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Lo schiaffo della Lega al popolo bielorusso: si astiene su Lukashenko per non scontentare Putin

Tanto tuonò che finalmente piovve. Il Parlamento Europeo “non riconosce il risultato delle elezioni presidenziali tenute in Bielorussia il 9 agosto” perché portate avanti “in palese violazione degli standard riconosciuti a livello internazionale” e non riconoscerà Lukashenko presidente “una volta che il suo mandato corrente sarà giunto al termine”, cioè dopo il 5 novembre. È il testo della risoluzione che è stata votata ieri con 574 sì, 37 no e 82 astensioni. La protesta bielorussa, del resto, continua a essere viva e forte in tutto il Paese e la presa di posizione dell’Europa finalmente indica una netta scelta di campo che ci si aspettava da giorni.

Ursula von Der Leyen ha detto nettamente che “i cittadini devono essere liberi di decidere il futuro da soli. Non sono pedine sulla scacchiera di qualcun altro”, rinforzano le richieste di chi chiede delle liberi elezioni che si svolgano in maniera democratica. In Bielorussa continua a essere detenuta Maria Kolesnikova, che aveva strappato il proprio passaporto per evitare di essere deportata in Ucraina. Del resto il senso dell’Europa è tutto qui (quando funziona): ciò che accade agli altri ci deve interessare, la difesa dei diritti degli altri è un nostro dovere.

Spicca, al solito, la vigliaccheria dell’astensione della Lega di Matteo Salvini, che per non scontentare il suo amico Putin invece ha deciso di non decidere, come spesso gli accade quando c’è da difendere qualche prepotente del mondo. Ed è il solito Salvini che mostra un’irrefrenabile affetto per i tiranni, per l’amore dei “pieni poteri” che non sempre vengono esercitati secondo le regole. Lo fa con Orban (in numerosi occasioni la Lega in Europa si è schierata in difesa del dittatore ungherese) e continua con Lukashenko. Ed è un segnale politico che deve essere preso terribilmente sul serio perché dimostra un certo modo di intendere il potere che non è di destra o di sinistra (il partito di Giorgia Meloni ha votato compatta per la risoluzione) e perché ancora una volta rinsalda l’asse delle personalità peggiori del mondo.

In tutto questo, ovviamente, non è nemmeno stata data una giustificazione politica dalla Lega. Silenzio e petto in fuori. E se è vero che un politico si giudica dalle sue frequentazioni allora il quadro è chiaro, chiarissimo e sconfortante. L’aggressione per politica, per qualcuno, continua a essere una modalità di governo. E tutto questo è assolutamente inaccettabile.

Leggi anche: 1. “Torturato da forze russe pro-Lukashenko in un campo di concentramento”: la denuncia di un attivista bielorusso a TPI / 2. Bielorussia, la dissidente Tarasevich a TPI: “Lukashenko usa il Covid per violare i diritti umani. Vuole annetterci alla Russia” / 3. Quei ragazzi che (grazie a Internet) possono svegliare la Bielorussia dalla dittatura dopo 30 anni

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Castra la Casta

Il governo del fare ha risolto tutti i nostri problemi. Finalmente. C’è voluto tempo ma hanno trovato finalmente la soluzione a tutti i nostri mali. Per risollevare il Paese bastava tagliare i parlamentari. E in effetti il risparmio è notevole e ora davvero le casse dello Stato possono stare tranquille: parliamo dello 0,0000258% del Pil nazionale. Su uno stipendio di mille euro da domani tutti avranno in tasca 2 euro e 58 centesimi in più. Si prevedono ingenti investimenti e un appuntito rilancio dei consumi e delle assunzioni. Era ora.

Certo ora rimane semplicemente da studiare una riforma elettorale che garantisca la rappresentatività di tutti i cittadini, di tutte le zone d’Italia. Bisogna semplicemente ridisegnare l’architettura parlamentare perché tutte le opinioni possano avere la possibilità di avere voce. Ma è una cosa da poco: questi hanno dimostrato di essere dei geni di leggi elettorali e di contrappesi democratici. Niente di cui preoccuparsi, quindi.

Poi ci sarebbe da capire come assicurare le pensioni a una generazione che le vede come una chimera, senza mandare in fallimento lo Stato. Ma ci penseremo con calma.

C’è da ristrutturare il mondo della scuola che chiede la carta igienica da casa. Ma con due euro in tasca in più per ognuno di noi vedrete che in giro si troverà qualche buona offerta.

Ci sarebbe da rimpinguare una sanità pubblica ormai allo sbando e senza abbastanza medici per coprire il fabbisogno futuro. Ma vuoi mettere la soddisfazione di ammalarti con il Parlamento dimezzato?

Ci sarebbe anche da discutere del fatto che di questo passo nel pianeta Terra non ci sarà più il clima per avere un Parlamento. Ma non ha senso inseguire gli allarmi della scienza. Dai, su.

Ci sarebbe anche un mondo del lavoro che diventa sempre più stretto, sempre più povero e sempre assassino. Ma non è elegante parlare di soldi, no.

Comunque abbiamo risparmiato 2 euro a testa. Per chi dice che l’importante è iniziare da qualche parte: vero, tipo dimezzare gli stipendi dei parlamentari, ad esempio solo per non citare corruzione, mafie, malaffare e evasione fiscale delle multinazionali, che diventa troppo complicato.

Solo che di questi argomenti non è il caso di parlarne ora che c’è in ballo il referendum. La soddisfazione di colpire la casta è un’occasione imperdibile, e chi ce lo dice? Loro, loro stessi. Come se ammettessero di essere in troppi troppo incapaci e chiedessero a noi di intervenire riducendo il coefficiente di probabilità che vengano eletti degli idioti. Qualcuno potrebbe sommessamente fare notare che dovrebbero essere loro, quelli che ci dicono sì, a occuparsi di selezione della classe dirigente. Ma è un discorso troppo lungo, troppo difficile, troppo da professoroni.

E allora via: un bel referendum per tagliare il Parlamento e al resto ci penseremo dopo. Un po’ come quelli che tolgono l’ascensore prima di avere pensato di costruire le scale. Ma vuoi mettere che risparmio, non avere l’ascensore.

Noi qui a Left abbiamo provato a fare un po’ di chiarezza con un ebook che trovate qui.

Buon mercoledì.

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La classe dirigente sommersa

Insegnanti, bidelli, autisti dei mezzi pubblici. La pandemia ha evidenziato l’importanza del ruolo pubblico di questi ed altri lavoratori. E la loro responsabilità nel dettare la crescita sociale del Paese che verrà

Primo giorno di scuola in buona parte d’Italia. Fioccano i commenti, le interviste a volte un po’ leziose a genitori e ai ragazzi, si moltiplicano i racconti e accade che moltissime scuole in Italia, ancora una volta, si siano arrangiate e abbiano fatto i salti mortali per applicare regole incerte (e piuttosto contestabili) e protocolli che spesso rimangono lettera morta perché si scontrano con una realtà che è spesso molto diversa da quella discussa in certi ambienti ministeriali.

Però è stato il primo giorno di scuola e ieri, nell’aria, si respirava la speranza che la scuola riparta davvero, che un po’ di normalità possano godersela anche i nostri figli, quei giovani che per mesi sono scomparsi dal radar dell’informazione per tornarci solo qualche settimana nella veste degli untori.

Però il primo giorno di scuola ci racconta ancora una volta qualcosa che sembra difficile raccontare: gli insegnanti, gli operatori della scuola, chi si occupa degli spostamenti dei nostri ragazzi, chi si occupa della loro sicurezza (mica solo in tempi di pandemia) e chi si occupa della loro istruzione e della loro formazione culturale (non solo in tempo di pandemia) sono classe dirigente di questo Paese, nel seno pieno del termine, sono quelli che hanno la responsabilità di dettare la crescita sociale (e politica e economica) del Paese che verrà. E ieri, complice il coronavirus, ci si è accorti che un pezzo importante delle famiglie sta negli istituti scolastici, quei palazzotti spesso decadenti a cui si fa sempre troppo poco caso.

Ricordo quando uno dei miei figli andò al suo primo giorno di scuola, lo ricordo perfettamente. Ricordo l’arrivo all’istituto, era il periodo delle minacce, della paura e della scorta e ricordo quei minuti all’ingresso mentre lo tenevo per mano, Ricordo perfettamente che un collaboratore scolastico venne fuori, da me e lui e i carabinieri e prese per mano mio figlio per portare all’interno dell’istituto e mi ricordo di avere pensato che quell’uomo in quel momento era il più importante rappresentante dello Stato che interveniva nella mia vita, una responsabilità enorme. E avrei voluto dirglielo.

Il punto è questo e non vale solo per la scuola: ci ritroviamo nelle nostre funzioni e nelle nostre professioni a avere responsabilità da classe dirigente e non ce ne rendiamo conto, abbiamo un importante ruolo pubblico, ognuno nel suo mestiere e se ce ne assumessimo l’orgoglio e le responsabilità questo sarebbe un Paese sicuramente più solidale e più unito. E la smetteremmo di delegare, e vedremmo anche quanta orgogliosa responsabilità c’è intorno. Nonostante certa classe dirigente.

Buon martedì.

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I bus per i negri

L’Alabama del Novecento in Val Brembana.
I leghisti hanno chiesto al prefetto di Bergamo che i richiedenti asilo prendano i mezzi pubblici in orari diversi rispetto agli studenti

Sembra una storia piccola, di provincia, che non meriterebbe nemmeno un commento e invece è la fotografia di qualcosa che si spande, che ogni giorno diventa sempre più normale, che addirittura non scandalizza e trova perfino consenso.

L’Alabama del secolo scorso si è trasferito in Val Brembana, amena valle nella provincia bergamasca, qui una folta truppa di leghisti ha deciso di andare in spedizione, con la scanzonata andatura di un’armata Brancaleone e con musichetta comica al seguito, dal Prefetto di Bergamo Enirco Ricci. Per dare peso all’importanza e alla sostanza della richiesta hanno pensato bene di partecipare anche due parlamentari della Lega, Daniele Belotti e Alberto Ribolla, tanto per farci capire che non si tratta di un inciampo di qualche piccolo e sconosciuto amministratore locale ma qui siamo di fronte a un’ideologia di partito che viene sfoggiata pure con una certa fierezza.

La combriccola ha chiesto al Prefetto di Bergamo che i “richiedenti asilo” (chiamati proprio così nel messaggio ufficiale, virgolettati come si virgolettano i diversi) prendano i mezzi pubblici in orari diversi rispetto agli studenti del mattino e forse, ancora meglio, che venga predisposto un servizio di trasporto appositamente per loro. Il bus per i bambini bianchi e il bus per i negri.

Il bravo Matteo Pucciarelli di Repubblica, che ha raccontato la vicenda, riporta anche le parole del dirigente locale della Lega, tal Enzo Galizzi che dice testualmente che i migranti “spintonando e sgomitando” e “vista la loro stazza”, “occupano tutti i posti disponibili” non permettendo agli studenti di rientrare a casa.

Nella richiesta, se ci pensate bene, c’è tutta l’inversione della propaganda leghista: piuttosto che brigare e lavorare per chiedere un servizio pubblico più efficiente (di cui è proprio la Lega la responsabile politica, da quelle parti) si preferisce agire per sottrazione ovviamente schiacciando il piede sulla xenofobia. E così, in nome di un’oggettiva difficoltà (quello del trasporto pubblico, segnatelo, sarà uno dei grandi problemi del rientro al lavoro) si riesce ancora una volta a dare sfogo alle proprie bassezze.

Del resto il leader attuale della Lega era lo stesso ridicolo consigliere comunale a Milano che nel 2009 propose di istituire delle carrozze della metropolitana solo per i milanesi per evitare contaminazioni con gli stranieri. Ai tempi quel giovane provocatore Matteo Salvini venne preso come un innocuo agitatore di proposte improbabili. Poi è andata a finire come sta finendo.

Buon lunedì.

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Non c’è un giudice a Strasburgo?

Tocca parlare ancora di Turchia, perché i diritti sono sempre quelli degli altri e perché la finta contrizione per la morte di Ebru Timtik sembra non avere insegnato nulla, niente.

L’avvocato Aytaç Ünsal, collega di Ebru Timtik e anche lui al suo 214° giorno di sciopero della fame, anche lui condannato per terrorismo e ovviamente sottoposto a un processo farsa, ha rischiato di fare la stessa fine della sua collega e di altri che in questi mesi stanno protestando contro il governo di Erdogan e che sono accusati in modo strumentale per essere messo fuori gioco.

Nelle scorse ore, fortunatamente, la Corte di Cassazione di Ankara ha deciso la sua immediata scarcerazione per motivi di salute. I giudici hanno stabilito che l’avvocato 32enne debba essere “immediatamente liberato” a causa del “pericolo che rappresenta per la sua vita la permanenza in prigione”. Nei giorni scorsi, i sanitari avevano lanciato l’allarme sul deterioramento delle sue condizioni di salute.

Ma solamente due giorni fa, il 2 settembre, la Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) aveva bocciato il ricorso per la scarcerazione di Ünsal confermando la decisione della Corte costituzionale turca dello scorso 14 agosto. E già questo dovrebbe porre delle domande poiché giuristi di tutta Europa stavano sottolineando l’iniquità della giustizia turca nei confronti degli avvocati. Giusto per capire a che punto siamo arrivati basti pensare che il ministro dell’Interno, Süleyman Soylu, ha definito una «terrorista» l’avvocata morta, e ha denunciato l’ordine degli avvocati di Istanbul per averla commemorata. In Turchia sono vietate anche le lacrime.

Ma non è tutto, no: il presidente della Cedu, Robert Spano, è in questi giorni in Turchia per ricevere una Laurea Honoris Causa in Giurisprudenza a Istanbul e poi tenere, ad Ankara, una Lectio Magistralis presso l’Accademia di Giustizia turca. L’Università statale di Istanbul è stata al centro di una massiccia epurazione dopo il fallito “colpo di Stato” del 2016: furono licenziati 192 accademici. Quell’università è il simbolo dell’opera di pulizia da parte di Erdogan e che un giudice super partes decida di esserne ospite accende più di qualche dubbio.

Lo scrittore Mehmet Altan ha scritto a Spano: «Non so come si possa essere fieri di essere membri onorari di una università che condanna alla disoccupazione, alla povertà e al carcere centinaia di docenti solo per il loro pensiero e i loro scritti». Altan è un accademico di fama mondiale ed era stato espulso da quella università per le sue idee e fu tra i primi intellettuali arrestati nella repressione post-golpe. L’accusa, tanto per chiarire di cosa stiamo parlando, sarebbe quella di avere mandato “messaggi subliminali” durante un programma televisivo. Altan è stato poi prosciolto ma non è mai stato reintegrato all’università, marchiato come traditore.

In tutta la Turchia pendono qualcosa come 60mila richieste di reintegro da parte di lavoratori che hanno perso il proprio lavoro per le loro idee politiche. E sapete chi vaglierà quelle richieste? Robert Spano, quello che in questi giorni è in gita d’onore proprio in Turchia.

E questo per oggi è tutto.

Buon venerdì.

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Caso Navalny: la lezione della Merkel al mondo e l’imbarazzante silenzio del Governo italiano

Che brutto silenzio che tira dalle parti del governo italiano sulla vicenda di Alexei Navalny, l’oppositore russo di Putin che secondo gli esperti militati tedeschi sarebbe stato avvelenato da Novichok, un veleno che vale come una firma e che è legato alla storia della Russia quando ancora era Unione Sovietica. Il governo tedesco (che dopo un lungo tira e molla è riuscito a fare trasferire Navalny in Germania) ha confermato “senza alcun dubbio” che il leader dell’opposizione russa è stato avvelenato e Angela Merkel ha usato parole durissime: “È chiaro che Navalny è vittima di un crimine ed è stato messo a tacere”, ha detto, condannando con “la massima fermezza possibile” quanto accaduto e auspicando “una reazione congiunta appropriata” nei confronti della Russia in accordo con Nato e Unione Europea.

Sempre a proposito di reazioni, leggetevi le parole della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: “Un atto spregevole e codardo. I responsabili devono essere assicurati alla giustizia”. Addirittura anche la Casa Bianca parla di “riprovevole avvelenamento” senza dubbi. Una bella fetta di mondo insomma parla, prende posizione, critica, accusa, pretende spiegazioni e richiama il presidente Putin alle sue responsabilità chiedendo che venga fatta il prima possibile luce sull’accaduto. Da lontano, flebile, arriva invece la voce del governo italiano: l’unica nota ufficiale sta malinconicamente scritta in cinque righe sul sito del ministero degli Esteri, in cui si esprime “profonda inquietudine ed indignazione” e si chiede “che la Federazione Russa chiarisca con rapidità e trasparenza le responsabilità dell’accaduto”.

Avete visto una dura presa di posizione del ministro Luigi Di Maio? Qualche frase di circostanza, obbligatoria, e poco altro. Per non parlare del centrodestra, che con Putin gozzoviglia da anni, che sembra non essersi nemmeno accordo dell’accaduto. Però su proposta di Di Maio, intanto l’Italia ha insignito dell’Onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine della ”Stella d’Italia” il primo ministro di Putin Mikhail Mishustin, proprio uno degli esponenti politici messo sotto accusa da Alexei Navalny per gli eccessivi guadagni non giustificati (790 milioni di rubli guadagnati dalla moglie solo negli ultimi 9 anni). Il premier Conte invece ha avuto una conversazione telefonica con Putin in cui il presidente russo aveva parlato di “inammissibilità di accuse frettolose e infondate”. E l’Italia inchinata alla Russia sembra qualcosa di più di una semplice sensazione.

Leggi anche: 1. Berlino: “Navalny avvelenato, prove inconfutabili. Mosca spieghi” / 2. Novichok: cos’è, e che effetti ha sul corpo, l’agente nervino usato per uccidere l’ex spia russa Skripal / 3. Russia, il video in aereo dell’oppositore di Putin che grida di dolore: “L’hanno avvelenato” / 4. Russia, approvata la riforma della Costituzione: Putin potrà governare fino al 2036 / 5. L’ascesa della Russia di Putin non passa solo dalla Siria

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La deputata Aiello a TPI: “Lascio il M5S, vanno avanti solo i soliti nomi”

La deputata Piera Aiello ha lasciato oggi il Movimento 5 Stelle pur continuando la sua attività di parlamentare. L’abbiamo intervistata per comprendere meglio la sua scelta.

Perché questa decisione di abbandonare il M5S? Quali sono le cose che l’hanno delusa?
Ero partita con un’idea ben precisa: quella di aiutare la categoria a cui appartengo, i testimoni di giustizia ma anche quella dei collaboratori e degli imprenditori vittime di racket e di usura. Quando io ho messo a disposizione la mia esperienza trentennale sono rimasta inascoltata, nessuno mi dava contezza di quello che si stava facendo. Molti testimoni, collaboratori e imprenditori si sono rivolti a me fiduciosi poiché sono nella commissione parlamentare antimafia e pensavano che io avessi il potere di aiutarli. Ma io quel potere non ce l’ho, non l’ho mai avuto e non l’ho cercato. Il potere adesso ce l’ha sicuramente Crimi che ha le deleghe al ministero con la commissione ex articolo 10 e quando io porto avanti le richieste di aiuto non vengo nemmeno sentita. Non mi sento valorizzata. L’ho sempre detto: non ho mai preteso nessun posto apicale ma la cosa che pretendevo di più era quella di essere ascoltata sulla base della mia esperienza. A me interessava poter aiutare le persone che mi chiedevano aiuto. E questa è stata la mia prima delusione. Io non sono un animale politico, sono una persona molto semplice, una donna del popolo cerco di risolvere le problematiche e da quello che ho visto problematiche non si risolvono.

Cosa non è stato fatto per i testimoni di giustizia che invece andava fatto?
I testimoni di giustizia alcuni sono stati auditi ma da quello che mi risulta non è stata risolta nessuna situazione, né economica e né di sicurezza. Andava fatto questo prima di tutto, mettere in sicurezza i testimoni e non fargli correre rischi inutili, come è capitato a Marcello Bruzzese, fratello di un testimone di giustizia, ucciso il 25 dicembre 2018 in una località protetta. Doveva essere una località sicura ma così non è stato. Molti corrono ancora questo rischio. Non è stato fatto nulla, non si sono risolte situazioni che sono incancrenite da moltissimi anni. Tante promesse ma nulla di fatto.

C’è stata un’effettiva involuzione del Movimento in questi anni?
Il movimento è cambiato, non rispecchia più il pensiero di Casaleggio, vedi il terzo mandato per la Raggi, cosa ci si deve aspettare che lo tolgano del tutto per far candidare i soliti?
È pentita della sua scelta della politica?
Non sono pentita della scelta che ho fatto, sono delusa, ma comunque faccio tesoro di tutto, metto un punto e vado avanti.

Ora inevitabilmente partiranno gli attacchi, le richieste di dimissioni, le accuse di tradimento: come risponde?
Si ho visto gli attacchi, me ne farò una ragione. A tutti quelli che pensano che rimango in parlamento dico che prima di entrare in politica ero un’impiegata regionale, la mia famiglia non se la passa poi male perché lavoriamo tutti onestamente, resto per completare il lavoro che ho iniziato in antimafia, resto perché ho depositato due leggi, una su testimoni e collaboratori l’altra su imprenditori vittime di racket ed usura, leggi che ha oggi sono insabbiate, che non vanno avanti, che sarebbero state il fiore all’occhiello. Sinceramente non mi sembra di aver tradito nessuno, direi il contrario, non ho intenzione di abbassare la testa davanti a nessuno, non lo ho fatto trent’anni fa con i mafiosi, non lo faccio adesso. Nella sua vita si è ritrovata sempre a prendere scelte che sono state coraggiose e che le sono costate molto dal punto di vista personale.
Crede che la politica sia pronta per dare il giusto spazio a testimonianze come la sua?
La politica è pronta se fa un programma forte contro le mafie, se tutto questo non viene preso in considerazione non andremo avanti, la criminalità e dappertutto, specialmente dove ci sono i soldi, questo lo abbiamo già costatato e lo costerneremo con l’arrivo dei soldi per l’emergenza Covid.

Ha intenzione di continuare comunque il suo percorso politico? Se sì, come?
Come dicevo prima ultimo i lavori iniziati difendendoli a spada tratta, anche se non ho un simbolo di appartenenza non vuol dire che non posso continuare, anzi direi che non avendo le mani legate, non stando agli ordini di scuderia, posso fare meglio e informare i cittadini di ciò che succede in parlamento.

Leggi anche: 1. Piera Aiello, storia della prima testimone di giustizia italiana, eletta con il M5S / 2. La deputata Piera Aiello dice addio al M5S: “Non mi rappresenta più”

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Salvini diceva: “Lei spaccia?” al tunisino. Perché oggi non lo chiede al suo candidato in Emilia?

Ora Salvini può riattaccarsi al citofono. Ci ricordiamo tutti quando, con uno strano senso del garantismo, che come al solito dalle sue parti funziona a fasi alterne secondo la convenienza, andò a scampanellare all’abitazione di un presunto spacciatore mandando le sue generalità in diretta Facebook in giro per tutta l’Italia, tutta merce buona per il suo refrain che “la droga uccide” e che a portare la droga sarebbero solo gli stranieri.

Questa volta tra l’altro Salvini non ha nemmeno bisogno di chiedere informazioni in giro nel quartiere perché in questo caso nome e cognome è scritto a chiare lettere nell’ordinanza cautelare firmata dal gip Sandro Pecorella. Luca Cavazza ha 27 anni ed è un tesserato della Lega di Salvini che si è molto speso nell’ultima campagna elettorale (in realtà con un risultato piuttosto risibile) in favore della candidata Borgonzoni alle ultime elezioni regionali e, secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbe uno degli uomini che faceva sesso con ragazze minorenni offrendo in cambio cocaina.

Per noi vale ovviamente la presunzione di innocenza. Ma ragionando con la stessa logica con cui Salvini ha scampanellato al ragazzo di Bologna, il leader leghista dovrebbe chiedere a Cavazza se spaccia, o visto che si trova da quelle parti dovrebbe chiedergli anche se trova normale indurre alla prostituzione delle ragazzine in cambio di cocaina. Cavazza è un ex tesserato di Forza Italia che negli ultimi anni (come è capitato a molti) è saltato sul carro vincente della Lega salviniana in cerca di un posto al sole: agente immobiliare, era già salito al disonore delle cronache per un suo vecchio post del 2016 su Facebook in cui visitando la tomba di Mussolini a Predappio inneggiava al fascismo. È anche molto conosciuto nell’ambiente dei tifosi della Virtus.

“Diffidate da chi vi dice che la politica è tutta merda e malaffari. La politica, per come la intendo io, è tutt’altro”, scriveva il 27 gennaio. Il 23 gennaio urlava “giù le mani dai bambini” riferendosi ai fatti di Bibbiano. Chiamava “letame” “quei giocolieri da strada, casinari e sozzi fuori sede mantenuti dai paparini che con la mia/nostra Bologna non hanno nulla da scompartire!”, con evidenti problemi anche con la lingua italiana. Ora Salvini faccia il capitano duro e puro: passi da Bologna per citofonare al suo pupillo e poi ci regali un’imperdibile diretta Facebook per raccontarci com’è andata.

Leggi anche: 1 . L’avvocato a TPI: “Salvini potrebbe essere denunciato, 4 ipotesi di reato” per aver citofonato al tunisino /2. “Lei spaccia?”. Salvini che citofona a casa di un tunisino è il vero punto di non ritorno (di L. Telese) / 3.Se Salvini può citofonare sentendosi uno sceriffo la colpa è nostra: ormai tutto è permesso (di L. Tosa) / 4. Salvini vada a caccia di spacciatori senza telecamere e senza scorta (di L. Tomasetta)

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Morti di fame

L’avvocata Ebru Timtik, prima di lei i musicisti del Grup Yorum. Morti per le conseguenze della loro protesta in difesa della giustizia. Accade nella Turchia di Erdogan, graziato dal silenzio dell’Europa

È una storia che gocciola sangue anche se non c’è sangue in giro perché qui i morti muoiono per consunzione. Giovedì sera a Istanbul è morta Ebru Timtik, avvocata che da 238 giorni era in sciopero della fame nelle prigioni turche per chiedere un processo equo per sé e per 17 colleghi che erano accusati di legami con il Fronte rivoluzionario della liberazione popolare (Dhkp/C), un gruppo di estrema sinistra considerato formazione terroristica dal governo.

Timtik aveva 42 anni e si occupava di diritti umani da sempre, era stata condannata nel 2019 a 13 anni e sei mesi di carcere, il suo accusatore è stato ritenuto non credibile, lei contestava l’iter giudiziario che l’aveva portata alla condanna. In Turchia Erdogan da anni, graziato dal silenzio dell’Europa, utilizza l’accusa di terrorismo per fare piazza puliti degli oppositori ritenuti scomodi al governo. Timtik faceva parte dell’associazione contemporanea degli avvocati, specializzata nella difesa di casi politicamente scomodi, “se l’era andata a cercare”, come commenterebbe qualche pavido nostrano che insegna e ci vorrebbe insegnare che per non avere problemi conviene sempre farsi “i fatti suoi”. Ebru Timtik aveva difeso anche la famiglia di Berkin Elvan, un adolescente vittima delle ferite riportate durante le proteste antigovernative a Gezi Park nel 2013.

Un mese fa il tribunale di Istanbul aveva negato la richiesta di scarcerazione di Ebru Timtik dichiarando che era “in salute” e perfino la Corte Costituzionale aveva negato, qualche settimana fa, la scarcerazione. Con Timtik in sciopero della fame c’era anche il suo collega Aytaç Ünsal, anche lui incarcerato, che con un filo di voce dal letto di ospedale ha detto di essere ancora più convinto di quello che sta facendo e della sua lotta, che vorrebbe che la battaglia di giustizia continui, anche lui è in pericolo di vita. Sono 18 gli avvocati condannati per un totale di 159 anni, un mese e 30 giorni di reclusione: tra le accuse nei loro confronti c’è anche quella di avere parlato con i loro clienti. Accusati di avere fatto il proprio lavoro. I testimoni del processo erano tutti anonimi e in carcere, evidentemente ricattabili. A maggio tre musicisti membri del gruppo Grup Yorum, anche loro accusati di terrorismo, si sono lasciati morire d’inedia per protestare contro Erdogan.

È una notizia enorme, enorme per l’altezza del pensiero di chi muore per degli ideali ancora nel 2020, qui vicino a noi, in un Paese con cui tutta Europa briga fingendo di non vedere, ed è enorme perché è una lezione di difesa della giustizia anche di fronte alla legge. Morti di fame per difendere i propri diritti, sembra una storia che arriva dal secolo scorso. Durante il funerale di Ebru Timtik sono stati sparati lacrimogeni contro i giovani che vi partecipavano.

Accade qui, vicino a noi. Lo sentite questo fragoroso silenzio?

Buon lunedì.

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Buona guarigione, Briatore

L’imprenditore piemontese ha insistito nel negare la pericolosità del virus. Forse, una volta guarito dal Covid, dovrà delle spiegazioni a chi ha messo in pericolo: dipendenti e ospiti del suo locale che si è rivelato un pericoloso focolaio

Giusto qualche giorno fa proprio su queste pagine mi è capitato di contestare Flavio Briatore per le sue idee e per la superficialità con cui ha affrontato il tema dei rischi Covid e la superficialità con cui ha invocato il liberi tutti in nome del fatturato del suo locale che proprio in questi giorni si è rivelato un pericoloso focolaio con ben 63 positivi su 90 tamponi fatti.

Flavio Briatore è ricoverato all’ospedale San Raffaele di Milano (tra l’altro in un reparto che non è attrezzato per il Covid e dove, pagando, ha deciso di stare) perché anche lui è positivo e intorno, ovviamente, si sono avventati un po’ tutti, anche chi con un certo sprezzo del senso di umanità sta augurando all’imprenditore la peggior sorte in nome di una giustizia vendicativa che dovrebbe servirgli da lezione. Beh, qui si augura a Briatore di guarire presto (del resto le notizie dicono che le sue condizioni siano stabili e buone, niente di preoccupante al momento, così dice il comunicato ufficiale del suo staff) però alcune considerazioni meritano di essere fatte.

Come scrive giustamente Massimo Mantellini: «Immaginare di sterilizzare la discussione che lo stesso Briatore ha scatenato, ora che è malato della stessa malattia che negava, e questo in nome dell’umana pietà che dobbiamo riservare a tutti, è semplicemente ridicolo». Briatore, come molti altri, ha insistito nel negare il pericolo e negare la pericolosità del virus (e con lui lo stesso primario Zangrillo che ora se lo ritrova in reparto) e forse, una volta guarito, in quanto personaggio pubblico (e usato spesso dalla politica come profeta, sui social della Lega sono state rilanciate di gran voga le sue dichiarazioni) dovrà spiegare questa sua superficialità, ci dovrà spiegare come sia successo che la sua discoteca abbia numeri di contagio che sono ben superiori a quelle delle altre discoteche e dovrà delle spiegazioni a chi ha messo in pericolo, a tanti dei suoi dipendenti e dei suoi ospiti. Perché, come dice spesso lo stesso Briatore, «le parole stanno a zero e contano i fatti». E infiammare gli animi finisce sempre per rivoltarsi contro, sempre.

Per quanto riguarda i complottisti invece non c’è speranza: comincia già a girare la fake news che Briatore sia stato “infettato dal sistema”. Pensate un po’.

Buona guarigione.

Buon mercoledì.

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