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lavoratori

Appello per Cinecittà

Inoltro con preoccupazione l’appello che mi hanno inviato i lavoratori degli studi di Cinecittà. Gli ingredienti poi sono sempre gli stessi. Sarebbe un film di scontata e pessima qualità:

I lavoratori di Cinecittà chiedono a tutti i cittadini di questo paese di levare con forza la loro voce contro chi vuole distruggere i famosi stabilimenti cinematografici, vanto e orgoglio dell’Italia.

Abete e soci, per rilanciare il cinema, vogliono seppellire Cinecittà sotto una colata di cemento: un albergo di 200 stanze, 6000 parcheggi, piscina, ristoranti, sale fitness, in sfregio alla mission e ad ogni forma di cultura.

Per realizzare tutto questo progettano di affittare, vendere e licenziare i lavoratori.

Se va in porto questo disegno sparirà per sempre un mondo, la capacità di decine di migliaia di artigiani, che grande hanno fatto la storia del cinema, andrebbe persa per sempre.

Cinecittà rimarrebbe soltanto un sogno del passato e l’Italia sarebbe derubata di uno dei suoi simboli più magici.

Rsu di Cinecitta

Lo scheletro di Placido Rizzotto

E’ stato ritrovato. Per festeggiare sarebbe bello esercitarne il cuore.

“Corleone, 1948. Aveva 34 anni. Il sindacalista comunista Placido Rizzotto scompare misteriosamente nella notte del 10 marzo. Il giovane Placido Rizzotto, da bambino ha assistito all’arresto da parte dei carabinieri del padre, ingiustamente accusato di associazione a delinquere; durante la seconda Guerra Mondiale si trovava con l’esercito nel Nord Italia e dopo l ‘8 settembre dei 1943 scelse di unirsi ai partigiani, testimone impotente di alcuni eccidi scampato alla violenza della guerra, torna nella sua terra natale alla fine della seconda guerra mondiale. L’aver partecipato alla Resistenza aveva profondamente cambiato Placido Rizzotto, non poteva accettare la realtà corleonese fatta da pochi padroni terrieri, dei loro servi mafiosi e di moltissimi contadini in miseria, in una Corleone del dopoguerra ancora inevitabilmente regolata dall’incontrastabile legge del potere mafioso. Negli anni della guerra ha maturato una forte coscienza sociale e non può guardare inerte le ingiustizie che stanno accadendo nella sua comunità né tollerare l’appropriazione delle terre da parte della mafia e l’assunzione dei lavoratori per motivi esclusivamente nepotistici. Diviene sindacalista e cerca di organizzare i lavoratori per spingerli a vincere la paura e a resistere alle tirannie. Li spinge a occupare le terre e a distribuire a famiglie di contadini onesti quelle tenute incolte dalla mafia. La mafia non tarda a reagire, intimidisce i suoi compagni e lo isola in ogni modo. Entra in conflitto anche con Lia, la ragazza che ama. Rizzotto non recede di un passo dai propri principi e dalla propria battaglia preferendo affrontare con coraggiosa determinazione un tragico destino. Rizzotto continua la sua battaglia, diventando a fatica Segretario della Camera del Lavoro della città, impegnato a sostenere i contadini nella lotta per l’occupazione delle terre, organizzava gli stessi ad occupare le terre dei boss locali, mettendosi a capo del movimento contadino per l’occupazione delle terre. Era nel mirino di mafia e padroni, Placido aveva osato sfidare i boss mafiosi locali. Da subito si oppone al sistema malsano di assegnazione dei lavori e delle terre, cercando di guidare la forza propositiva della gente a combattere la mentalità delle minacce e del terrore. Si batte per l’applicazione dei “Decreti Gullo'” che prevedevano l’obbligo di cedere in affitto alle cooperative contadine le terre incolte o malcoltivate dai proprietari agrari. Ancora una volta furono organizzati scioperi e rivolte. E ancora una volta ci furono violenti scontri tra mafiosi e contadini. Uno dei feudi che vengono assegnati alle cooperative agricole è quello di Strasatto dove comandava un giovane mafioso che diventerà tristemente famoso: Luciano Liggio. Tra Rizzotto e Liggio c’era già stato uno scontro che era finito male per il mafioso il quale si era ritrovato appeso all’inferriata della Villa comunale.Ovviamente tra i due non correva buon sangue. A questo punto i padroni, i mafiosi e alcuni “pezzi” dello Stato decidono di farla finita una volta per tutte con questi “sovversivi”. Il primo maggio del 1947 cominciarono a seminare terrore con la strage di Portella delle Ginestre e negli anni successivi catturano e uccidono sistematicamente tutti i capi sindacali che osavano mettersi loro contro. Accanto a lui una serie infinita di piccoli uomini dalle mani sporche di terra e Lia, la giovane donna che si innamora di Placido, che con lui sogna, che per lui subisce uno “zio” insidioso, che dopo di lui fugge da quella terra che le ha tolto ogni speranza e ogni coraggio. Nonostante gli avvertimenti della sua famiglia, e le attenzioni dei suoi fedelissimi collaboratori, Rizzotto non riesce a sottrarsi a una sorte che sembra quasi scontata. La sera dei 10 maggio dei 1948 viene sequestrato e ucciso Placido Rizzotto, scompare nel nulla e il suo corpo non fu mai ritrovato. La morte del sindacalista sconvolge tutta l’Italia democratica. La CGIL proclama uno sciopero generale contestando violentemente dall’ allora capo del Governo Mario Scelba In questa realtà si intrecciano le vite di tanti personaggi che scriveranno, nel bene e nel male, la storia della seconda metà del Novecento: il giovane universitario Pio La Torre che sostituisce Rizzotto alla guida dei contadini corleonesi e che subirà la sua stessa tragica sorte; l’allora capitano Carlo Alberto dalla Chiesa, capo delle indagini sulla morte di Rizzotto, ucciso Generale in un attentato nel 1982; Luciano Liggio, mandante dell’omicidio di Placido Rizzotto, che diventerà uno dei più potenti boss della mafia siciliana. Le indagini, condotte dall’allora capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, porteranno all’arresto di Luciano Liggio, uno degli assassini di Rizzotto, e vennero alla ribalta due dei suoi fedelissimi luogotenenti: Totò Riina e Bernardo Provengano, ed al ritrovamento dei miseri resti del sindacalista. La settimana prima della scomparsa di Placido Rizzotto, sulle Madonie, era stato assassinato il capolega Epifanio Li Puma. Meno di un mese dopo, a Camporeale, verrà ucciso Calogero Cangelosi. Sono alcuni di una lunga serie di sindacalisti, capi contadini e semplici lavoratori a cadere sotto il piombo della mafia del feudo, alla vigilia delle elezioni politiche del 18 aprile ’48. Purtroppo quegli assassini mafiosi hanno vinto. Sono diventati sempre più ricchi e potenti, hanno conservato il controllo del territorio, dirottato i voti su chi volevano, goduto della copertura di partiti di governo. Hanno esportato i capitali e sono entrati con Sindona nella finanza internazionale. Hanno riciclato i soldi sporchi nell’arrembante Milano degli anni Settanta e fatto da padrini a qualche capitano del neo capitalismo all’italiana. Il tutto continuando a uccidere, dopo Placido Rizzotto, Pio La Torre e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, e poi decine di magistrati, poliziotti, politici coraggiosi, povera gente che aveva osato ribellarsi o semplicemente attraversava la strada di un attentato. E’ vero che negli ultimi anni, dalla morte di Falcone e Borsellino, qualcosa è stato fatto. Anzi, molto più di qualcosa. Ma tira anche un’aria di disarmo nella lotta alla mafia, una specie di indietro tutta. La festa nazionale per il lieto fine dei processi ad Andreotti, la cui immagine pure sarebbe dovuta uscire a pezzi dal dibattimento in aula, dalle decine di menzogne, dai provati contatti con Sindona e i cugini Salvo, ha testimoniato del mutato clima nell’opinione pubblica”. (fonte: assaltare il cielo su reti invisibili)

Il lavoro, Marchionne, i tecnici e gli esperti

Di José Saramago, scritta l’11 novembre 2009. E sembra oggi.

La gravissima crisi economica e finanziaria che sta agitanto il mondo ci porta l’angosciosa sensazione di essere arrivati alla fine di un’epoca senza che si intraveda come e cosa sarà quella che ci aspetta.

Cosa facciamo noi che assistiamo, impotenti, all’oppressivo avanzamento dei grandi potentati economici e finanziari, avidi nell’accaparrarsi più denaro possibile, più potere possibile, con tutti i mezzi legali o illegali a loro disposizione, puliti o sporchi, onesti o criminali?

Possiamo lasciare l’uscita dalla crisi nelle mani degli esperti? Non sono precisamente loro, i banchieri, i politici di livello mondiale, i direttori delle grandi multinazionali, gli speculatori, con la complicità dei mezzi di comunicazione, quelli che, con l’arroganza di chi si considera possessore della conoscenza ultima, ci ordinavano di tacere quando, negli ultimi trent’anni, timidamente protestavamo, dicendo di essere all’oscuro di tutto, e per questo venivamo ridicolizzati? Era il periodo dell’impero assoluto del Mercato, questa entità presuntuosamente auto-riformabile e auto-regolabile incaricata dall’immutabile destino di preparare e difendere per sempre e principalmente la nostra felicità personale e collettiva, nonostante la realtà si preoccupasse di smentirla ogni ora che passava.

E adesso, quando ogni giorno il numero di disoccupati aumenta? Finiranno finalmente i paradisi fiscali e i conti cifrati? Si indagherà senza remore sull’origine di giganteschi depositi bancari, di ingegneria finanziaria chiaramente illecita, di trasferimenti opachi che, in molti casi, altro non sono che grandiosi riciclaggi di denaro sporco, del narcotraffico e di altre attività delinquenziali? E le risoluzioni speciali per la crisi, abilmente preparate a beneficio dei consigli di amministazione e contro i lavoratori?

Chi risolve il problema della disoccupazione, milioni di vittime della cosiddetta crisi, che per avarizia, malvagità o stupidità dei potenti continueranno a essere disoccupati, sopravvivendo temporaneamente con i miseri sussidi dello Stato, mentre i grandi dirigenti e amministratori di imprese condotte volontariamente al fallimento godono dei milioni coperti dai loro contratti blindati?

Quello che si sta verificando è, sotto ogni aspetto, un crimine contro l’umanità e da questa prospettiva deve essere analizzato nei dibattiti pubblici e nelle coscienze. Non è un’esagerazione. Crimini contro l’umanità non sono soltanto i genocidi, gli etnocidi, i campi della morte, le torture, gli omicidi collettivi, le carestie indotte deliberatamente, le contaminazioni di massa, le umiliazioni come modalità repressiva dell’identità delle vittime. Crimine contro l’umanità è anche quello che i poteri finanziari ed economici, con la complicità esplicita o tacita dei governi, freddamente perpetrano ai danni di milioni di persone in tutto il mondo, minacciate di perdere ciò che resta loro, la loro casa e i loro risparmi, dopo aver già perso l’unica e tante volte già magra fonte di reddito, il loro lavoro.

Dire “No alla Disoccupazione” è un dovere etico, un imperativo morale. Come lo è denunciare il fatto che questa situazione non la generano i lavoratori, che non sono i dipendenti che devono pagare per la stoltezza e gli errori del sistema.

Dire “No alla Disoccupazione” è arrestare il genocidio lento ma implacabile a cui il sistema condanna milioni di persone. Sappiamo di poter uscire da questa crisi, sappiamo di non chiedere la luna. E sappiamo di avere la voce per usarla. Di fronte all’arroganza del sistema, invochiamo il nostro diritto alla critica e alla protesta. Loro non sanno tutto. Si sono ingannati. Si sono sbagliati. Non tolleriamo di essere le loro vittime.

Cavalli (SEL) LAVORATORI E CONSIGLIO: PROVE DI DIALOGO. ORA FORMIGONI CI METTA LA FACCIA

Dichiarazione di Giulio Cavalli e Chiara Cremonesi, consiglieri regionali Sinistra Ecologia Libertà
“Esprimiamo soddisfazione per la scelta unanime di dedicare la seduta del Consiglio di martedì prossimo al lavoro e agli enormi problemi della situazione industriale e occupazionale della Lombardia.
La Giunta sarà chiamata a riferire in Aula sullo stato dei confronti aperti nei tavoli istituzionali, rispondendo pubblicamente di quanto fatto finora.   
Quello che ci auguriamo, peraltro, è che Formigoni non mandi avanti Gibelli o i suoi assessori. Ma che finalmente abbia il coraggio di metterci la faccia.Dichiarazione di Giulio Cavalli e Chiara Cremonesi, consiglieri regionali Sinistra Ecologia Libertà
“Esprimiamo soddisfazione per la scelta unanime di dedicare la seduta del Consiglio di martedì prossimo al lavoro e agli enormi problemi della situazione industriale e occupazionale della Lombardia.
La Giunta sarà chiamata a riferire in Aula sullo stato dei confronti aperti nei tavoli istituzionali, rispondendo pubblicamente di quanto fatto finora.   
Quello che ci auguriamo, peraltro, è che Formigoni non mandi avanti Gibelli o i suoi assessori. Ma che finalmente abbia il coraggio di metterci la faccia.A fine dicembre scadranno molte procedure di cassa integrazione e i contributi di disoccupazione. Ed è evidente che una situazione così drammatica può alimentare una grave tensione sociale. Soprattutto se chi di dovere non si assume le proprie responsabilità.
La mozione unitaria del Consiglio è invece la dimostrazione che, quando il Palazzo non si arrocca in se stesso presidiato dalle forze dell’ordine, ma apre la porta ai lavoratori, il dialogo diventa possibile. Perché l’indignazione rischia di sfociare nella violenza se a qualcuno fa comodo chiuderla in un vicolo cieco”.