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Il sottosegretario dei migliori

Fanpage in una sua inchiesta che (c’è da scommetterci) difficilmente passerà nei telegiornali nazionali racconta la transizione politica dell’attuale sottosegretario all’Economia Claudio Durigon, uno dei fedelissimi di Salvini (e infatti per niente amato dalla Lega vecchia maniera). Ve lo ricordate Matteo Salvini quando tutto fiero presentava i suoi uomini nel governo Draghi? «Questo è il governo dei migliori?» gli chiese una giornalista e lui rispose «certo questi sono gli uomini migliori della Lega».

Bene, eccolo il migliore: come racconta benissimo Fanpage, Durigon è uno che avrebbe gonfiato i dati degli iscritti del sindacato Ugl di cui era dirigente, riuscendo a dichiarare 1 milione e 900mila iscritti mentre erano (forse) 70mila. Sapete che significa? Che stiamo continuando a parlare di una rappresentatività dopata che non esiste nella realtà (questo anche a proposito del nostro Buongiorno di ieri sulla sparizione del salario minimo dal Pnrr, su cui torneremo). Durigon da sindacalista ha avuto piena gestione sulla cassa da cui potrebbero essere passati i movimenti che la Lega non era libera di fare per quella storia dei suoi 49 milioni di euro. Durigon ha fatto prostituire un sindacato (pompato) alla Lega per ottenere qualche candidatura. Poi ci sono le amicizie che sfiorano certa criminalità organizzata nel Lazio (ma i lettori più attenti lo sapevano da tempo che certi clan hanno fatto campagna elettorale nel Lazio per Lega e Fratelli d’Italia) e infine c’è quella registrazione vergognosa in cui Durigon tutto sornione confida di non avere nessuna preoccupazione sulle indagini sui soldi della Lega perché il generale della Guardia di Finanza che se ne occupa è un uomo che hanno “nominato” loro: «Quello che fa le indagini sulla Lega lo abbiamo messo noi»

Tutto grave, tutto gravissimo. Tra l’altro fa estremamente schifo anche questo atteggiamento di politici con il pelo sullo stomaco che ancora si atteggiano come i peggiori politici socialisti, i peggiori unti democristiani che sventolavano il potere come se fosse un mantello, per piacere e per piacersi. Fa schifo questa esibizione dello scambio di favori. Fa schifo tutto.

Fa schifo anche Salvini che ieri alla Camera ha risposto ai rappresentanti del M5s che sottolineavano l’inopportunità di un tizio del genere come sottosegretario mettendosi a parlare di Grillo. Il solito gioco da cretini di buttare la palla in tribuna. Il solito Salvini. Se posso permettermi è parecchio spiacevole anche il composto silenzio del Pd che vorrebbe rivendere il poco coraggio come diplomazia. Siamo alle solite.

C’è però anche un altro punto sostanziale: della vicinanza tra Durigon e uomini della criminalità organizzata durante la sua campagna elettorale ne avevano scritto un mese fa Giovanni Tizian e Nello Trocchia su Domani, degli intrecci mafiosi su Latina ne scrivono da anni dei bravi giornalisti chiamati con superficialità “locali” e che invece trattano temi di importanza nazionale. Sembra che non se ne sia mai accorto nessuno e questo la dice lunga sulla percezione che in questo Paese si continua ad avere della criminalità organizzata. Anche questo fa piuttosto schifo.

Buon venerdì.

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L’Egitto, Regeni e le bugie di Guerini

«In seguito all’omicidio di Regeni la Difesa, in completa sintonia e raccordo con le altre amministrazioni dello Stato, in primis con il ministero per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale, ha prontamente diradato il complesso delle relazioni bilaterali con l’omologo comparto egiziano»: sono le parole del ministro alla Difesa Lorenzo Guerini alla commissione d’inchiesta parlamentare sulla morte di Giulio Regeni, pronunciate lo scorso 28 luglio. In fondo, se ci pensate bene, è la posizione di tutti i governi che provano a fare passare l’idea di un raffreddamento dei rapporti con al-Sisi (che sarebbe il minimo, visto quello che è accaduto).

Peccato che sia falso. Il bravissimo giornalista Antonio Mazzeo mette in fila tutto ciò che è accaduto tra Italia e Egitto dopo la morte di Regeni ed è un elenco che fa spavento e che grida vendetta. Una vergogna.

Nel 2016, l’anno della morte di Regeni, la Polizia italiana ha addestrato in diversi centri i poliziotti di al-Sisi oltre a spedire in Egitto un migliaio di computer e di apparecchi.

Nel gennaio 2018 l’Italia spediva in Egitto 4 elicotteri AugustaWestland già in uso alla Polizia di Stato e il ministero dell’Interno cofinanziava al Cairo un progetto di “formazione nel settore del controllo delle frontiere e della gestione dei flussi migratori”.

Dal 13 al 16 novembre 2017, una delegazione del Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto ha fatto visita ufficiale per incontrare la Guardia costiera egiziana.

Il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto si è recato nuovamente in visita ad Alessandria d’Egitto dal 25 al 27 giugno 2018. Alcuni giorni dopo la conclusione della visita ufficiale in Egitto, l’allora ministra della Difesa, Elisabetta Trenta (M5s), s’incontrava a Roma con l’Ambasciatore della Repubblica araba d’Egitto, Hisham Mohamed Moustafa Badr. «L’Italia reputa l’Egitto un partner ineludibile nel Mediterraneo, affinché quest’area raggiunga un assetto stabile, pacifico e libero dalla presenza terroristica», dichiarava la ministra.

Il 13 agosto 2018 era la nuova fregata multimissione (Fremm) “Carlo Margottini” della Marina militare a recarsi ad Alessandria d’Egitto per svolgere con la Marina egiziana “un breve ma intenso addestramento, che ha permesso al personale delle due fregate di misurarsi in un contesto multinazionale”.

La prima delle due fregata multimissione ordinate dall’Egitto è stata consegnata a fine dicembre 2020 dopo due mesi di intense attività addestrative dei militari egiziani a La Spezia, condotte dal personale della Marina italiana e Fincantieri.

Il 22 novembre 2018 una delegazione della Forza aerea egiziana, accompagnata da rappresentanti del gruppo militare-industriale Leonardo S.p.a., si recava in visita al 61° Stormo e alla Scuola internazionale di volo con sede nell’aeroporto di Galatina (Lecce).

«Italia ed Egitto hanno completato nel 2019 un programma congiunto per l’individuazione degli effetti dell’esposizione alle radiazioni in caso di un’emergenza nucleare e delle contro-misure e dei trattamenti che possono essere predisposti», rivela un recentissimo dossier dello Science for peace and security programme della Nato.

A Roma dal 25 al 27 maggio 2016 si è tenuto un meeting in ambito nucleare-chimico-batteriologico tra Italia e Egitto tenuto segreto e rivelato da un dossier della Nato.

Questi sono gli incontri ufficiali, poi ci sono i soldi di cui abbiamo scritto. E poi volendo c’è anche il giochetto squallido sull’ambasciatore italiano: si minaccia di ritirarlo, poi sì, poi no.

Ora, vedendo tutti questi episodi (e sono quelli conosciuti) messi uno dopo l’altro davvero vi pare che siano rapporti “freddi”? Davvero nessuno ha un dito da alzare sulle parole di Guerini?

Buon venerdì.

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Chi votava il clan Di Silvio?

Una sentenza della Corte d’Appello di Roma conferma che il clan Di Silvio, che quattro anni fa si occupò della campagna elettorale a Latina e a Terracina, è un clan mafioso

C’è una sentenza che è sparita dai giornali e dai telegiornali ma è piuttosto interessante: l’altro ieri la Corte d’Appello di Roma ha confermato ciò che disse la Direzione distrettuale antimafia romana e ciò che scrisse a Roma lo scorso anno la giudice per l’udienza preliminare Annalisa Marzano: il clan Di Silvio, che quattro anni fa si occupò della campagna elettorale a Latina e a Terracina è un clan mafioso. La Squadra Mobile arrestò 25 persone tra esponenti di primo piano e picciotti del clan e nove imputati, tra cui tre figli del presunto boss Armando Di Silvio, hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato: 74 anni di carcere in primo grado, ridotti a 50 in appello.

Ma qui viene il bello: nell’inchiesta “Alba Pontina” sono state descritte attività di estorsioni, prestiti usurai, intestazioni fittizie di beni, traffici di droga ed episodi di corruzione elettorale e proprio tra gli episodi di corruzione elettorale si legge che il cosiddetto clan dei Di Silvio di Campo Boario, avrebbe fatto affari nelle campagne elettorali, con l’attacchinaggio di manifesti per la Lega e comprando anche voti.

Chi hanno votato?

Secondo la sentenza di primo grado Latina è una città “strategica negli affari illeciti”, dove la collettività sarebbe “assoggettata all’egemonia dell’associazione che è indubbiamente di tipo mafioso”, e l’associazione mafiosa sarebbe stata “capace di controllare il territorio anche influenzando il voto della comunità locale”, con “una straordinaria forza intimidatrice, che ha assoggettato intere categorie di professionisti e di imprenditori locali”.

Ora Salvini è impegnato a fare la vittima sacrificale per il suo prossimo processo, quello in cui si illude di avere difeso “la Patria” non si capisce bene da chi, ma la domanda al leader leghista è una e semplice: per chi votavano i Di Silvio? E che ne dice? Siamo curiosi.

Buon martedì.

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Sfruttati e trattati da untori: i moderni schiavi di Mondragone, vittime del razzismo italiano

Alla fine è arrivata alla disperazione. La miscela perfetta della pandemia: gli invisibili stranieri che lavorano nei campi di Mondragone (sfruttati da italianissimi sfruttatori), gli italiani che vivono nella povertà e che hanno bisogno di trovare il nemico di fianco al proprio pianerottolo per avere la soluzione facile senza rendersi conto che non è una soluzione, la politica che banchetta sul disagio come continua a fare da anni e perfino il presidente campano che ora si ritrova a affrontare un’emergenza vera, qualcosa di endemico, qualcosa che ha radici profonde nel tempo e nei modi e che è molto di più di una semplice emergenza sanitaria.

Mondragone era malata già prima del Coronavirus, Mondragone, come molte parti d’Italia, è una di quelle zone dove la politica è riuscita a instillare la guerra tra disperati, gente invisibile che lavora nei campi per qualche spicciolo e poi rientra in case che sono casermoni dormitori dove la socialità sta solo nello sprofondare nel letto farciti di fatica, con un futuro immaginabile che non è più lungo del giorno successivo in cui ci sarà da cavarsela ancora. Lo schema facile facile disegnato dallo zotico razzismo di chi è incapace di fare i conti con la complessità è semplice, ripetuto, sempre lo stesso: arrivano i bulgari a infettarci, arrivano i bulgari a non rispettare le ordinanze ed è colpa dei bulgari se noi perdiamo il lavoro. La parola bulgari la potete tranquillamente sostituire con una nazionalità qualsiasi, l’importante è che siano altro rispetto a noi e così il giochino fila liscio liscio.

Nessuno che riesce a ricordare gli arresti e le denunce di imprenditori casertani (e lì, dalle parti di Latina) che i bulgari li importano a chili, famiglie con anche figli minori che diventano forza lavoro, per pagarli 2 euro all’ora e per lucrare su persone che non sono persone ma sono solo le loro braccia e la fatica che riescono a spremere in una giornata di lavoro. Mondragone è il grido d’allarme degli invisibili che sono rimasti con il collo schiacciato sotto la scarpa della pandemia e di questo mondo del lavoro che è appeso a un filo, fottendosene delle leggi e delle regole, dove basta rinchiudersi in casa per qualche settimana per fare la fame, la fame vera, la fame che andrebbe trattata per tutta la vita e per tutte le vite che ha intorno e che invece la nostra bassa politica tratta come fenomeno passeggero, giusto il tempo per coltivare rabbia e sperare di raccogliere una manciata di voti. Ora è Mondragone, è solo l’inizio.

Leggi anche: 1. Mondragone dimostra che il problema non è il Covid, è fame. E lo Stato non ha soluzioni (di L. Telese) / 2. De Luca vi fa ridere? La sua violenza verbale fa male alla sinistra ed è un regalo a Salvini / 3. Un bracciante è stato picchiato per aver chiesto una mascherina. Questa è l’Italia del 2020 

L’articolo proviene da TPI.it qui

Ancora sul silenzio intorno all’omicidio di Piccolino (e sul Senatore Moscardelli)

FREEVILLAGE-DAY-A-01-BISBene che le indagini siano partite da indicazioni precise e da sospetti che premiano almeno la qualità di scassaminchia certificato di Mario. Ma tra i tanti silenzi che urlano in questi giorni Raffaele me ne segnala uno che è almeno molto curioso: il silenzio di Claudio Moscardelli. Il Moscardelli è senatore del PD, membro della Commissione Antimafia e residente in quel di Latina così vicina a Formia. Eppure non gli è passato per la testa nemmeno un omaggio finto, un pensiero dovuto, una parola che sia una. Nemmeno sulla sua pagina facebook in cui parla di tutto. Sarebbe il caso di ricordarglielo, forse.

L’etica della bonifica dei Grossi nelle loro telefonate

soldi che servivano per la bonifica e la post-gestione della discarica sparivano in Lussemburgo. E finivano in auto di lusso, appartamenti e persino un castello da ristrutturareDopo gli arresti ordinati giovedì dalla Procura di Latina nei confronti di sei manager del gruppo Green Holding, colosso lombardo dello smaltimento rifiuti, accusati di peculato per aver sottratto 34 milioni di euro destinati alle bonifiche della discarica Indeco di Borgo Montello, dalle intercettazioni dell’inchiesta della squadra mobile di Latina emergono gli interessi dei “signori dei rifiuti”. I manager di Green Holding – tra cui Andrea Grossi, figlio di Giuseppe, il “re delle bonifiche” lombardo coinvolto nell’affare Montecity-Santa Giulia – parlano di appartamenti, ristrutturazioni al castello di Brignano Gera d’Adda a Bergamo acquistato dalla holding di Segrate, auto sportive da 450mila euro da immatricolare in Polonia e progetti di “impiantini” da realizzare di fronte all’Ilva di Taranto. In esclusiva ecco le intercettazioni dell’indagine “Evergreen” dei pm Nunzia D’Elia e Luigia Spinellidella Procura di Latina.

La Lamborghini con targa polacca e il castello

Parlano Andrea Grossi e Vincenzo Cimini, amministratore del gruppo. Il giudice annota che “in altre conversazioni Andrea Grossi riferiva che stava provando un’autovettura sportiva da 450mila euro, paragonabile alla Lamborghini”. Inoltre, la Green Holding è “proprietaria di un castello a Brignano Gera d’Adda in provincia di Bergamo, acquistato da Giuseppe Grossi padre di Andrea”.

Telefonata del 20 giugno 2014

Andrea Grossi: Va bene, va bene, buono, buono, buono…no ma quei soldi lì quella macchina lì non li vale mica! Adesso, sarà quello che vuoi ma è…è…
Vincenzo Cimini: Loro han detto, infatti gli ho detto: cazzo, invece…no perché questa c’ha la…come si dice la nuova scocca, anche la piattaforma, come si chiama…il pianale
Andrea Grossi: Mhm…ho capito! Boh non te lo so dire…va beh
Vincenzo Cimini: Normalmente 235 km/h…cioè ‘sta versione qua che ci abbiamo in mano sì, ma secondo me va supportata con la Lamborghini
Andrea Grossi: Eh ma ci fanno anche un buono sconto su quella macchina lì eh…
Vincenzo Cimini: Sì infatti mi hanno dato il listino, poi te lo devo dare (…)
Andrea Grossi: Ok, ok va beh adesso vediamo dai, facciamo adesso…Provala, poi vediamo la prendiamo in Polonia…con la targa polacca
Vincenzo Cimini: Infatti…va bene dai
Andrea Grossi: Che non prendiamo manco i tutor e le multe dai…
Vincenzo Cimini: Cazzo…
Andrea Grossi: Mh mh mh…
Vincenzo Cimini: Eh è bella sta cosa dai!
Andrea Grossi: Michia! Figa Enzo più di così che cazzo bisogna fare…non lo so io, eh?
Vincenzo Cimini: Sì
Andrea Grossi: O sbaglio?
Vincenzo Cimini: Sì, sì, sì, dobbiamo mettere a posto il castello, poi veramente fanculo ci prendiamo una settimana, non un giorno

“Ho già in mente il business: un impiantino davanti all’Ilva”
Andrea Grossi e la madre (non indagata) parlano al telefono il 20 giugno 2014, dopo aver concluso positivamente le operazioni finanziarie con le società lussemburghesi.

Andrea Grossi: Michia, da Dio! Ti ho tenuto anche un appartamentino bello fresco a Margara!
La madre: (Ride)…bene, bene dai…
Andrea Grossi: Figa ragazzi…che c’ho già il business! Mi è già venuto in mente! Per fare un impiantino di selezione, e poi di fronte all’Ilva! e poi…così monetizziamo perché è nostro, lo vendiamo, così! E poi col tempo, quando incassiamo le nostre partite lo vendiamo alla società (…) e poi…un bell’appartamentino a Margara che teniamo, uno tanto si può anche permettersi di tenerlo!
La madre: Ma sì, no, lo facciamo…lo affittiamo!
Andrea Grossi: Sì, sì, lo affittiamo! Lo teniamo e lo affittiamo!
La madre: Lo affittiamo! …No?
Andrea Grossi: Sì, sì! Da Dio no!
La madre: Perfetto! Perfetto, lo affittiamo così intanto paghi l’Imu
Andrea Grossi: In tre anni glieli diamo, non ci accorgiamo…

Del progetto dell’impianto vicino all’Ilva di Taranto Andrea Grossi parla il giorno successivo anche in un’altra conversazione con Stefano Lazzari, del cda di Indeco.

Andrea Grossi: E in più mi son portato a casa il 100% della Riccia (…) dove voglio far qualcosa di fronte all’Ilva, che è un terreno che avevamo dove c’era la Smari…ed un appartamento a Margara!
Stefano Lazzari: Sei un grande! Sei un grande!!
Andrea Grossi: E perché solo mercato figa, sono un mercante!

La “puzza energetica”
Parlano Andrea Grossi e Vincenzo Cimini, amministratori di Green Holding.

Andrea Grossi: Ma che cazzo te ne fai! Ti devi vendere Margara per pagare il mutuo di Parre, poi ti rimene l’immobile a Parre, che cazzo ne fai…?
Vincenzo Cimini: Un cazzo! Devi vendere quello! …
Andrea Grossi: Eh! E chi te lo compra!
Vincenzo Cimini: Mica è così semplice! Infatti! Quello lo devi svendere di brutto…infatti…va beh, tanto mo’ l’accordo lo devono ancora…scrivere…
Andrea Grossi: Ne hai parlato di Matera?
Vincenzo Cimini: (…) la tecnologia di Matera non c’entra niente con quella sua! Là è un’estrazione…dalle due masse, quindi c’è una puzza energetica, là fa il biodiesel allora (incomprensibile e ride) sembrare un ignorante, però…
Andrea Grossi: Come va la macchina, spinge?
Vincenzo Cimini: L’ho tenuta in città…

Indeco, la discarica “fattura un milione e mezzo al mese”
Telefonata tra Andrea Grossi e Vincenzo Cimini, amministratori di Green Holding.

Andrea Grossi: E poi considera che hai delle aziende che comunque, se quando tu hai finito quella cosa del Comune ecc. ecc…già Indeco ti accumula un milione, un milione e mezzo di liquidità tutti i mesi, ho visto se li metti insieme…
Vincenzo Cimini: Adesso lunedì pomeriggio Andrea sono già al tavolo tecnico in Regione eh…proprio buono quel canale lì c’è il responsabile dell’area…dell’assessorato (…)

L’ampliamento del bacino denominato S8 della discarica Indeco di Borgo Montello, secondo il giudice, “è perseguito al fine di ottenere nuove risorse finanziarie derivanti dai nuovi invasi e colmare in tal modo le lacune dei milioni di euro post-mortem non accantonati e distratti nel corso degli anni (…) Nella conversazione che segue Grossi Andrea, commentando l’apertura di un nuovo invaso, fa comprendere che la nuova realizzazione serve anche a sistemare il post-mortem pregresso”. Telefonata del 20 giugno 2014 tra Andrea Grossi e Antonio Romei, del cda di Indeco.

Andrea Grossi: Ok, ok, ok…lì cosa dovremmo fare di fatturato?
Antonio Romei: Eh lì di fatturato faccia conto se sono 50mila tonnellate l’anno che si prevede di smaltire…son fra i tre, tre milioni e mezzo…
Andrea Grossi: Va bene, va bene, va bene…
Antonio Romei: E che quindi…durerà cinque anni, cinque o sei anni, e…però ci mettiamo a posto tutto il post-mortem
Andrea Grossi: Va bene, va bene, va bene…così almeno pure lì, sistemiamo…
Antonio Romei: Ah, ho cominciato a intermediare su Busto, infatti un po’ di rifiuti di Napoli vanno a Busto Arsizio.

(fonte)

I Casalesi a Trastevere

Non so quanto serva ma insisto:

Appartamenti a Trastevere, un immobile commerciale da 600mila euro a Formia, in provincia di Latina e più di una decina di società, tutte attive nel campo petrolifero e immobiliare. Il tesoro sequestrato dalla Guardia di Finanza di Latina – comandata dal colonnello Giovanni Reccia – all’imprenditore di Villa Literno M. P. S. mostra, ancora una volta, la capacità di espansione imprenditoriale e degli investimenti provenienti dal clan dei casalesi. Se il centro continua a rimanere saldamente radicato nella provincia di Caserta, le ramificazioni verso il Lazio appaiono sempre più salde. Una via utilizzata per ripulire i capitali, secondo gli investigatori, inondando i circuiti economici con milioni di euro.

Nell’ultima operazione della Guardia di finanza – condotta su delega della direzione distrettuale antimafia di Napoli, per un’inchiesta coordinata dall’aggiunto Giuseppe Borrelli e dal pm Giovanni Conzo – appare anche la conferma di una denuncia partita alcuni giorni fa dall’associazione Caponnetto: i clan campani stanno puntando all’acquisizione di aziende e immobili investendo nelle aste giudiziarie, approfittando dei tanti fallimenti nella zona del sud pontino. Tra gli immobili sequestrati a S. – ritenuto un imprenditore vicino al gruppo Bidognetti – c’è anche un immobile di Formia comprato qualche anno fa proprio in un’asta e oggi affittato ad un centro sanitario. L’associazione antimafia a fine settembre aveva segnalato alle forze dell’ordine la presenza di “possibili mani della camorra su alcune aziende dell’agro pontino cadute in gravi difficoltà economiche e perciò costrette a rivolgersi al sistema creditizio di banche o privati”. Operazioni che per la Caponnetto sarebbero condotte da “professionisti insospettabili che opererebbero in rete tra di essi nell’area bancaria e del recupero crediti e che svolgerebbero un’azione che tenderebbe a sottrarre ai proprietari le aziende in crisi”.

Dall’indagine condotta dalla Finanza appare ora un primo riscontro, con il sequestro di un bene in un fallimento: “Da diversi mesi stavamo lavorando sul patrimonio di questo imprenditore – commentano fonti investigative – analizzando con cura l’acquisto dell’immobile di Formia in un’asta giudiziaria”. Il sequestro – firmato dal collegio per l’applicazione delle Misure di prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – ha riguardato undici società operanti tra Napoli e Caserta: la Ctp Petroli, la Ctp Immobiliare, l’ Immobiliare San Carlo di Caserta, la V. & G. Energy, la Full Petrol, la Auto Petrol, la Posillipo Petroli, la Marinara, la SA. MI. Trasporti e la Blue Energy. L’attività principale era nel settore del commercio all’ingrosso ed al dettaglio di prodotti petroliferi, la gestione di un deposito di carburanti e di tre impianti di distribuzione stradale. E’ stata infine sequestrata una società con sede a Malta, che si occupava di locazione di immobili. Complessivamente il patrimonio sottratto all’imprenditore campano ammonta a quaranta milioni di euro.