Vai al contenuto

libri

Expo 2015 e la società abusiva che controlla gli abusivi

Villa-campaaAbbiamo detto che il controllo degli accessi nei cantieri Expo è un nodo cruciale per evitare le infiltrazioni. Dico: ce lo siamo detti in tutte le salse, in tutte le serate di campagna elettorale, in tutti i convegni, in tutti i libri senza bisogno di essere saggi o ex ministri degli interni o professori.

Ogni tanto mi viene il dubbio che a qualcuno basti avere la soddisfazione di esprimere la propria analisi più o meno autoreferenziale (quando almeno è un’analisi e non solo una declamata masturbazione), che a qualcuno basti potere dire “l’avevo detto”, “vi avevo avvisato”, “era prevedibile” e ci si dimentichi del pezzo del “fare”.

Perché il “fare” oggi dovrebbe essere (correggetemi, vi prego, se sbaglio) quel potente signore ex ministro con gli occhialini che siede nel piano alto di Palazzo Lombardia e i garanti (a tutti i livelli politici, Comune incluso) delle varie commissioni e delle centinaia di protocolli “per la legalità” che ci propinano tutti i giorni con una santa conferenza stampa, tutti i giorni.

Perché non si capisce se il nodo degli accessi ai cantieri è un punto nevralgico per l’antimafia in Expo, ecco, non si capisce come possa succedere che la cooperativa CMC (che non è proprio di destra, diciamo) affidi la sicurezza dei cantieri alla Pegaso srl che da una denuncia per mancati pagamenti scopriamo non avere nemmeno le carte in regola per svolgere quel lavoro.

Come dice bene MilanoX “sono insomma degli abusivi che controllano che non ci siano abusivi nel cantiere.” 

O in fondo sono abusivi gli “esperti dell’antimafia” che qui hanno raccolto qualche briciola di troppo di credibilità.

 

Aldo Morto 54 parla

aldo-morto-di-daniele-timpanoDaniele Timpano (ne scrivevo qualche giorno fa qui) ci scrive dalla sua prigionia-spettacolo sullo stato dell’arte e di salute del teatro italiano, a Rima, di narrazione soprattutto:

DANIELE TIMPANO / ALDO MORTO 54 PARLA
24 marzo 2013 – SECONDA LETTERA dal carcere (a integrazione di quella mandata ieri al Taburo di Kattrin)

Ciao a tutti, sono il protagonista e la vittima sacrificale di questa avventura irragionevole: 54 giorni di auto-reclusione al Teatro dell’orologio più 54 giorni di repliche del mio spettacolo “Aldo morto / tragedia” su Moro, anni ’70, lotta armata e ciò che resta e la palude in cui mi e ci sento, nel trentacinquennale del Sequestro Moro, nei giorni esatti del sequestro. Beh, il progetto ha raccolto e raccoglie entusiasmi come anche perplessità. Ad una settimana dall’interramento (il teatro dell’orologio è sottoterra) tento di abbozzare una veloce riflessione, a mo’ di primo bilancio, sul senso dell’operazione, senso che in parte è a monte, progettuale, in parte ancora in corso d’opera e suscettibile di sviluppi e contributi.
Dunque. La sostanza di Aldo morto 54 l’ho spiegata più volte in questi giorni in streaming e in interviste (Ansa, Rai News), spero ci sia un video da recuperare e postare prima o poi. Cos’è Aldo morto 54, questo progetto che a molti pare ambiguo, costruito intorno a un mio spettacolo? Che roba è? Il teatro che diventa reality? È un gesto estetico? Narcisistico? Politico? È squallido marketing? Non lo so. Parliamone. E partiamo dal teatro. Il teatro è il mio mestiere, la mia vita, il mio tempo, il mio amore, il mio respiro; ma il teatro non è niente ed Il teatro non può diventare niente, purtroppo perché il teatro è morto, è un cadavere incredibilmente abitato da gente vivissima ma è morto e noi vermi che ci viviamo dentro non riusciamo a farlo muovere…
Certo che nel progetto c’è l’elemento maketing, anche se mi pare esagerato definirlo tale; direi piuttosto che c’è l’idea 1) di strumentalizzare un poco la mentalità di stampa e tv, che infatti sono molto curiosi di questa cosa che a lor pare un evento (mentre dello spettacolo non glie ne importa palesemente molto, come sempre, né molto probabilmente ne capiscono) ed in quanto evento infatti un certo interesse per il progetto lo stanno dimostrando (i sopracitati Rai News e Ansa che mai si sono interessati a me in precedenza); direi poi 2) che c’è l’idea di stimolare la curiosità della gente normale non teatrante diversamente alienata (rispetto all’alienazione di chi fa questo mestiere ma pur sempre alienata come tutti); sì, proprio così, la gente c.d. “normale”, ve la ricordate? Sì, proprio loro perché – prima di tutto – l’intero progetto (non solo la prigionia in streaming ma anche gli approfondimenti di senso come gli incontri con Miguel Gotor, Lorenzo Pavolini, Francesco Biscione, Christian Raimo, quello su Baliani, il concerto di Pino Masi, le presentazioni di libri, o i seminari sul cinema di Flavio de Bernardinis o le interviste in cella o gli incontri con gli studenti) è un progetto che nasce prima di tutto – ma prima di tutto, ma prima di tutto, ma prima di tutto – intorno ad un progetto semplice ma ambiziosissimo: realizzare a Roma – finalmente! – la lunga tenitura in scena di uno spettacolo di drammaturgia contemporanea (italiana) tentando in tutti i modi di creare un pubblico diverso dai quattro gatti colleghi-operatori-parenti-elite intellighenti da salottino radical chic cui par condannato il nostro segmento di teatro, specie in questa orrenda capitale cadaverica, questo demimonde di artisti cui appartengo, non benedetto da luci televisive o altro eppure così pieno di senso, vita, fatica, amore, sforzi, tensione anche politica, di certo intellettuale.
Tutto il progetto tenta in ogni modo, cercando di creare senso e mantenerne in corso d’opera, di rendere possibile una cosa del genere. Non è poco. Ne ho bisogno io. Ne ha bisogno la città. Ne ha bisogno il teatro forse in generale ma senz’altro il segmento di teatro cui appartengo. Di questo sono convinto. Sto puntando molto su questo progetto e sul suo senso.
Se no, Daniele Timpano lo spettacolo “Aldo morto / tragedia” se l’era già fatto l’anno scorso a Roma in 3 repliche trionfali nella cornice c.d. “prestigiosa” del Palladium, pagato bene e pieno di tutto quel pubblico là, di cui sopra, tutto là riunitosi per l’eventino speciale di Timpano con ‘sto spettacolino di cui si parlava tanto bene ospitato chissà perché nella stagione della Fondazione Romaeuropa.
Se no, si accontentava di fare le sue solite repliche in giro per l’Italia, si accontentava di aver vinto il Premio Rete Critica 2012, della segnalazione “alla carriera” al Premio IN-BOX 2012, di essere arrivato per la prima volta in finale ai PREMI UBU 2012 come “migliore novità italiana (o ricerca drammaturgica)”, pazientemente proseguendo la faticata ascesa verticistica del teatrello in estinzione italiano.
Insomma, chi me lo faceva fare di chiudermi sotterra, in una tomba anticipata in cui comunque già ero, come tutto il teatro, come tutta la cultura, come tutto il paese depressivo in cui viviamo (per questo peraltro, sin troppo didascalicamente per i miei gusti, la mia tutina è verde, il pavimento rosso e le pareti della cella bianco sporco-grigette: la mia cella 3 x 1 non solo cita Moro ma è un tricolore depressivo che mi soffoca).
Concludendo, secondo me, ed anche a prescinder da me, vi dico – e faccio questa affermazione in assoluta buona fede e assoluta convinzione -, vi dico questo: c’è poco da essere perplessi e da storcere la bocca. Il progetto, per criticabile e fallibile che sia, ha un suo senso “storico”.
Se al mio posto ci fosse un Andrea Cosentino, un Fabrizio Arcuri, o Gaetano Ventriglia e Silvia Garbuggino, o Massimiliano Civicaa, o i Tony Clifton Circus, Dario Aggioli, Elvira Frosini, Fabio Massimo Franceschelli, Alessandra Sini, i Maniaci D’amore (Luciana Maniaci e Francesco d’Amore, Roberto Latini, Teatro Magro, Stefano Cenci, Riccardo Goretti o Biancofango Compagnia, Gianfranco Berardi e altre compagnie e artisti che stimo (ma forse anche se al mio posto ci fosse qualcuno che non stimo come xxxxx), questo sarebbe un progetto che comunque sosterrei. Anche se non portasse benefici a me direttamente (se pur me ne sta portando, cosa che è ancora tutta da vedere: per ora è ancora una lotta contro i mulini a vento).
Il Teatro dell’Orologio – nella sua nuova gestione – è stato coraggioso ed incosciente a investire con me in questo progetto soldi (che non ci sono), energie, tempo, idee, contatti ed io spero tanto che questo irragionevolissimo e ambizioso “Aldo morto 54” aiuti anche loro a sfuggire al destino disdicevole di “Affittacamere” (a Roma il 90% dei teatri non fa una programmazione ma affitta la sala a caro prezzo alle compagnie che glie la chiedono) da cui provengono e a cui speriamo non siano costretti – come quasi tutta la città teatrale orrenda in cui viviamo noi romani che è losca, spregevole, disordinata, cialtrona e fuorilegge – a tornare…
Anche i nostri buoni e generosi Media Partner condividono con noi queste non piccole speranze. Il Tamburo Di Kattrin e Fattiditeatro, Andrea Giansanti (cui va il mio ringraziamento speciale per aver reso possibile tutta la faccenda dello streaming!), ma anche Grapevine studio, anche Kataklisma, anche – in sostanza – la Fondazione Romaeuropa.
Ecco qui. Ho finito. Solo un piccolo tentativo di lucidità. Mi rendo conto della delicatezza di tutto questo. Ed ho parlato solo delle questioni di “politica teatrale”. Figuriamoci se affrontavo il problema della delicatezza dei temi che affronta lo spettacolo!
Un bacio, comunque.
Un bacio a tutti dal mio lettuccio sottoterra.
Cordiali saluti e baci appassionati,
Daniele Timpano
www.aldomorto54.it

L’Antologia della Memoria (Fuorilegge)

Schermata 2013-03-24 alle 08.16.42FuoriLegge è un sito che promuove la lettura per accompagnare adolescenti ed educatori nel percorso di avvicinamento ai libri. Mi fa bene in mezzo a questo caos (poco creativo e speriamo almeno produttivo) là fuori scoprire siti così. Mi riconciliano con la vita.

La loro Antologia della Memoria, scritta da partigiani della parola, è il diario di un Italia ama fare il proprio lavoro terribilmente sul serio. Qui c’è la pagina che Angela Vitti ha scritto dopo un nostro incontro.

Questa domenica la inizio così: ringraziando i bibliotecari che resistono nonostante tutto. E ci fanno mangiare.

“Ci invita ad allenare quello che chiama il “muscolo” della curiosità. Questo significa guardarsi intorno, fare domande a genitori e insegnanti, leggere per informarsi, capire e poi fare delle scelte consapevoli di comportamento e di vita.”

La Lombardia degli -oni

maroni_e_formigoniFormigoni e Maroni, che non finiscono solo allo stesso modo per il cognome ma si assomigliano molto di più di quanto il Roberto leghista si stia impegnando di nascondere. Un’inchiesta sulla sanità come quella di oggi (“una ramificata rete di complicità nel mondo sanitario e istituzionale” si legge nelle carte) che coinvolge il leghista Boriani, ex direttore de La Padania, e i soliti noti amici del Formigoni.

Un’inchiesta che inizia con un suicidio nell’ospedale (San Paolo di Milano) dove (sarà un caso?) stanno ricoverati i boss del 41 bis (sarà un caso?). Una sanità che sorprende (ma non troppo) per la vicinanza con ambienti corrotti, corruttivi, corrutibili e criminali. Come reagisce Maroni? Con gli slogan, i soliti che, mio Dio, qui in Lombardia funzionano per vincere le elezioni.

Maroni di quella Lega che ha appoggiato Formigoni in questi ultimi anni.

Maroni di quella Lega che è alleata con quei parlamentari brutti ceffi che manifestano oggi in Procua a Milano come chiassosi alunni in gita alcolica.

Maroni che parla di cambiamento e promette la sanità al PDL (ancora) passando per un cambiamento che non cambia niente e nessuno.

Sarà una lunga notte per la Lombardia.

I nomi degli arrestati. In manette sono finiti Massimo Guarischi, 49 anni, ex consigliere regionale di Forza Italia vicino a Formigoni, già condannato a titolo definitivo nel 2009 per corruzione negli appalti per il dopo alluvione; Leonardo Boriani, 66, giornalista, ex direttore della Padania e ora della testata online www.ilvostro.it; tre imprenditori della famiglia Lo Presti di Cinisello Balsamo, titolari della società Xermex Italia (Giuseppe Lopresti, 65 anni, e i figli Salvo Massimiliano, 43, e Gianluca, 39); Luigi Gianola, 65, direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Sondrio, e Pierluigi Sbardolini, 61, direttore amministrativo dell’ospedale Mellino Mellini di Chiari nonché ex direttore del San Paolo di Milano. L’operazione, denominata ‘La Cueva’, è stata coordinata dal colonnello Alfonso Di Vito (Dia). Fra gli indagati ci sono, oltre al direttore generale della Sanità lombarda, Carlo Lucchina, alter ego di Formigoni, numerosi altri manager pubblici degli ospedali di Chiari, di Cremona, di Valtellina e Valchiavenna (Sondrio) e dell’Istituto nazionale tumori. Perquisito anche uno svizzero, Giovanni Lavelli, titolare di una finanziaria a Lugano e accusato di aver costituito la provvista con cui pagare le tangenti.

Gli appalti nel mirino. Le mazzette, nella ricostruzione dei pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio, erano pagate per ottenere l’appalto per la manutenzione di apparecchi elettromedicali al San Paolo, per i servizi di radiologia all’Azienda ospedaliera della Valchiavenna di Sondrio e per l’installazione di sofisticati macchinari per la diagnostica tumorale all’Istituto milanese dei tumori (che “si dichiara del tutto estraneo ai fatti”) e all’Azienda ospedaliera di Cremona. L’appalto valtellinese, per esempio, valeva 9 milioni di euro e il direttore generale avrebbe accettato la promessa di 500mila euro per assicurare un trattamento di favore all’azienda dei Lo Presti. Parte dei pagamenti è documentata con intercettazioni e pedinamenti degli investigatori della Dia, i quali sono partiti dalle indagini che nel 2010 avevano portato in carcere un ex direttore dell’Asl di Pavia, Carlo Antonino Ciriaco, e Giuseppe Neri, capo della ‘locale’ della ‘ndrangheta pavese. Ci fu anche un suicidio ad attirare l’attenzione della Direzione investigativa antimafia: quello di Pasquale Libri, dirigente del San Paolo, sfiorato dall’inchiesta su Ciriaco. 

Gli indagati eccellenti. Fra gli indagati spiccano i nomi di Danilo Gariboldi, direttore generale del Mellino Mellini di Chiari; Simona Mariani, direttore generale dell’ospedale di Cremona; Gerolamo Corno, direttore generale dell’Istituto tumori di Milano; Pierguido Conti e Vincenzo Girgenti (General elettric medical systems Italia di Milano); Alessandro Pedrini, già dipendente della Regione Lombardia;Massimo Streva (Fratelli Scotti, impresa edile di Cinisello Balsamo); Battista Scalmani (BS Biotecnologie di Bergamo); Carlo Barbieri (Brainlab Tecnologie di Milano); Giuseppe Barteselli (dirigente dell’ospedale San Gerardo di Monza) e Bruno Mancini (Biemme Rappresentanze di Roma). L’operazione ha portato anche a una cinquantina di perquisizioni.

Per l’8 marzo scriviamo alle donne un’altra storia

rectangleL’uomo è cacciatore. 
È da quando ho le orecchie per sentire che questo modo di dire ritorna inesorabile in ogni discorso in cui si voglia giustificare in un uomo l’attitudine all’incostanza sentimentale, l’insistenza ottusa nel corteggiamento o la frustrazione di chi si è visto sfuggire di mano la preda perché lei, rompendo le regole del gioco di ruolo, gli ha imposto un rifiuto netto e non previsto. Lo dicono i padri ai figli e le madri alle figlie; se lo ripetono tra loro gli amici ammiccanti con una pacca sulle spalle e lo mormorano le donne alle amiche con un’alzata di occhi al cielo, tutti con la stessa leggerezza: “he, che ci vuoi fare… L’uomo è cacciatore e la donna è preda”. 
Magari dopo averla detta sorridono. 
Non realizzano di avere dentro alla testa l’associazione micidiale tra seduzione e morte
Fanno finta di non ricordarsi che il cacciatore la preda la insegue per ucciderla.

Le donne in quella frase ascoltano una storia dove si dice loro che essere desiderate implica il rischio di essere uccise. 
Ogni volta che quella frase viene ripetuta, si consolida inconsapevolmente in chi ascolta la convinzione che quello che viene messo in scena a parole sia non solo accettabile, ma faccia addirittura parte della natura della cose: l’uomo insegue, la donna scappa, l’uomo spara, la donna muore, amico: che ci vuoi fare? Il linguaggio comune è pieno di espressioni simili. Chi le usa non pensa ai loro sottotesti, ma questi passano anche se chi li veicola non ne è perfettamente consapevole, perché le parole hanno un grande potere: confermano immaginari, consolidano visioni e generano realtà.

Il numero di donne uccise dagli uomini ogni anno in questo paese parla chiaro: per quanto si cerchi ancora di rubricarli come casi singoli di follia circoscritta, i femminicidi appaiono sempre più chiaramente come un fenomeno culturale, la radiografia di una società maschilista in crisi dove il prezzo della vita delle donne è messo in conto come danno collaterale alla perdita degli equilibri di ruolo. In questo processo di minimizzazione le parole che usiamo per raccontare gli uomini, le donne e le loro relazioni hanno un peso enorme e ancora troppo poco considerato da chi pratica parola pubblica e ha la responsabilità di renderne conto.

Una splendida e appuntita Michela Murgia, come sempre, da leggere piuttosto della mimosa.

Uomini, mica funghi

20130307-181459Andrea Riscassi è un giornalista ma soprattutto è un curioso. E per i giornalisti essere seri e curiosi è uno dei difetti più raccomandabili. Andrea si è fatto carico della memoria di Anna Politkovskaja quando è scesa la lacrima breve della notizia e l’ha trasformata in memoria quotidiana e seriale. Una di quelle passioni che rendono inspiegabilmente fondamentali gli interessi di qualcuno per tenere in vita una storia che altrimenti sarebbe andata perduta troppo presto tra i libri di storia contemporanea. Andrea ha scritto libri, lavori teatrali (che abbiamo avuto il piacere di ospitare nel nostro piccolo Teatro Nebiolo) e continua con i suoi incontri e soprattutto con i ragazzi. In questa scuola che resiste al degrado economico e strutturale esistono insegnanti con il nerbo dei partigiani che si preoccupano di raccontare la storia di  Anna Politkovskaja ai nostri figli: per questo non riesco a non essere ottimista per il futuro di questo Paese che per forza deve rinascere dalle proprie ceneri. Per forza.

Andrea è stato a Tavazzano con Villavesco. Tavazzano cosa? chiederete voi. Già vi vedo. E’ che io a Tavazzano ci sono anche cresciuto. E per questo mi sorride il cuore. E Andrea a Tavazzano ha vissuto la luce che vediamo sempre noi che abbiamo la fortuna di frequentare le scuole per raccontare le storie degli altri. Perché veniamo accolti come sciamani della memoria e alla fine lasciamo una memoria appallottolata da portarsi a casa insieme alla cartella.

Vale la pena leggere nel suo blog come la racconta Andrea, e come la raccontano i ragazzi qui.

Mentre leggevano quel che hanno percepito di Anna e della sua storia mi sono più volte emozionato.
Perché hanno colto l’essenza di una storia che si svolge in Russia ma che parla a tutti noi.
Nei loro testi, i ragazzi hanno più volte ripetuto una frase di Anna che adoro. Rivolta com’è a quella zona grigia che (a Mosca come a Roma e Milano) tace di fronte ai soprusi ed è sempre pronta a inchinarsi al capo di turno: “Per il mio sistema di valori è la posizione del fungo che si nasconde sotto la foglia. Lo troveranno, lo raccoglieranno e lo mangeranno. Per questo, se si è nati uomini, non bisogna fare i funghi”.
Cara Anna, stamattina ho trovato 85 ragazze e ragazze che si sono impegnati a non fare mai i funghi. A non nascondersi. A camminare a testa alta.
Che mi hanno insegnato molto.
Il merito è tutto tuo.

 

Due parole sul futuro che ci aspetta (e ci spetta)

Una mia intervista ad Affari Italiani che (a parte il titolo) dice due o tre cose che penso:

Schermata 2013-03-04 alle 13.28.00di Fabio Massa

Giulio Cavalli è uno dei leader di Sel in Lombardia. In un’intervista ad Affaritaliani.it attacca la dirigenza del partito, dopo che alle ultime elezioni non hanno ottenuto neppure un seggio al Pirellone. “Noi fuori? Colpa di una campagna elettorale gestita male fin dall’inizio. Sel? Bisogna che si faccia il congresso. Civati segretario del Pd? Sono pronto a seguirlo, sono a sua disposizione perché le sue idee sono anche le mie”

Giulio Cavalli, Sel è morta?
Non siamo morti. Abbiamo un progetto da rivedere perché abbiamo perso.

Siete fuori dal consiglio regionale lombardo.
Non abbiamo perso solo perché siamo fuori. La politica non si fa solo dentro o fuori. Abbiamo perso perché non abbiamo numeri che dicano che siamo vagamente convincenti. Il problema non è avere o no i consiglieri. Il problema è riuscire ad essere credibili: l’1,8 per cento non è abbastanza.

Di chi è la colpa?
E’ colpa di una campagna elettorale gestita male fin dall’inizio, di una perversione di Sel di accodarsi al Pd per poi svicolare in modo labirintico. La sinistra ha mostrato di vincere quando fa la sinistra, sul modello Pisapia, e non quando scimmiotta il centro.

Pisapia è stato tra i main sponsor di Ambrosoli.
Pisapia prenderà le responsabilità politiche anche di questo. Perché dobbiamo prenderle solo noi?

Adesso che cosa succederà? Passa nel Partito Democratico.
No. Io penso che adesso bisogna capire Sel che cosa fa. Se vuole rimanere la correntina esterna, che poi visti i numeri significa un “refolo”, del Pd, mi pare non valga la pena. Se vuole raggiungere risultati importanti allora bisogna che riprenda a dialogare con pezzi con i quali ha smesso di dialogare da qualche tempo. Avevo scritto che il progetto era fare in modo che questa sinistra fosse meno diffusa a livello di partiti e un po’ più diffusa a livello di percentuali.

Lei che cosa farà?
Io sono un umile servitore nella vigna di Sel. I dirigenti si prendano le loro responsabilità.

Quindi?
Quindi in fase congressuale ci saranno delle linee da rivedere e da decidere nuove linee e nuove sintesi.

Lei parteciperà in maniera attiva al congresso?
Io faccio politica scrivendo libri e facendo spettacoli teatrali. Dentro Sel ho trovato tantissima gente che ha la stessa idea di Paese che ho io. Non permetterò che per spirito di autoconservazione basti ai dirigenti il fatto di aver ottenuto un posto ma che si lavori sempre come una chiave collettiva di ideale.

In questa sconfitta Chiara Cremonesi ha qualche responsabilità?
Non più di quante ne abbia io. Poi devo dire che in tutti i partiti si tenta in ogni modo di fare campagne elettorali che somigliano da fuori a masturbazioni interne.

Se Pippo Civati divenisse segretario del Partito Democratico lei seguirebbe il suo amico?
Io penso che il Pd non sarebbe più il Pd. Il partito di Pippo Civati ha la stessa agenda politica che ho io. Sicuramente sarei a disposizione di Pippo perché possa fare in modo che le sue idee, che sono anche le mie, possano essere maggioranza.

Le categorie e i tipi umani cioè io

1giostraC’è qualcosa che mi sfugge nella lettura della politica che si sta propagando in questi ultimi anni. Fermi tutti: non voglio parlare di crisi di governo di soluzioni salvifiche o di alleanze per un nuovo centrosinistra. Niente di tutto questo. Parlo proprio di politica, quella con la p maiuscola che sta nei modi (e nei mondi) dello stare insieme, nel come ci guardiamo negli occhi, ci stringiamo la mano, interpretiamo il nostro essere colleghi, compagni, amici, amati o conoscenti.

Quando ho cominciato a fare politica (che poi seguendo il mio incipit si potrebbe dire “mai” nel senso di “da sempre”) mi sono accorto di un meccanismo perverso che ammalia tutte le classi intellettuali senza distinzioni di reddito o di istruzione:  la politica si può fare se eletti e una volta eletti si entra in un maleodorante pentolone da cui non ci si riesce a sciacquare nemmeno per tutti gli anni a venire. E non è un caso che quando si parla di impegno politico si usino diversi verbi di spostamento (scendere, salire, buttarsi) dando per scontato che la politica si trovi comunque “altrove”, in luoghi diversi secondo i partiti e le inclinazioni ma comunque non qui. Dove “qui” sta a significare il pascolo delle persone normali e i politici quindi diventano merce rara da riverire o vaffanculare a seconda dei propri umori; l’importante è che il sentimento sia comunque iperbolico.

Ecco, io non so se veramente il politico più lucido di tutti questi anni ad esempio non sia stato Don Ciotti, o forse il Ministro della Salute Internazionale non sia stato Gino Strada e Pasolini alla Coesione Sociale e Fo alla Cultura più di quanto non abbiano fatto molti altri ministri di cui non ricordiamo il nome se non è rimasto attaccato a qualche riforma da macelleria sociale. Come se il campo politico (o meglio sarebbe dire dei “condizionamenti sociali e culturali” che sono poi politica) si sia versato (ed è un bene) dappertutto e tutti continuino a fissare un bicchiere pressoché vuoto con solo i fondi di qualcosa che è Stato.

Quando ho cominciato a fare teatro, nella torbida provincia di Lodi per intendersi, in molti mi dicevano che “non era cosa”, che bisognava stare abbottonati senza lanciarsi in sfide senza prospettive (e senza reddito, perché che con la Cultura non si mangia l’ha detto uno ma lo pensano in molti). Quando la nostra sbrindellata compagnia ha cominciato a fare spettacoli proprio a forma di spettacoli che ormai non si potevano più annoverare tra le recite ci hanno detto che avevamo avuto fortuna e le conoscenze giuste. Così ci avevano detto. E tutti noi a chiedersi se veramente non fossimo riusciti a costruire un enorme assalto al mondo dello spettacolo lodigiano con macchiavellica incoscienza, roba da starci in analisi per qualche decina d’anni, per dire.

Poi abbiamo iniziato a costruire spettacoli “di teatro civile” (sì, lo so, civile e incivile sono cartellini buoni per un’esposizione fieristica ma volevo semplificare perché mi sta uscendo l’articolo più lungo degli ultimi mesi e mi chiedo sempre se viene la voglia di leggerlo tutto, un articolo del genere) e ci hanno detto che volevamo fare politica. Proprio così: troppo politicizzato, mi dicevano, anzi peggio, troppo comunista, barbone e capelli lunghi e tutte quelle cose lì che si dicono a quelli comunisti con la barba e i capelli lunghi che scrivono qualcosa che abbia cognomi di persone vere con condanne vere. Non si stava nemmeno male a fare il politicizzato: ti chiamano a fare il teatrante ma ti trattano da compagno come dovrebbero trattarsi i compagni sapendo che non ti sarebbe mai venuto in mente di prendere una posizione in un Congresso. Un compagno ma non troppo, nei luoghi e nei modi giusti, di quei compagni messi in condizione di non potere nemmeno sbagliare, direi.

Poi ci siamo detti che è una cosa strana questa cosa di dovere fare il politicizzato figlioccio dei politici (quelli della lettura propagata in questi ultimi anni) e alla fine non essere quasi mai d’accordo con loro, e fare la corrente di minoranza da un palcoscenico dietro le quinte non è proprio cosa, troppo fuori scena, troppo oscena. Facciamo politica, ci siamo detti. No, non farla, a ciascuno il suo, mi hanno risposto. Ed è una delle risposte che mi ha fatto arrabbiare di più di tutti questi ultimi anni. Poi siamo stati eletti. E’ stato eletto perché ha giocato la carte del vivere sotto scorta, mi dicevano.

Perché in tutto questo enorme catalogo di tipi che mi sono ritrovato ad attraversare c’è anche il fenomenale uomo scortato che in questa Italietta di stomaco e bocca piuttosto che cuore e cervello è una garanzia. Ma di questo ne ho già scritto e detto fin troppo e non tocca tornarci su. Per chi vuole informarsi c’è in giro parecchio materiale.

Ora succede anche che mi capiti (che fortuna) di scrivere. Scrivere proprio a forma di scrivere nel senso di libri a forma di libri. Quando per la prima volta avevo confessato di sognare un libro mi hanno guardato come mi hanno guardato quella volta lì che dicevo di volere fare teatro.

Poi è successo che nella vita si fanno delle scelte e ogni tanto la famiglia si declini al plurale. E allora diventano famiglie e diventa una scelta che in questo cattolicissimo Paese di preti troppo banchieri e puttane troppo parlamentari un padre che si separa è sempre un padre dissennato. Figurati poi se il letteratissimo, scortatissimo, politicizzatissimo decide di accompagnarsi con una donna di un’altra specie: vergogna, vergogna, una delusione, uno spreco, tutti uguali (e non si capisce mai chi a chi) oppure come scriveva De Gregori e poi tutti pensarono dietro i cappelli lo sposo e’ impazzito oppure ha bevuto. Anche su questo di materiale ce n’è fin troppo in giro ma non lesinerò una mia spiegazione una volta per tutte nei prossimi giorni, perché il sassolino voglio tenerlo in mano per qualche minuto anch’io.

Ora siamo qui, nella terra di mezzo come direbbe l’amico Fois, e in fondo ci sembra di essere nel luogo dove siamo sempre stati. Ma comincio a trovare noioso questo accalappiacani che vorrebbe insegnarci i tipi, le etichette e le normomodalità. Facciamo la nostra parte. In tutte le parti in cui ci è possibile dire qualcosa.

Se vi disturba, beh, se vi disturba allora funziona.

Nessun uomo oserà mai scriverlo. Nessun uomo potrebbe scriverlo, anche se osasse.

PoebirdSe qualche ambizioso volesse rivoluzionare, in un sol colpo, tutto il mondo del pensiero, dell’opinione e del sentimento umano, ha la sua occasione − la strada che conduce a una gloria imperitura gli è aperta davanti, diritta e senza intralci. Tutto ciò che deve fare è scrivere e pubblicare un piccolissimo libro. Il titolo dovrà essere semplice − formato da poche parole senza pretese: “Il mio cuore messo a nudo.” Ma poi questo piccolo libro dovrà tenere fede al titolo.

Ora, non è strano che, con la rabbiosa sete di notorietà che contraddistingue tanti uomini − così tanti, cui non importa nulla di cosa si possa pensare di loro dopo morti, non si sia trovato nessuno che abbia il coraggio di scrivere questo libriccino? Scrivere, dico. Ci sono diecimila persone che, se il libro fosse scritto, riderebbero della possibilità di essere disturbati dalla sua pubblicazione nel corso della loro vita, e che neppure concepirebbero di doversi opporre alla sua pubblicazione dopo la loro morte. Ma scriverlo − ecco la difficoltà. Nessun uomo osa scriverlo. Nessun uomo oserà mai scriverlo. Nessun uomo potrebbe scriverlo, anche se osasse. La carta si raggriccerebbe e si consumerebbe a ogni tocco della sua penna infocata.

(Edgar Allan Poe, Boston 1809 – Baltimora 1849, Il libro impossibile da Marginalia, 1844-1849)