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«Neanche. Cioè, sì. Io ne ero vagamente innamorato, ma in modo estremamente casto»

È un libro da avere e da leggere Io che vi parlo. Conversazione con Giovanni Tesio

71jyiR-PM8LTorniamo ancora un poco sull’amicizia. Sentivi la differenza dell’amicizia maschile e di quella femminile?  

 «Qui tocchi un tasto molto delicato, perché io ero un timido, un timido patologico, per cui avevo delle amicizie femminili, ma si fermavano lì. La mutazione, il salto della barricata è arrivato per me estremamente tardi, dopo Auschwitz. È un argomento di cui parlo con un certo imbarazzo, una certa difficoltà. Sta di fatto che io ero un inibito, lo si vede dalle cose che ho scritto. Io ero fortemente inibito, anche per via delle campagne razziali, perché era un taglio netto. Molte ragazze, con le buone, senza offendere, si allontanavano, ma io cercavo proprio quelle con cui non potevo avere rapporti».

Cercare chi ti respinge?  

«Forse sì, ma io questo lo lascio agli altri. Di fatto ho avuto parecchie amicizie femminili, ma nessuna è sfociata in amore».

Neanche con la compagna d’università con cui – ne hai parlato sotto mentite spoglie nel Sistema periodico – vi scambiavate le letture?  

«Neanche. Cioè, sì. Io ne ero vagamente innamorato, ma in modo estremamente casto».

E ne soffrivi?  

«Sì, ne soffrivo tremendamente, soffrivo in modo pauroso perché vedevo tutti i miei amici che ci passavano da questa esperienza, avevano esperienze anche sessuali. Io no e ne ho sofferto in un modo spaventoso, fino a pensare al suicidio».

Forse anche perché avevi compagni che esibivano fin troppo i loro trofei…

«Certo. Qualcuno andava al casino, ci andava con la tessera falsa. Io non avrei mai fatto una cosa simile».

Amicizie femminili che siano durate nel tempo?  

«Oh, parecchie, sì, parecchie. C’è stata, per esempio, quella della ragazza del Fosforo nel Sistema periodico. È tuttora mia amica. Ma è proprio un periodo, questo, di due o tre anni, in cui le amicizie si sono sfaldate».

Perché?  

«Per ragioni diverse. Intanto per le mie ragioni, vicissitudini familiari, per cui mi muovo poco, e poi… chi muore, chi si ammala, chi perde interesse per la vita… È un capitolo che sta estinguendosi».

Il sentirsi invecchiare è questo?  

«Sì».

Vedersi corrodere l’ambiente che ti sta intorno?  

«Sì, questo è molto doloroso, molto doloroso e irreversibile».

Ma tu nel complesso ti giudichi una persona di natura vincente?  

«Mah! Io mi ritengo uno che ha combattuto parecchie battaglie. Che ne ha perse alcune e ne ha vinte altre. Devo avere una certa forza profonda, perché sono sopravvissuto ad Auschwitz, questa è una grossa battaglia. Anche come chimico ho sopportato sconfitte, ma ho vinto parecchie volte. Poi, come scrittore. Mi sono ritrovato a diventare uno scrittore quasi mio malgrado, ho aperto un capitolo nuovo. Mi è venuta addosso a scalini, prima in Italia e poi all’estero, questa ondata di successo che mi ha squilibrato profondamente, mi ha messo nei panni di qualcuno che non sono io».

Quello dello scrittore è il mestiere più pesante? 

«Più pesante?».

Sì, questa è la domanda.  

«Come effetti senza dubbio sì. Come fatica e durata direi di no, perché ho scritto i miei libri generalmente volentieri, in modo facile, senza sentirne il peso».

© 2016 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

Il libro lo potete comprare (qui)

I pessimi giudici amici della mafia

corruzione

Ne ha per tutti, il pentito Carmelo D’Amico, che nell’aula della Corte d’Assise, dove si celebra un processo per un omicidio di mafia, ha detto, ancora una volta, le ‘sue’ verità. Verità che adesso sono al vaglio degli inquirenti, e non quelli del tribunale di messina, ma quelli del tribunale di Reggio calabria, perchè D’Amico, stavolta, ha tirato in ballo giudici messinesi, e competenza territoriale vuole che a indagare non sia il distretto coinvolto dalle dichiarazioni.

Ha parlato con disinvoltura di fatti che, se davvero fossero accertati, sarebbero di una gravità assoluta.
“Abbiamo corrotto qualche pubblico ministero, qualche procuratore generale, e abbiamo aggiustato qualche processo molto importante”. Così, come parlasse di quisquilie, Carmelo D’Amico, ex boss, oggi pentito, di Cosa Nostra barcellonese, ha parlato al processo che vede imputato Enrico Fumia per l’omicidio di Antonino “Ninì” Rottino, avvenuto nell’agosto 2006. Un delitto che per gli inquirenti ha segnato l’ascesa al potere del gruppo mafioso dei Mazzarroti capeggiato da Tindaro Calabrese.

Delle dichiarazioni di D’amico ne parla Nuccio Anselmo su Gazzetta del Sud.
Il pentito risponde alle domande del Pm Massara:

“Guardi – ha detto l’ex boss – io ho deciso di collaborare con la giustizia, perché sono stato sempre chiuso al 41 bis, da quando mi hanno arrestato dal 2009. Il 41 bis mi ha fatto riflettere tantissimo stando da solo, anche perché il 41 bis è un carcere duro, e niente ho deciso di cambiare vita, anche se avevo la possibilità può darsi, di uscire dal carcere, perché io ho esperienza nei processi perché abbiamo aggiustato, la nostra organizzazione ha aggiustato diversi processi, abbiamo corrotto qualche giudizio di cui ne ho parlato, abbiamo corrotto qualche pubblico ministero, qualche procuratore generale e abbiamo aggiustato qualche processo molto importante e quindi c’era possibilità che io potessi uscire dal carcere”.

Il processo ‘molto importante’, a detta del pentito, sarebbe stato quello scaturito dal triplice omicidio Geraci-Raimondo-Martino, avvenuto la notte del 4 settembre 1993 alla stazione di Barcellona: le vittime, tre ragazzi di Milazzo, furono giustiziate perchè superavano i confini territoriali del loro comune nel commettere reati, spingendosi sino a Barcellona.

D’Amico ha toccato anche l’Arma dei carabinieri con le sue ‘rivelazioni’:

“ Ho avvisato pure Carmelo Bisognano dell’operazione Icaro, l’ho avvisato io che c’era l’operazione in corso, perché avevamo saputo praticamente, tramite carabinieri corrotti che noi avevamo, che pagavamo sul libro paga dal ’90, carabinieri corrotti che era uno.. uno apparteneva alla.. alla squadra catturando latitanti, un altro era nella Dda… nella Dda che faceva la scorta.. e tanti altri carabinieri e poliziotti che sono sui libri paga, che ne ho parlato purtroppo”.

Infine, il passaggio alla Cassazione: “La nostra associazione – ha detto D’Amico – era molto ramificata a livello politico, a livello istituzionale, era una delle più potenti che c’era in Sicilia, diciamo la cosca barcellonese e anche molto sanguinaria. Noi siamo arrivati anche sino alla Cassazione a sistemare un processo molto noto. Abbiamo corrotto un giudice di Cassazione, che sono andato personalmente io insieme a Pietro Mazzagatti Nicola, e abbiamo corrotto questo giudice nativo di Santa Lucia del Mela e che risiede a Roma, abbiamo comunque per questo le dico che io ero sicuro di uscire, perché sapevo che avevamo anche l’appoggio in Cassazione di questo giudice corrotto che era in Cassazione”.

(fonte)

Eco secondo Bartezzaghi

umbertoeco

«Torna in mente, a questo punto, una serata passata ad Almese, in Val di Susa, dove aveva accettato di ricevere un premio, per omaggiare con affetto sincero la memoria del bravo giornalista culturale della Stampa e di Tuttolibri a cui era intitolato, Giorgio Calcagno. Esaurita la cerimonia ci fu una cena «placée» in un ristorante, allietata dalla musica di una giovane arpista che suonava in mezzo ai tavoli. La cena durò come un medio matrimonio e subito dopo il dessert lo sentii dire, all’altro capo della sala, «ora vado a bermi un whisky con Bartezzaghi». Io ero seduto a un tavolo di notabili locali, vicino all’uscita: Eco passò, reggendo borse che si indovinavano pesanti, e mi rapì dicendo a voce neppure troppo bassa: «Se non andiamo in fretta mi regalano altri libri». In una borsa trasportava preziosissimi acquisti che gli avevano recapitato lì certi librai antiquari torinesi amici suoi; in un’altra aveva alcuni esemplari dell’unica forma di editoria che attualmente non è in crisi: i libri dell’Assessore (volumi illustrati di grande peso e formato, commissionati dagli enti locali a proposito di glorie e tesori del territorio, regalati sistematicamente e con forse involontaria crudeltà a ogni personalità in visita). All’uscita del ristorante scoprii che per l’occasione disponeva di un autista: un signore suo coetaneo, molto loquace e spiritoso, che era stato comandante dei vigili urbani e che era stato incaricato, in mattinata, di andare a prendere il professore a casa. Durante il tragitto avevano molto familiarizzato, con barzellette, aneddoti, confidenze sulle famiglie e sugli acciacchi, forse anche canti: così Eco lo aveva eletto a proprio custode. L’unico bar aperto era sullo stradone che collega Almese al resto della valle, una specie di stazione di servizio, con tabaccheria, tavola calda, pompe di benzina. Trovammo un tavolino sulla terrazza esterna, in mezzo ai clienti notturni, fra i quali conviveva pacificamente una popolazione autoctona di anziani dialettofoni giocatori di carte e/o commentatori «di base» di eventi sportivi e giovani variopinti e vario-tatuati, tutti già un po’ alticci. Il dehors sopraelevato del bar dava sulla strada, su cui rombavano auto, camion e moto. Eco patteggiò le consumazioni, ottenendo le quantità e proporzioni di bevande e ghiaccio da lui preferite. Da quel momento fu a perfetto suo agio per un paio d’ore: non era mai stato là e non conosceva nessun altro, a parte me e, da poco, il comandante in pensione (strabiliato dalla familiarità stabilita con una persona di tanto rilievo), eppure era come se fosse nel suo locale preferito di Milano o Bologna.»

Vale la pena leggere il bel pezzo di Bartezzaghi su Eco e il suo prossimo.

Sì, lo confesso: spaccio libri

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La lettera della dirigente coinvolta nel caso della scuola che “vieterebbe” l’ingresso agli incontri a chi non ha acquistato i libri:

«Roma, 17 marzo 2016

“Penso che una scuola pubblica che promuova l’acquisto e la lettura di libri, nell’ambito di progetti inseriti nella propria offerta formativa, faccia un’opera meritoria. Questo, forse superfluo sottolinearlo, senza che la scuola stessa ci guadagni nulla”.

La Dirigente scolastica dell’I.I.S.S. “Leon Battista Alberti” di Roma, dott.ssa Carolina Guardiani, prende così posizione in merito alla recente polemica che ha interessato il progetto “Incontro con l’Autore” in seguito all’articolo pubblicato sul Corriere della Sera a firma di Claudia Voltattorni.

“La proposta di acquisto del libro è stata rivolta a tutti i ragazzi e sono fiera di progetti di questo tipo che si fanno in tutte le scuole – spiega la Dirigente scolastica dell’Alberti – Si propone, senza alcuna forzatura, l’acquisto di un libro; chi è interessato lo compra, a un prezzo più conveniente rispetto al prezzo di copertina (ovviamente la scuola fa solo da tramite), lo legge, ne discute in classe e poi ha la possibilità di parlarne con l’autore stesso.
Spiegare a un 15 enne che, con poco più di 10 euro, oltre all’ingresso alla festa o all’aperitivo al bar alla moda può acquistare qualcosa che rimane, che gli apre la mente e il cuore, che può aiutarlo a crescere, a capire il mondo nel quale è capitato, credo sia un’ottima cosa”.

“Non regalo libri ai miei studenti – prosegue la dott.ssa Guardiani – primo perché non ho fondi, secondo perché credo sia opportuno far comprendere a un ragazzo che l’oggetto libro ha un valore, che deve essere riconosciuto e pagato perché frutto di un lavoro intellettuale che deve essere riconosciuto e pagato.

In questo senso, lo confesso e mi autodenuncio: io, dirigente di scuola pubblica, “spaccio” libri.

L’Istituto “Leon Battista Alberti” – nell’ambito del suo piano dell’offerta formativa – sostiene e promuove la diffusione e la fruizione della cultura (libri, spettacoli teatrali, cinematografici, ecc.) presso i propri studenti come mezzo per evolvere, arricchire la propria esperienza e ampliare i propri confini esistenziali.

“Qual è la notizia? Quale lo scandalo? – aggiunge la dott.ssa Guardiani – Che ci sono ragazzi che non possono permettersi di comprare il libro? Allora che dire dei viaggi di istruzione, per i quali la richiesta non è di 10 euro o poco più ma di alcune centinaia di euro che, effettivamente, possono fare la differenza nel bilancio di molte famiglie! Eppure non ho mai visto genitori indignati con le scuole (tutte) che organizzano i viaggi. Ecco, il mio pensiero è rivolto ai genitori: la porta della mia presidenza, come sanno, è sempre aperta e rinnovo l’invito a parlare direttamente e chiedere eventuali spiegazioni, in un’ottica di scambio e fattiva collaborazione”.»

Storia di amore e omertà, Giulio Cavalli presenta “Mio padre in una scatola di scarpe” alla Tela (da Varesenews)

(fonte)

CAVALLISarà Giulio Cavalli, scrittore, giornalista, autore teatrale  ed ex consigliere in Regione Lombardia l’ospite dell’aperitivo con l’autore di sabato 19 marzo alle 11.00 a “La Tela”, l’osteria del buon essere a Rescaldina (strada Saronnese, 31). Organizzato dalla Tela in collaborazione con Anpi Rescaldina e la biblioteca comunale, l’incontro affronterà il tema della legalità partendo dalle pagine dell’ultimo libro di Cavalli, “Mio padre in una scatola di scarpe”, un romanzo ispirato alla vera storia della famiglia Landa, colpita dall’uccisione di Michele, metronotte 61enne a pochi giorni dalla pensione, impegnato a piantonare un ripetitore per la telefonia mobile a Pescopagano. Un omicidio cui i media diedero poco risalto e che Cavalli fa riemergere nelle pagine di un libro che indaga una vicenda umana prima che di criminalità organizzata.

Michele Landa, infatti, non è un eroe ma una persona normale che desidera coltivare il suo orto e godersi la famiglia restando una persona pulita; cosa non facile a Mondragone, dove serve coraggio anche per vivere tranquilli. Chi non cerca guai, infatti, è comunque costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani. Michele conosce la posta in gioco, ha perso il lavoro e molti amici, ma è convinto, nonostante tutto, che in quel deserto si possa costruire qualcosa di bello e provare a essere felici. Al suo fianco c’è Rosalba, “la silenziosa”: dopo quarant’anni si amano come il primo giorno, sono diventati genitori e nonni, sognano una casa grande e un albero di mele. Ma si può immaginare una vita diversa, in una terra paralizzata dalla paura?

GIULIO CAVALLI (Milano, 1977) scrittore e autore teatrale, dal 2007 vive sotto scorta a causa del suo impegno contro le mafie. Collabora con varie testate giornalistiche e ha pubblicato diversi libri d’inchiesta, tra i quali ricordiamo Nomi, cognomi e infami (2010) e L’innocenza di Giulio (2012). È stato membro dell’Osservatorio sulla legalità e consigliere regionale in Lombardia.

Cavalli è stato uno dei primi giornalisti a occuparsi della vicenda del Re Nove di Rescaldina, ora diventato osteria sociale del benessere La Tela “Mio padre in una scatola di scarpe” di Giulio Cavallo, 2015 è edito da Rizzoli.

La Tela è un bene sequestrato alla criminalità organizzata, affidato al Comune di Rescaldina e gestito dalla Cooperativa ARCADIA insieme con altre associazioni del territorio. È diventato ristorante e centro di aggregazione e di promozione sociale e culturale.

Info: Osteria sociale del buon essere “La Tela” strada Saronnese, 31 Rescaldina (MI)
www.osterialatela.it
Facebook:  https://www.facebook.com/osterialatela/

 

Letteratitudine recensisce ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

(La recensione sul romanzo ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘. Il libro lo potete acquistare qui. L’articolo originale è qui.)

di Eliana Camaioni

539526612È una storia di famiglie, “Mio padre in una scatola da scarpe” (Giulio Cavalli, Rizzoli ed.): quella di Michele e del Nonno, composta da ‘brave persone, che lavorano e tacciono’, e quella dei Torre, simile ad ‘una marchiatura a fuoco sull’orecchio o una targhetta pinzata in mezzo alle palle come un toro’, capace di ‘allargare le regole finché non ti entrano perfettamente’. Sono le regole non scritte del paesino di Mondragone, dell’entroterra napoletano: appartenenze suggellate da battesimi di sangue e persiane chiuse, omertose e vigliacche; baci in piazza che timbrano come bestiame, e gonne da processione paesana –gonne debutto, per donne da marito, e gonne gabella, assenzi taciti di sottomissione ai boss.
‘Non guardare e non sentire è il modo più maturo e responsabile per difendere la tua famiglia e i figli che vorrai’, questa la ricetta per sopravvivere a Mondragone, paese di poche anime e tanti segreti, dal lessico silenzioso dell’abito buono esibito alla messa domenicale, di una scollatura che ti rende donna e di morti sparati, ‘morti interrotti’, guardie e ladri, corriere e corrieri.
Un affresco collettivo, nitido e tridimensionale per l’uso intenso che Giulio Cavalli fa di similitudini e metafore; ci sono caffè all’alba e turni di notte, cervelli che schizzano e mogli che aspettano, odore di salsa ed esalazioni di vino, amici che muoiono e carabinieri che archiviano.
E poi ci sono gli occhi, di chi tutto guarda e nulla vede, occhi che piangono e occhi che seccano, occhi che urlano parole non pronunciate, e picchiano più delle bastonate; occhi di bue da regista, che Giulio Cavalli stringe su ciascun capitolo, con una focalizzazione disincarnata e variabile, raccontando quarant’anni e quattro generazioni di una terra ‘così omertosa e schiava’ di cui il Nonno, agli occhi del nipote Michele, sembra essere il ‘certificato’. Michele e la famiglia coraggiosa che farà con Rosalba, secondo i dettami delle ‘brave persone’: perché ‘c’è tanta bellezza e tanto coraggio a crescere una famiglia con dignità’, lo stesso coraggio necessario ‘a rinunciare, anche ai principi se serve’. Un mos maiorum che si tramanda di Nonno in nipote, una rabbia sorda impossibile da accettare per Michele se non quando sarà nonno a sua volta, perché a Mondragone ‘la vita è molto più semplice di come la pensi: basta non fare la rivoluzione tutte le mattine’, basta sposare una donna onesta ed accontentarsi di un onesto lavoro, dribblando le ingiustizie, stando fuori dagli affari dei potenti.
Il tempo della storia vola via veloce, fra chi da Mondragone parte e chi a Mondragone resta, fra chi espatria per cercare salvezza e chi partendo fa la fortuna di chi comanda, come una sberla per chi al paese lavora e tace, ‘facendo quello che è possibile fare’; cene fra amici segnano il passo, e come un impietoso consuntivo di fine anno tirano la riga sotto le vite dei protagonisti, mentre queste si intrecciano, si intersecano, divergono, si interrompono.
Di tutti i luoghi, la spiaggia e la piazza sono elette a testimoni silenziose: di amori onesti e amori rubati, del punto di equilibrio in cui risiede la felicità perfetta, di macabri ritrovamenti, di quella desertitudine – meraviglioso neologismo – che a Mondragone ‘prende il posto dei sorrisi’.
Il termine mafia è un gas mortale che ammorba l’intera narrazione, ma compare solo a metà del romanzo, nell’epoca in cui di mafia finalmente si osa parlare: e sarà un boato, l’esplosione di quel gas, per bocca di un figlio che si rivolge al padre: ‘Quelli che fanno finta di niente con il tuo amico morto ammazzato sono mafiosi!’ perché è mafioso ‘anche chi non ammazza, spende soldi guadagnati ammazzando la gente’.
Uno scatolo da scarpe, una morte tanto ingiusta quanto ingiustificata, indica la fine di una storia iniziata con una fine che era un inizio: perché ‘per uno cauto di natura la fine è un punto di domanda’ si legge nell’incipit, ‘per uno più arrogante è un vinto lasciato per terra’.

Vorrei passare tutta una notte a spiare la felicità degli altri. Come stasera, in stazione.

Chissà che forma ha la felicità nei periodi più grigi, quando è di cattivo gusto mostrarla, quando ci si sforza ad essere felici con moderazione per non disturbare l’aria tutto intorno anche se avresti voglia di saltare a prendere tutte le farfalle che ci sono in giro, con la bocca.

Chissà quei due che stavano sul binario quindici di Bologna, io con una valigia piena di libri e di fianco a me un padre al telefono che chiedeva alla figlia di provare a non addormentarsi, di sforzarsi ad aspettarlo da sveglia, e quegli altri due, giovanissimi anziani, che sorridevano come se gli fosse scoppiata una gazzosa in mezzo al cuore.

Come sono belle le persone che non hanno paura a mostrarsi felici. Come sono forti. Sono davvero l’orma più resistente della nostra specie.

«Ci sono libri che, una volta terminati, si lasciano dietro un po’ di malinconia e tante domande»: Uno Scaffale di libri su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

Schermata 2016-02-03 alle 12.25.07Buongiorno, amanti della lettura.
Oggi parliamo di un libro importante, di un tema importante, di una storia vera.
Ringrazio Barbara Reverberi e Moira Perrusso, de MoBa comunicazione, per avermi proposto questa lettura per cui ci vuole una pioggia di due anni per lavarla via dai miei pensieri.
Trama:
Michele Landa non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia; vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita. Ma a Mondragone serve coraggio anche per vivere tranquilli: chi non cerca guai è costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani. Michele conosce la posta in gioco, ha perso il lavoro e molti amici, ma è convinto, nonostante tutto, che in quel deserto si possa costruire qualcosa di bello e provare a essere felici. Al suo fianco c’è Rosalba, “la silenziosa”: dopo quarant’anni si amano come il primo giorno, sono diventati genitori e nonni, sognano una casa grande e un albero di mele. Ma si può immaginare una vita diversa, in una terra paralizzata dalla paura? Con una scrittura avvolgente e il piglio di un autentico cantastorie, Giulio Cavalli racconta un’Italia dimenticata e indifesa, ricordandoci che non serve fare rumore per diventare eroi delle piccole cose.
Recensione:
Ci sono libri che, una volta terminati, si lasciano dietro un po’ di malinconia e tante domande. Sono quelli dove non accettiamo come sono andate le cose, come si sono risolte, come non si sono risolte e, alla fine, semplicemente ci arrendiamo di fronte a una realtà che soffoca ogni tentativo di ribellione. Quei libri, come quello di Cavalli, per cui si desidera un finale diverso degno delle persone che lo hanno accompagnato, ma che senza quel finale in sé non sarebbero mai stati quei libri.
Questo paese funziona come una ferrovia: se esci dai binari rischi di fare il botto. E allora tutti in fila indiana: un paese con il coraggio di una gita delle scuole elementari.
Cavalli è uno scrittore coraggioso, come lo erano tutti una volta, e ci parla di mafia. Ma per essere coraggiosi bisogna esserlo per intero, non a metà, e così ci racconta una storia vera. Quella di Michele Landa, la sua famiglia, e la malavita. Malavita perché rende la cosa più genuina e legittima, la vita, in qualcosa che di genuino non ha nulla, il male.
 
Siamo nati male, Michele, siamo nati qua che alla fine nemmeno i sogni sanno correre, sudati come siamo.
Vivere è semplice, dicono alcuni, e il come è una scelta. Una scelta che si basa sul dove si vive, forse. Lo sa bene Michele che, sin da quando è diventato orfano, vive con il nonno a Mondragone che gli ha insegnato la cautela. La cautela è lavorare tutto il giorno, sgobbare, come si dice, tornare a casa con le mani in tasca, la testa chinata, la paura di essere felici, la paura di sognare. Glielo dice Rosalba, la silenziosa, quel giorno al lago: non aver paura di essere felice, lasciati andare. Ma ci vuole cautela anche per quello, rimanere sul chi va là, prevenire un dolore di una perdita se non la si conosce quella felicità.
Michele, tu sei un ragazzo intelligente e bravo, e ci hai preso tutto il cuore si tua madre e la scorza di tua nonna, ma questa nostra terra non è un allevamento di animi nobili o di cavalieri. Questa è la terra dei ladri che non vedi mai rubare, degli assassini che ci mangi allo stesso tavolo in osteria e dei diavoli che ognuno ha in corpo. E qui, da noi, qui il tavolo si sente più libero di passeggiare. Questa è una terra che va abitata in punta di piedi, Michele, va abitata in silenzio, qui le brave persone per difendersi diventano invisibili, Michele, in-vi-si-bi-li.
Una cautela che chi non abita lì può prendere come codardia, e chi abita lì e si rifiuta può andare via, scappare. Ma per quelli come Michele il massimo del coraggio è rimanere lì, non diventare orfano anche del paese natale. Lui ma anche quel ragazzone ripetente del suo amico Massimiliano, il fratello mai avuto, e la “silenziosa”. Rosalba gli ruba il cuore in tutto quel marcio – ha ragione Massimiliano, ci vuole una pioggia di due anni per lavar via tutto per bene, lì a Mondragone -, e lui la sposa, quel giorno al lago si promettono di farsi stare bene per il resto della vita. Lei di poche parole ma saggia e amorevole, anche con i loro quattro figli. Lui con la sua prudenza che in mezzo a tutto quella illegalità insegna ad Angela, Antonio, Andrea e Giovanni, l’onestà, una vita da eroi senza mantello, eroi di vita.
Il loro amore è un amore antico, se lo ripetono tutti i giorni, perché è tra persone che sono cresciute imparando ad aggiustare le cose senza buttarle.
 
Perché Cavalli ci racconta anche questo: la crescita. Quando tutto cambia senza cambiare mai. Quando il tempo passa ma la cautela è ancora la miglior cosa. Quando si ha lavorato un’intera vita e non si desidera altro che la pensione.
Il nostro riposo è la pensione. Il nostro porto è la pensione.
E infatti quello era l’ultimo giorno di lavoro per Michele, la guardia giurata, mancavano poche ore e finalmente avrebbe passato il resto della vita a coltivare i campi con la nipote, Michelina, a bere il caffè al mattino con Rosalba, la “silenziosa”. La stessa che quell’ultimo giorno squarcia il mattino urlando il suo dolore, la sua mancanza, per poi tornare di nuovo silenziosa.
L’attesa la invecchia, il tempo si trascina pesantemente, Michele non tornerà  più. Michele è stato ucciso e il suo corpo è stato bruciato.
C’è un momento nella vita di ognuno, uomo o donna, in cui si perde l’innocenza. E’ questione di un attimo, e magari non lo prendi nemmeno sul serio: capisci il tariffario dei valori e quanto sia normale toglierli dal cassetto in cui li tenevi chiusi a chiave. Capita a tutti. Capisci che costano, i valori: anche tenerseli costa. Qui in paese in questi anni è costato a tutti.
Ma perché?, mi sono chiesta io. Cos’ha visto, che ha detto, mi chiedevo subito dopo. Sono domande legittime che chiunque avesse letto il libro di Cavalli si sarebbe fatto. Cavalli che ci racconta una storia vera, anche se romanzata, a tratti poetica, e tra le righe ci fa leggere la crudeltà della mafia. Sempre tra le righe si legge la paura di ogni uomo o donna che sono costretti alla cautela nella vita, ma tra una fessura e l’altra, tra una lettera e l’altra, si legge anche di speranza. La speranza di una vita migliore, la felicità nel proprio piccolo, quella senza timore.
Giulio Cavalli ha scritto un libro importante, uno di quelli che gli adulti devono leggere per poter spiegare ai figli le cose, in attesa che loro vogliano farlo da sé.
– Sì papà, il discorso mio era un altro: vedi che alla fine i buoni perdono e i furbi vincono? –
– Non è detto. Bisogna tirare le somme alla fine… –
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Piccole buone notizie

Si torna a leggere:

Torna positivo, dopo cinque anni di segni meno, il mercato del libro in Italia. E’ questa la più importante evidenza dell’analisi dell’Ufficio studi dell’Associazione Italiana Editori sul mercato del libro 2015 che sarà presentata da Giovanni Peresson domani, 29 gennaio, in apertura della giornata conclusiva del XXXIII Seminario di Perfezionamento della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri in programma a Venezia.

E’ l’alba di un giorno nuovo? Come informa un comunicato, il 2015 rappresenta l’anno della svolta: torna infatti timidamente a crescere la lettura di libri di carta e in parallelo rallenta – anche se impercettibilmente – quella di libri digitali, si mixa ancor più la produzione di libri di carta e digitali, ma soprattutto torna positivo il mercato, che per i libri di carta registra un +0,7% nei canali trade (dato Nielsen per AIE). Se si considera tutto il mercato – fatturato ebook e tutti gli altri canali (fiere, bookshop museali, etc..) – secondo le stime dell’Ufficio studi AIE, il 2015 chiude con un +1,6% sull’anno precedente.

Torna a crescere la lettura di libri di carta in Italia: la lettura di libri nella popolazione con più di 6 anni è tornata a crescere nel 2015 (elaborazione AIE su dati Istat, +1,2% = 283.000 persone in più che leggono) e riguarda oggi 24 milioni di persone. E’ tornata a crescere in particolare tra i lettori deboli e occasionali.

La notizia qui sul sito de Il Libraio.

Qui invece trovate la nostra piccola libreria.

I frammenti che hanno punto

frammenti

Adamantia è una lettrice. Una di quelle che scompare nelle statistiche di questo Paese in crisi di lettori ma poi ti rinfranca con il mondo perché la incontri alla presentazione di un tuo libro o alla prima di un tuo spettacolo. Ci incrociamo poco. Ci si scrive ogni tanto. Quando la incontro, ogni volta, mi regala un libro. Insomma, Adamantia mi segue e conosce da anni e per questo le sue osservazioni sono fitte, precise. Adamantia ha letto ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘ e mi ha inviati i frammenti che secondo lei pungono nel libro. In elenco. Così. E mi sembra una cosa talmente bella che li appoggio qui:

Un sospiro a forma di banalità
Ha le scarpe che chiedono scusa
E’ una casa dove si è consumato un urlo che non è mai passato
Può succedere che tu non te ne accorga ma sei già sporco di bianco o sporco di 
nero
Spalmata sul pavimento come un cadavere sgocciolato dal soffitto
Ilpomeriggioelasera tutti attaccati
Il riso dei servi è bava
La chiesa si beve tutta la piazza
Il babbo è un tuono afono, la mamma un fiore che cerca un fosso
Massimiliano ha in testa una visione talmente molle che sembra uscirgli dal 
naso
Il parroco che conosce i peccati e li rivende al mercato del compromesso
Chissà come fa Massimiliano ad aprire un sorriso così largo e non volare via
Spettinato nella sostanza
Non si può spostare l’asticella dei valori in nome della stanchezza
Giovanna è una donna punita. Troppo compita, troppo edicata, troppo recintata 
per essere solo una questione di equilibrio piuttosto che di dolore.
Ora è matematicamente imbarazzato.
Esce con un abbraccio che è partito con il suono della campanella.
Il loro amore è un amore antico … tra persone che sono cresciute imparando ad 
aggiustare le cose senza buttarle
Ecco il sonno che cammina
Il clic del telefono di un figlio lontano è un ferro da uncinetto
Quante cose succedono nelle persone mentre sembra che fuori continui a non 
accadere niente
Un equilibrio troppo precario per rischiare un rumore
La burocrazia carabiniera non ha la pancia per accogliere una frase così 
diretta
Dolori rallentati
Rinchiusa dentro il suo scheletro
Ci si abitua a tutto, tranne che alle attese
Dieci chili di rughe che le si sono appiccicati addosso
(La lucciola) è un lampione piantato su un pianeta largo come una mela.
La sua visione ha salvato tutti
Decidi di fare pace col tuo dolore. Come se fosse parte del tuo corpo … 
attaccato come un dito in più.