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Un programma politico. Sorprendente.

(Senza commento. Prendetevi un minuto. Leggetelo. Stampatelo. Ritagliatelo. Condividetelo.)

Testo integrale del “piano di rinascita democratica”, della loggia P2, sequestrato a M. Grazia Gelli nel luglio 1982

PREMESSA
1) L’ aggettivo democratico sta a significare che sono esclusi dal presente piano ogni movente od intenzione anche occulta di rovesciamento del sistema
2) il piano tende invece a rivitalizzare il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati, ai cittadini elettori.
3) Il piano si articola in una sommaria indicazione di obiettivi, nella elaborazione di procedimenti – anche alternativi – di attuazione ed infine nell’elencazione di programmi a breve, medio e lungo termine.
4) Va anche rilevato, per chiarezza, che i programmi a medio e lungo termine prevedono alcuni ritocchi alla Costituzione successivi al restauro delle istituzioni fondamentali.

OBIETTIVI
1) Nell’ordine vanno indicati:

a) i partiti politici democratici, dal PSI al PRI, dal PSDI alla DC al PLI (con riserva di verificare la Destra Nazionale)
b) la stampa, escludendo ogni operazione editoriale, che va sollecitata al livello di giornalisti attraverso una selezione che tocchi soprattuttto: Corriere della Sera, Giorno, Giornale, Stampa, Resto del Carlino, Messaggero, Tempo, Roma, Mattino, Gazzetta del Mezzogiorno, Giornale di Sicilia, per i quotidiani; e per i periodici: Europeo, Espresso, Panorama, Epocaa, Oggi, Gente, Famiglia Cristiana. La RAI-TV va dimenticata.
c) i sindacati, sia confederali CISL e UIL, sia autonomi, nella ricerca di un punto di leva per ricondurli alla loro naturale funzione anche al prezzo di una scissione e successiva costituzione di una libera associazione dei lavoratori;
d) il Governo, che va ristrutturato nella organizzazione ministeriale e nella qualita’ degli uomini da proporre ai singoli dicasteri;
e) la magistratura, che deve essere ricondotta alla funzione di garante della corretta e scrupolosa applicazioone delle leggi;
f) il Parlamento, la cui efficienza e’ subordinata al successo dell’operazione sui partiti politici, la stampa e i sindacati.

2) Partiti politici, stampa e sindacati costituiscono oggetto di sollecitazioni possibili sul piano della manovra di tipo economico finanziario.
La disponibilta’ di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo.
Governo, Magistratura e Parlamento rappresentano invece obiettivi successivi, accedibili soltanto dopo il buon esito della prima operazione, anche se le due fasi sono necessariamente destinate a subire intersezioni e interferenze reciproche, come si vedra’ in dettaglio in sede di elaborazione dei procedimenti.

3) Primario obiettivo e indispensabile presupposto dell’operazione e’ la costituzione di un club (di natura rotariana per l’etereogenita’ dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori, imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati, nonche’ pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi il numero di 30 o 40 unita’.
Gli uomini che ne fanno parte debbono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onesta’ e rigore morale, tali cioe’ da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l’onere dell’attuazione del piano e nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare. Importante e’ stabilire subito un collegamento valido con la massoneria internazionale.
PROCEDIMENTI
1) Nei confronti del mondo politico occorre:

a) selezionare gli uomini – anzitutto – ai quali puo’ essere affidato il compito di promuovere la rivitalizzazione di ciacuna rispettiva parte politica (per il PSI, ad esempio, Mancini, Mariani e Craxi; per il PRI: Visentini e Bandiera; per il PSDI: Orlandi e Amidei; per la DC: Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia; per il PLI: Cottone e Quilleri; per la Destra Nazionale (eventualmente): Covelli);
b) in secondo luogo valutare se le attuali formazioni politiche sono in grado di avere ancora la necessaria credibilita’ esterna per ridiventare validi strumenti di azione politica;
c) in caso di risposta affermativa, affidare ai prescelti gli strumenti finanziari sufficienti -con i dovuti controlli- a permettere loro di acquisire il predominio nei rispettivi partiti;
d) in caso di risposta negativa usare gli strumenti finanziari stessi per l’immediata nascita di due movimenti: l’uno, sullasinistra (a cavallo fra PSI-PSDI-PRI-Liberali di sinistra e DC di sinistra), e l’altro sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali, e democratici della Destra Nazionale). Tali movimenti dovrebbero essere fondati da altrettanti clubs promotori composti da uomini politici ed esponenti della societa’ civile in proporzione reciproca da 1 a 3 ove i primi rappresentino l’anello di congiunzione con le attuali parti ed i secondi quello di collegamento con il mondo reale.
Tutti i promotori debbono essere inattaccabili per rigore morale, capacita’, onesta’ e tendenzialmente disponibili per un’azione poltica pragmatistica, con rinuncia alle consuete e fruste chiavi ideologiche. Altrimenti il rigetto da da parte della pubblica opinione e’ da ritenere inevitabile.

2) Nei confronti della stampa (o, meglio, dei giornalisti) l’impiego degli strumenti finanziari non puo’, in questa fase, essere previsto nominativamente. Occorrera’ redigere un elenco di almeno 2 o 3 elementi, per ciascun quotidiano o periodico in modo tale che nessuno sappia dell’altro. L’azione dovra’ essere condotta a macchia d’olio, o, meglio, a catena, da non piu’ di 3 o 4 elementi che conoscono l’ambiente.
Ai giornalisti acquisti dovra’ essere affidato il compito di “simpatizzare” per gli esponenti politici come sopra prescelti in entrambe le ipotesi alternative 1c e 1d.
In un secondo tempo occorrera’:
a) acquisire alcuni settimanali di battaglia;
b) coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso una agenzia centralizzata;
c) coordinare molte TV via cavo con l’agenzia per la stampa locale;
d) dissovere la RAI-TV in nome della liberta’ di antenna ex art. 21 Costit.

3) Per quanto concerne i sindacati la scelta prioritaria e’ fra la sollecitazione alla rottura, seguendo cioe’ le linee gia’ esistenti dei gruppi minoritari della CISL e maggioritari dell’UIL, per poi agevolare la fusione con gli autonomi, acquisire con strumenti finanziari di pari entita’ i piu’ disponibili fra gli attuali confederati allo scopo di rovesciare i rapporti di forza all’interno dell’attuale trimurti.
Gli scopi reali da ottenere sono:
a) restaurazione della liberta’ individuale, nelle fabbriche e aziende in genere per consentire l’elezione dei consigli di fabbrica, con effettive garanzie di segretezza del voto;
b) ripristinare per tale via il ruolo effettivo del sindacato di collaboratore del fenomeno produttivo in luogo di quello legittimamente assente di interlocutore in vista di decisioni politiche aziendali e governative.
Sotto tale profilo, la via della scissione e della successiva integrazione con gli autonomi sembra preferibile snche ai fini dell’incidenza positiva sulla pubblica opinione di un fenomeno clamoroso come la costituzione di un vero sindacato che agiti la bandiera della liberta’ di lavoro e della tutela economica deei lavoratori. Anche in terminidi costo e’ da prevedere un impiego di strumenti finanziari di entita’ inferiori all’altra ipotesi.

4) Governo Magistratura e Parlamento

a) selezionare gli uomini – anzitutto – ai quali puo’ essere affidato il compito di promuovere la rivitalizzazione di ciascuna rispettiva parte politica (Per il PSI, ad esempio Mancini, Mariani e Craxi; per il PRI: Visentini e Bandiera; per il PSDI: Orlandi e Amidei; per la DC: Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia; per il PLI: Cottone e Quilleri; per la Destra Nazionale (eventualmente): Covelli);
b) in secondo luogo valutare se le attuali formazioni politiche sono in grado di avere ancora la necessaria credibilita’ esterna per ridiventare validi strumenti di azione politica;
c) in caso di risposta affermativa, affidare ai prescelti gli strumenti finanziari sufficienti – con i dovuti controlli – a permettere loro di acquisire il predominio nei rispettivi partiti;
d) in caso di risposta negativa usare gli strumenti finanziari stessi per l’immediata nascita di due movimenti: l’uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI – PSDI – PRI – Liberali di sinistra e DC di sinistra), e l’altro sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali, e democratici della Destra Nazionale). Tali movimenti dovrebbero essere fondati da altrettanti clubs promotori composti da uomini politici ed esponenti della societa’ civile in proporzione reciproca da 1 a 3 ove i primi rappresentino l’anello di congiunzione con le attuali parti ed i secondi quello di collegamento con il mondo reale.
Tutti i promotori debbono essere inattaccabili per rigore morale, capacita’, onesta’, e tendenzialmente disponnibili per un’azione politica pragmatica, con rinuncia alle consuete e fruste chiavi ideologiche. Altrimenti il rigetto da parte della pubblica opinione e’ da ritenere inevitabile.

 

4) Governo, Magistratura e Parlamento

E’ evidente che si tratta di obiettivi nei confronti dei quali i procedimenti divengono alternativi in varia misura a seconda delle circostanze .
E’ comunque intuitivo che, ove non si verifichi la favorevole circostanza di cui in prosieguo, i tempi brevi sono – salvo che per la Magistratura – da escludere essendo i procedimenti subordinati allo sviluppo di quelli relativi ai partiti, alla stampa e ai sindacati, con la riserva di una piu’rapida azione nei confronti del Parlamento ai cui componenti e’ facile estendere lo stesso modus operandi gia’ previsto per i partiti politici.
Per la Magistratura e’ da rilevare che esiste gia’ una forza interna (la corrente di magistratura indipendente della Ass. Naz. Mag.) che raggruppa oltre il 40% dei magistrati italiani su posizioni moderate.
E’ sufficiente stabilire un accordo sul piano morale e programmatico ed elaborare una intesa diretta a concreti aiuti materiali per poter contare su un prezioso strumento, gia’ operativo nell’interno del corpo anche al fine di taluni rapidi aggiustamenti legislativi che riconducano la giustizia alla sua tradizionale funzione di elementi di equilibrio della societa’ e non gia’ di eversione.
Qualora invece le circostanze permettessero di contare sull’ascesa al Governo di un uomo politico (o di un’equipe) gia’ in sintonia con lo spirito del club e con le sue idee “ripresa democratica”, e’ chiaro che i tempi dei procedimenti riceverebbero una forte accelerazione anche per la possibilita’ di attuare subito il programma di emergenza e quello a breve termine in modo contestuale all’attuazione dei procedimenti sopra descritti.
In termini di tempo cio’ significherebbe la possibilita’ di ridurre a 6 mesi e anche meno il tempo di intervento, qualora sussista il presupposto della disponibilita’ dei mezzi finanziari.

PROGRAMMI

Per programmi si intende la scelta, in scala di priorita’, delle numerose operazioni in forma di:
a) azioni di comportamento politico ed economico;
b) atti amministrativi (di Governo);
c) atti legislativi; necessari a ribaltare – in concomitanza con quelli descritti in materia di procedimenti – l’attuale tendenza di sfascimento delle istituzione e, con essa, alla disottemperanza della Costituzione i cui organi non funzionano piu’ secondo gli schemi originali. Si tratta, in sostanza, di “registrare” – come nella stampa in tricromia – le funzioni di ciascune istituzione e di ogni organo relativo in modo che i rispettivi confini siano esattamente delimitati e scompaiano le attuali aree di sovrapposizione da cui derivano confusione e indebolimento dello Stato.
A titolo di esempio, si considerano due fenomeni:
1) lo spostamento dei centri di potere reale dal Parlamento ai sindacati ed al Governo ai padronati multinazionali con i correlativi strumenti di azione finanziaria. Sarebbero sufficienti una buona legge sulla programmazione che rivitalizzi il CNEL e una nuova struttura dei Ministeri accompagnate da norme amministrative moderne per restituire ai naturali detentori il potere oggi perduti;
2) l’involuzione subita dalla scuola negli ultimi 10 anni quale risultante di una giusta politica di ampliamento dell’area di istruzione pubblica, non accompagnata pero’ dalla predisposizione di corpi docenti adeguati e preparati nonche’ dalla programmazione dei fabbisogni in tema di occupazione.
Ne e’ conseguente una forte e pericolosa disoccupazione intellettuale – con gravi deficenze invece nei settori tecnici nonche’ la tendenza a individuare nel titolo di studio il diritto al posto di lavoro. Discende ancora da tale stato di fatto la spinta all’egualitarismo assolto (contro la Costituzione che vuole tutelare il diritto allo studio superiore per i piu’ meritevoli) e, con la delusione del non inserimento, il rifugio nella apatia della droga oppure nell’ideologia dell’eversione anche armata. Il rimedio consiste: nel chiudere il rubinetto del preteso automatismo: titolo di studio – posto di lavoro; nel predisporre strutture docenti valide; nel programmare, insieme al fenomeno economico, anche il relativo fabbisogno umano; infine nel restaurare il principio meritocratico imposto dalla Costituzione.
Sotto molti profili, la definizione dei programmi intersechera’ temi e notazioni gia’ contenute nel recente Messaggio del Presidente della Repubblica – indubbiamente notevole – quale diagnosi della situazione del Paese, tenendo, pero’, ad indicare terapie piu’ che a formulare nuove analisi.
Detti programmi possono essere esecutivi – occorrendo – con normativa d’urgenza (decreti legge).
a) Emergenza a breve termine . Il programma urgente comprende, al pari degli altri provvedimenti istituzionali (rivolti cioe’ a “registrare” le istituzioni) e provvedimenti di indole economico-sociale.
a1) Ordinamento giudiziario: le modifiche piu’ urgenti investono:
– la responsabilita’ civile (per colpa) dei magistrati;
– il divieto di nomina sulla stampa i magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari;
– la normativa per l’accesso in carriera (esami psicoattitudinali preliminari);
– la modifica delle norme in tema di facolta’ liberta’ provvisoria in presenza dei reati di
eversione – anche tentatata – nei confronti dello Stato e della Costituzione, nonche’ di
violazione delle norme sull’ordine pubblico, di rapina a mano armata, di sequestro di
persona e di violenza in generale.
a2) Ordinamento del Governo
1 – legge sulla Presidenza del Consiglio e sui Minister (Cost. art. 95) per determinare
competenze e numero (ridotto, con eliminazione o quasi dei Sottosegretari);
2 – legge sulla programmazuone globale (Cost. art. 41) incentrata su un Ministero
dell’economia che ingloba le attuali strutture di incentivazione (Cassa Mezz. – PPSS –
Mediocredito Industria – Agricoltura), sul CNEL rivitalizzato quale punto d’incontro delle
forze sociali e sindacali, imprenditoriali e culturali e su procedure d’incontro con il
Parlamento e le Regioni;
3 – riforma dell’amministrazione (Cost. artt. 28 -97 – 98) fondato sulla teoria dell’atto
pubblico non amministrativo, sulla netta separazione della responsabilta’ politica da
quella amministrativa che diviene personale (istituzione dei Segretari Generali di Ministero)
e sulla sostituzione del principio del silenzio-rifiuto con quello del silenzio-consenso;
4 – definizione della riserva di legge nei limiti voluti e richiesti espressamente dalla
Costituzione e individuazione delle aree di normativa secondaria (regolamentare) in ispecie
di quelle regionali che debbono essere obbligatoriamente limitate nell’ambito delle leggi
cornice.
a3) Ordinamento del Parlamento
1) ripartizione di fatto, di competenze fra le due Camere (funzione politica alla CD e funzione economica al SR);
2) modifica (gia’ in corso) dei rispettivi Regolamenti per ridare forza al principio del rapporto (Cost. art. 64) fra maggioranza-Governo da un lato, e opposizione, dall’altro, in luogo della attuale tendenza assemblearistica;
3) adozione del principio delle sessioni temporali in funzione di esecuzione del programma
governativo.

b) Provvedimenti economico-sociali
b1) abolizione della validita’ legale dei titoli di studio (per sfollare le universita’ e dare il tempo di elaborare una seria riforma della scuola che attui i precetti della Costituzione);
b2) adozione di un orario unico nazionale di 7 ore e 30′ effettive (dalle 8,30 alle 17) salvi i
turni necessari per gli impianti a ritmo di 24 ore, obbligatorio per tutte le attivita’ pubbliche e private;
b3) eliminazione delle festivita’ infrasettimanali e dei relativi ponti (salvo 2 giugno – Natale
– Capodanno e Ferragosto) da riconcedere in un forfait di 7 giorni aggiuntivi alle ferie annuali di diritto;
b4) obbligo di attuare in ogni azienda ed organo di Stato i turni di festivita’ – anche per
sorteggio – in tutti i periodi dell’anno, sia per annualizzare l’attivita’ dell’industria turistica,
sia per evitare la “sindrome estiva” che blocca le attivita’ produttive;
b5) revisione della riforma tributaria nelle seguenti direzioni:
1 – revisione delle aliquote per i lavoratori dipendenti aggiornandole al tasso di svalutazione 1973-76;
2 – nettizzazione all’origine di tutti gli stipendi e i salari delle P.A. (onde evitare gli enormi
costi delle relative partite di giro);
3 – inasprimento delle aliquote sui redditi professionali e sulle rendite;
4 – abbattimento delle aliquote per donazioni e contributi a fondazioni scientifiche e culturali riconosciute, allo scopo di sollecitare l’autofinanziamento premiando il reinvestimento del profitto;
5 – alleggerimento delle aliquote sui fondi aziendali destinati a riserve, ammotamenti,
investimenti e garanzie, per sollecitare l’autofinanziamento delle aziende produttive;
6 – reciprocita’ fra Stato e dichiarante nell’obbligo di mutuo acquisto ai valori dichiarati ed
accertati;
b6) abolizione della nominativita’ dei titoli azionari per ridare fiato al mercato azionario e
sollecitare meglio l’autofinanziamento delle aziende produttive;
b7) eliminazione delle partite di giro fra aziende di Stato ed istituti finanziari di mano pubblica in sede di giro conti reciprochi che si risolvono – nel gioco degli interessi – in passivita’ inutili dello stesso Stato;
b8) concessione di forti sgravi fiscali ai capitali stranieri per agevolare il ritorno dei capitali
dall’estero;
b9) costituzione di un fondo nazionale per i servizi sociali (case – ospedali – scuole
– trasporti) da alimentare con:
1 – sovraimposta IVA sui consumi voluttuari (automobili – generi di lusso)
2 – proventi dagli inasprimenti ex b5)4;
3 – finanziamenti e prestiti esteri su programma di spesa;
4 – stanziamenti appositi di bilancio per investimenti;
5 – diminuzione della spesa corrente per parziale pagamento di stipendi statali superiori a
L. 7.000.000 annui con speciali buoni del Tesoro al 9% non commerciabili per due anni.
Tale fondo va destinato a finanziare un programma biennale di spesa per almeno 10.000
miliardi. Le riforme di struttura relative vanno rinviate a dopo che sia stata assicurata la
disponibilita’ dei fabbricati, essendo ridicolo riformare le gestioni in assenza di validi
strumenti (si ricordino i guasti della riforma sanitaria di alcuni anni or sono che si risolvette
nella creazione di 36.000 nuovi posti di consigliere di amministrazione e nella correlativa
lottizzazione partitica in luogo di creare altri posti letto)
Per quanto concerne la realizzabilita’ del piano edilizio in presenza della caotica
legislazione esistente, sara’necessaria una legge che imponga alle Regioni programmi
urgenti straordinari con termini brevissimi surrogabili dall’intervento diretto dello Stato; per quanto si riferisce in particolare all’edilizia abitativa, il ricorso al sistema dei comprensori obbligatori sul modello svedese ed al sistema francese dei mutui individuali agevolati sembra il metodo migliore per rilanciare questo settore che e’ da considerare il volano della ripresa economica;
b10) aumentare la redditivita’ del risparmio postale elevando il tasso al 7%;
b11) concedere incentivi prioritari ai settori:
I – turistico
II – trasporti marittimi
III – agricolo specializzato (primizie zootecnia)
IV – energetico convenzionale e futuribile (nucleare – geotermico – solare)
V – industria chimica fine e metalmeccanica specializzata di trasformazione; in modo da
sollecitare investimenti in settori ad alto tasso di mano d’opera ed apportatori di valuta;
b12) sospendere tutte le licenze ed i relativi incentivi per impianti di raffinazione primaria del petrolio e di produzione siderurgica pesante.

c) Pregiudiziale e’ che oggi ogni attivita’secondo quanto sub a) e b) trovi protagonista e
gestore un Governo deciso ad essere non gia’ autoritario bensi’ soltanto autorevole e deciso a fare rispettare le leggi esistenti.
Cosi’ e’ evidente che le forze dell’ordine possono essere mobilitate per ripulire il paese dai
teppisti ordinari e pseudo politici e dalle relative centrali direttive soltanto alla condizione che la Magistratura li processi e condanni rapidamente inviandoli in carceri ove scontino la pena senza fomentare nuove rivolte o condurre una vita comoda.
Sotto tale profilo, sembra necessario che alle forze di P.S. sia restituita la facolta’ di
interrogatorio d’urgenza degli arrestati in presenza dei reati di eversione e tentata eversione dell’ordinamento, nonche’ di violenza e resistenza alle forze dell’ordine, di violazione della legge sull’ordine pubblico, di sequestro di persona, di rapina a mano armata e di violenza in generale.

d) Altro punto chiave e’l’immediata costituzione di una agenzia per il coordinamento della
stampa locale (da acquisire con operazioni successive nel tempo) e della TV via cavo da
impiantare a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese.
E’ inoltre opportuno acquisire uno o due periodici da contrapporre a Panorama, Espresso,
Europeo sulla formula viva “Settimanale”.

MEDIO E LUNGO TERMINE

Nel presupposto dell’attuazione di un programma a breve termine come sopra definito, rimane da tratteggiare per sommi capi un programma a medio e lungo termine con l’avvertenza che mentre per quanto riguarda i problemi istituzionali e’possibile fin d’ora formulare ipotesi concrete, in materia di interventi economico-sociali, salvo per quel che attiene pochissimi grandi temi, e’necessario rinviare nel tempo l’elencazione di problemi e relativi rimedi.
a) Provvedimenti istituzionali
a1) Ordinnamento Giudiziario
I – unita’del Pubblico Ministero (a norma della Costituzione – articoli 107 e 112 ove il P.M.
e’ distinto dai giudici);
II – responsabilita’ del Guardasigilli verso il Parlamento sull’operato del P.M. (modifica
costituzionale);
III – istruzione pubblica dei processi nella dialettica fra pubblica accusa e difesa di fronte
ai giudici giudicanti, con abolizione di ogni segreto istruttorio con i relativi e connessi
pericoli ed eliminando le attuali due fasi di istruzione;
IV – riforma del Consiglio Superiore della Magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamento (modifica costituzionale);
V – riforma dell’ordinamento giudiziario per ristabilire criteri di selezione per merito delle
promozioni dei magistrati, imporre limiti di eta’ per le funzioni di accusa, separare le
carriere requirente e giudicante, ridurre a giudicante la funzione pretorile;
VI – esperimento di elezione di magistrati (Costit. art. 106) fra avvocati con 25 anni di
funzioni in possesso di particolari requisiti morali;
a2) Ordinamento del Governo
I – modifica della Costituzione per stabilire che il Presidente del Consiglio e’ eletto dalla
Camera all’inizio di ogni legislatura e puo’ essere rovesciato soltanto attraverso le elezioni
del successore;
II – modifica della Costituzione per stabilire che i Ministri perdono la qualita’
di parlamentari;
III – revisione della legge sulla contabilita’ dello Stato e di quella sul bilancio dello Stato
(per modificarne la natura da competenza in cassa);
IV – revisione della legge sulla finanza locale per stabilire – previo consolidamentodel debito attuale degli enti locali da riassorbire in 50 anni – che Regioni e Comuni possono spendere al di la’ delle sovvenzioni statali soltanto i proventi di emissioni di obbligazioni di scopo (esenti da imposte e detraibili) e cioe’relative ad opere pubbliche da finanziare, secondo il modello USA. Altrimenti il concetto di autonomia diviene di sola liberta’ di spesa basata sui debiti;
V – riforma della legge comunale e provinciale per sopprimere le provincie e ridefinire i
i compiti dei Comuni dettando nuove norme sui controlli finanziari;
a3) Ordinamento del Parlamento
I – nuove leggi elettorali, per la Camera, di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo
il modello tedesco) riducendo il numero dei deputati a 450 e, per il Senato, di
rappresentanza di secondo grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali,
diminuendo a 250 il numero dei senatori ed elevando da 5 a 25 quello dei senatori a vita di
nomina presidenziale, con aumento delle categorie relative (ex parlamentari – ex magistrati
– ex funzionari e imprenditori pubblici – ex militari ecc.);
II – modifica della Costituzione per dare alla Camera preminenza politica (nomina del Primo Ministro) ed alla Senato preponderanza economica (esame del bilancio);
III – stabilire norme per effettuare in uno setesso giorno ogni 4 anni le elezioni nazionali,
regionali e comunali (modifica costituzionale);
IV – stabilire che i decreti-legge sono inemendabili;
a4) Ordinamento di altri organi istituzionali
I – Corte Costituzionale: sancire l’incompatibilita’ successiva dei giudici a cariche elettive
in enti pubblici; sancire il divieto di sentenze cosiddette attive (che trasformano la Corte in
organo legislativo di fatto);
II – Presidente della Repubblica: ridurre a 5 anni il mandato, sancire l’ineleggibilita’ ed
eliminare il semestre bianco (modifica costituzionale);
III – Regioni: modifica della Costituzione per ridurre il numero e determinarne i confini
secondo criteri geoeconomici piu’ che storici. Provvedimenti economico sociali.

b1) Nuova legislazione antiurbanesimo subordinando il diritto di residenza alla dimostrazione
di possedere un posto di lavoro e un reddito sufficiente (per evitare che saltino le finanze dei grandi Comuni);
b2) Nuova legslazione urbanistica favorendo le citta’ satelliti e trasformando la scienza
urbanistica da edilizia in scienza dei trasporti veloci suburbani;
b3) nuova legislazione sulla stampa in senso protettivo della dignita’ del cittadino (sul
modello inglese) e stabilendo l’obbligo di pubblicare ogni anno i bilanci nonche’ le retribuzioni dei giornalisti;
b4) unificazione di tutti gli istituti ed enti previdenziali ed assistenziali in un unico ente di
sicurezza sociale da gestire con formule di tipo assicurativo allo scopo di ridurre i costi
attuali;
b5) disciplinare e moralizzare il settore pensionistico stabilendo: il divieto del pagamento di
pensioni prima dei 60 anni salvo casi di riconosciuta inabilita’; il controllo rigido sulle pensioni di invalidita’; l’eliminazione del fenomeno del cumulo di piu’ pensioni;
b6) dare attuazione agli articoli 39 e 40 della Costituzione regolando la vita dei sindacati
limitando il diritto di sciopero nel senso di:
I – introdurre l’obbligo di preavviso dopo aver espedito il concordato;
II – escludere i servizi pubblici essenziali (trasporti; dogane; ospedali e cliniche; imposte;
pubbliche amministrazioni in genere) ovvero garantirne il corretto svolgimento;
III – limitare il diritto di sciopero alle causali economiche ed assicurare comunque la liberta’ di lavoro;
b7) nuova legislazione sulla partecipazione dei lavoratori alla proprieta’ azionaria delle
imprese e sulla gestione (modello tedesco);
b8) nuova legislazione sull’assetto del territorio (ecologia, difesa del suolo, disciplina delle
acque, rimboscamento, insediamenti umani);
b9) legislazione antimonopolio (modello USA);
b10) nuova legislazione bancaria (modello francese);
b11) riforma della scuola (selezione meritocratica – borse di studio ai non abbienti – scuole di Stato normale e politecnica sul modello francese);
b12) riforma ospedaliera e sanitaria sul modello tedesco.

c) Stampa – Abolire tutte le provvidenze agevolative dirette a sanare bilanci deficitari con onere del pubblico erario ed abolire il monopolio RAI-TV.

Vincenzo De Luca: il Governo prigioniero di un Ras

La furbata è servita. Il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca potrà diventare commissario della Sanità della sua regione. Ma per fare passare questa norma senza provocare troppe polemiche, si è trovato un escamotage. Il commissario della Sanità sarà infatti soggetto a verifiche ogni sei mesi: insomma, una specie di tagliando. È questo il contenuto del testo riformulato dell’emendamento alla manovra presentato in commissione Bilancio alla Camera, accantonato martedì in seguito a numerose critiche. Emendamento che è stato approvato con 18 voti favorevoli e 12 contrari, con l’assenza di Forza Italia.

La formula è quella di consentire al presidente della Regione di diventare commissario della propria sanità regionale ma a patto che ogni sei mesi si verifichi che il suo operato sia conforme ai piani di rientro e che la performance sui livelli essenziali di assistenza sia positiva.

Il testo precisa che “i tavoli tecnici, con cadenza semestrale, in occasione delle periodiche riunioni di verifica, producono una relazione ai ministri della Salute e dell’Economia e delle finanze, da trasmettersi al Consiglio dei ministri, con particolare riferimento al monitoraggio dell’equilibrio di bilancio e dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza”.

Molto critica con l’emendamento, la grillina Silvia Giordano, che intervenendo in commissione Bilancio alla Camera ha detto: “Questa è una marchetta bella e buona perché i voti di De Luca vi fanno di un comodo impressionante, abbiate l’onestà di ammettere che volete solo i suoi voti”. C’è poi la Lega Nord che ha minacciato, per voce di Barbara Saltamartini, di occupare la sala del Mappamondo, dove si sono svolti i lavori.

Il cosiddetto emendamento De Luca ha fatto infuriare le opposizioni perché in questo si è visto un favore politico del governo al presidente della Regione Campania in cambio di un appoggio robusto al Sì in vista del referendum del prossimo 4 dicembre. Proprio nel Sud infatti il Sì risulta in difficoltà.

Di fatti, dopo una battaglia in commissione, e dopo che il ministro Beatrice Lorenzin aveva espresso parere contrario, l’ordine è stato diramato da palazzo Chigi: forzate, fatelo passare. L’ordine dei lavori ha poi previsto una discussione serale, dopo i tg, quando i riflettori sono spenti. Basta un sì, insomma, a Roma sull’emendamento, in Campania nelle urne.

E i pezzi da novanta piombano, per l’ultimo miglio, nel feudo del governatore. Giovedì Luca Lotti è a Salerno mentre il ministro del lavoro Giuliano Poletti si confronterà con Stefano Caldoro a Napoli. A Napoli invece arriva sabato il fiore dei sindaci di fede renziana: Dario Nardella, Matteo Ricci, Giorgio Giuseppe Falcomatà e Antonio Decaro, il sindaco di Bari diventato presidente dell’Anci proprio per rastrellare voti al Sud. Il Mattino parla anche di un’altra tappa di Matteo Renzi, di qui al 4 dicembre, sempre nella Campania di De Luca.

(fonte, Huffington Post)

Cronache d’impero: in onore del premier all’istituto Neruda in scena il balletto della “Buona scuola”

img_0017Nella palestra della scuola “Pablo Neruda” il balletto dei giovanissimi studenti in onore di Matteo Renzi (seduto in prima fila) è in corso da qualche minuto e la rappresentazione per qualche attimo resta sospesa a metà strada tra spontaneità e riverenza al capo del governo. Ma ad un certo punto l’equilibrio si rompe: sulle trascinanti note di “Viva la vida” dei Coldplay i ragazzini innalzano una scritta colorata, “La buona scuola”. Matteo Renzi, studenti, la ministra Stefania Giannini, maestri e professori applaudono la coreografia encomiastica, che rappresenta l’istantanea più curiosa – ma non l’unica – della cerimonia che si è svolta ieri mattina alla scuola elementare e media “Neruda” di Roma in occasione della firma da parte del governo di un protocollo di intesa con Banca europea degli investimenti, Cassa depositi e prestiti per investimenti nell’edilizia scolastica per un valore di 530 milioni di euro in occasione della Giornata per la sicurezza nelle scuole.

Cerimonia breve che in piccole dimensioni ha riproposto la quintessenza del “renzismo”: capacità operativa su tante questioni e al tempo stesso insopprimibile impulso a mettere in “scena” qualsiasi cosa e a farlo sempre e comunque nel segno dell’auto-elogio. Narrazione che, a giudicare da quasi tutti i risultati elettorali degli ultimi due anni e dai sondaggi, sembrerebbe segnare qualche smagliatura. Come conferma la vicenda di ieri. Avendo deciso di usare una scuola per l’annuncio dell’accordo, c’era un precedente che avrebbe dovuto pesare. Erano le prime settimane del governo Renzi e il 5 marzo 2014 l’ingresso del presidente del Consiglio nella scuola elementare Raiti di Siracusa fu salutato da una canzoncina encomiastica: «Facciamo un salto, battiam le mani/ ti salutiamo tutti insieme presidente Renzi». Qualcuno arrivò ad evocare nientedimeno che il duce, sta di fatto che da quel giorno fu vietato alle telecamere delle tv di accompagnare Renzi nelle sue visite sempre più sporadiche alle scuole, comunque sempre elementari e medie.

Ieri mattina il ritorno. Pretesto doppio: l’accordo con la Bei ma anche la prima giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole.I preliminari prevedono una serie di balletti. Protagonisti una ventina di ragazzi. Ma diversi di loro hanno decisamente più di 14 anni e infatti si scoprirà più tardi che fanno parte della «organizzazione» del Ministero dell’istruzione, dell’Università e della ricerca. Poi interviene la ministra Giannini che, ricordando il valore concreto e simbolico della giornata, sostiene: «C’è un Paese che rivede l’orizzionte, la luce, la speranza». Poi tocca alla preside Brunella Martucci, protagonista della bella impresa di aver aperto dopo 30 anni una scuola in un quartiere periferico. Appena vede alcuni bambini che si allontanano dalla cerimonia, li riprende: «State qui! Sennò si porta la giustificazione! Non facciamo brutta figura». Poi parla il presidente del Consiglio. Simpaticamente e brevemente. In vista del momento più atteso: Renzi che, seduto ai banchi, firma il protocollo di intesa, attorniato da bambini sorridenti. Uscendo un papà ricorda una canzone di Giorgio Gaber: «Vedo bambini cantare, in fila li portano al mare, non sanno se ridere o piangere, batton le mani».

(da La Stampa)

Intanto l’ex assessore di Scopelliti si prende 9 anni per mafia

(Lucio Musolino per Il Fatto Quotidiano)

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Nove anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso e 2.100 euro di multa. L’ex consigliere e assessore comunale all’Ambiente Pino Plutino è stato condannato anche dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria al termine del processo “Alta tensione 2“. Adesso manca solo il sigillo della Cassazione per confermare quanto sostiene la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e cioè che l’uomo di fiducia dell’ex sindaco e governatore Giuseppe Scopelliti è un componente della famiglia mafiosa Caridi federata con la potente cosca Libri.

La sentenza è arrivata intorno alle 19 dopo una lunga camera di consiglio. In sostanza, i giudici della Corte d’Appello hanno confermato l’impianto accusatorio del pm Stefano Musolino che, in primo grado, aveva ottenuto la condanna di Plutino a 12 anni di carcere.

Arrestato nel 2012, l’ex assessore comunale sarebbe stato il referente politico dei Caridi al Comune di Reggio. Su di lui, il clan avrebbe fatto confluire i voti non solo degli affiliati, alterando la libera competizione elettorale per le comunali del 2011. Plutino, infatti, è il cugino di Domenico Condemi, considerato il boss del quartiere San Giorgio Extra e condannato a 20 anni di carcere.

Secondo gli inquirenti, l’ex assessore condannato era “il referente della cosca Caridi-Borghetto-Zindato e cresciuto politicamente attraverso queste dinamiche”. Secondo la Procura, da questa inchiesta, è venuta fuori quella che definiscono la ‘ndrangheta “fluida” capace di infiltrarsi nelle istituzioni e che chiede di essere riconosciuta come “sistema di potere“.

La Corte d’Appello ha assolto il fratello del boss, Filippo Condemi, “per non aver commesso il fatto”. Cadono le accuse anche per il poliziotto Bruno Doldo processato per rivelazione del segreto d’ufficio. Al termine del processo, così come era avvenuto in primo grado, i giudici hanno ritenuto che Doldo (all’epoca anche arrestato) fosse innocente e, soprattutto, non fosse quell’”agente della Digos” di cui si parla nelle intercettazioni effettuate durante le indagini.

Una vergogna a forma di Signor Procuratore Generale: Franco Antonio Cassata

(La storia di Adolfo Parmaliana, di quel verminaio Intorno al Procuratore Generale, magistralmente raccontata da Gian Antonio Stella per il Corriere)

Era proprio lui, il corvo: l’allora procuratore generale messinese. Lo dice la sentenza della Cassazione che, depositata nei giorni scorsi, inchioda Franco Antonio Cassata, a lungo il più influente magistrato della città sullo Stretto, per una colpa infamante. La diffamazione pluriaggravata, con un dossier anonimo, di un morto: Adolfo Parmaliana, il docente suicida perché stremato dalla fatica di battersi contro il malaffare e una certa poltiglia giudiziaria.

Una condanna piccola piccola: 800 euro. E spropositatamente bassa, per fare un esempio, rispetto ai nove mesi di carcere inflitti nel 2013 a un immigrato senegalese, mai arrestato prima, che dopo aver perso il lavoro aveva tentato di rubare in un supermarket un paio di confezioni di latte in polvere: di qua un dossier anonimo gonfio di veleni, di là il tentato furto di latte in polvere. Ma una condanna fondamentale per una città dove quel giudice era potentissimo. E che consente ora alla vedova del morto, Cettina, di chiedere un risarcimento in sede civile scartando ogni ipotesi di accordo bonario: «La cosa che più mi fa male è vedere come, nonostante le condanne in primo, secondo e terzo grado, lui si muova per Barcellona Pozzo di Gotto, la sua città, come fosse sempre Sua Eccellenza il Signor Procuratore Generale. Come se nessuno sapesse nulla. E gli fanno pure l’inchino. Un signorotto feudale».

Ricordate? Al centro di tutto c’è la storia di Adolfo Parmaliana, un professore universitario di chimica industriale descritto come «amante dei libri, dei vestiti eleganti, della Juve e idolatrato dai suoi allievi» che il 2 ottobre 2008, dopo anni di battaglie contro le piaghe della cattiva politica siciliana (perfino dentro la sinistra in cui si riconosceva) si uccise buttandosi da un viadotto autostradale. Combattivo segretario diessino di Terme Vigliatore, un paese a due passi da Barcellona, a sud di Milazzo, era stato appena messo sotto inchiesta per diffamazione (lui!) e l’aveva presa malissimo. La sua colpa, diceva, era aver fatto manifesti che ringraziavano Carlo Azeglio Ciampi per aver sciolto il consiglio comunale per le ingerenze della criminalità: «Giustizia è stata fatta. La legalità ha vinto. Tanti dovrebbero scappare… Se avessero dignità!». Aveva chiesto di essere interrogato dal magistrato. Richiesta lasciata cadere…

Sulla scrivania, quel giorno che si era messo al volante per raggiungere il viadotto, aveva lasciato l’orologio, il portafogli e una lettera: «La Magistratura barcellonese/messinese vorrebbe mettermi alla gogna, umiliarmi, delegittimarmi; mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di marito, di servitore dello Stato e docente universitario». Chiudeva accusando «una magistratura che ha deciso di gambizzarmi moralmente». Ultime parole: «Questo sistema l’ho combattuto in tutte le sedi istituzionali. Sono esausto, non ho più energie per farlo e me ne vado in silenzio. Alcuni dovranno avere qualche rimorso, evidentemente il rimorso di aver ingannato un uomo che ha creduto ciecamente, sbagliando, nelle istituzioni. Un abbraccio forte, forte da un uomo che fino ad alcuni mesi addietro sorrideva alla vita».

Colpito da quella morte, dove si impastavano mala-politica e mala-università, mala-amministrazione e mala-giustizia, il giornalista e scrittore Alfio Caruso, da sempre attento a questi temi (sono suoi «Da cosa nasce cosa» e l’ustionante «Perché non possiamo non dirci mafiosi») decise di farci un libro: «Io che da morto vi parlo». E stava quasi per finirlo dopo aver ricostruito una serie di vicende inquietanti quando ricevette un plico. Lo stesso spedito in contemporanea a Giuseppe Lumia, già Presidente dell’Antimafia. Conteneva un dossier anonimo pieno di fango. La faccenda sfociò in un’inchiesta. Sul margine di uno dei fogli del dossier anonimo (il diavolo fa la pentola ma non il coperchio…) era rimasto il timbro del telefono della cartoleria da dove era stato spedito. E dalla cartoleria fu possibile risalire al destinatario di uno dei fax del dossier: il numero 090-770424 era intestato alla Procura generale di Messina. Era solo la prima delle sorprese.

Convinto di essere intoccabile, il giudice Cassata accolse cerimoniosamente gli inquirenti reggini giunti a Messina per indagare su quel fax senza prendere la precauzione di svuotare l’ufficio da quanto c’era di compromettente. E cosa notò casualmente il capitano del Ros Leandro Piccoli in una vetrinetta? Un fascicolo con scritto «copie esposto Parmaliana da spedire». Istantanea telefonata al procuratore Giuseppe Pignatone che conduceva le indagini: «Che facciamo?» «Sequestrate». La carpetta, ricostruisce l’avvocato Fabio Repici che con la collega Mariella Cicero ha difeso il professore suicida, «conteneva quattro copie del dossier anonimo — senza il timbro dell’ufficio con il numero di protocollo — e su due di queste erano attaccati due post-it con su scritto “Procura ME” e “Procura Reggio C.”». Possibile che un procuratore generale si fosse abbassato a quel livello? Le prove erano schiaccianti. Da lì il rinvio a giudizio per «diffamazione pluriaggravata in concorso con l’aggravante di aver addebitato alla presunta vittima fatti determinati e di aver agito per motivi abietti di vendetta». E dopo la condanna in primo grado, fu implacabile la sentenza d’appello confermata poi in Cassazione: «…tale ritrovamento è evidente spia di un lavoro di dossieraggio che vedeva l’imputato raccogliere carte per usarle contro la memoria del professore…». La memoria d’un morto. Suicida per difendere il proprio onore di uomo perbene. La parola adesso spetta ai giudici civili che dovranno stabilire quale sia il risarcimento dovuto alla famiglia. Ma esiste al mondo una cifra che possa minimamente risarcire una cosa così?

Monica Guerritore: “Via Verdini e i ladri, la Carta non si tocca”

“Io credo piuttosto che il rischio Brexit, per il Paese, si concretizzi con l’uscita dalla nostra Costituzione, da questa Costituzione”. L’attrice Monica Guerritore appartiene alla schiera di artisti e intellettuali impegnati per il No al referendum. E dell’uscita di Roberto Benigni non condivide una virgola. “Una premessa però, mi permetta: non siamo in guerra”.

In che senso non siamo in guerra?
“La nostra è solo difesa di una rete che protegge tutti noi, la Costituzione come madre protettiva in un periodo in cui l’etica e il senso della comunità hanno ceduto il passo al cinismo, alla mancanza di rispetto dei diritti altrui. Solo questo…”

Pensa che chi sostenga il Sì alla riforma non abbia senso della comunità, dell’etica?
“Non penso questo. Sono però certa che la nostra Carta abbia consolidato nei decenni un legame forte col popolo italiano che prescinde dai politici che si succedono al governo. E poi, Renzi non è pericoloso, ma chi mi assicura che dopo di lui non ci sia una deriva autoritaria, agevolata proprio da questa riforma?”

Questo non vuole dire, sostiene Benigni, che non si possa riformare la seconda parte della Carta, senza intaccarne i principi.
“Non è vero. Non sono una tecnica. Ma è fin troppo ovvio che se modifichi certi equilibri, finisci col compromettere tutto. Per di più con un’iniziativa arbitraria, non condivisa”.

Però la riforma è stata approvata in Parlamento, per buona parte da una larga maggioranza.
“Sì, ma su iniziativa di un governo. Sa cosa? Io non credo nella politica. Penso che sia la politica a dover essere riformata, non la Costituzione”.

Resterà così per decenni, avverte Benigni.
“Lasciamola così. Portiamo piuttosto in Parlamento politici non corrotti, non indagati, cacciamo i cattivi legislatori: se i senatori fossero delle eccellenze, il Senato non sarebbe da buttare”.

Ci teniamo le due Camere e tutto il resto allora?
“Il problema è avere Verdini in maggioranza, o quella sindaca lì a Roma, gente scelta dai partiti. Cambiamo i partiti. Poi, nuovi eletti su criteri democratici potranno pure lavorare a una riforma condivisa della Costituzione. Ma non ora. Non così”.

(fonte: Repubblica qui)

Andrea Camilleri: «ecco perché voto no»

Novantantun anni, 102 libri, 26 milioni di copie solo in Italia: Andrea Camilleri è lo scrittore più importante che abbiamo. «Vorrei l’ eutanasia, quando sarà il momento. La morte non mi fa paura. Ma dopo non c’ è niente. E niente di me resterà: sarò dimenticato, come sono stati dimenticati scrittori molto più grandi. E quindi mi viene voglia di prendere il viagra, di ringiovanire, pur di vivere ancora qualche anno, e vedere come va a finire. Vedere che presidente sarà Trump: uno tsunami mondiale, un Berlusconi moltiplicato per diecimila. E vedere cosa sarà del mio Paese».

«A guardare l’ Italia ridotta così, mi sento in colpa. Avrei voluto fare di più, impegnarmi di più. Nel Dopoguerra ci siamo combattuti duramente, ma avevamo lo stesso scopo: rimettere in piedi il Paese. Oggi quello spirito è scomparso».

Renzi non è un buon presidente del Consiglio? 

«No. È un giocatore avventato e supponente. Mi fa paura quando racconta balle: ad esempio che il futuro dei nostri figli dipende dal referendum. Mi pare un gigantesco diversivo per realizzare un altro disegno».

Quale? 

«Mi sfugge, ma c’ è».

Al referendum andrà a votare?

«Pur di votare No mi sottoporrò a due visite oculistiche, obbligatorie per entrare nella cabina elettorale accompagnato. Io le riforme le voglio: il Senato deve controllare la Camera, non esserne il doppione. Ma questa riforma è pasticciata. E non ci consente di scegliere i nostri rappresentanti».

Spera nei Cinque Stelle?

«Non mi interessano. Non ci credo. Mi ricordano l’ Uomo Qualunque: Grillo è Guglielmo Giannini con Internet. Nascono dal discredito della politica, ma non hanno retto alla prova dei fatti: Pizzarotti è stato espulso dal movimento; la Raggi non mi pare stia facendo grandi cose».

Se vince il No cosa succede? 

«Entra in campo Mattarella. Che si comporterà bene; perché è un gran galantuomo».

(l’articolo continua qui)

Nel merito. Appello degli avvocati milanesi per il No.

Il prossimo referendum sulla revisione costituzionale riguarda una materia tecnicamente assai complessa, sia per l’eterogeneità e l’ampiezza delle modifiche intervenute, sia per la difficoltà di cogliere tutte le implicazioni che ne potranno derivare.

Come avvocati sentiamo il dovere di esprimerci, mettendo le nostre competenze giuridiche e la nostra concreta esperienza professionale a disposizione dei cittadini per aiutarli a compiere una scelta consapevole.

Innanzitutto occorre osservare che la scelta di adottare una così vasta revisione costituzionale ed una nuova legge elettorale con la sola forza della contingente maggioranza di governo (peraltro artificiosa) costituisce un grave limite genetico perché lascia presagire che, nel prossimo futuro, ad ogni cambio di equilibrio politico potrà corrispondere una nuova modifica della Carta fondamentale ed una nuova legge elettorale su misura dei vincitori. Una simile spirale di riforme e controriforme farebbe venire meno la concezione della materia istituzionale come terreno di valori condivisi, minando le basi della nostra convivenza democratica.

In secondo luogo, balza agli occhi dell’interprete la pessima qualità redazionale dell’intervento di revisione, che introduce nella nostra Carta fondamentale norme farraginose, illeggibili per il cittadino medio, spesso contraddittorie o ambivalenti; insomma, la forma – che in questa materia è anche sostanza – appare lontanissima da quella tipica delle norme costituzionali, che dovrebbero essere il più possibile cristalline, sobrie ed accessibili a chiunque. Lo stile involuto e l’obiettiva oscurità di non poche disposizioni raggiunge livelli tali da legittimare il dubbio che non si tratti (solo) di limiti qualitativi, bensì di un’ambiguità intenzionale per lasciare aperte diverse opzioni applicative ed interpretative a seconda degli equilibri politici che si potranno determinare in futuro.

Il principale elemento che rischia di privare l’opinione pubblica di una piena consapevolezza degli effettivi esiti che la revisione oggetto di referendum produrrà nella vita delle istituzioni è dato dalla interazione tra la modifica costituzionale vera e propria e la legge elettorale per la Camera, detta “Italicum”. Questa, avendo reintrodotto surrettiziamente i medesimi vizi stigmatizzati nella sentenza di incostituzionalità della legge precedente (Porcellum), non solo è, a sua volta illegittima, ma costituisce anche un oltraggio alla Corte Costituzionale inconcepibile in uno stato di diritto.

La revisione costituzionale, eliminando l’elettività del Senato e lasciando alla sola Camera dei Deputati il rapporto di fiducia col governo, consentirebbe all’Italicum di dispiegare per intero il proprio effetto sulle istituzioni, effetto che sarà quello di produrre una sostanziale modificazione della forma di governo del nostro paese.

Infatti, con il ballottaggio tra liste e l’assegnazione di un abnorme premio di maggioranza al vincitore (un unicum a livello mondiale), a prescindere dall’effettiva rappresentatività del corpo elettorale, la legge determinerà di fatto l’elezione diretta del presidente del consiglio, l’illimitata compressione della rappresentanza democratica e la concentrazione nel governo di tutti i poteri: dal controllo sull’assemblea legislativa alla possibilità di eleggere gli organi di garanzia (Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale, Csm), dal dominio sulla Rai alla nomina delle varie Authority.

Questo determinerebbe la fuoriuscita dal modello di democrazia parlamentare, senza peraltro le garanzie del modello alternativo, quello della repubblica presidenziale, che è caratterizzato da rigorosa separazione dei poteri e forte presenza di pesi e contrappesi.

Un così radicale ed avventuroso cambiamento del nostro assetto istituzionale è stato introdotto in modo larvato e con legge ordinaria, rimanendo perciò formalmente estraneo alla revisione costituzionale oggetto del quesito referendario.

I cittadini, che in questo modo sono privati della possibilità di esprimere il proprio giudizio sulla parte più incisiva del complessivo mutamento costituzionale che si vuole realizzare, devono essere resi consapevoli della reale posta in gioco perché possano riappropriarsi del diritto di deliberare anche su ciò che formalmente non viene loro richiesto.

Peraltro, quale che sia il giudizio sulla legge elettorale, venendo al merito della revisione costituzionale – e prescindendo in questa sede da aspetti secondari (dai presunti risparmi all’abolizione del Cnel), di carattere essenzialmente propagandistico – basterà concentrare l’attenzione sul tema cruciale del procedimento legislativo.

Non è affatto certo che la semplificazione e velocizzazione dell’attività legislativa potrà realizzarsi come i sostenitori della revisione promettono. Infatti, il carattere assai confuso delle competenze e delle modalità di partecipazione del futuro Senato al processo legislativo induce a prevedere piuttosto una complicazione delle procedure ed una moltiplicazione dei conflitti, con conseguenti ricorsi alla Corte Costituzionale. Se poi la maggioranza politica del Senato espresso dai consiglieri regionali dovesse essere diversa da quella della Camera, è logico aspettarsi un sistematico richiamo di tutte le leggi approvate dalla Camera, con conseguente generalizzazione della “navetta” tra i due rami del parlamento, che oggi è un fenomeno limitato a circa il 3 % delle leggi che vengono varate.

Ma poniamo, per ipotesi, che la semplificazione promessa venga realizzata. In tal caso sarebbe necessario chiedersi se, al di là delle facili suggestioni propagandistiche diffuse dalle forze di governo e da alcune rappresentanze dell’establishment economico, questo corrisponda veramente all’interesse dei cittadini o non costituisca piuttosto il classico bisogno indotto.

Nella realtà, nonostante il bicameralismo perfetto, l’Italia ha già oggi tempi di approvazione delle leggi che sono inferiori alla media degli altri stati democratici ed ha prodotto nei decenni una quantità di nuove leggi tale da rasentare un record mondiale. Il numero delle leggi in vigore nel nostro paese è da tempo sfuggito al controllo (40.000, 100.000, 150.000 ?) e questo ha creato incertezza del diritto, milioni di processi pendenti e condizioni favorevoli alla proliferazione della corruzione.

Il che è quanto dire che non abbiamo un problema di lentezza nell’attività legislativa, ma al contrario abbiamo una iper-produzione legislativa che, oltretutto, si accompagna al progressivo ed allarmante scadimento della qualità delle nuove norme che vengono approvate, e che sempre più spesso sono di iniziativa governativa e non parlamentare.

In questa situazione la prospettiva di un parlamento subalterno all’esecutivo – che oltre a detenere la maggioranza garantita dal premio ne potrà determinare anche l’agenda – costituito in prevalenza di nominati, e ridotto a sfornare a getto continuo nuove leggi a data certa, senza i tempi necessari per i dovuti approfondimenti e per la discussione, dovrebbe suscitare viva inquietudine in qualunque persona minimamente informata.

Peraltro, la (ancora) minore ponderazione delle leggi e lo slittamento verso una forma di “democrazia immediata” comportano rischi non solo sul piano qualitativo, ma anche di sistema.

Infatti, determinando una più diretta esposizione sia alle ondate emotive dell’opinione pubblica, sia alla pressione dei media spesso pilotata dai poteri forti (“lo vogliono i mercati”; “lo vuole l’Europa” …), possono dare luogo facilmente a misure penali squilibrate – ora di disumana severità, ora di esagerato lassismo – e ad improvvisate leggi civili del caso singolo. Insomma, l’esatto contrario di quella normazione fatta di poche leggi, tecnicamente accurate, organiche e stabili nel tempo di cui avrebbe davvero bisogno l’Italia per essere più moderna e competitiva.

Anche la radicale modificazione del sistema delle autonomie e del rapporto Stato – Regioni non è condivisibile perché, allontanandosi bruscamente dal disegno dei Costituenti che era quello di assegnare alle Regioni un potere di riforma delle stesse leggi dello Stato nelle materie ad esse attribuite dall’art. 117 Cost., determina uno svuotamento di questa autonomia e un ritorno di quasi tutte le competenze al potere centrale.

La revisione costituzionale porta così a compimento la sconfitta dell’autonomia regionale, trasformando progressivamente le Regioni in enti non più prevalentemente legislativi e di tutela delle autonomie locali, ma in enti di spesa; tutto ovviamente con la complicità di un ceto politico locale più attento alla clientela che alla difesa della funzione costituzionale attribuita alla Regione.

Questo ritorno al potere invasivo dello Stato centrale, sia politico che burocratico, avviene senza alcun risparmio di spesa, anzi al contrario, e con il mantenimento di un ceto politico regionale (Consigli e Giunte Regionali) titolare soltanto di potere clientelare, in senso lato, ossia di gestione di grandi flussi di denaro in funzione di vantaggio politico.

Per tutte queste ragioni, noi riteniamo che siano di gran lunga prevalenti nella revisione costituzionale gli aspetti negativi. Inoltre riteniamo che nel bilanciamento che siamo chiamati a fare, dovendo approvare o bocciare in blocco una modifica costituzionale variegata, occorra sempre far prevalere un principio di precauzione, ricordando che le Costituzioni sono quelle regole che i popoli si danno quando sono sobri per quando saranno ubriachi.

 

Per questo, il nostro consiglio è quello di votare NO.

 

Avv. Luciano Belli Paci

Avv. Felice Besostri

Prof. Avv. Maria Agostina Cabiddu

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Avv. Claudio Tani

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Aggiornato 8.11.2016

Inviare nuove adesioni a avv.bellipaci@studiobellipaci.it

Sempre lui, il ladro di libri: Dell’Utri rinviato a giudizio per il saccheggio della Biblioteca Girolamini

Ne scrive Simona Maggiorelli per Left:

Dopo la condanna definitiva dell’ex direttore Massimo M. De Caro e dei suoi complici per il saccheggio della Biblioteca Girolamini, il 14 febbraio Marcello Dell’Utri dovrà presentarsi in aula. Secondo l’accusa, l’ex senatore di Forza Italia sapeva da dove provenivano i libri che De Caro gli consegnava e con lui si sarebbe accordato su quali volumi trafugare.L’inchiesta è nata come filone secondario del filone principale, che ha portato in carcere l’ex direttore della Biblioteca di Vico, da cui sono stati rubati migliaia di libri antichi e preziosi. Una parte del bottino è stato nel frattempo ritrovato, ma molti volumi risultano danneggiati, sono state strappate le etichette e tutto ciò che poteva rendere chiara la provenienza dei volumi. Inoltre sono stati distrutti i registri e i cartelli che avrebbero permesso di ricostruire la originaria collocazione dei libri. Dopo l’assalto alla biblioteca operato da chi aveva l’incarico di dirigerla e preservarlapurtroppo l’antica biblioteca napoletana non potrà mai tornare come era. Anche perché all’appello mancano libri preziosi come l’edizione dell’Utopia di Tommaso Moro che fu consegnata a Dell’Utri. Introvabili, fin qui, anche preziose rilegature quattrocentesche. Questo filone dell’inchiesta in cui è coinvolto anche Dell’Utri è partito analizzando le caratteristiche della biblioteca dei Girolamini, di particolare interesse per gli studiosi vichiani, e intercettando alcune conversazioni telefoniche che hanno chiarito la rete di rapporti fra Dell’Utri e De Caro, del quale che l’ex senatore aveva sostenuto la carriera, prima al ministero all’Agricoltura e poi ai Beni culturali, all’epoca in cui era ministro Ornaghi. Dell’Utri, che si trova nel carcere di Rebibbia in attesa che il Tribunale di Sorveglianza valuti la compatibilità del suo stato di salute con il regime carcerario, non è stato ancora interrogato. In passato ha sempre sostenuto di ignorare la provenienza dei volumi ricevuti da De Caro perché non vi erano segni distintivi della biblioteca e a ottobre 2012 presentò agli inquirenti una memoria con l’elenco di tutti i libri antichi avuti dall’ex direttore dei Girolamini consentendo il sequestro in via Senato di volumi antichi. Secondo i pm «non è ipotizzabile che il senatore, esperto collezionista di libri antichi, abbia potuto non avere contezza della provenienza dei preziosi volumi a lui consegnati da De Caro».

L’articolo continua qui. Se invece volete acquistare il nostro libro proprio su Marcello, L’amico degli eroi, vi basta andare qui.

Nel merito. «Andiamo a votare per una legge veramente immaginaria. Pericolosa sullo stato di guerra.»: parla il Generale Mini.

Intervista di Rossella Guadagnini al generale Fabio Mini (*)

Riforme, democrazia, governabilità e inganni. Ne parliamo con una voce fuori dal coro, un uomo che per 46 anni è stato nelle Forze Armate e oggi si definisce molto progressista. Ci racconta di una legge ‘immaginaria’ e di un Parlamento ‘defraudato’, di una maggioranza non rappresentativa del Paese e di una ‘guerra fredda interna’ all’Italia. Di spazi informativi pubblici a favore del marketing governativo e di una grande festa della dis-unità a cui, volenti o no, siamo tutti invitati.

D. Generale Fabio Mini cosa pensa delle riforme costituzionali?

R. Non sono contrario alle riforme costituzionali, ma sono nettamente contrario a questa riforma. Respingo il sillogismo che chi vota “sì” vuole un’Italia “efficiente, stabile e responsabile, e quindi capace di esercitare il suo ruolo in Europa” e chi vota No vuole “un’Italia idiosincratica ed eccentrica, eternamente prigioniera delle proprie ombre”. E’ un sillogismo apodittico che squalifica sul piano intellettuale chi lo propone e offende chi non lo condivide. E’ il primo segnale che la riforma proposta intende dividere gli italiani ed io penso invece che una Costituzione debba unire i cittadini.

D. Il fronte del No è molto variegato e ispirato da ideologie addirittura opposte: come si conciliano?

R. Personalmente, mi schiero con il No proposto da un Movimento di cittadini e non da un partito, mi riconosco negli idealisti e non negli ideologi, nelle persone responsabili che pensano al futuro dell’Italia unita e non in coloro che operano per dividerla ulteriormente e  intendono affondare la nave per assumere il comando di una scialuppa. Non condivido l’obiezione che il No sia improponibile perché voluto anche da partiti e movimenti d’ispirazione fascista, veterocomunista, populista e quant’altro, che vogliono soltanto la caduta del governo. Non condivido le loro finalità, ideologie e prassi, ma riconosco legittime e fondate alcune delle loro motivazioni. Sono infatti queste comuni motivazioni a fare del No un fronte trasversale espressione di molte anime, e non di un pensiero unico, e quindi – nel suo complesso – essenzialmente democratico.

D. Con il No cosa succederebbe al Governo ?

R. Non collego il No alla caduta del Governo. Penso che sia stata una grossa sciocchezza legare il Referendum alla sopravvivenza politica del capo del Governo: un narcisismo inopportuno che non è finito con la tardiva e strumentale ammissione dell’errore. Anzi è stato fatto qualcosa di peggio, perché tutto l’esecutivo, a partire dal suo vertice, ha riversato sull’Italia la prospettiva di fallimento e sfascio nazionale in caso di prevalenza del No, alimentando così la disunione all’interno e i sospetti d’instabilità nazionale all’esterno. Viste le conseguenze in campo internazionale e nella speculazione economica a danno dell’Italia, questa operazione, in altri tempi e Stati, sarebbe stata considerata e perseguita come “Alto tradimento”. Da noi è una “furbata”. Dopo il voto ciascuna parte politica dovrà trarre le conclusioni e agire di conseguenza, ma se il Referendum non realizza una massiccia affluenza alle urne nessuno potrà veramente cantare vittoria: avrà perso l’Italia. E il conteggio dei voti dovrà far riflettere invece di far gioire. La prevalenza risicata del “si” inasprirà ancor di più il clima politico e indurrà il Governo a irrigidirsi su posizioni non condivise. Secondo me, tutto questo porterà nel giro di breve tempo alla fine dell’esecutivo o della stessa legislatura. Se dovesse prevalere il No, tecnicamente sarebbe soltanto il rinvio della Riforma e con questo Parlamento il Governo potrebbe restare in carica fino al termine di legislatura. Ma gli equilibri politici sarebbero mutati e il Governo non potrebbe imporsi sul Parlamento come ora. Non è detto che questo sia necessariamente un male. Inoltre, se oggi il No di altri gruppi tende solo allo sfascio del Governo bisogna riflettere sulle ragioni e le responsabilità di tale atteggiamento. In questi ultimi anni il dissenso democratico non ha avuto né attenzione né alternativa onorevole. Quando quasi mezzo Parlamento è costretto a lasciare l’aula, per non essere coinvolto in uno schema  che non condivide e i restanti festeggiano come allo stadio, si celebra l’effimera vittoria di una parte e si detta il necrologio della democrazia.

D. Entrando nel merito della riforma, perché vota NO?

R. E’ stato detto che questa riforma, “dopo un dibattito trentennale infruttuoso e controverso”, era diventata improcrastinabile. Non è stato detto che la controversia non derivava dalla carenza di norme, ma dalla necessità (riconosciuta dalle stesse commissioni bilaterali e da tutti gli altri proponenti di riforme alla Costituzione) di procedere alle riforme con il più largo consenso delle forze politiche. Lo stesso meccanismo dell’articolo 138 della Costituzione, prevedendo più esami incrociati tra Camera e Senato, cauti passi successivi e tempi di riflessione intendeva promuovere un largo consenso. Tant’è che nel caso esso fosse venuto a mancare si prevedeva la possibilità di ricorrere alla consultazione diretta del popolo. Ora, si è arrivati a questa riforma pasticciata e opaca perché invece di ricercare il largo consenso si è preferito imporre la volontà di una maggioranza non rappresentativa della Nazione. Abbiamo assistito a manovre di qualsiasi genere, a ricatti politici, disinformazione, emarginazione dei dissidenti o soltanto dei non favorevoli, sostituzione di membri di commissioni parlamentari scomodi, agitazione di spauracchi, promesse populistiche, ghigliottine, canguri, sedute fiume e molto altro. Di peggio è avvenuto nell’ombra. La forma non è stata violata, ma il metodo si è rivelato ingiusto e scorretto perché nel frattempo la rappresentatività parlamentare e governativa era passata, con successive “porcate” e “leggi incostituzionali”,  dal sistema proporzionale a quello maggioritario a sbarramento. E soprattutto perché le finalità della riforma erano e rimangono tanto confuse da giustificare ogni sospetto di manipolazione.

D. Lo ritiene un fenomeno nuovo?

R. No, ma nel passato, quando gli obiettivi delle riforme costituzionali erano chiari, puntuali e condivisi sono state promulgate leggi costituzionali senza difficoltà. Dal 1948 ad oggi sono state approvate 38 leggi costituzionali tra cui provvedimenti importanti come le pari opportunità, l’abolizione della pena di morte anche per i reati militari in tempo di guerra, il voto degli italiani all’estero, l’estradizione per delitti di genocidio, il giusto processo, il pareggio di bilancio ecc. I problemi si sono posti quando le riforme si presentavano strumentali o soltanto imparziali e soprattutto quando rispecchiavano interessi di potere particolari e clientelari.

D. La riforma vorrebbe snellire la burocrazia legislativa, ridurre i costi della politica.

R. Purtroppo questa riforma non snellisce e non fa risparmiare. Si sarebbe invece risparmiato molto utilizzando strumenti legislativi ordinari senza scomodare la Costituzione. E anche ammettendo che ci sia qualche risparmio sul piano contabile, la riforma comporta costi enormi  in credibilità delle istituzioni, bilanciamento dei poteri e quindi in democrazia. Non sono costi teorici o morali, a ognuno di tali elementi sono collegate pratiche politiche e amministrative che se non adeguatamente controllate generano corruzione, sprechi, abusi di potere, imposizioni di tasse esose, aumento del debito e dissoluzione dei rapporti di fiducia tra Stato e cittadini. E’ vero, ci è stato detto che   “Abbiamo bisogno di capacità decisionali e di procedimenti legislativi più rapidi e non di un sistema immaginato e pensato a quei tempi, in cui forse si credeva si dovesse decidere raramente”. Ebbene, dobbiamo ricordare che  la rapidità non è sinonimo di migliore qualità o efficacia dei provvedimenti. Anzi. Siamo ancora impantanati  nei problemi creati dalla fretta dei governi e dalle loro false priorità. Inoltre, il sarcasmo fuori posto è sempre una forma di denigrazione e, in questa frase, è chiara la volontà di delegittimare un’Italia che i denigratori  non hanno né conosciuto né studiato.

D. Cosa trascurano?

R. Più che trascurare, in realtà non sanno e quindi non possono nemmeno ricordare. Questo progetto fa parte dello schema di rottamazione non di ciò che non funziona, ma di ciò che non si conosce. Siccome l’ignoranza è molta, non deve stupire che la cosiddetta rottamazione colpisca a vanvera in molti settori. Se i denigratori non possono ricordare, potrebbero ascoltare, ma di solito l’ignoranza va di pari passo con l’arroganza e perciò bisogna accontentarsi di dire cose che non ascolteranno mai. Noi però possiamo ricordare che quel sistema immaginato nel 1948 è stato realizzato e ha preso le decisioni più difficili della nostra storia. Con successi e insuccessi abbiamo recuperato credibilità internazionale, risollevato l’economia, affrontato emergenze naturali senza scandali, combattuto il terrorismo e la mafia, ristrutturato le Forze Armate e le abbiamo spedite in ogni angolo della Terra a rappresentare l’Italia e abbiamo raggiunto il quarto posto fra sette delle maggiori economie (G-7). Poi, con una breve stagione di “decisionisti” e  fantasiosi innovatori abbiamo decuplicato il debito nazionale, aumentato la disoccupazione e il precariato, diminuito la nostra competitività. Infine, grazie alle virtù taumaturgiche del mercato, dei tecnocrati e dei rottamatori abbiamo centuplicato il debito e siamo stati malamente coinvolti in una crisi che non ci avrebbe riguardato così da vicino, se non avessimo avuto immaginifici finanzieri di Stato e speculatori privati rivolti esclusivamente allo sfruttamento delle bolle finanziarie.

D. E oggi come siamo messi?

R. Andiamo a votare per una legge veramente immaginaria e siamo più deboli in Europa, sminuiti nella capacità di sicurezza,  succubi delle decisioni altrui, allontanati dai tavoli di discussione globali ed europei, ultimi nella graduatoria del G7, incapaci di provvedere al rilancio dell’economia e costretti ad elemosinare non denaro (che nessuno regala), ma la possibilità di fare altri debiti. Non si può addossare la responsabilità di tutto questo solo al sistema bicamerale o ai governi del passato. Negli ultimi dieci anni sono state approvate più leggi richieste dal Governo che quelle promosse dal Parlamento. In alcuni periodi delle legislature passate e di quella presente si è legiferato con le procedure di urgenza su cose che non erano affatto urgenti, si sono blindate leggi e leggine d’iniziativa governativa (109 in questa legislatura), facendo ricorso eccessivo ai colpi di maggioranza, alle deleghe al governo (13 a quello attuale su temi  fondamentali come lavoro, scuola, comunicazione pubblica ecc.) e al voto di fiducia al governo (ben 56 volte negli ultimi due anni e mezzo). Oggi non andiamo a votare per migliorare, ma per  istituzionalizzare un Parlamento defraudato del potere legislativo e assoggettato al potere esecutivo molto di più di quanto non lo sia già ora.

D. Un altro elemento su cui insistono i fautori della riforma è la governabilità. Argomento convincente, a suo parere?

R. La “governabilità è ormai un dogma. Ma non è un’invenzione di oggi. Il tema è stato sollevato per primo da Bettino Craxi (fine anni ‘70), quando con i voti di un partito largamente minoritario voleva guidare per sempre l’intero Paese. Non a caso parlava di governi di legislatura (che stessero al governo “certamente” almeno per turni di 5 anni) o di “governo presidenziale”, pensando di diventare presidente. Ma i governi erano comunque coalizioni di grandi partiti che godevano anche dell’appoggio esterno di alcune opposizioni. La democrazia non era in pericolo, semmai era evidente l’insofferenza di un leader carismatico nei confronti dei grandi partiti. Lo stesso tema fu affrontato da Spadolini nel 1982 in maniera geniale, anche se inattuabile. Anche lui leader carismatico, esponente di un partito abbondantemente minoritario, ma giuridicamente molto più preparato di Craxi, individuò il collante fra le coalizioni, non nell’egemonia del partito più numeroso, ma in una presunta forza istituzionale del Presidente del Consiglio. Di fatto, sostituiva la forza dei partiti con la forza del ruolo di Capo del Governo. Intendeva istituire il “regime del primo ministro” al posto del “regime dei partiti”. “Perché -diceva- il governo della Repubblica deve governare anche per chi gli vota contro, anche per i senza partito, anche per gli extraparlamentari, anche per chi ancora non vota e voterà domani». Era una proposta al limite della liceità costituzionale e valeva finché ci si credeva. Ma lui era Spadolini e governò a modo suo, non per molto, ma senza modificare una sola virgola della Costituzione. Nel caso si fosse resa necessaria una riforma, Spadolini ebbe a dire: “Il governo ricercherà sempre con l’opposizione lo “idem sentire de Constitutione”. Questa riforma è lontana anni luce dall’idem sentire di Spadolini e di tutti i Padri costituenti. Non vuole eliminare “il regime dei partiti”, ma istituire il regime di un partito, anche se oggettivamente non maggioritario, come lo sono tutti i grandi partiti di oggi.

D. E’ stato detto che la riforma è necessaria per realizzare “un processo organico di riforma in grado di razionalizzare in modo compiuto il complesso sistema di governo multilivello articolato tra Unione Europea, Stato e Autonomie territoriali”.

R. Magari lo fosse, e magari fosse stato spiegato chiaramente cosa sarebbe necessario. E’ stato invece raffazzonato un discorso che parla di razionalizzare “alla luce dei provvedimenti già presi in relazione allo spostamento del baricentro decisionale connesso alla forte accelerazione del processo di integrazione europea e, in particolare, l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea (da cui sono discesi, tra l’altro, l’introduzione del Semestre europeo e la riforma del patto di stabilità e crescita) e alle relative stringenti regole di bilancio (quali le nuove regole del debito e della spesa); le sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale”. Sono parole testuali della proposta, ma più che un proposito, lo sproloquio sembra una “captatio benevolentiae” nei confronti dell’Europa. Una inutile piaggeria, che non ha più senso visto che l’integrazione europea è più lontana che mai, la governance europea è in crisi grazie anche agli atteggiamenti estemporanei del nostro governo (prima, durante e dopo Bratislava) e che nella cosiddetta riforma non c’è nulla che risponda alle sfide “dell’internazionalizzazione economica”. Oggi in campo internazionale siamo ad un livello di guerra fredda molto vicino alla guerra calda tra blocchi contrapposti, come nel 1946, in Europa, in Asia e quindi in tutto il mondo. Gli equilibri stanno cambiando rapidamente e in modo pressoché incontrollato. Gli stessi Stati Uniti non sanno dove andare e domani forse scopriranno di non voler e non poter andare da nessuna parte. Oggi, in Italia siamo sicuramente in piena guerra fredda interna: da vent’anni siamo prigionieri di una dicotomia fra destra e sinistra che ancora parla di comunismo e fascismo. Grazie all’arroganza di partiti personalizzati il Paese è spaccato apparentemente in due, ma sostanzialmente in cento pezzi.

D. E’ una questione che riguarda esclusivamente i partiti politici?

R. No, è dovuta anche all’avidità dei poteri economici, industriali e finanziari che sostengono i partiti per i propri interessi, i quali non necessariamente coincidono con l’interesse collettivo, meno che mai con il bene pubblico. Ma i partiti hanno un’aggravante: hanno interpretato l’articolo 49 della Costituzione come l’investitura di ciascuno di essi alla rilevanza costituzionale. Il segretario di un partito si sente – e di fatto è stato considerato dagli stessi presidenti della Repubblica – come un “organo costituzionale”. In realtà l’articolo 49 stabilisce la libertà dei cittadini di associarsi in partiti, ma non assegna a essi altra funzione se non quella di permettere che i cittadini concorrano con metodo democratico a determinare la politica nazionale. La rilevanza costituzionale è dei cittadini, non dei partiti. In realtà i tre partiti maggiori del panorama italiano non assicurano affatto il metodo democratico, ma quello monocratico o al massimo oligarchico, autoritario e personalizzato. Non danno alcuno spazio di dissenso al loro interno e sono da tempo impegnati in una delegittimazione reciproca che ha prodotto la sclerosi delle strutture interne e la completa sfiducia dei cittadini nella politica in generale.

D. Eppure questa riforma è passata con l’avallo del Parlamento.

R. Certo, ma non nella misura necessaria alla sua promulgazione. Tant’è che andiamo al Referendum proprio perché non è stato raggiunto l’accordo richiesto dalla stessa Costituzione. In compenso ci è stato detto che questa riforma ha rispettato tutti i parametri costituzionali e democratici. In realtà, l’iter di questa riforma, come quella bocciata nel 2006, è stato caratterizzato dalla prevalenza del metodo “a colpi di maggioranza”, abbandonando l’equilibrio previsto dalla Costituzione tra leggi “consensuali” e “maggioritarie”.  Si è invece rafforzata la presunta equivalenza fra principio democratico e principio maggioritario. Le modifiche alla Costituzione o alla forma di governo e della rappresentanza (come nel caso della legge elettorale) scaturiscono dalla convenienza della maggioranza di turno: nel periodo 2000-2015, ben nove (su dieci) leggi di revisione della Costituzione sono state approvate con i soli voti della maggioranza parlamentare, senza cercare larghe intese all’interno delle forze.

D. La nuova legge ha il sostegno di intellettuali, sindacalisti, forze economiche e finanziarie.

R. Non mi sorprende. Molti sono in buona fede perché attratti dal canto delle sirene sui risparmi e sulla limitazione dei politici o soltanto dalla voglia di punire il sistema o i partiti avversari. Alcuni poteri cosiddetti forti sono attratti dalla prospettiva di avere un governo a propria disposizione. Altri pensano alla pancia quotidiana e sostengono chi promette di più o elargisce elemosine elettorali. Qui il governo ha buon gioco perché è l’unico in grado di promettere, anche se sa benissimo di non poter mantenere. Ma è soltanto un escamotage che deve durare un mesetto ed è una sorta di competizione sleale perché gli oppositori, non essendo in campagna elettorale per la legislatura, non possono promettere niente altro che la fine del governo. Aumentando così l’incertezza di chi spera nei bonus e la diffidenza degli stranieri.

D. A detta dei fautori del Sì, non vengono alterate le Istituzioni democratiche. E’ così?

R. Secondo la definizione socio-economica più moderna e coerente, lo scopo di una “Istituzione” (e il Senato è una Istituzione) è quello di garantire la corretta applicazione delle  norme stabilite tra l’individuo e la società o tra l’individuo e lo Stato, sottraendole  all’arbitrio individuale e all’arbitrio del potere in generale (Haidar J.I.-2012). Ebbene, questa riforma nega e offende le Istituzioni democratiche: nei fatti stravolge l’impianto istituzionale dello Stato aumentando l’arbitrio individuale, o di un gruppo, e l’arbitrio del potere in generale. Il mio non è un giudizio teorico o di principio. Come uomo, soldato e cittadino con oltre 46 anni di servizio nell’ambito di una istituzione fondamentale come le Forze Armate, deputate alla difesa della Patria, anche in guerra, non posso condividere una riforma che sottrae al Parlamento la decisione sulla più drammatica evenienza di uno Stato: la dichiarazione di guerra. La norma proposta indica infatti nel Governo, attraverso la sua ovvia e artificiosa maggioranza monocamerale, il responsabile di tale decisione.

D. Ma la guerra non è un’evenienza remota?

R. E’ vero che sul piano pratico la cosa può sembrare ininfluente: nessuno più dichiara apertamente la guerra, ad eccezione degli Stati Uniti che ormai scendono in guerra per ogni cosa. Ma anche loro, pur chiamando ‘guerra’ qualsiasi sforzo interno ed internazionale, pur individuando nemici in ogni interlocutore, pur usando gli strumenti di guerra come prima risorsa d’emergenza e pur avendo inventato la guerra preventiva che non previene, ma anzi anticipa la guerra, sono ben attenti ad evitare con cura qualsiasi dichiarazione formale di guerra. Oggi, specialmente da parte dei Paesi europei e della Nato, la guerra si fa senza dichiararla o semplicemente cambiandone il nome. E, comunque, neppure l’impegno della Nato nella difesa collettiva (articolo 5 del Trattato) costringe in modo automatico ad intervenire con le armi. Ogni Paese membro può (e deve) scegliere in che maniera contribuire alla difesa collettiva.

Tuttavia, se la norma che equipara la dichiarazione di guerra a qualsiasi altro atto amministrativo può sembrare ininfluente sul piano pratico, non lo è affatto sul piano istituzionale e della filosofia del diritto. In questo caso, l’abolizione del bicameralismo perfetto è la chiara manifestazione della volontà di banalizzare il ruolo delle istituzioni a partire dall’atto più drammatico delle loro funzioni: la deliberazione sulla guerra. Il Parlamento riformato ha uno squilibrio a favore della Camera e questa, per effetto della legge elettorale maggioritaria e dei premi di maggioranza esagerati, ha uno squilibrio a favore del Governo. Di fatto, il nuovo Parlamento e lo stesso Governo cessano di essere organi legislativi rappresentativi di tutto il Paese e perdono la qualità fondamentale per autorizzare la guerra in nome del popolo italiano e quindi anche la facoltà di assumere ogni altra decisione che comporti analoghi sacrifici per tutta la popolazione e il trasferimento di risorse, poteri e funzioni da una istituzione all’altra.

D. Sono squilibri pericolosi ?

R. Nella sostanza sì. Se tali squilibri consentono di accelerare le decisioni del Governo in nome della cosiddetta governabilità, non è detto che favoriscano solo i provvedimenti giusti ed equanimi, adottati in nome e per conto del bene pubblico. Abbiamo continuamente esperienze di provvedimenti ad personam e a favore di gruppi di potere e di avventure che non hanno nulla a che vedere con il bene pubblico. Il Senato riformato  che non è più una Istituzione, perché non ha poteri equilibratori nell’ambito del Parlamento, è una costosa conferenza saltuaria di amministratori locali, la cui legittimazione nell’incarico “complementare” dipende dall’arbitrio di chi li ha  designati. Voto No all’eliminazione dell’equilibrio dei poteri e dei contrappesi istituzionali che di fatto conduce all’arbitrio del potere del partito di maggioranza del momento. Voto No al vilipendio delle istituzioni parlamentari (e non solo) esercitato da un partito che designa parlamentari e senatori non per esigenze di rappresentatività, ma per clientelismo e corruzione. Voto No perché non voglio essere rappresentato in Parlamento e nelle altre istituzioni nazionali ed europee da personaggi ignoranti, compromessi, immorali e pregiudicati. Abbiamo già vissuto il tempo del disprezzo nei confronti delle nostre Istituzioni  quando a occuparle venivano designati amici, clienti e compagni o compagne d’alcova. Me ne sono vergognato profondamente quando in campo internazionale, politico e militare, si lanciavano battutacce sui nostri governanti. Voto No perché ciò non si ripeta. E comunque non si ripeterà con il mio sostegno o la mia indifferenza.

D. Riflessioni come le sue hanno avuto la possibilità di raggiungere i cittadini?

R. Se lo hanno fatto non è certo per merito del Governo o della comunicazione pubblica. Ci avevano detto di voler rispettare le regole democratiche anche nella comunicazione. In realtà le voci di coloro che, come me, hanno servito lo Stato e difeso le istituzioni democratiche con disciplina e onore, e quelle di coloro che, come tantissimi,  hanno lavorato per l’Italia rappresentandone l’eccellenza culturale, tecnologica, economica, istituzionale e di solidarietà sono state soffocate dal vocio della propaganda di Stato. Ben prima della decisione di ricorrere al Referendum il Governo intero ha occupato tutti gli spazi di comunicazione, tramutando il legittimo sostegno a una propria proposta in bagarre affaristica e campagna ideologica a dispetto e scapito dell’equilibrio e dell’unità nazionale. Con il ricorso al referendum, la consultazione si è trasformata in una sfida tra sì e no, a prescindere da cosa significassero. C’è stata la conta degli amici e dei nemici, dei clienti riconoscenti e dei candidati a posti e poltrone accondiscendenti. La giusta perorazione della causa riformistica è stata volutamente personalizzata, fino a farla diventare una scommessa sulla stessa sopravvivenza del Governo. Come tutte le scommesse è stato un gioco, un azzardo, un bluff, un rischio e un ricatto sostenuti da una mobilitazione mediatica senza precedenti. Ogni canale di discussione moderata e costruttiva è stato occupato da comizi e spettacoli celebranti una grande festa della Dis-Unità. Gli spazi d’informazione pubblica (una risorsa di e per tutti) sono stati spesi (anche in senso economico) solo a favore del marketing governativo, in Italia e all’estero.

D. Come definirebbe la sua posizione, conservatrice o progressista?

R. Direi molto progressista. Esprimo il mio No a questa riforma  con spirito costruttivo, perché  non voglio che il mio Paese rimanga intrappolato in un sistema che assegna i poteri dello Stato a una maggioranza risicata e faziosa, frutto dell’allontanamento dei cittadini dalla politica, senza nessun organo di controllo e bilanciamento dei poteri. Mi è stato fatto osservare che in tutti i Paesi del mondo “va al comando” il partito di maggioranza relativa, e che l’evanescenza delle opposizioni non dipende dalla legge elettorale. E’ vero, e infatti non ho mai apprezzato il concetto di un partito “al comando”. I partiti dovrebbero essere al servizio della comunità, esattamente come le istituzioni, i governi e le amministrazioni pubbliche.

Ma anche dove i partiti godono di ampia maggioranza ci sono differenze sostanziali.  Ho vissuto abbastanza a lungo nei due paesi a sistemi opposti per capirne gli effetti: la democrazia americana e il regime del partito comunista cinese. La democrazia americana non è tale perché votano i cittadini, che fra l’altro non votano per eleggere l’uomo al comando, ma perché esistono istituzioni in grado di limitare gli abusi del potere. Il Congresso, a prescindere dalla maggioranza del momento, è il più feroce censore del potere esecutivo. La magistratura suprema segue a ruota, ma una serie di comitati parlamentari hanno poteri che possono indirizzare e raddrizzare la politica del governo. Inoltre, spesso sono gli stessi partiti, i media, le lobby e i comitati di cittadini a limitare i propri leader.

In Cina c’è un partito che occupa tutto e impone la propria politica a tutti. Si avvale di strutture legislative permanenti per gli affari correnti e di un’assemblea annuale dei rappresentanti del popolo per approvare le grandi leggi: si vota per alzata di mano su ogni proposta e si torna a lavorare. C’è anche una sorta di senato: è la Conferenza Consultiva che raggruppa i rappresentanti dei partiti, varie etnie, associazioni popolari, amministratori locali e personalità indipendenti. Non ha alcun potere effettivo ed è diretta dallo stesso Partito Comunista, che comunque la utilizza come foglia di fico per spacciare una parvenza di democrazia. In Cina il vero equilibrio fra i poteri e la garanzia di una dialettica politica si realizzano all’interno del partito stesso che è tutt’altro che monolitico o cristallizzato. L’ostentata ammirazione per il sistema americano da parte del nostro Governo è smentita proprio dalla riforma: il sistema che vuole instaurare con la riforma è lontanissimo da quello americano e vicinissimo al sistema cinese. Con due  differenze: da noi il partito di regime non assicura alcuna dialettica equilibratrice interna e i rappresentanti alla Camera bivaccano in permanenza a Roma.

D. E l’intervento popolare tramite il Referendum?

R. E’ importante ma non sarà determinante finché la partecipazione non sarà veramente significativa. Non si può ricorrere sempre ai referendum per colmare le incapacità della politica, anche perché gli stessi referendum costituzionali, che dovrebbero essere i più importanti, dimostrano la disaffezione popolare nei confronti della politica e s’indeboliscono nella capacità effettiva di rappresentare la Nazione. Alla prima consultazione referendaria sulla Costituzione della nostra storia, il 7 ottobre 2001,  si recò a votare solo il 34,1 % degli aventi diritto e i voti validamente espressi furono per il 64,2 % favorevoli alla modifica costituzionale: erano appena il 21% degli aventi diritto. Alla seconda, quella del 25-26 giugno 2006, votò il 52,30% degli aventi diritto e la legge voluta da Berlusconi fu respinta dal  61,32% dei votanti: appena il 32% degli aventi diritto.

D. Come riassumerebbe le sue motivazioni?

R. Voto No ad una riforma che spacca il paese e prelude ad una frattura ancora più ampia e pericolosa fatta di disprezzo per le Istituzioni, rigetto delle opposizioni, soppressione delle minoranze  e ghettizzazione delle intelligenze non allineate: tutti segni storicamente premonitori di dittatura e  guerra civile.

Voto No perché il sistema proposto è già in atto e non funziona, anzi mortifica le istituzioni e minaccia la democrazia. Soltanto con il No  si può pensare di rettificare questo stato di fatto e avviare la stagione delle riforme equilibrate ed efficaci.

Voto No perché il governo, qualunque esso sia, e le istituzioni nazionali a partire dal 5 dicembre si dedichino a risolvere i problemi strutturali  che gravano sulla nostra nazione, i problemi della ripresa economica, di compattazione sociale e di disaffezione politica e formuli  finalmente un progetto per riunire i cittadini italiani e le forze politiche attorno ad una Costituzione rinnovata ma condivisa.

Voto No oggi per avere domani (e non dopodomani) la possibilità di vedere una riforma seria e corretta.

Voto No perché mi si chiede di esprimermi con un monosillabo su un insieme di elementi disomogenei, appartenenti a materie molto diverse e  dagli effetti indecifrabili se non indagati dal punto di vista tecnico-giuridico. Invece di approfondire e sviscerare tali aspetti, mi si chiede di votare senza considerarli, quasi a voler nascondere il fatto che proprio tra essi  si annidano tutti gli elementi distruttivi e destabilizzanti della riforma. Mi si chiede un voto di fiducia cieca, ideologico, che non lascia a me, e a nessun cittadino libero di ragionare con la propria testa, altra alternativa che il No.

D. Secondo lei, è questa l’ultima occasione per fare le riforme?

R. Il No è l’ultima occasione per  stroncare sul nascere i propositi inaugurali di una stagione di continue ulteriori modifiche alla Costituzione, rese via via più facili e incontrollate da questa stessa riforma, tendenti a stravolgere completamente l’assetto istituzionale del nostro Stato. In questo senso, non mente chi dice che il 4 dicembre non è un traguardo finale, ma uno striscione di partenza. Tuttavia, soltanto con il No parte l’Italia Unita, di tutte le fedi e convinzioni, per riaffermare la Democrazia, la Giustizia e la Libertà volute da tutti gli Italiani che per esse hanno sofferto privazioni, vessazioni, torture e che per esse hanno versato il proprio sangue in guerra e in pace. In caso contrario, con il Sì,  parte la vera corsa al potere assoluto di una maggioranza di palazzo. Anche questa è stata una delle cause storiche delle dittature, delle guerre civili, dei colpi di stato, delle rivoluzioni.

 .

(*) Fabio Mini, generale di Corpo d’Armata, è stato capo di Stato maggiore del Comando Nato per il Sud Europa e, a partire dal gennaio 2001, ha guidato il Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani. Dall’ottobre 2002 all’ottobre 2003 è stato comandante delle Operazioni di pace a guida Nato, nello scenario di guerra in Kosovo nell’ambito della missione KFOR (Kosovo Force).