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Libero

Libero? Cacata carta, avrebbe detto Catullo

Libero me lo ricordo quando mi ha sbattuto in prima pagina (il mio post di quel periodo è qui) insieme ai consiglieri regionali in Lombardia indagati per lo scandalo dei finti rimborsi. Io non era indagato. Eppure ero lì. Ricordo esattamente, ce l’ho ancora nelle orecchie, il frignio di questi machi del giornalismo che mi imploravano di non querelarli: il giorno dopo la smentita era un riquadro piccolo piccolo a fondo pagina. Piccolo come loro, pensai. Non ne feci niente perché si rischia di legittimare un giornalismo che non è giornalismo: ha la forma di un quotidiano, ne ha la forma ma è quella che Catullo chiama “cacata carta” nel suo Carme 36 delle Nugae. Non credo serva traduzione.

Però quello che Libero ha pornograficamente metaforizzato nella sua prima pagina di oggi è un prurito che da qualche giorno si sente sorridere durante gli aperitivi, nei corridoi dei cronisti politici e tra la gente: il maschilismo è un gene antico che va estirpato con un lavoro culturale di generazioni, purtroppo. Poi c’è chi lo pensa e non lo dice; c’è chi ne sorride tra pochi fidati amici in casa; c’è chi se ne nulla al bar; c’è chi ferocemente lo sparge su Facebook fino a chi (ahimè direttore) lo spalma in prima pagina. E Feltri sa bene che con quel titolo parla a loro: la tribù dei machi fieri che vigliaccamente esulta (senza farsi sentire) quando qualcuno scrive quello che loro hanno pensato senza il coraggio di dire.

Insomma: Libero è un pessimo giornale letto da pessimi machi. Il tema è molto più complesso di quel che sembra. Per quel conta, la mia solidarietà alla Raggi.

(ed è un peccato per i giornalisti in gamba che lì dentro sono comunque costretti a ubbidire)

La prima pagina di Libero è una notizia inventata. Completamente inventata.

Ne scrive il Post:

Le fotografie usate da Libero, invece, sono state prese da un servizio del fotoreporter Eric Lafforgue in cui viene raccontata la tradizione del “boregheh”, una maschera utilizzata dai Bandari, una popolazione che vive nel sud dell’Iran. Le fotografie sono state scattate in alcuni villaggi rurali dell’isola di Qeshm, che si trova nello stretto di Hormuz. Il servizio è stato acquistato anche dal sito del Daily Mail, che a febbraio dell’anno scorso ha pubblicato il servizio riportando correttamente tutta la storia. I Bandari sono una piccola popolazione che parla un dialetto iraniano e ha tradizioni molto diverse dal resto del paese. Per esempio le donne utilizzano abiti molto colorati al posto del chador nero, e sul volto, al posto di un velo, indossano maschere di stoffa o di ottone, spesso molto decorate.

Le maschere non impediscono di parlare e sono utilizzate dagli abitanti dei villaggi sciiti, ma anche dai sunniti. In genere è utilizzata solo dalle donne più anziane e, come tradizione, sta oramai scomparendo.

(l’articolo è qui)

I giornalisti di Libero “lavorino gratis per ripagarci il finanziamento pubblico”

A proposito della propaganda che punta alla bile (scrivevo giusto ieri di Salvini qui) sarebbe da chiedere se non sia il caso di fare un sondaggio per sapere se i 40 milioni di finanziamento pubblico (quindi soldi nostri) presi dal quotidiano LIBERO non dovrebbero essere restituiti con lavoro gratuito utile alla comunità. Che forse, per i giornalisti di LIBERO, tra l’altro sarebbe quello di smettere di scrivere.

(Vedete cari giornalisti com’è facile puntare alla pancia?)

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(ps: per intendersi, LIBERO è il quotidiano che mi aveva diffamato così)

Il 2006, così semplice. Così rassicurante.

nutella_moretti_mediumEcco, in questo cascame di informazioni parziali, la prima pagina di ieri di Libero – che ha pubblicato la fototessera dei consiglieri regionali del centrosinistra lombardo additandoli come impresentabili poiché ‘incorporati’ nell’inchiesta sui rimborsi ai gruppi consiliari regionali (tra l’altro sbagliando, inserendomi come spiegato qui) – è il colpo sotto la cintola che ci si aspetterebbe sempre da soggetti come Belpietro e Sallusti. Il problema è che il linguaggio del sospetto ci ha inquinati tutti quanti, e allora se un consigliere regionale, per i suoi spostamenti legati alla propria attività istituzionale, prende il taxi, diventa subito colpevole di un vizio capitale: aver usurpato denari pubblici. “Si paghi il taxi con i propri soldi”, è l’immediata equazione. Ed è un linguaggio che tracima e investe Repubblica, il Corriere, tutti. Chi legge o ascolta vuol scandalizzarsi per qualcosa. Chi scrive o conduce talk show non ha interesse alcuno ad approfondire. Poco importa se si passa sul cadavere di persone oneste e che si sono battute per eliminare il vitalizio. Poca importa la biografia del singolo consigliere. La Nutella è quella cosa che si ‘spalma’, anche sui rimborsi disonesti. Abbiamo trascorso mesi a condannare l’antipolitica. In pochi dicevano di non chiamarla così. Che quel ‘sentimento’ di indignazione è un motore che produce consenso verso chi condanna. Adesso l’hanno capito tutti. E l’antipolitica è diventata un comodo rifugio, in questa campagna elettorale. E’ comoda perché produce interesse senza troppi sbattimenti, fa vendere copie, fa aumentare i consensi. “Sono tutti coinvolti”, “sono tutti uguali”. Quindi perché dovrei cambiare (il mio voto)?

Il 2006, così semplice. Così rassicurante.

via Yes, political!

No, non sono indagato

Oggi LIBERO pubblica in prima pagina la mia faccia tra i presunti “nuovi impresentabili” che secondo l’organo ufficiale del berlusconismo più becero affliggerebbero la Regione Lombardia. Quella pagina è la fotografia del modo di fare informazione (e politica) di alcuni in Italia: notizie sommarie, urla per eccesso di difesa, l’antico gioco che tutti rubano così nessuno in fondo ruba e informazioni false.

No, io non sono indagato.

Mi spiace per i servitori di Formigoni e i servili ramazzatori di Maroni ma mettere il mio nome in prima pagina in quel modo è una delegittimazione che non abbiamo voglia di tollerare, per questo già oggi abbiamo intrapreso tutte le iniziative legali per tutelare se non l’immagine almeno la verità e la precisione di informazione.

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Il caso Sallusti oltre Sallusti

Ho fatto un sogno. Niente di rivoluzionario, per carità, ma qualcosa di utile: provare a cogliere le opportunità oltre che crogiolarsi nelle piccole soddisfacenti vendette. E provare a cogliere nel recente caso Sallusti (almeno per la dimensione mediatica che sta suscitando) un quadro generale di tutela non tanto per chi ha fatto della diffamazione e l’aizzamento a mezzo stampa un marchio di fabbrica (verrebbe da dire che a Sallusti stia capitando un banale contrappasso, del resto) ma per i molti giornalisti precari che non hanno casse di risonanza.

Come scrive Matteo su ValigiaBlu:

La difesa del diritto all’informazione non può essere subordinata allo scalpore provocato dal caso di turno, o allo status del giornalista coinvolto. Non deve diventare, implicitamente, una questione di classe riguardante i giornalisti di serie A. Spesso è proprio il giornalista che lavora nella piccola redazione locale  a subire le pressioni più forti, a essere più esposto a ogni tipo di censura, anche solo antropologica. Perché quando esce dalla redazione, e va in piazza o al bar, si trova gomito a gomito con quei personaggi di cui ha indagato e denunciato le malefatte. Lì trova il sindaco, l’assessore, l’amministratore delegato. Lì vede in faccia chi potrebbe, il giorno dopo, rivolgersi a un avvocato per zittirlo a suon di milioni, una volta letta la cronaca locale. In questi casi il rischio di querela è come avere una parte del cervello chiusa in un carcere le cui pareti sono fatte di paura, ansia, frustrazione e incertezza. Diventa dunque vitale, per poter svolgere al meglio la professione, essere tutelati.

Vale la pena di leggere il suo post e la sua intervista a Stefano Santachiara.

Baldoni: “un colpo in testa al giornalista che cercava brividi in Iraq”

Conosco personalmente Guido Baldoni (il figlio di Enzo) con cui ho condiviso momenti di tourné che mi rimarranno indimenticabili. Per questo non saprei contenere la rabbia per il trattamento indegnamente infimo che certa stampa gli ha riservato. Ma Sergio è riuscito a raccontare senza scrivere come io non avrei mai potuto fare.

Enzo Baldoni: per non dimenticare l’altra memoria.

di Sergio Nazzaro

baldoniLe giornate della memoria muovono le emozioni, fanno riflettere, per un attimo c’è la voglia di scrivere. E invece no. Questa volta si celebra l’anniversario leggendo, facendo esercizio della memoria.

Studiando e approfondendo. Quasi un guardare per credere. E domandarsi come è possibile che chi disprezzi con tanto cinismo la vita umana, possa essere proprio un giornalista, un direttore di giornale. Nessuna dietrologia o ideologia: semplice sconcerto in nome di una normale convivenza civile. La memoria è anche questo difficile esercizio: doversi ricordare di persone come il sig. Renato Farina e il sig.Vittorio Feltri. (Grazie a Mauro Biani, al suo prezioso archivio e alla memoria che ricorda)

libero_1-1251360971VACANZE INTELLIGENTI di RENATO FARINA (da Libero, 24/08/2004)
Prima di cominciare a leggere è bene ricordarsi chi è Renato Farina, da wikipedia “(Desio, 10 novembre 1954) è un deputato e scrittore italiano. È stato radiato dall’Ordine dei Giornalisti il 29 marzo 2007, dopo avere ammesso di aver collaborato, da vicedirettore di Libero, con i Servizi segreti italiani fornendo informazioni e pubblicando notizie false in cambio di denaro. Un mese prima, il 16 febbraio 2007, si era dichiarato colpevole del reato di favoreggiamento[2] nell’ambito dell’inchiesta sul rapimento dell’ex imam di Milano, Abu Omar, patteggiando la pena di sei mesi di reclusione (commutata in una multa di 6.800 euro)”.

Alle 16 di ieri, come quarta notizia di Al Jazeera, è stata mostrata la faccia barbuta di un uomo. In inglese ha detto: «Sono Enzo Baldoni». Aveva una polo grigia e l’aria tranquilla. Forse un po’ troppo. Pareva un turista per caso. Il comunicato dell’”Esercito islamico in Iraq” (Al-Jeish Al- Islami-si-Iraq) ha posto un ultimatum a Berlusconi: o ritira entro 48 ore le sue truppe, e lo fa in modo chiaro, con un decreto firmato, o «non garantiamo la sicurezza di Baldoni ». Vuol dire che lo ammazzano. Il gruppo ha un simbolo molto simile a quello di Al Zarqawi, il decapitatore professionista per conto di Osama Bin Laden. Si deve a questo simpatico esercito l’uccisione di un ingegnere e di un autista pachistani il 28 luglio scorso in Iraq. Al Jazeera non ha trasmesso le immagini dei pachistani perché «sconvolgenti”. Abbiamo capito cosa gli hanno fatto. Eppure Baldoni appare straordinariamente rilassato. Come se avesse un asso nella manica. Lo sappiamo su che cosa conta: sulle proprie idee. In fondo, è un loro simpatizzante. Perché dovrebbero fargli del male? È un giocherellone della rivoluzione. Repubblica ha pubblicato un suo decisivo reportage: «Le mie vacanze col brivido». Dopo le ferie intelligenti, proviamo a fare quelle sconvolgenti. Ecco il ritratto che dedica su “Linus” al Chapas: «Marcos: culo e carisma». E questo sarebbe giornalismo di sinistra? Vogliamo dirlo: è un simpatico pirlacchione. Lo scriviamo tremando. Sappiamo che ci sono moglie, genitori e fratelli in lacrime. Desideriamo gli sia restituito vivo e vegeto. Evitiamoci le tirate patetiche però. Signori di Al Qaeda, proprio dal vostro punto di vista, non vale la pena di ammazzarlo. Restituitecelo, farà in futuro altri danni all’Occidente come testimonial della crudeltà capitalistica. Vedendo com’era attrezzato, i rapitori hanno dubitato fosse davvero un giornalista. Sarà uno 007 finito fuori pista – hanno pensato. Imad El Atrache ha provato a salvargli la vita parlando un’ora dopo allo stesso tg. Mi ha chiesto notizie e ho confermato: ha scritto diari di viaggio dal Chapas, dovunque senta odore di Che Guevara corre in soccorso e poi manda articoli a giornali di sinistra che glieli pubblicano. Enrico Deaglio de Il Diario ha confermato: scrive per noi ed è pacifista. Il governo italiano in fondo è sulla stessa linea. In una nota fa sapere: «Siamo impegnati a ottenere il risultato di far tornare in libertà il signor Baldoni, che si trova in Iraq per la sua attività privata di giornalista e quindi assolutamente non collegato al nostro governo ». Ovvio che dichiari di non cedere al ricatto, è scontato, ma intanto con quelle tre paroline – “signor”, “privata”, “assolutamente” – marca una distanza da Baldoni idonea a salvargli la pelle. Come dire: quest’uomo è italiano, ma è più roba vostra che nostra, si è messo nei guai per le sue privatissime cose, perché rompete le scatole a noi? Garantiamo, nel nostro piccolo, ai suoi rapitori islamici: tifa per voi, per la resistenza irachena. Non è musulmano, è milanese; non aderisce ad Al Qaeda, per carità, ma in fondo giustifica chi spara ai marines. Li conosciamo i documenti antimperialisti dove si solidarizza con «le ragioni economiche, politiche, morali che spingono gli oppressi del mondo a combattere con le armi contro l’America e i suoi servi sciocchi, ad esempio Berlusconi». Baldoni era di tale fatta. Lo ribadiamo volentieri, Signori dai lunghi coltelli: è del tipo di occidentale che piace a voi: antiamericano. Confidiamo basti. Abbiamo molti dubbi, ma c’è un precedente positivo. Nei giorni scorsi un reporter statunitense, Micah Garen, è stato liberato dalle milizie di Al Sadr. Ma, appunto, erano sciiti. Non sono del giro di Al Qaeda, non sono come Al Zarqawi. Gli sciiti di Najaf si lasciano commuovere dalla opinione politica, dai sentimenti personali. Garen ha stramaledetto Bush e si è salvato. Al Zarqawi invece ha decapitato Nick Berg anche se aveva un pedigree pacifista d’alto rango e di provata affidabilità. Era però ebreo e americano. Per questo abbiamo paura non sia sufficiente a Baldoni dire quanto pensa del Cavaliere. Una speranziella. Gli esperti dell’intelligence atlantica hanno molti dubbi su tutta la vicenda. Il volto del prigioniero non rivela contrazioni inevitabili per chi si trovi sull’orlo dell’abisso. Non appaiono intorno all’italiano uomini armati e mascherati. Potrebbe essere una recita. Anche se il precedente di Nick Berg, il quale pareva sereno, ci inquieta. È necessaria un’operazione di verità. Nei giorni scorsi si è registrato un curioso fenomeno. Basta leggere l’Unità per capirlo. Siccome a sinistra, sotto sotto, credono che i tagliatori di teste siano persone perbene, hanno ritenuto impossibile che ad essere rapito fosse un giornalista del genere terzomondista. Per cui all’unisono si è accreditata l’ipotesi dei “predoni”. Nulla che fare con la resistenza. Banditi di strada. Ma il quotidiano di Furio Colombo e Antonio Padellaro è andato oltre. Secondo il foglio rosso la morte dell’interprete e il rapimento di Baldoni erano probabilmente opera di «forze governative». Hanno scritto proprio questo. Per loro il legittimo governo di Allawi (nomina Onu) è fatto di predoni assassini. Inutile aspettarsi autocritiche. Martelleranno noi perché non ci caschiamo a questa storia di reporter dediti ai poveri. Andiamo anche noi a soccorrere Baldoni. Per solidarietà umana confermiamo: ha sempre scritto cronache dall’Iraq contro gli americani. E prima in Colombia, in Messico, ovunque. Salvatelo. Ma per favore, una volta sano e salvo qualcuno dovrebbe spiegare ai vacanzieri del brivido che non si gioca con le cose serie per scrivere pagine palpitanti. Dalle parti di Bagdad non c’è un Rotary islamico, o la confraternita frati benedettini musulmani che porgono la minestra e l’altra guancia. Lì si spara, e chi non è attrezzato fa danni a se stesso ma soprattutto agli altri. Ammazzano gente di destra e di sinistra, li rapiscono per ricavarne favori. In passato ho scritto la stessa cosa a proposito di turisti che giravano con il cammello in Yemen e in Somalia, salvo poi far spendere miliardi al governo per portarli a casa. Quando sono tornati, mi sono arrivate maledizioni. Mi auguro che Baldoni mi aspetti presto sotto casa. Basta che lui, e la gente come lui, con tutto il rispetto, faccia il proprio mestiere di creatore di spot. Gli venivano meglio. Non si va alla ventura come facili prede. Poi il prezzo lo pagano persone che non contano niente (l’interprete autista), la propria famiglia, e il governo. Torna Baldoni, e lìmitati agli aperitivi in piazza san Babila. E in vacanza cogli le pesche dell’agriturismo di famiglia.

libero_3-1251361042IL PACIFISTA COL KALASHNIKOV di VITTORIO FELTRI (da Libero, 27/08/2004)
Se esaminata cinicamente, cioè con lucidità, la disavventura di Enzo Baldoni sconfina nella commedia all’Italiana. Già ieri abbiamo scritto: un uomo della sua età, moglie e due figli a carico, avrebbe fatto meglio a farsi consigliare da Alpitour, anziché dal Diario, la località dove trascorrere vacanze sia pure estreme (si dice così?). Evidentemente, da buon giornalista della domenica egli ha preferito cedere all’impulso delle proprie passioni insane per l’Iraq piuttosto che adattarsi al senso comune. Ciascuno fa come gli garba. E se a lui garbava di mettere a repentaglio la ghirba allo scopo di essere la caricatura dell’inviato speciale, forse sognando di diventare un Oriano Fallaci o un Ettore Mo, c’è poco da obiettare. Molto da obiettare invece c’è sul fatto che adesso tocchi allo Stato italiano di toglierlo dalle pettole (dal milanese: peste). Vabbè. Non facciamoci guardar dietro spendiamo quanto c’è da spendere per riportarlo a casa, questo bauscia simile a certi tizi i quali, durante il week end, indossano la tuta mimetica e giocano ai soldatini nelle brughiere del Varesotto. D’altronde, come documenta la nostra inchiesta Stipendiopoli, gli enti pubblici sprecano molto denaro e non saranno alcuni miliardi in più, investiti al fine di liberare il semigiornalista, a mandarci in rovina. Chiudiamo un occhio sull’aspetto finanziario e apriamo l’altro sul paradosso cui assistiamo. Lui, Baldoni, è qui ritratto in prima pagina con in mano un mitra o una mitraglietta (non essendo pacifisti c’intendiamo poco di armi) fra due beduini o similari. Sorride felice perché è corso in aiuto dei più deboli in lotta contro i cattivi americani. Ecco, ai “poveri” iracheni sono rivolti gli appelli in favore del pubblicitario- pubblicista lanciati dai suoi famigliari. I quali implorano i sequestratori: «Lasciate libero nostro padre, è un pacifista». E ancora: «Noi ci rivolgiamo al popolo iracheno martoriato dalla guerra e agli uomini che detengono Enzo; lui è in Iraq come uomo di pace oltre che come giornalista. Egli cercava di salvare vite umane a Najaf quale volontario della Croce rossa. Lo spirito di solidarietà ha sempre caratterizzato le sue azioni». Penso a un grosso equivoco. Si servizi alle pagine 2, 3 e 4 considerano deboli e martoriati dalla guerra terroristi talmente deboli da prendersela con un loro amico, Baldoni appunto, tenerlo in ostaggio per ricattare l’Italia e minacciare di decapitarlo; insomma talmente deboli e bisognosi di carezze consolatorie da poter decidere della sua vita e della sua morte. Ammazza che debolezza. (…) E che gentiluomini, quanta solidarietà manifestano nei confronti di chi gliene ha data in buona o cattiva fede. Siamo al delirio. Baldoni stesso è inebetito dalle ideologie nate dalle ceneri delle ideologie: legge davanti alla telecamera il comunicato dei suoi aguzzini, in cui si dà del criminale a Berlusconi, e ne gode, glielo leggi in faccia che gode; e il video non inganna. Ma come si fa a schierarsi con i tagliatori di teste, come si fa a schierarsi con chi è stato con Saddam, come si fa ad affiancare banditi islamici che per tutto ringraziamento ti rapiscono e magari spezzano l’osso del collo? Fuori da ogni logica. Il paradosso ingigantisce se si tiene conto che il filoiracheno Baldoni candidato alla decapitazione è un pubblicitario (mestiere più capitalistico non esiste) il quale ha sempre lavorato per aziende americane: Mc Donald’s, Coca-Cola, Ibm, Shell, solo per citare alcuni nomi. Scusate cari lettori, più pirla di così è inimmaginabile. Ti guadagni la pagnotta (e non solo quella) ideando e realizzando spottini consumistici per le multinazionali odiate a sangue; le odii al punto da farti fotografare armato con un paio di beduini; poi arriva agosto, le schifose multinazionali (che ti strapagano) ti garantiscono (contrattualmente) lunghe ferie e tu, pistola, vai a trascorrerle in Iraq nei panni del samaritano islamico e complice di chi vuole decollarti. Enzo, hai qualche filo staccato. E come te ce l’hanno staccato i tuoi amici, gente sicuramente perbene che però non capisce un’acca, neanche dell’evidenza. Non fraintendete, spero che il detestato governo Berlusconi sia in grado di rimpatriare questo sbronzo di idiozie pacifiste e antiamericane. Il quale, rientrato nel nostro Paese di minchioni tolleranti, se proprio vorrà sfogare le sue pulsioni giornalistiche venga pure a Libero, qui al massimo sarà costretto a battersi contro Franco Abruzzo e Maurizio Belpietro che parlerà male di suo figlio, ma non dovrà sfidare a collo nudo la lama dei decapitatori. Dai Berlusconi, datti una mossa, restituisci alla famiglia e alla Coca-Cola questo spottaro strappato a via Montenapoleone e a Piazza San Babila.

libero_2-1251360995COLPO IN TESTA A BALDONI di RENATO FARINA (da Libero, 28/08/2004)
Non c’è rimedio. Non sono serviti i sorrisi suoi e quelli dei suoi cari. Quella è gente che mantiene le promesse: ammazzato. Una consolazione all’orrore: non gli hanno tagliato la testa. E’ stato assassinato come Fabrizio Quattrocchi, con proiettili di piombo in testa. Enzo Baldoni è morto alla stessa maniera del suo nemico ideologico. Quattrocchi, nel momento in cui aveva compreso la sua sorte, ha cercato di togliersi la benda nera. E poi, con un’aria di sfida tranquilla, ha detto all’uomo che parlava italiano: «Ti faccio vedere come muore un italiano ». I no globan avevano scritto proprio sul sito di Baldoni il loro schifo per una morte da mercenario. Negli ambienti no global e del Diario si era sussurrato: «Ha detto: “Vi faccio vedere come muore un camerata”». Una menzogna. Ed ora è toccato ad un altro nostro fratello italiano, battezzato. Le idee politiche erano diverse da quelle dei primi sequestrati. Ai terroristi islamici non importa delle nostre opinioni politiche, dei nostri sentimenti sul mondo. (…)

Poi ci fu Mauro Biani che rimise tutto nel giusto ordine

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