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l’amico degli eroi

Sempre sulla produzione sociale de “L’amico degli eroi”

In molti mi hanno scritto sull’ipotesi di una “produzione sociale” per il nuovo libro e spettacolo “L’amico degli eroi” sulla figura di Marcello Dell’Utri (e gli eroici amici Vittorio Mangano e Silvio Berlusconi): un’inaspettata predisposizione a partecipare che mi onora e responsabilizza e una riflessione importante di Marzia su fb che credo valga la pena discutere. Mi scrive:

In generale (pur lavorando nel settore culturale, che di finanziamenti massicci avrebbe un grande bisogno) sono contraria al crowdfunding e ad altre forme di partecipazione analoga, se non in misura marginale. Lo so, la partecipazione dal basso è la moda del momento, ma penso due cose: 1) le istituzioni hanno il compito di garantire professionalità, imparzialità, sostegno alla cultura e a progetti di ampio respiro: cercare di sostituirsi a questa funzione mi sembra sbagliato e anche poco realistico; 2) i finanziamenti pubblici ai teatri, contrariamente a quanto sostiene Antonio, servono proprio a non finanziare solo quello che ha successo nell’immediato (che si sostiene benissimo da solo), ma a sostenere chi sperimenta e potrebbe essere in grado di realizzare qualcosa di valore, anche se magari sul momento non viene compreso. Metà del catalogo Einaudi, per esempio, è stato disastroso dal punto di vista delle vendite, ma quella parte oggi costituisce proprio la parte più preziosa del catalogo; ecco perché sappiamo che Einaudi era un grande editore: perché sapeva operare scelte lungimiranti, che sono rimaste nella storia della cultura italiana. Farsi finanziare dal basso significa smettere di essere liberi e cominciare a preoccuparsi del successo prima ancora di aver prodotto un’opera di valore. 
Credo che il pubblico generico (sempre più “tuttologo”, purtroppo) debba recuperare la capacità di imparare: non si va a teatro per vedere ciò che conosciamo già, ma per acquisire strumenti nuovi; in questo senso, è il teatrante che educa il pubblico, e non il contrario.

L’osservazione centra due punti importanti: se facciamo teatro e libri solo per quelli che “sanno già” e se debba essere un nostro dovere esercitare il nostro diritto di desiderati equi e giusti finanziamenti pubblici. Provo a rispondere con ordine. Quando preparammo L’innocenza di Giulio io, Gian Carlo Caselli, Carlo Lucarelli e Cisco ci siamo chiesti fin dall’inizio se valesse la pena raccontare per l’ennesima volta la vicenda di Giulio Andreotti, del suo processo palermitano e della finta “assoluzione” che era passata come verità inconfutabile. “Chi viene a vedere uno spettacolo o a leggere un libro sulle malefatte di Andreotti se lo considera innocente?” ci si diceva, e avevamo torto: i liettori e gli spettatori sono stati spesso persone approssimativamente informate che avevano un sentimento più che un’opinione e ci hanno ringraziato per avere avuto a disposizione elementi reali per costruire (e condividere) un giudizio. Ma non è tutto: ho incontrato assoluti innocentisti che hanno comunque riconosciuto un atteggiamento di Andreotti eticamente condannabile pur ritenendolo doveroso per il risultato politico. Cosa deve produrre uno spettacolo e un libro? Un dubbio, un dibattito e quindi L’innocenza di Giulio ha fatto il proprio dovere costringendo gli innocentisti a confutare punto per punto i fatti raccontati e aumentando le conoscenze a disposizione dei colpevolisti “per sentito dire”.

Il secondo punto è quello che riguarda i produttori e i finanziatori. La battaglia per una politica culturale giusta è sacrosanta soprattutto in questa Italia che negli ultimi governi di tutti questi anni non ha voluto e saputo fare niente di più che tagliare in modo lineare, i finanziamenti al teatro sono figli di una congregazione di baronie che spesso risultano illeggibile dall’esterno se non per storicità degli operatori e un presunto prestigio facile a costruirsi con quelle disponibilità economiche ma io sono un teatrante e quindi ho l’obbligo di curare le mie produzioni per vivere e per esistere quindi se aspettassi un’economia di settore giusta sparirei ben prima che questa avvenga come avviene per tutte le imprese del sistema italiano. Quindi produco e porto avanti una battaglia politica, contemporaneamente e trovo lineare non modificarmi geneticamente per accedere al sistema che combatto. No? In più Marcello Dell’Utri ha ancora una vasta influenza politica, non nascondiamocelo per favore, soprattutto su Milano e Lombardia.

Sulla moda del finanziamento dal basso devo dire che la trovo un’ottima moda: garantisce trasparenza (chi paga vuole sapere esattamente i costi e il processo artistico che porta al risultato finale), assicura una libertà di manovra maggiore (avete mai avuto a che fare con assessori o commissioni?) ed è una promessa che chiede lealtà. E la lealtà è un ingrediente bellissimo per fare cultura. Per questo se qualcuno decide di acquistare un libro quando ancora non esiste e di assistere ad uno spettacolo ancora in preparazione credo che ci sia solo da essere fieri e responsabilizzati. Noi ci stiamo pensando sul serio.

Provare una produzione sociale per un libro e uno spettacolo

Insomma alla fine sono quasi quindici anni che faccio il mio lavoro, che è il lavoro migliore che potesse capitarmi: raccontare storie. Certo poi alla fine le storie che racconti le paghi e non le cicatrizzi come dovresti, ne soffri le conseguenze e ne acquisisci i benefici, succede così a tutti, in ogni lavoro possibile ma in questi quindici anni alla fine ho imparato che nonostante gli sforzi (più o meno riusciti) di tenere libere le parole ogni libro ed ogni spettacolo sono il risultato del percorso di condivisione. Niente di troppo filosofico, eh: ragionarci insieme, litigarsi una scena o un capitolo, aspettare un cenno di approvazione o banalmente applaudire.  Poi pubblicare o andare in scena sono semplicemente la fase ultima, l’emersione di uno spigolo di tutto il resto.
Fare cultura in questo tempo è un lavoro terribilmente politico, inutile fingere, soprattutto se raccontando storie si decide di dichiarare la propria posizione. Fa politica ciò che dici, come lo scrivi, il pubblico a cui decidi di rivolgerti,  la storia che scegli e l’editore e il produttore.
Ho consegnato da poco il mio romanzo che uscirà prossimamente e ora c’è la stagione da programmare: saranno due nuovi spettacoli e uno dei due è uno spettacolo (e un romanzo) su Marcello Dell’Utri. Si intitolerà l’amico degli eroi e vuole essere un lavoro diverso da l’innocenza di Giulio nell’uso più cattivo della fantasia. Ne scriverò. Però stasera pensavo che un progetto così ha bisogno di una produzione politica, un editore del libro e un produttore dello spettacolo che siano un segno e un’indipendenza chiara e per questo mi è balenata l’idea di una “produzione sociale”, crowdfunding semplificherebbe qualcuno, che sia partecipazione nella presa di posizione. Ci sto pensando. Voi che ne dite?