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A Baghdad la prima “libreria” gestita da una donna.

Ruqaya-Fawziya-640x361Mentre in Iraq si piange ancora la biblioteca di Mosulsaccheggiata e incendiata dai militanti dell’Isis  e ci si trova a fare i conti sempre con gli stessi militanti che nelle scorse settimane hanno arrestato un libraio “infedele”, “colpevole” di vendere libri cristiani nella sua bancarella, nella capitale Baghdad, in Al-Mutanabbi Street, centro intellettuale della città nell’ottavo secolo e oggi via costellata da bancarelle-librerie, apre la prima gestita da una donna, la 22enne Ruqaya Fawziya.

Al-Mutanabbi Street, va ricordato, è anche tristemente famosa per l’attentato del 2007, che ha coinvolto 27 persone, rimaste uccise. In seguito, è partito il progetto “Al Mutanabbi Street Starts Here”, su iniziativa di un libraio californiano che, per mostrare la propria solidarietà ai librai e ai lettori di Baghdad, ha raccolto “pubblicazioni” di 260 artisti da tutto il mondo, dando vita a una mostra itinerante.

Ma torniamo alla nostra libraia. Come dichiarato dalla stessa ragazza, la sua famiglia e le persone a cui raccontava l’idea di vendere libri per strada, hanno iniziato a sostenerla solo una volta intrapreso il progetto; quanto ai passanti e ai clienti, invece (come racconta jl sito bookpatrol.net, da cui sono tratte le immagini), la libraia racconta: “Non ho affrontato molestie di alcun genere dalle persone che visitano Al-Mutanabi Street; ma, a volte, la gente mi guarda con sorpresa, forse perché non ha familiarità con una donna che vende libri. Ma ci sono anche molte persone che, al contrario, mi incoraggiano”.

La famosa strada di Baghdad ha portato fortuna a Ruqaya: durante la manifestazione “Sono un iracheno, leggo”, ha incontrato il suo attuale marito, che ha sposato con una dote di 500 libri donati immediatamente e 1000 da donare in caso di divorzio…

(fonte)

Lo dice anche il Ministero: la Broni-Mortara è uno scempio

timthumb.phpProsegue la tardiva ma coerente demolizione del progetto infrastrutturale padano del centrodestra (e non solo) da parte del principale quotidiano. Corriere della Sera Lombardia, 22 marzo 2015

Dopo nove anni di «tragicommedia» — così l’ha definita qualcuno l’altra sera a Pavia durante l’affollata assemblea dei comitati contrari — l’autostrada Broni-Mortara arriva al suo capitolo finale. Lo scempio che dovrebbe sconvolgere la Lomellina, creando un muro (la nuova arteria sarebbe tutta in rilevato alto mediamente 5 metri, con l’impiego mostruoso di 19 milioni di metri cubi di ghiaia) lungo 67 chilometri è stato bocciato dalla Commissione ministeriale di valutazione dell’impatto ambientale che, con una serie articolata di argomentazioni, l’ha definita in sostanza inutile e dannosa, basata su calcoli sbagliati, con un consumo altissimo di suolo in una zona dal delicatissimo equilibrio. E, soprattutto, la Commissione del ministero ha ribadito l’illegalità della procedura sin qui seguita, poiché non si tratta di un’autostrada regionale, dal momento che il tratto Castello d’Agogna-Stroppiana è in territorio piemontese.

Forse è presto per cantare vittoria, ma l’altra sera nella riunione cui hanno partecipato anche una ventina di sindaci, si percepiva un cauto ottimismo sull’esito finale dell’inter autorizzativo che dovrebbe concludersi a giugno. Infrastrutture Lombarde, l’ente proponente, ha intanto preparato una serie di integrazioni al progetto che saranno presentate in Regione la prossima settimana. Ma si tratta di modifiche che, a quanto pare, non incidono suoi rilievi più significativi emersi dal documento del ministero con cui è sancita l’incompatibilità ambientale dell’opera. In sostanza la Sabrom, società controllata da Impregilo-Salini che ha la concessione per la progettazione, la costruzione e la gestione dell’autostrada, avrebbe ridimensionato l’interconnessione con la A-7 a Gropello, spostato l’attraversamento del Terdoppio (avvicinandolo tra l’altro all’abitato di Alagna Lomellina) ed eliminato due svincoli, quello di Tromello e quello di Mortara.

Di fronte alla bocciatura del progetto, contro cui ormai si è creato un fronte compatto di sindaci e associazioni del territorio, la Regione mantiene un imbarazzato silenzio. Proseguire o no nel piano di costruzione di autostrade lombarde dopo il flop della Brebemi e della finanza di progetto, in tempo di scandali sulle grandi opere e di esborsi non previsti (come i 60 milioni messi dalla giunta Maroni per la Brebemi in aggiunta ai 300 dello Stato), mentre la viabilità ordinaria è al collasso?
Il punto è che quei progetti erano stati strenuamente sostenuti da Formigoni e dalla giunta di cui faceva parte anche la Lega. Ora manca una exit strategy, per cui è inutile chiedere a Palazzo Lombardia che cosa intende fare. L’assessore alle Infrastrutture, Alessandro Sorte, fa sapere che non sa che cosa dire, l’entourage del presidente Maroni prende tempo, poi annuncia un comunicato che non arriva mentre i telefoni suonano ripetutamente a vuoto.

E’ evidente che continuare a sostenere i faraonici progetti dell’era del Celeste appare un po’ difficile. Ma anche abbandonare tutto implica problemi rilevanti. La Sabrom ha già fatto sapere che se la costruzione della Broni-Mortara dovesse saltare, Palazzo Lombardia dovrebbe pagare i costi di progettazione che ammontano a 70 milioni di euro. Gli errori rilevati dal ministero sul progetto sono tanti (da un’errata stima del traffico futuro al calcolo del Pm 10 prodotto, sino al riferimento a leggi ormai abrogate). E questo, dice qualcuno, potrebbe aprire una controversia tra Sabrom e Regione. Ma è anche vero che quel progetto fu interamente approvato e condiviso da Infrastrutture Lombarde. Un bel rebus.

L’incapacità di coniugarsi al plurale. E’ questo che ci ammazza.

esordienti2Loredana coglie in una sola frase quello che cerchiamo di dire (e fare) da tempo:

In secondo luogo, c’è la scarsa propensione di  molti scrittori italiani a sentirsi parte di un discorso comune. Più volte ho parlato della Gilda degli scrittori americana e di quanto si è battuta e si batte in difesa dei colleghi più deboli in tempi resi difficilissimi dall’avvento di Amazon e dalla crisi dell’editoria. Su questo punto, in Italia, le iniziative collettive sono state rarissime. Ed è solo un esempio, perché si potrebbero citare decine di altre occasioni dove la solidarietà non solo umana, ma politica, è stata obiettivamente carente.
In terzo luogo, è invece fortissima la propensione al cicaleccio da social: per cui sarà molto più facile vedere unito un gruppo di scrittori a spettegolare su Elena Ferrante che coinvolgerlo in una iniziativa di solidarietà. Non è colpa dei singoli: se il senso comunitario cala fino ad azzerarsi in un paese, chi di quel paese è espressione narrativa si comporterà di conseguenza. Con le dovute eccezioni, come sempre e naturalmente.
Detto questo, il secondo augurio è che le cose cambino. Ma vorrei anche dire una cosa: trovo molto più esecrabile il comportamento di chi si appropria della mancata solidarietà a Erri De Luca per agire pro domo propria. Per vendicarsi del silenzio sui propri libri usando un nome più noto e una battaglia molto più nobile dell’autopromozione, per poter accusare la “casta” di parlare soltanto di sè. Questo, a mio parere, significa che silenzio e tentativo di spostare l’attenzione su se stessi hanno la stessa radice. L’incapacità di coniugarsi al plurale.
E’ questo che ci ammazza.

Il post intero è qui.

La mafia dell’antimafia e Naomi Klein: #LEFT di questa settimana

Left_Cover_N10_21Mar2015«LA MIA RICETTA
ANTI CRISI»

Parla Naomi Klein: «Prendere sul serio il climate change per nuove opportunità».
di Nicola Grigion

CHE FINE HA FATTO OCCUPY?
Zuccotti park e il movimento del 99%.
di Claudia Vago

ALLA FIERA DELL’IPOCRISIA
Benvenuti a Expo 2015 tra multinazionali pro biologico e opere incompiute.
di Tiziana Barillà e Raffaele Lupoli

il voto di maggio
CHE CASINO LE REGIONALI
La renzizzazione spacca tutto: centrodestra e centrosinistra.
di Luca Sappino

LA LEGGE DEL PIÙ FORTE
Non solo Italicum. Si litiga anche su Toscanellum e Umbricellum.
di Donatella Coccoli

antimafia
LA VERSIONE DI MANIACI
L’anima di Telejato tra denunce e minacce.
di Giulio Cavalli

NOMI E COGNOMI CONTRO I CLAN
Viaggio nell’Italia dell’altra antimafia.
di Ilaria Giupponi

LO STATO DENUNCI
Intervista a Claudio Fava: «Basta deleghe».
di Ilaria Giupponi

grecia
MA QUANDO PAGANO I TEDESCHI?
Dal debito di guerra della Germania nazista alla controstoria del default.
di Andrea Ventura e Davide Vittori

migranti
L’ALTRA FACCIA DEL NORD EUROPA
Le politiche ultrarestrittive in Olanda e Regno Unito. I rifugiati protestano.
di Massimiliano Sfregola e Giacomo Zandonini

conflitti
COSÌ SI UCCIDE LA SIRIA
Bilancio impietoso di quattro anni di guerra.
di Umberto De Giovannangeli

televisione
DOTTRINA A RETI UNIFICATE
Il rapporto di Critica liberale sulla pervasività dei cattolici in tv.
di Simona Maggiorelli

musica
MASCALZONE LABRONICO
Bobo Rondelli e il suo nuovo disco.
di Tiziana Barillà

scienza
LA GUERRA DEI NEURONI
Il progetto europeo di ricerca sul cervello va rivisto.
di Pietro Greco

editoria
LO SPORT È CULTURA
Libri e campioni per l’impegno civile.
di Simone Schiavetti

Auguri Letizia (Battaglia)

Di Paola Mentuccia. Un carisma non comune, una incredibile capacità di cogliere i dettagli e una forza innata. Letizia Battaglia ha fatto del suo nome la bandiera di una vita – di donna e di artista – dedicata alla lotta per la libertà e contro la mafia. E lo ha fatto ritraendo luoghi e vittime di omicidi ma anche espressioni della quotidianità della Sicilia degli anni Ottanta e Novanta, immagini del tessuto sociale che ha convissuto con la morsa mafiosa, sguardi di donne e bambine.

La più grande fotografa contemporanea in Italia, che ha iniziato la sua attività a poco meno di quarant’anni come reporter del quotidiano L’Ora, ne ha compiuti ottanta il 5 marzo scorso e ha invitato i fotografi palermitani a donare una foto della loro città, per raccontarla insieme ancora una volta. Foto che, esposte nella galleria del Teatro Garibaldi fino al 20 marzo, contribuiranno poi a costituire un archivio per l’apertura di un Centro Internazionale di Fotografia a Palermo, cui Letizia Battaglia dedica da tempo la sua passione e le sue energie. L’artista, infatti, non ha smesso di dedicarsi alla sua attività: si pente di averlo fatto per alcuni anni perché “ogni lassata è pirduta” e ha ripreso a scattare, a costruire nuovi orizzonti di espressione.

La fotografia, per lei, è “documento”, “interpretazione” e “tanto altro ancora”. “L’ho vissuta come acqua dentro la quale mi sono immersa, mi sono lavata e purificata – scrive nella prefazione del suo ultimo libro edito da Castelvecchi – L’ho vissuta come salvezza e verità”. “Diario” è un racconto di sé, del suo spirito, di una costante tensione verso la libertà che è stata la spinta, lo stimolo e la necessità della fotografa palermitana. Durante la presentazione a Roma, nell’ambito di “Libri Come”, la festa del libro e della lettura all’Auditorium Parco della Musica, Letizia Battaglia ripesca dalla memoria momenti memorabili della sua vita, ripercorrendo la strada che l’ha portata alla fotografia: “Ho cominciato a scattare sbagliando – ha detto – poi ho continuato tutta la vita a sbagliare perché non crediate che essere arrivata a pubblicare dei libri significhi avere tutti i negativi belli e sistemati: i miei erano dieci sbagliati e poi uno finalmente, forse, buono”. Per qualche anno, poi, cadde tra le braccia di Diane Arbus, nella cruda verità dei ritratti della fotografa statunitense, e pian piano scattare diventò il suo modo “per mostrare indignazione”. Tra le sue foto, quella a un giovane Sergio Mattarella che tiene tra le braccia il fratello appena ucciso.

Un presidente che ha questa storia, Letizia Battaglia ne è sicura, “sarà sicuramente rivoluzionario”. Ha vinto premi in tutto il mondo ma non è andata via da Palermo. “Avere amato l’arte, avere visitato musei, aver sfogliato libri, aver voluto bene a quella città e a quella gente ha fatto sì che una foto sia uscita in un modo anziché in un altro – ha detto – Se tu ami e se perdoni tutto quello che ti fanno, se rimani lì, vivi quel dolore e esprimi tutto questo in quello che fai. L’abilità da sola non emoziona”. Pochi giorni fa ha scritto una lettera al Presidente della Repubblica per chiedere che il Csm riveda la decisione di non ammettere il magistrato Nino Di Matteo nella Dna. La sua lotta non è finita.

(clic)

Come organizzare una presentazione del mio libro?

coverStiamo preparando in questi giorni (tra le mille cose) le prossime presentazioni del mio piccolo libro “Corro perché scivolo”, la storia di Dorando Pietri che, per chi ancora non lo sapesse, è in vendita edito da L’Espresso in ebook qui oppure in cartaceo (sì, esiste anche cartaceo) nella nostra piccola libreria qui.

Tra le molte mail ogni tanto scopro che qualcuno immagini che sia complicatissimo e costosissimo avere una presentazione. Beh, no, non è così.

Per chi volesse basta scrivere a spettacoli@giuliocavalli.net avere un luogo, avere un giorno e poco altro. Facile, eh?

 

Parla il pentito: «Qui al Nord tutti lavorano, poi alla domenica fanno i malandrini»

Luciano Nocera
Luciano Nocera

«Quando mi diede la “santa” mi tagliò, ho una croce dietro la schiena, e il sangue che è sceso se l’è bevuto. È la verità». Carcere di Como, anno 2004, in cella con Luciano Nocera c’è Luigi Vona, capolocale della ‘ndrangheta a Canzo, e un ragazzo di San Luca (RC). «Lui non venne con noi in bagno. Vona prima mi fece camorrista, due settimane dopo mi diede la “santa”. Sulla minore è stato bruciato un santino, sulla maggiore c’era un bicchiere e tre molliche di pane». Il racconto del collaboratore di giustizia Luciano Nocera davanti ai pm della Dda Storari, Celle, Dolci e Ombra riempie 500 pagine di verbali. La prima confessione arriva ad ottobre davanti al pm Marcello Musso. «Io non ero affiliato, però sono sempre stato vicino a gente affiliata, mi sono fatto la galera senza mai parlare, allora Luigi mi ha voluto portare avanti». Le parole di Nocera sono uno spaccato inedito e attuale (gli interrogatori sono di gennaio e febbraio 2015) della ‘ndrangheta in Lombardia. Nocera è calabrese di Giffone come buona parte degli uomini delle cosche tra Milano e Como. Dopo l’affiliazione convoca gli altri calabresi nella sua cella: «Ho comprato una torta dallo spesino in carcere, ho dato una fetta di torta ai paesani per festeggiare». Nocera è soprattutto un trafficante di droga, non sa molto delle regole della ‘ndrangheta. «Nel 2009 rividi Vona, mi ha rimproverato perché non partecipavo alle riunioni. Mi disse: “Guarda che il sole scalda chi vede”. Gli chiesi di scrivermi un po’ di regole, perché io non le conoscevo. Mi disse: aspetta un po’ perché adesso cambiano tutte». Pochi mesi dopo arrivò il blitz Infinito, Vona finì in carcere e le cosche lombarde vennero commissariate dalla Calabria. «Un giorno sono entrato nel bar Arcobaleno di Bulgorello (frazione di Cadorago, ndr) ho detto “buonasera a tutti”. Il giorno dopo sono stato richiamato perché ai cristiani bisogna andare a stringere la “paletta” , la mano, a uno per uno. Avrei dovuto partecipare alla vita del locale, fare le mangiate con gli altri affiliati…».

Negozi, imprese, bar e ristoranti, le cosche tra Milano e Como controllano territorio e imprenditoria: «C’è gente che va a lavorare e che poi gli piace la ‘ndrangheta, gli piace il rispetto ed essere affiliati – racconta il pentito -. Qui uno che ha fatto un reato non lo trova, perché è gente che dal lunedì al sabato va a lavorare e poi alla domenica fanno i malandrini».

Nei verbali si parla di omicidi (quello di Ernesto Albanese e di Salvatore Deiana) e di tradimenti: «Corretti non siamo con nessuno, siamo tutti malviventi e gente di galera». Ma ci sono anche episodi che sfiorano, per quanto possibile, il comico: «Bruno Mercuri è un mio parente, è il marito di mia cugina: a casa non ha neanche il permesso di andare in bagno se non vuole la moglie. Fuori fa il malandrino, però a casa deve mettere le pantofole».
Nel Comasco c’è un boss storico, Salvatore Muscatello, capolocale di Mariano Comense, «l’unico che ha il crimine», ma anche figure influenti e ancora in libertà come l’imprenditore «Bartolino Iaconis» che dopo l’omicidio di Franco Mancuso (2008) «si è ritirato, perché, mi diceva: “è quattro anni che ho dietro la Boccassini”». Ma, chiedono i pm, dalla ‘ndrangheta si esce solo da morti? «Se vuoi “ti ritiri in buon ordine”, facendoti da parte». C’è chi, infatti, dopo gli arresti degli anni Novanta non ha più voluto aver niente a che vedere con le cosche, pur essendo stato affiliato: «Mio zio apparteneva alla ‘ndrangheta, poi ha pagato e non ha più voluto. Se a casa arrivava Chindamo, capo di Fino Mornasco, suo figlio aveva ordine di dirgli che non c’era e lui era dietro le tende». E dalle cosche si può anche stare lontani: «Quando Chindamo chiese a Pasquale Sibio di far affiliare il figlio Simone lui rispose “Mio figlio lascialo stare”».
Gli equilibri mutano di continuo. Allo stesso Nocera è stata offerta più volte la possibilità di «aprire un locale», una cellula della ‘ndrangheta: «Mi dissero: “Te lo facciamo aprire qua a Lurate Caccivio, ti pigli a chi vuoi tu…”». Ma il 46enne rifiuta: «A me i casini non piacciono, a me piace stare nell’ombra». Nocera traffica droga con la Svizzera («Vendevo a 55 mila franchi») e cede una Bmw a un politico albanese in cambio di «dritte» sul traffico di droga. «Quando nella cucina di una pizzeria venne ucciso Deiana i killer gli dissero: “Questa è l’ultima alba che vedi”. Lui rispose: “sì”». Poi arrivarono le coltellate: «Ma lui non moriva mai, forse era per la cocaina che c’aveva in corpo».

(fonte)

#maiconsalvini anzi: in gioco per l’uguaglianza

Ilaria presenta il numero di LEFT in edicola domani. Ci abbiamo messo tutto il buonpensare che abbiamo trovato in giro:

20150228_Left_N72015-800x500Un numero denso questo. Nel giorno in cui Salvini scende per la prima volta in piazza a Roma, Left partecipa a #maiconsalvini con tutte le sue pagine.

In copertina la foto Lilian Thuram, ex calciatore della Nazionale francese che da anni si batte contro il razzismo, scrivendo libri e costruendo iniziative con la sua Fondazione. Nell’ultimo, Per l’uguaglianza, ci spiega come il razzismo sia una costruzione sociale, «razzisti non si nasce, si diventa», che va combattuta perché il colore della pelle non ha alcun valore e la chiave di tutto è nell’uguaglianza degli esseri umani.

Nella lunga intervista che leggerete su Left spiega quanto sia “pericoloso” il pensiero di Salvini e quanto occorra contrapporgli un nuovo Umanesimo. Perché nel frattempo in Italia la Lega si fa nazionale e prova a conquistare il Sud spostando l’asticella della xenofobia oltre Lampedusa, in quel Mediterraneo dove uomini donne e bambini continuano a fuggire da guerre e miserie. Ironicamente, nel secondo monologo di carta di Saverio Tommasi titoliamo “Essere razzisti conviene”, nel tentativo di dirvi, raccontarvi quel “mal pensare” di cui abbiamo scritto anche la scorsa settimana.

Troverete poi uno speciale di otto pagine su una delle emergenze sanitarie che l’Italia si trova ad affrontare, la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, quelli dove finiscono le mamme assassine o i Chiatti della storia. Dove finiranno queste persone? Chi se ne prenderà cura? Dove e come verranno curate? Sono le mura il problema? La discussione tra psichiatri e magistrati è complessa.

E tanto altro, un’inchiesta su Terna e i fatti dell’Emilia-Romagna: per una normale nevicata  nel 2015 non si può rimanere cinque giorni al freddo e al buio. E ancora tanto mondo: gli economisti Kelton e Galbraight dietro la svolta a sinistra di Obama; le ultime mosse di al Sisi; le elezioni in Israele e un racconto graffiante di tutti gli errori italiani in Libia che dovrebbero convincerci oggi a starne lontani.

In cultura Salvatore Settis, Paolo Berdini, Tomaso Montanari lanciano un grido d’allarme per il maxiemendamento del Pd che stravolge il Piano paesistico della Regione Toscana. Ma anche Michele Palazzi, il fotografo italiano vincitore del World press photo award, e Carolina Bubbico, giovane direttrice d’orchestra di talento. Buona lettura e buon #maiconSalvini.