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Ma i 180 milioni di euro che la Lega ha preso (e speso indebitamente) da Roma ladrona?

(Un pezzo di Francesco Giurato e Antonio Pitoni per Il Fatto Quotidiano)

Dalla Lega Lombarda alla Lega Nord, transitando dalla prima alla seconda repubblica a suon di miliardi (di lire) prima e milioni (di euro) poi generosamente elargiti dallo Stato. Dal 1988 al 2013sono finiti nelle casse del partito fondato da Umberto Bossi e oggi guidato da Matteo Salvini, dopo la parentesi di Roberto Maroni, 179 milioni 961 mila. L’equivalente di 348 miliardi 453 milioni 826 mila lire. Una cuccagna, sotto forma di finanziamento pubblico e rimborsi elettorali, durata oltre un quarto di secolo. Ma nonostante l’ingente flusso di denaro versato nei conti della Lega oggi il piatto piange. Ne sanno qualcosa i 71 dipendenti messi solo qualche mese fa gentilmente alla porta dal Carroccio. Sorte condivisa anche dai giornalisti de “La Padania”, storico organo ufficiale del partito, che ha chiuso i battenti a novembre dell’anno scorso non prima, però, di aver incassato oltre 60 milioni di euro in 17 anni. Insomma, almeno per ora, la crisi la pagano soprattutto i dipendenti. In attesa che la magistratura faccia piena luce anche su altre responsabilità. A cominciare da quelle relative allo scandalo della distrazione dei rimborsi elettorali, che l’ex amministratore della Lega Francesco Belsito avrebbe utilizzato in parte per acquistare diamanti, finanziare investimenti tra Cipro e la Tanzania  e per comprare, secondo l’accusa, perfino una laurea in Albania al figlio prediletto del Senatùr, Renzo Bossi, detto il Trota. Vicenda sulla quale pendono due procedimenti penali, uno a Milano e l’altro a Genova.

MANNA LOMBARDA Fondata nel 1982 da Umberto Bossi, è alle politiche del 1987 che la Lega Lombarda, precursore della Lega Nord, conquista i primi due seggi in Parlamento. E nel 1988, anno per altro di elezioni amministrative, inizia a beneficiare del finanziamento pubblico: 128 milioni di lire (66 mila euro). Un inizio soft prima del balzo oltre la soglia del miliardo già nel 1989, quando riesce a spedire anche due eurodeputati a Strasburgo: 1,03 miliardi del vecchio conio (536 mila euro) di cui 906 milioni proprio come rimborso per le spese elettorali sostenute per le elezioni europee. Somma che sale a 1,8 miliardi lire (962 mila euro) nel 1990, per poi scendere a 162 milioni (83 mila euro) nel 1991 alla vigilia di Mani Pulite. Nel 1992 la Lega Lombarda, diventata proprio in quell’anno Lega Nord, piazza in Parlamento una pattuglia di 55 deputati e 25 senatori. E il finanziamento pubblico lievita a 2,7 miliardi di lire (1,4 milioni di euro) prima di schizzare, l’anno successivo, a 7,1 miliardi (3,7 milioni di euro). Siamo nel 1993: sulla scia degli scandali di tangentopoli, con un referendum plebiscitario (il 90,3% dei consensi) gli italiani abrogano il finanziamento pubblico ai partiti. Che si adoperano immediatamente per aggirare il verdetto popolare, introducendo il nuovo meccanismo del fondo per le spese elettorale (1.600 lire per ogni cittadino italiano) da spartirsi in base ai voti ottenuti. Un sistema che resterà in vigore fino al 1997 e che consentirà alla Lega di incassare 11,8 miliardi di lire (6,1 milioni di euro) nel 1994, anno di elezioni politiche che fruttano al Carroccio, grazie all’alleanza con Forza Italia, una pattuglia parlamentare di 117 deputati e 60 senatori. Nel 1995 entrano in cassa 3,7 miliardi (1,9 milioni di euro) e altri 10 miliardi (5,2 milioni di euro) nel 1996.

RIMBORSI D’ORO L’anno successivo, nuovo maquillage per il sistema di calcolo dei finanziamenti elettorali. Arriva «la contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici», che lascia ai contribuenti la possibilità di destinare il 4 per mille dell’Irpef(Imposta sul reddito delle persone fisiche) al finanziamento di partiti e movimenti politici fino ad un massimo di 110 miliardi di lire (56,8 milioni di euro). Non solo, per il 1997, una norma transitoria ingrossa forfetariamente a 160 miliardi di lire (82,6 milioni di euro) la torta per l’anno in corso. E, proprio per il ’97, per la Lega arrivano 14,8 miliardi di lire (7,6 milioni di euro) che scendono però a 10,6 (5,5 milioni di euro) iscritti a bilancio nel 1998. Un campanello d’allarme che suggerisce ai partiti l’ennesimoblitz normativo che, puntualmente, arriva nel 1999: via il 4 per mille, arrivano i rimborsi elettorali (che entreranno in vigore dal 2001). In pratica, il totale ripristino del vecchio finanziamento pubblico abolito dal referendum del 1993 sotto mentite spoglie: contributo fisso di 4.000 lire per abitante e ben 5 diversi fondi (per le elezioni della Camera, del Senato, del Parlamento Europeo, dei Consigli regionali, e per i referendum) ai quali i partiti potranno attingere. Con un paletto: l’erogazione si interrompe in caso di fine anticipata della legislatura.

ELEZIONI, CHE CUCCAGNA Intanto, sempre nel 1999, per la Lega arriva un assegno da 7,6 miliardi di lire (3,9 milioni di euro), cui se ne aggiungono altri due da 8,7 miliardi (4,5 milioni di euro) nel 2000 e nel 2001. E’ l’ultimo anno della lira che, dal 2002, lascia il posto all’euro. E, come per effetto dell’inflazione, il contributo pubblico si adegua alla nuova valuta: da 4.000 lire a 5 euro, un euro per ogni voto ottenuto per ogni anno di legislatura, da corrispondere in 5 rate annuali. E per la Lega, tornata di nuovo al governo nel 2001, è un’escalation senza sosta: 3,6 milioni di euro nel 2002, 4,2 nel 2003, 6,5 nel 2004 e 8,9 nel 2005. Una corsa che non si arresta nemmeno nel 2006, quando il centrodestra viene battuto alle politiche per la seconda volta dal centrosinistra guidato da Romano Prodi: nonostante la sconfitta, il Carroccio incassa 9,5 milioni e altri 9,6 nel 2007. Niente a confronto della cuccagna che inizierà nel 2008, quando nelle casse delle camicie verdi finiscono la bellezza di 17,1 milioni di euro.

CARROCCIO AL VERDE E’ l’effetto moltiplicatore di un decreto voluto dal governo Berlusconi in base al quale l’erogazione dei rimborsi elettorali è dovuta per tutti i 5 anni di legislatura, anche in caso discioglimento anticipato delle Camere. Proprio a partire dal 2008, quindi, i partiti iniziano a percepire un doppio rimborso, incassando contemporaneamente i ratei annuali della XV e della XVI legislatura. Nel 2009 il partito di Bossi sale così a 18,4 milioni per toccare il record storico con i 22,5 milioni del 2010. Anno in cui, sempre il governo Berlusconi, abrogherà il precedente decreto ponendo fine allo scandalo del doppio rimborso. E anche i conti della Lega ne risentiranno: 17,6 milioni nel 2011. La cuccagna finisce nel 2012 quando il governo Monti taglia il fondo per i rimborsi elettorali del 50%. Poi la spallata finale inferta dall’esecutivo di Enrico Letta che fissa al 2017 l’ultimo anno di erogazione dei rimborsi elettorali prima della definitiva scomparsa. Per il Carroccio c’è ancora tempo per incassare 8,8 milioni nel 2012 e 6,5 nel 2013. Mentre “La Padania” chiude i battenti e i dipendenti finiscono in cassa integrazione.

FINANZIAMENTI E RIMBORSI ELETTORALI ALLA LEGA NORD

(1988-2013)

1988 € 66.249,25 (128.276.429 lire)
1989 € 536.646,25 (1.039.092.041 lire)
1990 € 962.919,55 (1.864.472.246 lire)
1991 € 83.903,87 (162.460.547 lire)
1992 € 1.416.991,83 (2.743.678.776 lire)
1993 € 3.707.939,87 (7.179.572.723 lire)
1994 € 6.125.180,49 (11.860.003.225 lire)
1995 € 1.915.697,39 (3.709.307.393 lire)
1996 € 5.207.659,00 (10.083.433.932 lire)
1997 € 7.648.834,36 (14.810.208.519 lire)
1998 € 5.518.448,11 (10.685.205.533 lire)
1999 € 3.947.619,62 (7.643.657.442 lire)
2000 € 4.539.118,41 (8.788.958.807 lire)
2001 € 4.511.422,19 (8.735.332.610)
2002 € 3.693.849,60
2003 € 4.284.061,62
2004 € 6.515.891,41
2005 € 8.918.628,37
2006 € 9.533.054,95
2007 € 9.605.470,43
2008 € 17.184.833,91
2009 € 18.498.092,86
2010 € 22.506.486.93
2011 € 17.613.520,09
2012 € 8.884.218,85
2013 € 6.534.643,57

TOTALE 179.961.382,78

“Sono degli stronzi”

Le-Pen-SalviniA proposito di differenze abissali tra destre e destre vale la pena riportare un passaggio dell’intervista a Wallerand de Saint-Juste, capolista del Front National per le prossime elezioni per la regione parigina, avvocato di Jean-Marie Le Pen, tesoriere del partito e cattolico tradizionalista (che però ha deciso di non schierarsi contro i matrimoni gay):

Conoscete la Lega Nord?
Poco. Siamo due partiti diversi e ognuno fa la sua campagna nel suo Paese. Noi diciamo ai musulmani: voi siete francesi come gli altri e dovete rispettare le regole della laicità, e se farete così tutto andrà meglio. Ma non dobbiamo fare alcuna confusione tra l’Islam radicale dei terroristi e la maggioranza dei musulmani. Quelli che dicono il contrario sono degli stronzi.

Il leader della Lega Nord ha detto che i pacifisti sono complici dei terroristi. Un deputato ha aggiunto: “Chi mi parla dell’Islam moderato lo prendo a calci in culo” e il giornale “Libero” il giorno dopo gli attacchi ha titolato: “Bastardi islamici”.
Dichiarazioni simili in Francia? Non sarebbero possibili. Noi politici abbiamo una responsabilità e non possiamo esprimerci così. Nemmeno di fronte agli assassini. Mai. Non vale la pena. E’ chiaro che i giovani in Francia sono pieni di rabbia e gli animi sono molto tesi. Ma la funzione dei partiti è quella di canalizzare questo tipo di sentimento. Noi permettiamo alle persone di esprimersi democraticamente.

Caro pensionato di Vaprio d’Adda, tu sei solo la pistola del loro far west

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Ognuno ha nel cuore la speranza di diventare un simbolo o una celebrità (anche solo per qualche giorno) con tutta la vanità di chi vive in un Paese in cui l’anonimato è considerato una colpa o una gabbia da cui riscattarsi: è in televisione, caro Francesco, c’è davvero lei dentro quella scatola che le ha instillato per bene sotto pelle tutto il cattivismo bullo che oggi si ritrova a rappresentare, celebrato dai fomentatori della paura che esultano per avere trovato un pollo così pollo da prendersi la briga di indossare i panni dell’iperbole, credendosi legittimo. Caro Sicignano, lei è la cartuccia consumabile del gioco sporco di chi fabbrica mostri, lei è la vittima di chi ha trovato una pistola da esibire ovunque senza bisogno nemmeno di un’arma perché è lei la pistola di questa storia: lei è l’indicibile a forma di tranquillizzante pensionato, lei è un errore che diventa potabile per quella sua faccia così splendidamente contrita e arrabbiata. Sappia, signor Sicignano, che arriverà presto il tempo in cui avrà esaurito la sua forza propulsiva per essere notizia e tornerà ad essere un cittadino processato per omicidio, lasciato solo dentro i fili di un processo, tradito come si è sentito tradito fino adesso ma senza più cartucce da sparare. Finirà, signor Sicignano, anche lei abbandonato sulla spiaggia come i suoi nemici “immaginari” che sono gli stessi scarti di un consumismo politico che ha bisogno di casi umani essendo incapace di elaborare delle idee.

continua su: http://www.fanpage.it/caro-pensionato-di-vaprio-d-adda-tu-sei-l-arma/

Se siamo incazzati abbiamo già perso

salvini-e-piciernoIo nel mio piccolo (che è proprio piccolo: non più lungo della distanza tra me e la tastiera) credo che l’astio sia perdente. Capiamoci: siamo pieni di amministratori incapaci (ai più alti gradi) e servi servili, per carità. Però comincio a convincermi che accettare la sfida dei volumi e degli spigoli (tipo rispondere con una parolaccia o una presa per il culo più efficace degli altri) sia una guerra tra poveri, tra circensi che si aizzano solo con l’odore del sangue e hanno bisogno di parole appuntite non riuscendo a temperare piuttosto i concetti.

E quindi ecco che quotidiani stimabilissimi (ovviamente in relazione alla bassa qualità della nostra informazione) si inventano editorialisti travaglini (nel senso che vivono il travaglio di non essere Travaglio) come nuovi intellettuali mentre appaiono come pulcini ancora bagnati. Io voto il movimento di quelli che vincono per la giustezza delle idee e me ne frego della sapidità delle battute. E quindi ogni tanto temo di non poter votare nessuno. Ecco qui.

La bufala degli immigrati negli alberghi (ovvero l’ennesima puntata sulle bugie di Salvini)

Schermata-06-2457190-alle-10.44.08Oggi essere buoni è una nuova forma di resistenza. In tempo di machismo che ha sdoganato bugiardi, stupidi e razzisti circolano delle bugie costruite ad arte per toccare la pancia degli indignati a tutti i costi che scaricano spesso i propri fallimenti sociali su un nemico qualsiasi. Il Post, per fortuna, ha smontato una volta per tutte la favola degli hotel di lusso che accoglierebbero i migranti secondo la fantasia popolare leghista:

Il sistema di accoglienza in Italia è articolato e complicato, e non è molto chiaro a quali strutture faccia direttamente riferimento Salvini quando parla di “hotel di lusso”. Sul sito del ministero dell’Interno si dice:

«i cittadini stranieri entrati in modo irregolare in Italia sono accolti nei centri per l’immigrazione dove ricevono assistenza, vengono identificati e trattenuti in vista dell’espulsione oppure, nel caso di richiedenti protezione internazionale, per le procedure di accertamento dei relativi requisiti».

Queste strutture si dividono in: centri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa), centri di accoglienza (Cda), centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e centri di identificazione ed espulsione (Cie).

I Cpsa accolgono i migranti al momento del loro arrivo in Italia. Qui vengono fornite le prime cure mediche necessarie, vengono fotosegnalati, possono richiedere la protezione internazionale e poi, a seconda della loro condizione, vengono trasferiti nelle altre tipologie di centri. I centri di accoglienza (Cda), dice il ministero, «garantiscono prima accoglienza allo straniero rintracciato sul territorio nazionale per il tempo necessario alla sua identificazione e all’accertamento sulla regolarità della sua permanenza in Italia». Chi richiede la protezione internazionale viene invece inviato nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), per l’identificazione e l’avvio delle procedure necessarie. Chi non fa richiesta di protezione internazionale o non ne ha i requisiti viene trattenuto infine nei centri di identificazione ed espulsione (Cie). Va precisato che queste stesse strutture, per le quali è fissata per legge una durata massima di permanenza, vengono invece utilizzate anche come centri di accoglienza di lunga durata.

Parallelamente a queste strutture ci sono i centri del cosiddetto Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) per i richiedenti asilo, rifugiati e destinatari di protezione sussidiaria. Lo Sprar è stato istituito nel 2002 in seguito a un accordo stipulato dal ministero dell’Interno, dall’ANCI e dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (UNHCR), che hanno cercato di mettere ordine nei programmi di accoglienza in precedenza gestiti a livello locale. Il ministero dell’Interno emana periodicamente un bando per l’assegnazione dei posti, gli enti locali interessati – con le organizzazioni del terzo settore selezionate a livello locale – partecipano al bando e i progetti vengono approvati se “idonei” in base a una serie di parametri piuttosto rigidi. In pratica, enti locali e associazioni mettono a disposizione dei posti letto e lo Stato sceglie di quali usufruire attraverso un bando, che tiene conto dei costi e di altri criteri. Secondo i dati del ministero dell’Interno i posti finanziati per gli anni 2014-2016 sono 20.744: tra questi rientrano anche, tra le varie strutture, alcuni alberghi. Nella grandissima parte dei casi, stando alle informazioni disponibili, si tratta di strutture distanti dagli hotel in cui si passano le vacanze (tanto che i loro gestori hanno deciso di destinarle allo Sprar invece che al pubblico): ma vengono considerate comunque tra le migliori e più adeguate sistemazioni che lo Stato oggi possa mettere a disposizione di chi richiede asilo e protezione.

C’è infine un ultimo tipo di centri. Nel tempo sono nate infatti altre strutture per l’accoglienza in contesti “straordinari” che hanno assunto via via nomi differenti: ci sono stati i centri Ena per far fronte alla cosiddetta “emergenza nord-Africa” nel 2011 o, in anni più recenti, i Cas (Centri di accoglienza straordinari). Di volta in volta si è dato mandato alle prefetture di trovare strutture per l’accoglienza: palestre, alberghi, appartamenti, B&B e altri posti sparsi in tutta Italia e gestiti da cooperative, associazioni e soggetti del terzo settore.

Queste strutture “informali”, nate a fronte di un’emergenza, vengono messe a disposizione per un’accoglienza che si limita a garantire il vitto e l’alloggio e sono state molto criticate: ma non perché si tratti di strutture lussuose, bensì in molti casi per il motivo opposto. Nonostante queste strutture siano state “attivate” per un’accoglienza di emergenza, e dunque si presume di breve durata, diventano in molti casi posti in cui i richiedenti asilo trascorrono settimane senza che siano garantiti loro servizi fondamentali, come quello per esempio dell’assistenza sanitaria e legale. In molti casi, poi, si tratta di strutture inadeguate: il Tropicana, un vecchio night club a Ragusa, ne è un esempio. In questo video di Al Jazeera si vede chiaramente che non si tratta di un albergo di lusso

L’articolo completo è qui.

 

Lombardia: l’ombra della ‘ndrangheta (e una condanna) sull’ex consigliere regionale leghista. E nessuno se n’è accorto.

BS05F1_3085144F1_18493_20121214214247_HE10_20121215-042Per fortuna a Brescia ci sono i ragazzi della Rete Antimafia di Brescia. Per fortuna, davvero. Perché un ex consigliere regionale della Lega Nord, Enio Moretti, suo fratello e i fratelli Rocco e Vincenzo Natale (che compaiono in più di un documento investigativo come vicini ad ambienti ‘ndranghetisti) sono stati condannati per un sistema illegale basato sull’emissione di fatture gonfiate (milionarie) e crediti d’imposta inesistenti utilizzati da una galassia di società satellite per pagare in modo illecito i contributi dei dipendenti tramite compensazione. E però l’hanno scritto in pochi. Tranne loro. Eppure sarebbe facile chiedere all’antimafioso Maroni e all’integerrimo Salvini come mai ancora una volta la Lega si ritrova vicino alla ‘ndrangheta così lontana dalla Padania che ci raccontano.

Come scrive bene la Rete Antimafia nel suo sito:

Nel più totale silenzio da parte dei media cittadini proseguono le udienze del processo nato dall’indagine “Lupo” e che vede alla sbarra l’ex Consigliere Regionale leghista Enio Moretti, suo fratello e, fra gli altri, i fratelli calabresi Rocco e Vincenzo Natale.
Un processo che sta mettendo in luce un intricato intreccio di rapporti tra l’ esponente della Lega Nord bresciana ed i due fratelli Natale, già noti alle cronache per le loro frequentazioni nel mondo della criminalità organizzata calabrese.
Molto interessante l’udienza odierna, durante la quale abbiamo potuto ascoltare le parole del Luogotenente della compagnia di Chiari della GdF Antonio Romano, coordinatore delle indagini.
Per un approfondimento sul dibattimento vi rimandiamo alla prossima edizione del settimanale “Chiari Week” (unico organo di stampa presente oggi in Aula) in edicola venerdì, quello su cui invece vogliamo focalizzarci ora è la totale mancanza di attenzione da parte dei media bresciani.
Fa specie, molta specie, constatare come un processo che vede coimputati un esponente di livello della Lega (oltre che ex Consigliere Regionale Moretti era il segretario della sezione clarense e membro dello Staff dell’ex Senatore ed ex Sindaco di Chiari Sandro Mazzatorta) e due fratelli calabresi in odore di ndrangheta non desti interesse nelle redazioni dei quotidiani cittadini.
Non possiamo non essere critici nei confronti di un’informazione che non informa, perchè questa carenza, ormai cronica, è stata in parte responsabile dell’avvento silenzioso della criminalità organizzata sul nostro territorio.
Per combattere la mafia è necessaria una presa di coscienza da parte dei nostri concittadini, ed in questo i media hanno un ruolo fondamentale: se non funzionano loro non possiamo funzionare neanche noi.
Per questo motivo auspichiamo che il processo venga seguito con interesse ed attenzione da tutti i giornali cittadini.

In nome della scuola privata citano Gramsci a casaccio

scuole-privateQuarantaquattro tra deputati e senatori dei gruppi del Pd (trentadue), di Area popolare (cinque), di Per l’Italia-Cd (cinque), di Scelta civica (uno) e di Lega Nord e autonomie (uno) scrivono una lunga lettera a Matteo Renzi, oggi sulle pagine di Avvenire, perché nel «Piano per la buona scuola» che il governo si appresta a portare in Parlamento vi siano misure di sostegno economico alla scuola privata, rammentandogli che fanno parte della maggioranza che sostiene il governo e producendo gli argomenti, i soliti, che fin qui sono bastati ad eludere l’art. 33 della Costituzione, laddove esso recita che «enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, [ma] senza oneri per lo Stato».
Non c’è dubbio che analoga iniziativa sarà presa anche da un nutrito numero di parlamentari del centrodestra, e che gli argomenti saranno identici, non escluso quello usato ogni volta che al governo c’è una coalizione almeno nominalmente di centrosinistra, e che torna anche in questa lettera, preso di peso da un articolo di Antonio Gramsci, pubblicato su Il Grido del Popolo il 14 settembre 1918, come ad ingiungere di onorare la fedeltà ad una prestigiosa tradizione culturale e politica: «Noi socialisti – scriveva Antonio Gramsci – dobbiamo essere propugnatori della scuola libera, della scuola lasciata all’iniziativa privata e ai comuni. La libertà nella scuola [è possibile solo se la scuola] è indipendente dal controllo dello Stato» (tra parentesi quanto è tagliato nella lettera pubblicata su Avvenire).
Orbene, occorre far presente che di denaro pubblico in favore di questa libertà non v’è traccia, né in questo passaggio, né nel resto dell’articolo. Anzi, a dire il vero, quanto precede il brano citato dagli appellanti chiarisce il contesto dal quale è estrapolata l’affermazione di Antonio Gramsci, dandole il suo corretto significato: «Ferve nei giornali e nelle riviste cattoliche la discussione sulla scuola libera. I cattolici propugnano l’abolizione del monopolio di stato sulla scuola, perché sperano che il monopolio passi nelle loro mani. Noi crediamo che i cattolici sbaglino nel fare i conti: è vero che i preti, in quanto godono di uno stipendio e hanno tutta la giornata libera, si troverebbero in condizione di partenza privilegiata nel gioco della concorrenza. Ma appunto il pericolo di un assorbimento dell’attività scolastica da parte dei cattolici metterebbe automaticamente in discussione il problema del fondo culti e porterebbe all’abolizione di questo istituto feudale».
Niente denaro pubblico alle scuole private, dunque, ma addirittura necessità di mettere in discussione l’erogazione dei fondi che per altre ragioni lo stato concede al clero, ad evitare che tale privilegio lo possa avvantaggiare in una concorrenza che altrimenti sarebbe sleale. E tuttavia è probabile che Matteo Renzi accoglierà gli argomenti degli appellanti e tra tutti troverà che quello più forte, almeno sul piano della comunicazione ai gonzi di cui si parlava nel post qui sotto, sia proprio quello di Antonio Gramsci, dai firmatari della lettera usato in modo mistificatorio, ma da Matteo Renzi riusato per mera ignoranza. A stento avrà letto il Manuale delle Giovani Marmotte, figuriamoci gli scritti di Antonio Gramsci.
(grazie a Malvino: fonte)

A proposito di #Salvini: Left di questa settimana, da sabato in edicola.

B-yIBw6WwAAG_h5.jpg:largeQUANDO SONO DIVENTATO NERO

Intervista all’ex nazionale francese Lilian Thuram, autore del libro Per l’Uguaglianza
di Dario Giordo

TUTTI SUL CARROCCIO
La Lega Nord sbarca al Sud: e raccoglie i consensi della destra.
di Tiziana Barillà

XENOFOBI IN SCENA
MatteoSalvini si prepara alla manifestazione nella “Roma ladrona” del suo predecessore.
di Raffaele Lupoli

SECESSIONE ADDIO
L’apertura al Sud crea scompiglio alla Lega Nord.
di Giulio Cavalli

speciale
OLTRE GLI OPG LA NEBBIA
I nodi da sciogliere alla vigilia della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari.
di Donatella Coccoli

inchiesta
ROMPICAVO
Cosa c’è dietro alla nevicata che ha bloccato l’Emilia-Romagna? Da Terna spa più dubbi che risposte.
di Sarah Buono e Ilaria Giupponi

usa
I “GUFI” DI OBAMA
Kelton e Galbraight. Ecco chi c’è dietro la strategia anti crisi.
di Stefano Santachiara

egitto
IL GENDARME DEL MEDITERRANEO
Dal Cairo il presidente al Sisi muove le sue truppe contro lo jihaidismo.
di Umberto De Giovannangeli

libia
PERCHÉ I LIBICI CI ODIANO
Crimini di guerra, crociate contro gli arabi e deportazioni. Le imprese italiane in Libia.
di Matteo Marchetti

israele
AL VOTO SULLA SHOAH
Netanyahu usa l’Olocausto per conquistare voti.
di Umberto De Giovannangeli

patrimonio sos
LUPI DI TOSCANA
A rischio il Piano paesistico della Toscana. La denuncia di Settis e Montanari.
di Simona Maggiorelli

fotografia
IL MESTIERE DI FOTOGRAFO
Michele Palazzi ha vinto il Wpp Award con un progetto sulla Mongolia.
di Filippo Trojano

il ricordo
IL MIO MAESTRO SEVERISSIMO
Giulio Cavalli racconta Luca Ronconi.
di Giulio Cavalli

musica
CRESCIUTA A PANE E SPARTITI
Parla la giovane direttrice d’orchestra Carolina Bubbico.
di Diletta Parlangeli

L’ex terrorista (ora fascioleghista) della Lega Nord

Domenico Magnetta ai microfoni di Radio Padana
Domenico Magnetta ai microfoni di Radio Padania

Chi è l’uomo nero della Lega Nord amico di Massimo Carminati e Flavio Tosi Domenico Magnetta ai microfoni di Radio Padania
Dal boss di Mafia Capitale alla Lega Nord. Dal nero degli anni di piombo al più sfumato verde Carroccio. Dalla guerra allo Stato alle battaglie degli artigiani vessati da Equitalia. È la parabola di Domenico Magnetta, passato negli anni Ottanta attraverso rapine, armi ed eversione di estrema destra ed ora “fascioleghista” con tanto di trasmissione radiofonica sulle frequenze di “Radio Padania Libera”.

Cinquantasette anni, nato in provincia di Foggia ma trapiantato a Milano, oggi si è riciclato come gran capo di “P.i.u.”, l’associazione di professionisti e imprenditori uniti nata vent’anni fa per volere di Umberto Bossi e Roberto Maroni. Così, l’uomo nero della Lega Nord è diventato la voce nell’etere dei piccoli commercianti arrabbiati contro la burocrazia ingiusta, e dispensa consigli tutti i lunedì, ascoltando le storie di piccole e grandi ingiustizie.

Apre le telefonate con le invettive contro Equitalia, le cartelle esattoriali e poi alzando il tiro contro tutti i migranti. «Ci stanno togliendo anche le lacrime a noi lavoratori autonomi», tuonava Magnetta ai microfoni aperti nella puntata dello scorso 31 dicembre.

La passione politica però non è mai scemata ed eccolo rispuntare a fianco del sindaco di Verona, Flavio Tosi. L’occasione è il raduno degli ex camerati sulle sponde dell’Adige: sabato 7 febbraio si ritrovano all’Hotel Leon d’Oro per l’assemblea di “Progetto nazionale”, laboratorio politico degli orfani del defunto partito Movimento sociale italiano di Giorgio Almirante e diventato braccio operativo di Tosi. In platea per la giornata di idee e dibattiti intitolata “La destra che verrà” ci sono lo scrittore giornalista de “Il Foglio”, Pietrangele o Buttafuoco, il fondatore de “La Destra” e presidente dell’antimafia siciliana, Nello Musumeci, il capogruppo del Carroccio al Senato, Gian Marco Centinaio, e un manipolo di vecchi missini, nomi storici della destra sociale e sopratutto ex skinhead diventati uomini di fiducia del sindaco.

Un’alleanza “verde-nero” che ha dato i suoi frutti: alle ultime elezioni per la guida della città (nel 2012) il leghista Tosi è stato rieletto con il 57 per cento delle preferenze, spinto dalla sua lista civica infarcita di ex fascisti.
Tre anni dopo, Tosi alza il tiro; e l’obiettivo dichiarato del raduno del 7 febbraio è quello di scalare il centrodestra e provare a contendere la leadership del segretario leghista Matteo Salvini.

Per un’impresa del genere servono gli uomini giusti e una ramificazione nazionale: finora sono circa un migliaio gli ex camerati reclutati e per l’importante piazza di Milano vengono scelti l’ex tesoriere dei Nuclei armati per la rivoluzione (Nar), Pasquale “Lino” Guaglianone, e il suo delfino Domenico (detto Mimmo) Magnetta. Entrambi presenti in prima fila nell’incontro di Verona.

Un pedigree da duri e puri che non dispiace a Tosi: Guaglianone è stato condannato a cinque anni per la sua appartenenza ai Nar fondati da Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Franco Anselmi e Alessandro Alibrandi, i terroristi italiani d’ispirazione neofascista che alla fine degli anni Settanta firmano trentatré omicidi e nel 1980 la strage alla stazione di Bologna, costata la vita a ottantacinque persone. Oggi però l’ex estremista è un affermato commercialista che sa muoversi bene negli ambienti che contano nella borghesia milanese fatta di avvocati, notai e lobbisti. Grazie all’appoggio dell’ex ministro della Difesa, Ignazio La Russa, nel 2009 è stato nominato nel consiglio di amministrazione di Ferrovie Nord, la controllata della Regione Lombardia che gestisce le linee locali, e presidente del collegio sindacale di Fiera Milano congressi.

Magnetta, invece, non ha poltrone. Il suo è un curriculum di manovalanza. Ma sempre dura e pura, tanto che muove i primi passi insieme al boss di “Mafia Capitale” Massimo Carminati. È infatti in una notte di aprile del 1981 che il futuro re della piramide criminale romana cerca di scappare all’estero con 25 milioni di lire, diamanti e documenti falsi. Ha ventitré anni ma è già un militante dei Nar, invischiato nella malavita di Roma e ricercato per azione sovversiva e banda armata. A Magnetta, di un solo anno più vecchio, i camerati milanesi affidano il delicato incarico di accompagnarlo oltreconfine, passando dalla frontiera di Gaggiolo, in provincia di Varese. Dove li aspetta la polizia, messa sulla pista giusta da una soffiata.

I due incappano nel posto di blocco e una raffica di proiettili degli agenti stoppa ogni tentativo di fuga. Carminati viene colpito all’occhio e finisce in ospedale. Primo arresto e prima ferita, quella che gli vale il soprannome di “Er Cecato”. Magnetta viene condannato per favoreggiamento, ma la sua carriera criminale già vanta un ricco curriculum: furto, ricettazione, rapina, detenzione illegale di armi, fino al sequestro di persona.

Negli anni successivi, mentre Carminati diventa il “Nero” della Banda della Magliana, lui incappa nella storiaccia brutta del presunto attentato al magistrato milanese antimafia Gianni Griguolo. Accusato insieme al terrorista Mauro Addis, viene condannato a tre anni e dieci mesi dalla Corte di appello di Milano nel 1999 per detenzione abusiva di armi e ricettazione. Nel gennaio 2001 passa agli arresti domiciliari e quattro anni dopo torna in circolazione. Ed eccolo di nuovo a fare comunella con il suo mentore Guaglianone, riabilitato anche lui e candidato nella lista di Alleanza nazionale per le elezioni regionali in Lombardia.

Il seggio sfuma, ma questo non nuoce agli affari, sempre più grossi per il professionista legato a molte società calabresi e all’ex governatore regionale Giuseppe Scopelliti.

Guaglianone finisce indagato nel 2012 dalla Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria insieme ad alcuni suoi soci per lo scandalo del Carroccio e gli investimenti in Tanzania: i rimborsi elettorali del partito venivano investiti in cascate di diamanti, fiduciarie africane, banche levantine e lingotti d’oro.

Dall’inchiesta si scopre che nel suo quartier generale, l’ufficio di via Durini 14, a due passi dalla centralissima piazza milanese di San Babila, c’era una scrivania per l’ex segretario amministrativo della Lega Nord Francesco Belsito, l’uomo dei conti segreti di casa Bossi. Che da qui, accusano i magistrati, gestiva partite molto pericolose, muovendo denaro in un triangolo tra cosche, massoneria ed estremisti di destra. Le indagini non sono ancora chiuse e puntano ad accertare se di queste transazioni era a conoscenza anche il vertice della Lega.

È dalle stanze di via Durini che, nonostante le indagini della Procura calabrese, Guaglianone riparte all’attacco: prima dell’ultimo Natale organizza vari incontri con colleghi e altri professionisti allo scopo di sondare la disponibilità di appoggiare Tosi nella scalata al centrodestra. E c’è un gran via vai in via Durini 14, dove ha sede anche la società “Iniziative Belvedere srl” della quale Magnetta è amministratore e ha della quote di minoranza. Lo scopo? Compravendita di immobili.

Un trasformista questo Magnetta, prima terrorista, poi galeotto; e, nel giro di dieci anni piccolo imprenditore e paladino dell’associazione leghista che lotta contro «un fisco sempre più insostenibile e una burocrazia soffocante». Una missione che va ampliandosi, tanto che dai microfoni di Radio Padania lui si celebra: «Ultimamente mi sono intestardito nella lotta contro le banche, per tutelare i risparmiatori e spingerle a concedere prestiti e fidi».

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