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Leader

La discocrazia

È l’immagine di questa destra che si è involuta nel tempo, che è invecchiata male ballando al Billionaire e al Twiga, allo Smaila’s e al Papeete che negli anni hanno voluto trasformare come simbolo di un Paese che esiste solo nelle loro tasche, nelle loro teste e nella loro ristretta cerchia di amicizia che non ha niente a che fare con il mondo reale e nemmeno con la situazione reale.

Se c’è qualcosa di più stupido di quelli che temono di avere in futuro un microchip sotto pelle iniettato con un vaccino allora è sicuramente questa discocrazia che viene proposta, tra l’altro, mica da giovani che reclamano la propria libertà, ma da attempati signorotti della politica, che di politica hanno vissuto e continuano a vivere, che vorrebbero risultare giovanili e invece sono semplicemente patetici. Daniela Santanchè che balla per fare opposizione è una scena da film dell’orrore che tra qualche anno riguarderemo con disgusto.

È la destra che da anni si propone come il partito del “rispetto delle regole” e invece ora vorrebbe crescere nei sondaggi invitando gli altri a non rispettarle. Badate bene: non propone una nuova regolamentazione e non propone nemmeno una soluzione strutturale a un problema strutturale (perché il virus chiede un nuovo paradigma piuttosto che una serie di interventi tardivi e isolati), no, la destra italiana chiede il “diritto di ballare” dimostrando tutta la sua distanza dalla realtà.

Agli elettori della discocrazia non interessa poi nemmeno troppo in fondo ballare, vivono questa battaglia di resistenza culturale perché qualcuno gli dice che si comincia così, vietando i balli, imponendo le mascherine e poi togliendo i diritti civili. E i leader della discocrazia hanno pensato bene che essere liberi significhi praticare la propria libertà di ammassarsi in nome della loro nuova rivoluzione.

Dalla mignottocrazia di Berlusconi alla discocrazia di Meloni e Salvini il passo è stato breve e, se guardate bene, i protagonisti sono sempre gli stessi.

A un mese dall’apertura delle scuole, nel pieno della discussione sul Mes, mentre si dovrebbe discutere di come ripensare il Paese con i soldi che arrivano dall’Europa, qui si continua a discutere da giorni di discoteche. Nell’anno di una pandemia mondiale.

Ma vi sembra normale?

Buon mercoledì.

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Tutti a litigare su Virginia Raggi, ma nessun partito ha delle proposte serie per risollevare Roma

Mi piacerebbe avere la metà dell’autostima di Virginia Raggi e anche solo uno spicchio di incoscienza del Movimento 5 Stelle. La prima decide di ricandidarsi a sindaco (legittimamente, sia chiaro) fingendo di non sapere l’aria che tira sulla capitale (e quello che dicono i sondaggi, praticamente tutti) e si prepara a una campagna elettorale che sarà “merda e sangue” come nella peggiore tradizione politica italiana.

Devo ammettere che ne ammiro il coraggio: o Virginia Raggi sa qualcosa dei suoi anni di amministrazione che noi ancora non sappiamo, per evidenti problemi di distrazione e di comunicazione, e quindi ha intenzione di ribaltare tutto durante la campagna elettorale oppure (e potrebbe essere) anche la Raggi, come molti di noi, sta notando compiaciuta l’inerzia con cui tutti i suoi avversari politici (non) stanno affrontando la questione romana, tutti concentrati a prendersi gioco della Raggi piuttosto che raccontarci come hanno intenzione di risolvere i problemi della città.

Poi c’è il Movimento 5 Stelle che con molta fluidità decide di soprassedere alla regola del doppio mandato (quella stessa regola per cui la Raggi non potrebbe nemmeno candidarsi) aprendo così le porte a tutti i parlamentari terrorizzati dal non potersi ricandidare alle prossime elezioni. Perché in fondo la candidatura della Raggi è il sintomo di una battaglia interna nel Movimento che si gioca con chi da una parte confida nell’allargamento delle regole (detta semplice semplice: tutti quelli che si ritrovano al secondo mandato in Parlamento) e quelli invece che si ritrovano al loro primo mandato e sperano, proprio in base alle regole interne del Movimento, di trovarsi la strada libera per le prossime elezioni.

Poi ci sono gli altri, tutti gli altri. E anche qui il quadro è confuso. Il Partito Democratico (o meglio, quella parte del Partito Democratico che confida in un accordo nazionale con il Movimento 5 Stelle che sopravviva a questa esperienza di governo) si ritrova spiazziato. Qualcuno bisbiglia che potrebbe candidare un candidato debole (sai che novità) e sarebbe il suicidio perfetto. Dalle parti del centrodestra qualcuno (soprattutto i leghisti) confida ancora di potersi liberare della Meloni con le elezioni cittadine (non accadrà) mentre Fratelli d’Italia ha intenzione di imporre la propria guida, che vorrebbe proporre anche a livello nazionale, partendo dalla capitale.

Insomma, tutti a parlare di Virginia Raggi ma intorno non sembra che i suoi avversari siano così pronti. E in tutto questo spariscono le esigenze di una città che fatica a rialzarsi e ancora una volta si perde l’occasione di sapere come la vedrebbero quegli altri, Roma, cosa vorrebbero farne, quali sono le soluzione che hanno intenzione di proporre.

Leggi anche: Il problema non sono i furbetti dei 600 euro, ma i leader che li hanno portati in Parlamento 

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Il problema non sono i furbetti dei 600 euro, ma i leader che li hanno portati in Parlamento

Guardare il dito e la luna. È una storia che comincia come una barzelletta: ci sono tre leghisti, c’è un Cinque Stelle e uno di Italia Viva, la caccia ai nomi sarà lo sport della giornata e forse anche dei prossimi giorni. Che in mezzo ai richiedenti ci siano anche presidenti di regioni (che certo non hanno stipendi inferiori ai parlamentari) sembra essere sfuggito ai più. L’importante sono i parlamentari, gli obiettivi sono i parlamentari, tutti addosso ai parlamentari. Sia chiaro: che i cinque siano l’antitesi di quella disciplina e di quell’onore che sono richiesti dalla Costituzione a chi si ritrova a governare la cosa pubblica è fuori da ogni dubbio.

Chiedere 600 euro nella comodissima posizione dell’essere parlamentare è un gesto infimo, siamo d’accordo ma una riflessione ragionata e ampia dovrebbe spingerci a porci domande e allargare la discussione. Una norma, ad esempio, che prevede un contributo a pioggia, senza limiti di reddito, a tutti è politicamente sbagliata e praticamente inutile ai fini dell’uguaglianza sociale: i parlamentari hanno sfruttato una falla nella legge (e fanno schifo anche per questo) che ha permesso a molti benestanti di usufruire di un bonus di cui non avevano bisogno. Diciamolo: dare 600 euro a tutti è stata una pessima idea, forse dettata dall’emergenza, ma una pessima idea. Il buon legislatore scrive le leggi (e i decreti) perché siano funzionali ai più bisognosi e perché sbarrino la strada ai furbi. In questo caso non è successo, diciamolo chiaramente.

Poi dell’epoca Covid sarebbe da raccontare anche quella parte di imprenditori che hanno usufruito della cassa integrazione senza avere nessuna riduzione di fatturato, sarebbe da parlare dei cassintegrati che hanno continuato a lavorare normalmente per qualche imprenditori che si ritene particolarmente furbo, sarebbe da parlare di chi in nome dell’emergenza si è addirittura arricchito usufruendo comunque degli aiuti di Stato. Facendo due conti siamo di fronte a un dissanguamento di denaro pubblico enormemente più grave di quel gruzzolo di 600 euro. Sarebbe bello che l’INPS ci parlasse anche di questo, no?

E infine un punto strettamente politico: quanto comodo fa all’antipolitica (quell’antipolitica che ci ha trascinati in questo gretto populismo) che dei parlamentari vengano sventolati come prova della fallacia di una legge che invece ha favorito una platea ben più vasta? Quanto gioca tutto questo per il prossimo referendum (populista) che ancora una volta punta sulla quantità e non sulla qualità? E soprattutto: ma chi ha scelto quei parlamentari, quelli che dovrebbero formare la classe dirigente di questo Paese, non ha nulla da dirci? Perché quei nomi li sappiamo già: Matteo Salvini, Gianroberto Casaleggio e Matteo Renzi. Loro non hanno nulla da dirci?

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Ti conosciamo, mascherina

L’andare controcorrente per il semplice gusto di farsi notare è qualcosa che funziona per breve tempo. E scimmiottare Trump che si sta schiantando sul Covid-19 e sul negazionismo, come sta facendo il capitano leghista, non è una gran strategia. Ma tant’è

Eccolo qui, Matteo Salvini, in tutto il suo splendore di vittima sacrificale che si offre ai suoi elettori e che prepara la propaganda per i prossimi mesi sperando di passare incolume questa estate senza ripetere gli errori dell’anno scorso. L’uomo che voleva “tutti i poteri” l’anno scorso mentre ballava a torso nudo sulla spiaggia del Papeete quest’anno ha deciso di rivendersi come l’uomo che va a processo per le sue idee e che vuole essere il martire del difensore dei confini italiani. Peccato che la narrazione, per quanto rivenduta con una certa alchimia, non stia per niente in piedi proprio per tutta la fatica che ci ha messo brigando per farsi salvare dai suoi amici (e dai suoi finti nemici) in Parlamento: se avesse voluto fare l’eroe avrebbe dovuto avere il fisico per farlo fino in fondo e invece si ritrova a essere quello che prova prima a scappare dal processo e infine, quando non ha avuto più armi a disposizione per evitarlo, ce lo vuole rivendere come una medaglia che si porta al petto. Prima frigna e poi lo rivendica: dispiace ma l’atteggiamento bambinesco depotenzierà non poco il suo messaggio e difficilmente la parte dell’eroe nazionale gli si confà. Resta anche da vedere che ne faranno i suoi alleati: Silvio Berlusconi ha usato il rinvio a giudizio semplicemente per rivendicare la propria storia da pluricondannato, sostanzialmente parlando di se stesso più che di quello che potrebbe accadere all’ex ministro dell’Interno; Giorgia Meloni ha avanzato una difesa di facciata che è risultata poco convincente e non bisogna essere fini analisti per capire che proprio sul processo potrebbe avvenire il sorpasso che porterebbe la leader di Fratelli d’Italia a tenere in mano le redini di tutto il centrodestra. «Tornerò l’anno prossimo da presidente del Consiglio» ha detto Salvini a Milano Marittima qualche giorno fa, ovviamente sulla spiaggia che è luogo a lui consono, e che non si sia sentita la fragorosa risata di risposta che si sono fatti dalle parti del Parlamento è solo dovuto a una forma di buona educazione. Il governo rimarrà in piedi, eccome, e se c’è un rischio per la montagna di soldi che arriverà dall’Europa sarà piuttosto un tentativo di restaurazione di antichi poteri, gli stessi che già digeriscono poco un accrocchino di governo con Conte e M5S e centrosinistra, figurarsi se metterebbero in mano tutto il malloppo a chi, come Salvini, viene giudicato troppo inaffidabile per operazioni politiche di rilevanza internazionale.
A proposito di politica internazionale: gli ultimi fatti avvenuti in Europa hanno dato un duro colpo alla narrazione sovranista del leader della Lega e ora dalle parti di via Bellerio si cerca di capire la strategia per riuscire a trascinarsi nei prossimi mesi: copiare da Trump rimane sempre la poco…

L’articolo prosegue su Left che esce il 7 agosto

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Contrordine, sovranisti: ora la mascherina va messa. La ridicola retromarcia di Trump e Salvini

Dice Trump che chi usa la mascherina è un vero patriota. Dice Salvini che bisogna usare la testa (è credibile come un bradipo che ci insegna come correre lesti) e che bisogna mettere la mascherina nei posti chiusi. Contrordine camerati! La mascherina non è più la spada con cui il sovranismo combatte la sua sacra guerra contro l’ordine mondiale e ora di colpo si diventa tutti responsabili. Bellissimi i messaggi disorientati di quelli che hanno creduto al Covid come una messinscena e avevano trovato i loro falsi profeti. Non hanno mica capito che Trump, Salvini e compagnia cantante hanno come arma di propaganda quella di leccare i complotti ma poi non hanno nemmeno il coraggio di cavalcarli davvero, con la faccia tosta di chi ci mette almeno la faccia.

No, Salvini butta l’amo e poi lo ritira subito, giusto in tempo per pescare in superficie i pesci che abboccano. Non hanno idee: sono opinioni omeopatiche che durano il tempo di qualche mi piace su Facebook o di qualche retweet ma poi sono pronti a cambiare fronte se i sondaggi scendono. E così quando i collaboratori del Trump originale e del nostro Trump in versione discount gli hanno fatto notare che con questa storia della mascherina stavano perdendo voti (presumibilmente anche solo quelli dei malati, dei famigliari delle vittime e degli amici dei malati, che nel nord Italia e che negli USA sono numeri considerevoli) allora hanno inforcato la retromarcia. E così il loro bullismo suona ancora più goffo, più stonato, risibile e estremamente pericoloso.

Avere dei leader di partito che come giochetto non fanno nient’altro che dire il contrario di quello che dicono i loro avversari politici li costringerà presto a affermare che il nero è bianco, che gli alberi hanno le ruote e che i tram crescono sotto i cavoli. Un trucco di propaganda talmente banale che li mostra per quello che sono: banalissimi propagatori di bufale che devono far credere che un nemico invisibili giochi tutto il giorno per portarli alla sconfitta.

La retromarcia sulle mascherine è un manifesto politico: prima era tutto un “non usatele, non usatele, viva la libertà” e ora che si sono ammalati gli altri è tutto un correre ai ripari per salvarsi la pelle. Del resto il vero sovranista ha un’unica Patria: se stesso. E per la propria autopreservazione sono disposti a tutto, anche a apparire più ridicoli di quello che sono già stati. E continueranno così finché ci sarà una nuova bufala da cavalcare per fomentare un po’ di gratuita indignazione.

Leggi anche: Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: quando “serve” la Lega diventa internazionale (di G. Cavalli)

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Il sottovuoto in cui stiamo

Stato d’emergenza, migranti, Europa: siamo in una fase politica in cui si urla di tutto e parla di niente. Certo, succede spesso, ma è insopportabile questa leggerezza vacanziera su ciò che accade

Ieri una leader del centrodestra ha urlacciato alla Camera per fare sentire più forte le proprie idee. L’hanno chiamata tenacia e invece è solo un volume alto, un volume di voce alto è solo un volume di voce alto e chi urla lo fa perché ha paura che le sue idee non siano abbastanza pesanti e quindi ha bisogno di scagliarle perché si notino di più. Buon per loro, male per noi.

Però analizziamo il momento politico, sul serio, per favore.

Proviamo a togliere i migranti, togliamoli dal tavolo della polemica politica. Non rimane niente, niente di niente.

Si sta parlando del prolungamento di stato d’emergenza di un Paese i cui molti bighellonano tra discoteche e mercatini e spiagge senza nessuna protezione, senza nessuna mascherina e intanto urlano alla dittatura. Una dittatura in cui va di moda non seguire nemmeno le regole basilari è una delle dittature meno credibili che si sia mai vista in giro.

Si sta discutendo di quelli per cui il Covid non esiste. Fermi tutti: quelli per cui il Covid non esiste sono gli stessi che urlacciano contro i migranti che porterebbero il Covid. Un tilt di ragionamento che farebbe sbiellare chiunque e che invece qui viene rivenduto come fosse normale.

Si sta parlando di scuola (e ce ne sarebbe tanto bisogno di parlare di scuola) discutendo solo di banchi a rotelle. Solo di questo.

Si sta parlando dei soldi dell’Europa mica decidendo come spenderli ma discutendo del fatto che l’Europa sia sporca e cattiva. Proposte su come spendere i soldi, per ora, niente.

Si sta discutendo di lavoro con le due fazioni che si dicono, entrambe, che bisogna rilanciare il lavoro e nessuno capisce come si debba fare.

È la stagione del sottovuoto spinto. Della politica che urla di tutto e parla di niente. Sì, lo so, accade spesso, ma non trovate che sia insopportabile questa leggerezza vacanziera su quello che accade? Ma lo sentite il disagio di una discussione così?

Buon giovedì.

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Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: quando “serve” la Lega diventa internazionale

Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: se “serve”, la Lega è internazionale

Dice “prima gli italiani” ma la Lega ama l’estero, eccome se lo ama, e si riferisce a Paesi stranieri quando c’è da brigare affari di soldi e utilità. C’è la laurea di Renzo Bossi in Albania, all’Università albanese Kriistal di Tirana, che potrebbe essere la prima scena di questa brutta commedia all’italiana in cui gli odiati albanesi (quelli contro cui la Lega ha lanciato strali) sono gli stessi che poi incoronano il figlio dell’imperatore. Rimarrà negli annali anche la meravigliosa risposta del figlio del Senatur, che ai giornali disse di essersi laureato a sua insaputa.

Ma Umberto Bossi e i figli Riccardo e Renzo sono finiti anche in un processo che ci porta addirittura in Tanzania, dove l’ex tesoriere del partito Francesco Belsito ha investito parte dei rimborsi elettorali, acquistato partite di diamanti e poi distribuito soldi alla famiglia del segretario della Lega. Il tesoriere genovese Franco Belsito alla vigilia di Capodanno 2012 fa partire da Genova il bonifico da 4,5 milioni di euro, destinati a finire in Tanzania, svelando il giro di mega prelievi, operazioni offshore, movimenti di assegni, vorticosi giri tra Africa e Cipro, milioni di corone norvegesi e pacchi di dollari australiani. La seconda scena della commediola in salsa leghista potrebbe essere quella Audi A6 che parte da Genova a Milano con undici diamanti e dieci lingotti d’oro nel bagagliaio da consegnare direttamente in via Bellerio. Si tratta del famoso processo dei famosi 49 milioni di euro (di cui Salvini continua a parlare come “parte lesa” dimenticandosi di diritti lesi dei cittadini italiani) che si è chiuso con un’inedita trattativa per cui il partito di Salvini pagherà in 76 comode rate annuali da 600mila euro l’una. Data di estinzione del debito: 2094, alla faccia dei cittadini abituati alle rateizzazioni di Equitalia.

Poi c’è quell’incontro in Russia, con la visita a Mosca del leader leghista all’epoca ministro e vicepremier, in cui il suo ex portavoce Gianluca Savoini all’Hotel Metropoli il 18 ottobre del 2018 parla di alcuni fondi neri che dovrebbero arrivare al partito attraverso una fornitura di petrolio. L’inchiesta è ancora in corso ma la conversazione (al di là del fatto che Salvini sapesse o meno) l’abbiamo ascoltata tutti. Infine c’è il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, con il suo trust alle Bahamas con 5 milioni di euro, regolarizzati da uno scudo fiscale ma sulla cui origine nulla dice.

Prima gli italiani, dicono, ma questi leghisti hanno le mani in pasta sui conti correnti in giro per il mondo.

Leggi anche:

1. Esclusivo TPI: Ecco che fine hanno fatto i 49 milioni della Lega / 2. Fondi Lega, l’ex tesoriere Belsito: “Dovete chiedere a Maroni e Salvini come hanno usato quei soldi” / 3. Fondi Lega: tutto quello che c’è da sapere sulla truffa allo Stato e sui soldi del partito spariti nel nulla

4. Esclusivo TPI, ex tesoriere Lega: “I 49 milioni? Li abbiamo spesi scientemente. Salvini era d’accordo” / 5. Esclusivo TPI: L’ex segretaria di Bossi accusa anche Giorgetti: “I milioni della Lega usati per licenziare i dipendenti” / 6. Esclusiva TPI: “Salvini sapeva dei 49 milioni spariti, ma non fece nulla”. Le rivelazioni shock dell’ex dipendente della Lega che incastrano il Segretario

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Ora attenzione ai restauratori e ai roditori

Ci sono 209 miliardi sul piatto. Piaccia o non piaccia Giuseppe Conte ha fatto ciò che doveva fare e ha ottenuto ciò che doveva ottenere mentre l’Europa si è dimostrata all’altezza della situazione. L’Italia avrà 146 miliardi nei prossimi due anni e i restanti 63 miliardi arriveranno nel 2023. In mezzo ci sono da fare le riforme che l’Europa chiede da tempo e c’è da dimostrare competenza e intelligenza sulla gestione dei soldi. I precedenti non fanno ben sperare ma augurarsi il malaugurio non è una mossa intelligente.

Fantastica la reazione dell’opposizione (se così si può chiamare un centrodestra in cui ormai ognuno va per conto suo sempre intento a mangiarsi il suo alleato più vicino): Giorgia Meloni dice che si doveva fare “di più” (di più di cosa non si capisce e come si avrebbe dovuto fare non si capisce nemmeno), Salvini è praticamente impazzito accusato perfino dai suoi di essersi impegnato in panzerotti e mozzarelle mentre quelli in Europa trattavano e Berlusconi invece invoca addirittura il Mes segnato una distanza siderale rispetto alla Lega. Il caos che regna da quelle parti non si vedeva da mesi: l’opposizione è senza leader per troppo affollamento di presunti leader. A posto così.

Decidere come spendere i soldi è politica: le priorità, le promesse, gli obbiettivi e le visioni si vedono nella ripartizione dei capitoli di spesa. Non si può promettere attenzione a un settore a parole e senza finanziamenti. La ripartizione di questi soldi sarà la carta di identità di questo governo. Ma c’è un rischio, anzi due, dietro l’angolo: i restauratori e i roditori.

Dei restauratori ne abbiamo lungamente parlato nel numero di Left in edicola: sono quelli che di tutta questa storia vedono solo una marea di soldi da poter usare per i propri interessi personali, per le proprie prebende e per potere accontentare i propri gruppi di potere. L’Italia, nelle sue classi dirigenti e nelle sue lobby, è un Paese che è cambiato molto meno dei governi che si sono succeduti e l’idea di un largo governo nazionale nasconde la voglia dei soliti noti di poter mettere mani su quei soldi. Questi vorrebbero sembrare conservatori e invece sono arraffatori, semplicemente.

Attenzione anche ai roditori: sono quelli incapaci di piantare alberi che vivono per creare buchi sugli alberi degli altri e rivendere come vittorie le disfatte altrui. Non serve nemmeno fare i nomi. Anche di questo ne abbiamo parlato in un buongiorno di qualche giorno fa.

Buon giovedì.

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La preghiera dell’odio

Un parroco in un paese della Puglia ha organizzato una veglia di preghiera contro la legge contro l’omotransfobia che, a suo dire, sarebbe un’insidia che minaccia la famiglia. E la sindaca si è ribellata

Siamo a Lizzano, paese in provincia di Taranto, dove il parroco, don Giuseppe, ha pensato bene di organizzare una veglia di preghiera contro la legge contro l’omotransfobia (il disegno di legge Zan è già stato approvato in Commissione Giustizia) che, a suo dire, sarebbe un’insidia che minaccia la famiglia. L’oscurantismo del resto va molto di moda tra alcuni leader politici e figurarsi se non prende piede anche tra i parroci di provincia dove con un arzigogolato ragionamento si riesce a mettere insieme la famiglia con l’odio verso i gay: sono quei pensieri deboli e cortissimi che prendono molto piede dove l’ignoranza regna sovrana. Evidentemente per don Giuseppe il suo dio vuole che si continui a odiare e discriminare perché le famigliole possano stare tranquille. Contento lui.

Il punto che conta però è che in molti (per fortuna) si sono ribellati a questa pessima iniziativa e soprattutto la sindaca del paese, la dott.ssa Antonietta D’Oria, pediatra di famiglia, mamma di quattro figli che lavora a Lizzano da trent’anni ed è impegnata in varie associazioni di ambito sociale, ambientale e culturale decide di prendere carta e penna e di rispondere. Potrebbe essere la solita diatriba tra parroco e sindaca ma di questi tempi le parole sono preziose. Ecco la risposta:

“È notizia ormai rimbalzata su tutti i social media che il parroco di Lizzano, il parroco della nostra Comunità, il nostro parroco ha organizzato un incontro di preghiera contro le insidie che minacciano la famiglia, tra cui, prima fra tutte, cita la legge contro l’omotransfobia.
Ecco, noi da questa iniziativa prendiamo, fermamente, le distanze.
Certo non sta a noi dire quello per cui si deve o non si deve pregare, ma anche in una visione estremamente laica quale è quella che connota la attuale Amministrazione Comunale, la chiesa è madre e nessuna madre pregherebbe mai contro i propri figli.
Qualunque sia il loro, legittimo, orientamento sessuale.
Perché, come ha scritto meglio di come potremmo fare noi, padre Alex Zanotelli, quando ha raccontato la propria esperienza missionaria nella discarica di Corogocho, la Chiesa è la madre di tutti, soprattutto di quelli che vengono discriminati, come purtroppo è accaduto, e ancora accade, per la comunità LGBT.
A nostro modestissimo parere e con la più grande umiltà, ci pare che altre siano le minacce che incombono sulla famiglia per le quali, sì, sarebbe necessario chiedere l’intervento della Divina Misericordia.
Perché non pregare contro i femminicidi, le violenze domestiche, le spose bambine?
Perché non celebrare una messa in suffragio per le anime dei disperati che giacciono in fondo al Mediterraneo?
Perché non pregare per le tante vittime innocenti di abusi?
Ecco, senza voler fare polemica, ma con il cuore gonfio di tristezza, tanti altri sono i motivi per cui raccogliere una comunità in preghiera.
Certo non contro chi non ha peccato alcuno se non quello di avere il coraggio di amare.
E chi ama non commette mai peccato, perché l’amore, di qualunque colore sia, innalza sempre l’animo umano ed è una minaccia solo per chi questa cosa non la comprende”.

Che bella quando prende posizione, la politica.

Come dice la scrittrice Francesca Cavallo: «iniziative come questa non devono passare sotto silenzio, per il bene di tutti quegli adolescenti che leggono di un’iniziativa come questa e pensano di essere sbagliati. Io sarei potuta essere tra loro».

Buon giovedì.

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