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lettera

Gianni Biondillo risponde a Pisapia

giannibiondillo

Qualche giorno fa Gianni Biondillo è stato intervistato (qui) da Elisabetta Soglio sul tema delle elezioni amministrative di Milano esprimendo concetti (secondo me condivisibili). Pisapia gli ha risposto (qui) e Gianni gli ha scritto una bella lettera:

(di Gianni Biondillo)

Caro Pisapia,

alla domanda posta ad una assessore della giunta che ti ha preceduto – “come pensa di attrarre giovani costruendo appartamenti da 10 mila euro al metro quadro?” – la risposta fu illuminante: “esistono anche giovani ricchi!” È così che si perdono le elezioni amministrative. Il mio cuore batte a sinistra, dalla giunta Moratti non mi aspettavo nulla. L’ho avversata con tutte le mie forze. Le cose da voi fatte e che tu elenchi nella tua lettera garbata sono buone, “di sinistra”, e le ho apprezzate anche pubblicamente. Ma, perdona il vecchio linguaggio, sono sovrastrutturali.

Mi consigli di andare a chiedere al parroco di Baggio… be’, sai, dato che a questa tornata elettorale la zona ha votato per il candidato del centro destra, sono io a chiederti di andare da lui per avere delucidazioni sul voto. Tutti ingrati?

Diecimila appartamenti di proprietà pubblica vuoti, in buona parte del Comune, cioè diecimila famiglie che potrebbero avere una casa e non ce l’hanno, questo, invece, è strutturale. Così si perdono le elezioni. Lasciando campo libero ai populisti razzisti che si trovano nelle condizioni ideali di fomentare la guerra dei poveri (chiedi al parroco…).

Sull’accusa d’ignavia: era tuo diritto decidere di uscire di scena dopo una legislatura. Il tuo dovere, invece, era quello di creare una strategia d’uscita che capitalizzasse il lavoro fatto. Insomma, chiudersi in una stanza e dire alla giunta: non si esce da qui fin quando non troviamo un nome condiviso (magari evitando nel frattempo di pubblicare libri dove ti toglievi sassolini dalle scarpe, bruciando naturali candidati in pectore). Perché, sai, Beppe Sala, per quanto vincitore delle primarie, si porta addosso il peso di chi l’ha candidato. I milanesi non amano le imposizioni romane. Gli auguro di cuore di scrollarsi di dosso questa sgradevole sensazione, in fretta, e dimostrare di essere il sindaco di cui abbiamo bisogno. Con idee concrete e realizzabili.

Vivo in via Padova, ho familiari e amici al Giambellino, in Barona, a Baggio, a Crescenzago, ho la mamma a Quarto Oggiaro. Credo di avere una vaga idea della situazione di questi quartieri. So cosa significa sentirsi abbandonati (chiedi… chiedi al parroco…).

Ti faccio un esempio. Mia madre è invalida al 100% con grossi problemi di mobilità. Vive in una casa popolare del Comune (ex IACP. Dove sono cresciuto, insomma). Ha richiesto anni addietro, prima all’ALER poi a MM, di poter sostituire la vasca a sedere con un piatto doccia. Ha telefonato, è andata negli uffici preposti, ha spedito email, lettere, raccomandate con ricevute di ritorno. Niente, neppure una risposta. Poi, durante un consesso politico a Palazzo Marino, due mesi fa, stufo, l’ho raccontato pubblicamente. Dieci giorni dopo mia madre aveva il piatto doccia nuovo di zecca. Sono felice per lei. Ma triste per chi non ha un figlio scrittore che può permettersi di alzare la voce. Queste cose non devono più accadere. Chiunque sarà il sindaco.

con affetto, Gianni Biondillo

L’intelligenza sta (forse) nel dubbio: “Nous sommes Charlie ma noi siamo anche i genitori dei tre assassini”.

Mai come in questi ultimi giorni ho imparato quanto siano pericolose le persone senza dubbi: fedeli a se stessi riescono a vivere i propri luoghi comuni come un dogma incrollabile. La categorizzazione di questi giorni, ad esempio, propone dei tipi umani costruiti banalmente sull’educazione religiosa come se non esistessero le mille sfumature di una socialità umana che si perde in mille rivoli. Per questo credo che valga la pena leggere la lettera tradotta da Claudia Vago che pone (per chi ama coltivare dubbi e farsi domande non accomodanti) quesiti interessanti:

Siamo professori di Seine-Saint-Denis. Intellettuali, scienziati, adulti, libertari, abbiamo imparato a fare a meno di Dio e a detestare il potere e il suo godimento perverso. Non abbiamo altro maestro all’infuori del sapere. Questo discorso ci rassicura, a causa della sua ipotetica coerenza razionale, e il nostro status sociale lo legittima. Quelli di Charlie Hebdo ci facevano ridere; condividevamo i loro valori. In questo, l’attentato ci colpisce. Anche se alcuni di noi non hanno mai avuto il coraggio di tanta insolenza, noi siamo feriti. Noi siamo Charlie per questo.

Ma facciamo lo sforzo di un cambio di punto di vista, e proviamo a guardarci come ci guardano i nostri studenti. Siamo ben vestiti, ben curati, indossiamo scarpe comode, siamo al di là di quelle contingenze materiali che fanno sì che noi non sbaviamo sugli oggetti di consumo che fanno sognare i nostri studenti: se non li possediamo è forse anche perché potremmo avere i mezzi per possederli. Andiamo in vacanza, viviamo in mezzo ai libri, frequentiamo persone cortesi e raffinate, eleganti e colte. Consideriamo un dato acquisito che La libertà che guida il popolo e Candido fanno parte del patrimonio dell’umanità. Ci direte che l’universale è di diritto e non di fatto e che molti abitanti del pianeta non conoscono Voltaire? Che banda di ignoranti… E’ tempo che entrino nella Storia: il discorso di Dakar ha già spiegato loro. Per quanto riguarda coloro che vengono da altrove e vivono tra noi, che tacciano e obbediscano.

Se i crimini perpetrati da questi assassini sono odiosi, ciò che è terribile è che essi parlano francese, con l’accento dei giovani di periferia. Questi due assassini sono come i nostri studenti. Il trauma, per noi, sta anche nel sentire quella voce, quell’accento, quelle parole. Ecco cosa ci ha fatti sentire responsabili. Ovviamente, non noi personalmente: ecco cosa diranno i nostri amici che ammirano il nostro impegno quotidiano. Ma che nessuno qui venga a dirci che con tutto quello che facciamo siamo sdoganati da questa responsabilità. Noi, cioè i funzionari di uno Stato inadempiente, noi, i professori di una scuola che ha lasciato quei due e molti altri ai lati della strada dei valori repubblicani, noi, cittadini francesi che passiamo il tempo a lamentarci dell’aumento delle tasse, noi contribuenti che approfittiamo di ogni scudo fiscale quando possiamo, noi che abbiamo lasciato l’individuo vincere sul collettivo, noi che non facciamo politica o prendiamo in giro coloro che la fanno, ecc. : noi siamo responsabili di questa situazione.

Quelli di Charlie Hebdo erano i nostri fratelli: li piangiamo come tali. I loro assassini erano orfani, in affidamento: pupilli della nazione, figli di Francia. I nostri figli hanno quindi ucciso i nostri fratelli. Tragedia. In qualsiasi cultura questo provoca quel sentimento che non è mai evocato da qualche giorno: la vergogna.

Allora, noi diciamo la nostra vergogna. Vergogna e collera: ecco una situazione psicologica ben più scomoda che il dolore e la rabbia. Se proviamo dolore e rabbia possiamo accusare gli altri. Ma come fare quando si prova vergogna e si è in collera verso gli assassini, ma anche verso se stessi?

Nessuno, nei media, parla di questa vergogna. Nessuno sembra volersene assumere la responsabilità. Quella di uno Stato che lascia degli imbecilli e degli psicotici marcire in prigione e diventare il giocattolo di manipolatori perversi, quella di una scuola che viene privata di mezzi e di sostegno, quella di una politica urbanistica che rinchiude gli schiavi (senza documenti, senza tessera elettorale, senza nome, senza denti) in cloache di periferia. Quella di una classe politica che non ha capito che la virtù si insegna solo attraverso l’esempio.

Intellettuali, pensatori, universitari, artisti, giornalisti: abbiamo visto morire uomini che erano dei nostri. Quelli che li hanno uccisi sono figli della Francia. Allora, apriamo gli occhi sulla situazione, per capire come siamo arrivati qua, per agire e costruire una società laica e colta, più giusta, più libera, più uguale, più fraterna.

« Nous sommes Charlie », possiamo appuntarci sul risvolto della giacca. Ma affermare solidarietà alle vittime non ci esenterà della responsabilità collettiva di questo delitto. Noi siamo anche i genitori dei tre assassini.

Catherine Robert, Isabelle Richer, Valérie Louys et Damien Boussard

Dunque un niente.

Nel cuore del mattino Ciro Pellegrino mi permette di scoprire una lettera di Franco Fortini che è il testamento di un’epoca, forse molto più ripetibile di ciò che si potesse temere.

Cari amici, non sempre chiari compagni; cari avversari, non invisibili agenti e spie; non chiari ma visibili nemici. Sapete chi sono. Non sono mai stato né volteriano né liberista di fresca convinzione. Spero di non dover mai stringere la mano né a Sgarbi né a Ferrara né ai loro equivalenti oggi esistenti anche nelle file dei “progressisti”. Non l’ ho fatto per mezzo secolo. Perché dovrei farlo ora? Nessuna “unità” anni Trenta. Meglio la destra della Pivetti.
Ognuno preghi i propri santi e dibatta con gli altrui. Tommaso d’ Aquino, Marx, Pareto, Weber, Croce e Gramsci mi hanno insegnato che la libertà di espressione del pensiero, sempre politica, è sempre stata all’interno della cultura dominante anche quando la combatteva. Tutt’intorno ai suoi confini, però, c’erano, lungo i secoli, miliardi di analfabeti, inquisizioni mistiche o, a scelta, grassi doberman accademici, reparti speciali di provocatori incaricati di picchiare i tipografi e distruggere i manoscritti.
Ci sono manuali per l’uso della calunnia nel management della comunicazione, lupare bianche, colpi alla nuca; o, nel più soave e incruento dei casi, la damnatio memoriae, il nome omesso o deformato, la associazione indiretta con qualche notorio cialtrone.
Ma ci sono momenti in cui il solo modo serio di dire “noi” è dire “io”. La prima persona, quel qualcosa che viene dopo la firma. Questo è uno di quei momenti.
Bisogna spingere la coscienza agli estremi. Dove, se c’è, c’è ancora per poco. Quando non si spinge la coscienza agli estremi, gli estremismi inutili si mangiano lucidità e coscienza.
Chi finge di non vedere il ben coltivato degrado di qualità informativa, di grammatica e persino di tecnica giornalistica nella stampa e sui video, è complice di quelli che lo sanno, gemono e vi si lasciano dirigere. Come lo fu nel 1922 e nel 1925.
Non fascismo. Ma oscura voglia, e disperata, di dimissione e servitù; che è cosa diversa. Sono vecchio abbastanza per ricordare come tanti padri scendevano a patti, allora, in attesa che fossero tutti i padri a ingannare tutti i figli. Cerchiamo almeno di diminuire la quota degli ingannati. Ripuliamo la sintassi e le meningi. Non scriviamo un articolo al giorno ma impariamo a ripeterci, contro la audience e i contratti pubblicitari. Diamo esempi di “cattiveria” anche a quei lavoratori che dai loro capi vengono illusi di battersi attraverso le strade con antichi striscioni e poi, nel buio della Tv, ridono alle battute dei pagliaccetti di Berlusconi.
Lungo canali di storica vigliaccheria mascherata di bello spirito i colleghi della comunicazione stanno giorno dopo giorno cambiando o lasciando cambiare i connotati dei quotidiani; in attesa che se ne vadano quei pochissimi direttori che non hanno già concordato o “conciliato”.
Quanto a me, solo l’ età mi scampa dal dovermi dimettere. Mai come oggi, credo, il massimo della flessibilità tattica del politico vero dovrebbe andar d’accordo con la rigidità delle scelte di fondo. Un modesto zapping basta a capire che è inutile declamare estremisticamente, come ora sto purtroppo facendo.
Bisogna dire di no; ma c’è qualcosa di più difficile e sto cercando di farlo: dire di sì in modo da non nascondere il “no” di fondo; se si crede di averlo e saperlo.
Pagare di persona, secondo le regole del finto mercato che fingiamo di accettare: ossia dimettersi o costringere altrui alle dimissioni, ritirare o apporre le firme e le qualifiche e il proprio passato, affrontare sulla soglia di casa o di redazione le bastonature fisiche o morali già in scadenza.
Anni fa scrissi, enfaticamente, che il luogo del prossimo scontro sarebbero state le redazioni. Quel momento è venuto, il luogo è questo.
Chi tiene famiglia, esca. Chi ha figli sappia che un giorno essi guarderanno con rispetto o con odio alle sue scelte di oggi.
Scade il primo semestre di chi ha preso il potere, come tanti altri, legalmente, coi voti di un terzo degli elettori, ossia giocando con la manovra della informazione e la debilità culturale ed economica di tanti nostri connazionali e, perché no, con la nostra medesima.
Cari amici, non sempre chiari compagni; cari avversari, non sempre invisibili agenti e spie; non chiari ma visibilissimi nemici, vi saluta un intellettuale, un letterato, dunque un niente. Dimenticatelo se potete.
Franco Fortini
Milano, 5 novembre 1994

“Profonda sintonia”

Caris­sime com­pa­gne e compagni,

Mi dispiace che i miei nume­rosi impe­gni non mi hanno per­messo di essere con voi nell’inaugurazione del vostro con­gresso. Il vostro con­gresso si svolge in un momento molto cri­tico per la nostra casa comune: l’Europa. Un’Europa che dopo un periodo ven­ten­nale di con­senso neo­li­be­rale è stata chia­mata di pagare il prezzo della recessione.

Per almeno quat­tro anni l’Europa del Sud è distrutta da una dura ed inu­mana poli­tica neo­li­be­rale, che ha fatto esplo­dere la disoc­cu­pa­zione a livelli record, ha impo­ve­rito gran parte della popo­la­zione, ha distrutto i diritti poli­tici, sociali, eco­no­mici e del lavoro che fino a ieri ave­vano con­si­de­rato invio­la­bili. I governi e le isti­tu­zioni euro­pee hanno appli­cato le poli­ti­che più anti­de­mo­cra­ti­che e anti­so­ciali dopo la guerra, col­la­bo­rando con avidi ban­chieri e spe­cu­la­tori dei mercati.

Quante gene­ra­zioni di ita­liani, greci, spa­gnoli, por­to­ghesi e irlan­desi dovremmo sacri­fi­care per pagare debiti impa­ga­bili, di rag­giun­gere impos­si­bili aggiu­sta­menti di bilan­cio e di sven­dere la nostra ric­chezza sociale a quelli che cer­cano di farci annul­lare qual­siasi dignità?

Milioni di per­sone pen­sano che la rispo­sta a que­sto mas­sa­cro sociale si trova nel ritorno al pas­sato, nelle trin­cee e nei sim­boli nazio­nali. Il nazionalismo,il raz­zi­smo, la xeno­fo­bia e il fasci­smo ritor­nano cer­cando di appiat­tire i migliori valori che abbiamo fatto sor­gere nel nostro con­ti­nente: l’umanismo, la soli­da­rietà e la giu­sti­zia sociale.

È arri­vato il momento di cam­biare que­sta Europa. È arri­vato il momento di rico­struire que­sta Europa.

Caris­sime com­pa­gne e compagni,

Voi sapete che il Par­tito della Sini­stra Euro­pea mi ha pro­po­sto come can­di­dato pre­si­dente della Com­mis­sione Europea.

La pro­po­sta pre­sen­tata da un gruppo di per­so­na­lità per una aperta e senza esclu­sioni unità della sini­stra e delle forze vive della società e degli intel­let­tuali rap­pre­senta una seria pos­si­bi­lità per cam­biare gli equi­li­bri nell’Europa del Sud e in gene­rale in Europa.

In Gre­cia abbiamo ten­tato di dare già una rispo­sta alla crisi pro­po­nendo l’unità delle forze, dei cit­ta­dini e dei movi­menti della sini­stra e non solo. Con grande umiltà stiamo accanto a tutti quelli che col­pi­scono le poli­ti­che neo­li­be­rali e lot­tiamo per non lasciare nes­suno solo di fronte alla crisi.

Il per­corso di Syriza in Gre­cia ci ha inse­gnato che l’unità della sini­stra con i movi­menti e i cit­ta­dini che sono col­piti dalla crisi rap­pre­senta il miglior lie­vito per il rovesciamento.

Vi auguro di cuore che il vostro con­gresso rap­pre­senti un punto di svolta nel ten­ta­tivo per la più ampia unità pos­si­bile delle forze della sini­stra e della società civile.

Dob­biamo fare tutti insieme un passo indie­tro per muo­vere insieme tanti passi in avanti por­tando nel Par­la­mento Euro­peo la rab­bia, il dolore, la resi­stenza e le pro­po­ste di tutti coloro che cer­cano di emar­gi­nare la crisi, il neo­li­be­ri­smo e il popu­li­smo. Dob­biamo por­tare il mes­sag­gio della costru­zione dell’Europa dei vec­chi e nuovi cittadini.

Cam­bie­remo l’Europa.

Con i miei saluti da compagno

Atene, 25.01.2014

Ale­xis Tsipras

Pre­si­dente di Syriza e vice­pre­si­dente del par­tito della Sini­stra europea

Per Villa Adriana succede anche che gli studenti scrivano al Ministro

La lettera degli studenti è pubblicata nel mio spazio per Il Fatto Quotidiano e racconta nella sua semplicità quanta passione politica ci sia da non disperdere nei confronti della bellezza e della sua salvaguardia:

Non ci fanno credere nel nostro Paese quei politici che hanno fatto della loro carica solo un mezzo per apparire e non hanno una statura intellettuale all’altezza del paese che dovrebbero curare. Ministro, ci perdoni questi voli pindarici ma non capita tutti i giorni di esprimere le proprie frustrazioni ad un personaggio tanto importante. Le rinnoviamo la nostra preoccupazione e speriamo vivamente che accolga il nostro invito a visitare insieme Tivoli, una volta città d’Arte, oramai città deturpata.

Pensa che regalo se arrivasse un’azione concreta e una risposta. La lettera completa è qui.

Lei non può

Oggi il Corriere della Sera ospita, a pagina 13, una durissima lettera di Fausto Bertinotti al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Una missiva nella quale l’ex presidente della Camera accusa il Capo dello Stato di congelare la democrazia con il suo appoggio esplicito all’attuale esecutivo. Una lettera scandita da una serie di perentori “Lei non può

Signor Presidente,

Lei non puòLei non può congelare d’autorità una delle possibili soluzioni al problema del governo del Paese, quella in atto. come se fosse l’unica possibile, come se fosse prescritta da una volontà superiore o come se fosse oggettivata dalla realtà storica.

Lei non può, perché altrimenti la democrazia verrebbe sospesa. Lei no può trasformare una Sua, e di altri, previsione sui processi economici in un impedimento alla libera dialettica democratica. I processi economici, in democrazia, dovrebbero poter essere influenzati dalla politica, dunque, dovrebbero essere variabili dipendenti, non indipendenti. Lei non può, perché altrimenti la democrazia sarebbe sospesa. Sia che si sostenga che viviamo in regimi pienamente democratici, sia che si sostenga, come fa ormai tanta parte della letteratura politica, che siamo entrati in Europa, in un tempo post-democratico, quello della rivincita delle élites, Lei non può. Nel primo caso, perché l’impedimento sarebbe lesivo di uno dei cardini della democrazia rappresentativa cioè della possibilità, in ogni momento, di dare vita ad un’alternativa di governo, in caso di crisi, anche con il ricorso al voto popolare. Nel secondo caso, che a me pare quello dell’attuale realtà europea, perché rappresenterebbe un potente consolidamento del regime a-democratico in corso di costruzione. C’è nella realtà politico istituzionale del paese una schizofrenia pericolosa: da un lato si cantano le lodi della Costituzione Repubblicana, dall’altro, essa viene divorata ogni giorno dalla costituzione materiale. La prima, come lei mi insegna, innalza il Parlamento ad un ruolo centrale nella nostra democrazia rappresentativa, la seconda assolutizza la governabilità fino  a renderlo da essa dipendente. Quando gli chiede di sostenere il governo perché la sua caduta porterebbe a danni irreparabili, Ella contribuisce della costruzione dell’edificio oligarchico promosso da questa costituzione materiale. Nel regime democratico ogni previsione politica è opinabile perché parte essa stessa di un progetto e di un programma che sono necessariamente di parte; lo stesso presunto interesse generale non si sottrae dalla diversità delle sue possibili interpretazioni. Ma, se mi permette, Signor Presidente c’è una ragione assai più grande per cuiLei non può.

La nostra costituzione è, come sappiamo, una costituzione programmatica. Norberto Bobbio diceva che in essa la democrazia è inseparabile dall’eguaglianza come testionia il suo articolo 3. Ma essa, rifiutando un’opzione finalistica nella definizione della società futura, risulta aperta a modelli economico sociali diversi e a quelli dove sarà condotta da quella che Dossetti chiamava la democrazia integrale e Togliatti la democrazia progressiva.

Quando Lei allude ai possibili danni irreparabili per il paese, lo può fare solo perché considera ineluttabili le politiche economiche e sociali imperanti nell’Europa leali, le politiche di austerità. Ha poca importanza, nell’economia di questo ragionamento, la mia radicale avversione a queste politiche che considero concausa del massacro sociale in atto.

Quel che vorrei proporLe è che  nella politica e in democrazia si possa manifestare un’altra e diversa idea di società rispetto a quella in atto e che la Costituzione Repubblicana garantisce che essa possa essere praticata e perseguita. Il capitalismo finanziario globale non può essere imposto come naturale, né la messa in discussione del suo paradigma può essere impedito in democrazia, quali che siano i passaggi di crisi e di instabilità a cui essa possa dar luogo. O le rivoluzioni democratiche possono essere possibili solo altrove? No, la carta fondamentale garantisce che, nel rispetto della democrazie e nel rifiuto della violenza, possa essere intrapresa anche da noi. C’è già un vincolo esterno, quello dell’Europa leale, che limita la nostra sovranità, non può esserci anche un vincolo esterno anche alla politica costituita dall’autorità del Presidente della Repubblica. Lei non può, signor Presidente. Mi sono permesso di indirizzarLe questa lettera aperta perché so che la lunga consuetudine e l’affettuoso rispetto che ho sempre nutrito per la Sua persona mi mettono al riparo da qualsiasi malevola interpretazione e la mia attuale lontananza dai luoghi della decisione politica non consentono di pensare ad una qualche strumentalità. È, la mia, soltanto, l’invocazione di un cittadino, anche se ho ragione di ritenere che essa non sia unica.

Mi creda, con tutta cordialità.

Fausto Bertinotti

Il pacchista

lettera-rimborso-imu-500Giro l’Italia per lavoro. Mangio spesso in Autogrill (il Camogli è una costante della mia vita, insomma). Nel sottobosco delle stazioni di servizio ogni tanto mi perdo ad osservare tipi umani che mi fanno volare via per la loro sfacciata e cocciuta perseveranza da bisbigliatori sui gradini: i pacchisti.

Il pacchista (o paccaro o ogni altro nome prenda con declinazione regionale) sta all’ingresso o all’uscita, di solito ha la gamba destra sul gradino superiore, fuma una sigaretta sempre fumata troppo fino in fondo, discute con un suo compare dei seni e dei sederi turisti che scendono in comitiva dai pullman del parcheggio e hanno un sussulto meccanico per bisbigliare l’offerta del giorno a chiunque rientri nel suo raggio d’azione. Non ha fremiti, il pacchista, non propone con la luce negli occhi come i televenditori o gli ispirati per professione, no, sussurra l’oggetto in vendita con le parole tronche e spente in coda, sempre calante “signò, aifòn”, “signò, aipàd, galacsì, tomtò”.

Mi sono sempre chiesto cosa opprima così ferocemente la voglia di vivere e di vendere il pacchista: se sia forse quella postura che occlude l’arteria della vitalità o quel compare o la nostalgia dei bei tempi quando si rubavano le autoradio con i pomelli e si andava a casa presto. Poi ho capito: il pacchista ha la tristezza di chi sa che può riuscire ad ingannare solo gente di cui non ha stima. Il pacchista ha l’occhio clinico per individuare coloro che potrebbero cascarci, li avvicina quasi infastidito dalla creduloneria dei suoi potenziali clienti e dopo avere rifilato il pacco dice al suo compare che in fondo se lo meritava il pacco quello lì che pensava di comprare l’aifòn a così poco. E ricomincia.

Il pacchista odia i suoi clienti, vive nel terrore di essere fregato per primo e non ha stima di coloro che riesce a convincere.

Ecco, ci ho ripensato oggi aprendo la lettera del rimborso IMU che mi promette Silvio Berlusconi.

 

Boni ci scrive

Il Presidente Boni stamattina ci scrive. Evidentemente la boria che nei giorni scorsi lo spingeva a dichiararsi tranquillo e pronto a parlare in Aula è già passata. Ecco cosa ci ha scritto:

Pregiat.mi Colleghi, ho deciso di scriverVi ufficialmente, per la prima volta, della vicenda giudiziaria che mi vede, mio malgrado, coinvolto. Lo faccio deliberatamente perché credo che, al di là delle più che naturali curiosità giornalistiche, sia a Voi e idealmente a chi ci ha nominato con il loro voto, che devo fornire in primo luogo conto del mio operato e della mia condotta. Innanzitutto, ringrazio tutti coloro che mi hanno manifestato la loro solidarietà. Non mi sentirete parlare di complotti, né tanto meno di critiche per un uso strumentale della giustizia da parte dei magistrati inquirenti. Ho sempre avuto rispetto del loro operato e non vedo perché dovrei cambiare opinione in questo momento. Al contempo, credo sia giusto ricordare che ho ricevuto una informazione di garanzia, in relazione a fatti tutt’ altro che dimostrati – non siamo dunque dinanzi ad una sentenza, ancor meno definitiva – che non ha avuto ancora alcuna forma di effettivo riscontro e sulla quale io spero conveniate con me mi deve essere dato, prima ancora che garantito, il diritto di difendermi. Mi limito solo a segnalarVi due aspetti utili ai fini di una riflessione riguardo alla mia estraneità: i fatti riguarderebbero un asserito mio coinvolgimento allorchè rivestivo il ruolo di assessore all ‘urbanistica in Regione, incarico che anche avessi voluto, ma non ho voluto, non avrebbe in ogni caso consentito un perfezionamento di alcuna delle pratiche edilizie menzionate dai giornali, in quanto del tutto estraneo ed esorbitante dalle mie funzioni. E’ noto infatti che nell’ attuale ordinamento dell’Assessore non riveste il ruolo di organo dotato di poteri di amministrazione attiva. Nei procedimenti di natura urbanistica, inoltre, la funzione svolta dalla Regione è circoscritta, mentre è valorizzato il contributo degli Enti Locali. Ancora: si parla di somme di denaro ricevute ma sfido chiunque a trovare anche un solo euro nelle mie tasche, che non sia frutto del mio lavoro o, per quanto riguarda il mio partito, che non sia frutto di versamenti o elargizioni ufficiali e dettagliatamente documentabili. Al momento della mia elezione a Presidente mi ero impegnato per una azione di rilancio delle prerogative de Il’ Assemblea quale sede di rappresentanza politica generale e del ruolo di indirizzo nei confronti della Giunta regionale. Ho svolto sino ad ora il mandato affidatomi dall’ Aula nel rispetto dello Statuto e del Regolamento; intendo proseguire su questa strada, dal momento che nessuna delle accuse che mi vengono rivolte può avere la minima influenza sul ruolo di rappresentanza e di garanzia che attualmente esercito. Vi ringrazio per l’attenzione e vi saluto cordialmente.