervista renziana sta in queste due frasi: «Il regime saudita è un baluardo contro l’estremismo islamico» e «Se vogliamo parlare di politica estera diciamolo: è grazie a Riyadh che il mondo islamico non è dominato dagli estremismi». E in effetti il senatore di Rignano deve avere dimenticato che 15 su 19 degli attentatori dell’11 settembre fossero sauditi (incluso Osama bin Laden) ma soprattutto che l’Arabia Saudita finanzi l’estremismo con molta indulgenza e pratichi l’estremismo proprio come forma di governo. Come quelli che sono interrogati in storia e non l’hanno studiata Renzi fa la cosa che gli viene più semplice: la riscrive. Infine, tanto per chiudere in bellezza, promette in futuro di rispondere «puntigliosamente in tutte le sedi» ventilando querele. Perfetto. Ovviamente nessuna osservazione da parte della giornalista: in Italia la seconda domanda è un tabù che non si riesce a superare.

Sarebbe anche interessante sapere da Renzi cosa ne pensi del “costo del lavoro” in Arabia Saudita che ha detto di invidiare, se è informato del fatto che il 76% dei lavoratori sono stranieri sottopagati che vivono in baracche malsane e che sono, di fatto, proprietà privata dei loro padroni che fino a qualche tempo fa addirittura tenevano i passaporti dei loro dipendenti come arma di ricatto per rispedirli a casa e che la situazione delle donne è perfino peggiore con “sponsor” che si spingono fino agli abusi psicologici e sessuali sulle loro dipendenti facendosi forza sul Corano che nella teocrazia saudita detta le leggi. E chissà se Renzi ha avuto il tempo almeno di leggersi una paginetta su Wikipedia (senza chiedere troppo) che dice chiaramente: «L’Arabia Saudita è uno di quegli Stati in cui le corti continuano a imporre punizioni corporali, inclusa l’amputazione delle mani e dei piedi per i ladri e la fustigazione per alcuni crimini come la cattiva condotta sessuale (omosessualità) e l’ubriachezza, lo spaccio o il gioco d’azzardo. Il numero di frustate non è chiaramente previsto dalla legge e varia a discrezione del giudice, da alcune dozzine a parecchie migliaia, inflitte generalmente lungo un periodo di settimane o di mesi. L’Arabia Saudita è anche uno dei Paesi in cui si applica la pena di morte, incluse le esecuzioni pubbliche effettuate tramite decapitazione».

Non c’è che dire: è proprio aria di Rinascimento. Davvero. O forse semplicemente Renzi ha detto la verità: lui invidia un mercato del lavoro così, dove il Jobs Act è stato scritto proprio come lo sognano i ricchi padroni.

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

L’arabo fenice

Prostrato al regime saudita in Arabia, alla disperata ricerca di visibilità in Italia. Ci sono due Renzi diversi, entrambi inopportuni, che meritano di essere osservati per avere contezza dello stato attuale di crisi

Dunque ieri abbiamo avuto l’occasione di assistere in differita al doppio Matteo Renzi, quello in versione zerbino di fronte al principe saudita Bin Salman e quello che fa la voce grossa nella crisi politica che lui stesso ha provocato in piena pandemia. Sono due Mattei così lontani tra di loro, probabilmente anche molto inopportuni nei tempi, che meritano di essere osservati per avere contezza dello stato attuale di crisi che non è solo politica ma forse e soprattuto di credibilità.

Il Renzi prostrato ai sauditi (per la modica cifra di 80mila euro l’anno) è quello che da senatore della Repubblica, da membro della commissione Difesa, quello stesso che da mesi vorrebbe avere in mano la delega ai Servizi segreti, riesce a fare la velina per il principe Bin Salman con il suo inglese alla Alberto Sordi celebrando l’Arabia Saudita (terra di principesca violenza e di diritti negati) come “terra di un nuovo Rinascimento” insozzando un po’ della sua Firenze di cui si sente padrone, è lo stesso Renzi che riesce a dirgli «non mi parli del costo del lavoro a Ryad, come italiano io sono geloso» dimenticando che da quelle parti siano vietati i sindacati (e quindi i diritti) e le manifestazioni (chissà cosa ne pensa l’ex ministra Bellanova), quello che si fa chiamare ripetutamente “Primo ministro” per celebrare e per autocelebrarsi. Una scena imbarazzante nei modi e nei contenuti da cui i renziani si difendono nel modo più bambinesco e cretino ripetendo all’infinito “e allora gli altri?” come avviene tra bambini dell’asilo.

Il Renzi italiano invece è quello che dopo il colloquio con Mattarella si ferma per un’ora davanti ai giornalisti scambiando come al solito una conferenza stampa per un comizio e raccontando ancora una volta un’impressionante serie di balle infilate una dopo l’altra, riducendo ancora tutta la crisi di governo alla difesa del suo partitino politico (indignato perché c’è qualcuno che non vuole più trattare con lui) e spiegando ai giornalisti di non avere posto veti su Conte al Presidente della Repubblica per poi smentirsi pochi minuti dopo con un suo stesso comunicato che invece chiede che l’incarico venga dato a un’altra personalità. «Oggi non si tratta di allargare la maggioranza ma di verificare se c’è una maggioranza: se vi fosse stata una maggioranza, non saremmo stati qui ma al Senato per votare la fiducia a Bonafede», ha detto ieri Renzi nel tentativo di fermare il tempo in questa fase che gli regala un po’ di visibilità e temendo tremendamente lo spettro delle elezioni che lo farebbero scomparire. Poi, sempre in nome della sua coerenza, è riuscito a stigmatizzare la nascita di un nuovo gruppo in Parlamento dimenticandosi che la sua stessa Italia viva sia frutto dello stesso trucco parlamentare. Ma si sa: per Renzi le stesse identiche azioni hanno dignità differente se è lui a compierle o se sono gli altri.

E così tra liti e tentativi di riconciliazioni si trascina una crisi politica che diventa ogni giorno di più una barzelletta, sfiancante per i toni e la bassezza dei protagonisti, sfiancante perché avviene in un momento di piena pandemia.

E viene voglia di dirsi che finisca tutto presto, il prima possibile.

Buon venerdì.

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