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Ma ti candidi alle primarie?

Ma la domanda è un’altra. E soprattutto le risposte da costuire. Ho provato a raccontarlo ad Affari Italiani in questa intervista:

Giulio Cavalli ad Affaritaliani.it: “Candidato alle primarie? Non lo escludo”. Poi attacca Tabacci, avverte Civati e…

(intervista di Fabio Massa)

Giulio Cavalli, consigliere regionale di Sel, in un’intervista ad Affaritaliani.it di fatto si candida alle primarie che dovranno scegliere lo sfidante di Albertini, il successore di Roberto Formigoni alla guida di una Regione Lombardia sempre più in bilico: “Non smentisco e non lo escludo”. Poi stronca un’alleanza con l’Udc: “Noi che ci battiamo per i diritti civili non possiamo pensare di trovare sintesi con chi ha invece un’idea completamente  diversa su alcuni punti fondamentali”. Albertini? “Non mi preoccupo delle candidature degli altri, ma di avere delle idee e di fare proposte migliori”. L’esempio di Pisapia è replicabile in Regione? “Credo che sia difficile nell’organizzazione e nella costruzione del progetto politico. Però Milano e l’amministrazione Pisapia ci dà spunti”. Tabacci? “Mi stupisce che una persona che è parlamentare ed assessore abbia così tanto tempo da fare analisi politiche sulla Regione. Detto questo, Bruno Tabacci mi ricorda tantissimo quelli che fingono di contestare un sistema e poi invece hanno come progetto politico quello di cambiare gli interpreti e promettere che saranno un po’ più etici”. Civati? “Io non credo che Civati appoggi Renzi. Ma se così fosse l’avvicinamento sarebbe difficilissimo”

Il potere formigoniano è finito o sta finendo?
Si sta sgretolando talmente rumorosamente che anche la Lega Nord non può fare finta di non sentire.

A che punto è l’elaborazione di un’alternativa di centrosinistra per il futuro postformigoniano?
La Lombardia è lo specchio della situazione nazionale. Nel senso che dobbiamo chiarirci che cosa è il centro sinistra. Secondo me noi stiamo sprecando delle energie a raccontare e ad osservare la caduta di Formigoni, e a tendere l’orecchio sui tempi dettati della Lega, quando tutte quelle energie dovremmo usarle per raccontare la nostra alternativa. Ma è ovvio che per raccontare un’alternativa ci deve essere una coalizione che faccia sintesi. Noi che ci battiamo per i diritti civili non possiamo pensare di trovare sintesi con chi ha invece un’idea completamente diversa su alcuni punti fondamentali.

A chi si riferisce?
All’Udc, senza dubbio. Io dico che bisogna decidere quali sono le nostre priorità. Io non cito spesso Vendola, ma questa volta Nichi l’ha detto con una chiarezza disarmante: il vero rischio qui è che si faccia una grande filosofia e poi dal punto di vista politico, la grande coalizione abbia il sapore della cicuta. Penso che anche nella nostra Regione il vero rischio sia quello.

Intanto il centrodestra ha già qualche nome in campo. C’è Albertini, o un leghista…
Il giochetto del centrodestra sarà semplice. Non lo chiameranno più modello Formigoni ma modello Lombardia, e continueranno nella retorica dell’eccellenza.

Un commento sulla candidatura di Albertini.
Non mi preoccupo delle candidature degli altri, ma di avere delle idee e di fare proposte migliori.

E’ preoccupato che a sinistra non ci siano ancora molte idee?
Io penso che ci sia tutto lo spessore politico per partorirle, queste idee. Bisogna però che ci sia uno scatto in avanti. E questo potrebbe essere una proposta concreta: primarie che siano contemporanee con quelle nazionali. Così si darebbe il via a un percorso di sintesi nazionale con ricaduta sul regionale.

In campo c’è, ad oggi, il solo Civati.
Io sono molto amico di Pippo e ne condivido molte idee. Siamo assolutamente convergenti sull’idea di governo e anche sono molto vicino alla sua idea di Partito Democratico. Sono molto meno convinto di alcuni pezzi che gli stanno intorno.

Facciamo qualche nome: Gori, Renzi?
Io non credo che Civati appoggi Renzi.

Ma se così fosse?
Se così fosse l’avvicinamento sarebbe molto molto difficile su alcuni temi.

L’altra candidatura che non è in campo, ma che potrebbe essere, è quella di Bruno Tabacci…
Mi stupisce che una persona che è parlamentare ed assessore abbia così tanto tempo da fare analisi politiche sulla Regione. Detto questo, Bruno Tabacci mi ricorda tantissimo quelli che fingono di contestare un sistema e poi invece hanno come progetto politico quello di cambiare gli interpreti e promettere che saranno un po’ più etici. La mia idea è un po’ più eversiva dal punto di vista della progettazione politica.

Un’idea eversiva che potrebbe posto in una candidatura vera e propria?
Sicuramente come Sel una persona che possa fare sintesi della nostra idea ci sia sicuramente.

Sarà lei?
Rispondo con la frase che è molto in voga ultimamente: non smentisco e non lo escludo.

Di fatto lei è molto vicino a candidarsi. Le prime tre cose che se fosse presidente della Regione cambierebbe.
Ripensare la Sanità, non più ospedalocentrica, con un riequilibrio dei finanziamenti pubblico-privato e più controlli. Ripensare l’Ambiente: tutto ciò che è infrastruttura, nel momento in cui è strettamente necessario, ha bisogno di infrastrutture sociali intorno. Terzo: fare in modo che la Lombardia non sia una lobby antisociale ma estremamente sociale, per i cittadini. Poi c’è il problema del lavoro: bisogna ripensare alle start up e all’imprenditoria giovanile.

Il modello Pisapia può essere replicato in Regione Lombardia?
Credo che sia difficile nell’organizzazione e nella costruzione del progetto politico. Però Milano e l’amministrazione Pisapia ci dà spunti e indicazioni politiche che possono essere riutilizzate.

Come il fatto che a Milano il Pd ha perso le primarie e ha vinto le elezioni?
Nelle elezioni di Milano si è riusciti a parlare a della gente che della politica era disamorata. A Milano si è raccontato come la responsabilità di governo è difficile, che molto spesso chiede delle capacità diplomatiche e di mediazione, ma che può anche sfuggire al compromesso a tutti i costi.

Come è successo con il Dalai Lama?

Libero libro

Lo dice il Guardian: Piccola ma significativa rivoluzione in alcune carceri di massima sicurezza brasiliane: quattro prigioni sono state selezionate come test di un nuovo programma del governo di Dilma Rousseff che permette ai detenuti di godere di quattro giorni di libertà per ogni libro letto (letteratura, filosofia e scienza sono gli argomenti al centro della proposta). Il recluso dovrà poi scrivere un saggio breve a partire dal testo e, previa valutazione di un comitato, otterrà il permesso di novantasei ore.

C’è un limite però: quarantotto giorni ogni anno, ovvero dodici libri. E il libro non va “consumato” in più di quattro settimane. Il programma si chiama “Expiação via leitura”, e l’obiettivo è quello di abbassare sensibilmente il numero di detenuti del più grande stato del Sud America, che raggiunge oggi circa 513 mila persone, il 70% delle quali, si calcola, non possiede nemmeno una licenza media.

Attenzione: la mafia è anche al sud

Mario Portanova per Il Fatto Quotidiano:

Attenti che la mafia è anche al sud. Paradossale vero? E’ il disturbo bipolare dell’informazione, l’illogico alternarsi di euforia e apatia. Un’informazione che per decenni ha taciuto sul radicamento della criminalità organizzata nel Nord Italia, anche se in Lombardia, tanto per dire, tra il 1993 e il 1996 ci sono stati circa tremila (tremila!) arresti per mafia. Poi, soprattutto dopo la grande operazione Crimine Infinito del 13 luglio 2010, ha inondato l’opinione pubblica di inchieste, libri, documentari e trasmissioni televisive sulle attività dei boss trapiantati in Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna…

Come evitare di ricascarci in futuro, a tutto vantaggio delle mafie che nelle fasi di silenzio più facilmente prosperano, al Sud come al Nord? Forse dovremmo abituarci a considerare Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra come questioni nazionali – e internazionali – senza troppe distinzioni, dalla Valle d’Aosta alla Valle dei Templi.

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#nonmifermo oggi pomeriggio a Brescia, per fare sul serio, su ambiente e Lombardia

Oggi con Non Mi Fermo siamo a Brescia. Dalle 14 e 30  presso l’Oratorio S. Maria in Silva (Via Sardegna, 24 – vicino alla stazione ferroviaria). E parliamo di ambiente e di questa Lombardia così inoffensiva nell’imporre una tutela seria del territorio. E proviamo come sempre a farlo fuori dai denti, senza proclami e con il rispetto e la stima per lo studio delle cose già note che ogni tanto la politica finge di reinventare per appropriarsene. E magari proviamo a capire perché il concetto di “densità” di insediamenti (cave e discariche) sembra così poco urgente, partendo proprio da questa Brescia che guardata dall’alto ha la planimetria di un cumulo di nocività. E, magari, fuori dai denti proviamo a chiederci e risponderci sul perché il fantomatico “comitato ristretto sul consumo di suolo” in Regione Lombardia risulti evaporato per (si può scrivere, è su un verbale di commissione, eh) alcune “frizioni” anche dentro una parte del PD.

Perché ci siamo un po’ stancati dei convegni “cogenti” che non hanno riscontro in aula e commissione. E ci siamo stancati delle primarie che si giocano con le opinioni sulle camice di Formigoni, i suoi libri (presunti, alla Dell’Utri) e su giovanilistici liberismi. E di politica ne vogliamo parlare per davvero. Come al solito facciamo da qualche anno in giro per l’Italia. Ascoltando e declinando in atti amministrativi. Proponendo magari anche gli ordini del giorno che dentro SEL abbiamo preparato sul futuro “piano cave” (qui quello per i consigli comunali e qui per i consigli provinciali) o decidendo com’è l’ambiente e il suolo della Lombardia che vogliamo.

Ci si vede lì per chi è da quelle parti. O ci si trova su twitter. L’hashtag è #nonmifermo

Beni confiscati, l’impegno non si brucia

scritto per IL FATTO QUOTIDIANO 

Dieci giorni fa incendio oliveto – denuncia Libera – a Castelvetrano, poi duemila piante di arance a Belpasso nel catanese, ieri due quintali di grano andati in fumo a Mesagne per non citare le varie intimidazioni subite a Borgo Sabatino e nella piana di Gioia Tauro in Calabria. Non possiamo più pensare a delle coincidenza, sono colpiti beni confiscati restituiti alla collettività, sono un attacco al lavoro quotidiano di chi si impegna quotidianamente contro il potere criminale. Nessuno pensi che con le fiamme di vandalizzare e fermare questo impegno. Contro queste fiamme il “noi” del nostro paese è chiamato in gioco e deve sentire forte questo impegno nella lotta alla criminalità”.  

Gli incendi sui terreni confiscati alle mafie sono stati all’ordine del giorno. Ho incrociato gli occhi dei ragazzi che lavorano nelle cooperative mentre si fanno umidi guardando un muro o una vigna tutti neri con la cenere che si infila nel colletto della camicia. E sempre, sempre, ho guardato la voglia di continuare. Mica ricominciare. Continuare come se quel fuoco fosse un imprevisto che stava nel preventivo delle cose che succedono in un percorso incidentato, più che accidentale. Sfregiare il bene che è stato tolto è il modo per le mafie di esibire il colpo di coda. Banale, arrogante, vigliacco:mafioso con tutti i suoi stili e le bassezze che comunque ci aspettiamo.

Eppure il punto che mi colpisce degli ultimi incendi in sequenza sui terreni confiscati è un altro: lastrategia. Questo riuscire così bene delle mafie a guardare la mappa dei propri problemi e delle proprie sconfitte dall’alto per convenire sui tempi, sui luoghi, sui modi e sulle modalità affinché la puzza di bruciato si attacchi alla gola in modo sistematico. Una codardia spalmata con metodo.

E allora mi chiedo se siamo riusciti mai a guardare lontano (e da lontano) cosa sta succedendo neiterreni confiscati. Se abbiamo fatto un passo in più rispetto all’etichetta di Libera messa in bella mostra nella presentazione di uno dei soliti libri o nella corsa campestre contro le mafie e quelle altre cose lì. Se abbiamo mai alzato davvero la voce con il governo (qualsiasi di quelli che sono stati in questi ultimi anni) per rivendicare l’impegno. Perché l’impegno va rivendicato, sì. In un Paese che partorisce un negazionista o un minimizzatore al giorno nei sui quadri dirigenti l’impegno va urlato. E andrebbe esposto (e imposto) nello stesso modo sistematico e con la stessa capacità di raccontare tutto e tutti tenendo tutto insieme. Come fanno loro. Sorprenderli per una volta con un accerchiamento simile a quello che stiamo subendo con uno sdegno organizzato tra i lavoratori di quei beni, i consumatori, la politica, gli atti amministrativi, i ministeri e le forze dell’ordine. Senza rimanere sfilacciati aspettando che qualcuno racconti con lirismo il prossimo incendio per sollevare una solidarietà di qualche ora.

Si pensi a risolvere il problema delle ipoteche che frenano l’assegnazione di beni confiscati e incagliati da anni chiedendo un’assunzione di responsabilità alle banche, si rinforzi lo strumento dellaconfisca, si custodiscano le arance non solo come arance ma come simbolo di una rivincita civile, si pensi ad una legge di confisca anche per i reati di corruzione, si pensi ad inserire i prodotti nelle mense scolastiche, si recepisca la legge dell’autoriciclaggio come ci chiede l’Europa (da cui prendiamo solo i moniti antisociali) e dica forte lo Stato che quel terreno confiscato è suo e lo difende.

Poi la cenere sarà solo un problema passeggero. Sicuro.

L’informazione è cibo

Geniale Rangaswami per TED:

Adoro il mio cibo. E adoro l’informazione. I miei figli di solito mi dicono che una di queste passioni è più evidente dell’altra. (Risate)

Ma quello che voglio fare nei prossimi 8 minuti è spiegarvi come si sono sviluppate queste passioni, il momento della mia vita in cui le due passioni si sono fuse, il percorso di apprendimento che si è verificato a partire da quel momento. E un’idea che voglio lasciarvi oggi è cosa accadrebbe di diverso nella vostra vita se vedeste l’informazione nel modo in cui vedete il cibo?

Sono nato a Calcutta — una famiglia dove mio padre e suo padre prima di lui erano giornalisti, e scrivevano su riviste in inglese. Era l’attività di famiglia. E per questo motivo, sono cresciuto con libri ovunque per casa. E intendo letteralmente libri ovunque per la casa. Questo è un negozio a Calcutta, ma è un posto dove i nostri libri ci piacciono. Di fatto, ne ho ora 38 000 e nessun Kindle in vista.

Ma crescere da bambino con libri ovunque, con gente con cui parlare di questi libri, non ha avuto poca influenza sulla mia educazione.

Arrivato a 18 anni, avevo una profonda passione per i libri. Non era la mia unica passione. Sono del sud dell’India cresciuto a Bengala. Ci sono due cose su Bengala: adorano i loro piatti saporiti e adorano i dolci. Quando ero ragazzo avevo una sana passione per il cibo. Era la fine degli anni ’60, i primi anni ’70 e avevo anche altre passioni, ma queste erano quelle che mi differenziavano. (Risate)

E la vita non era male, era fantastica. Tutto andava bene, finché non sono arrivato a 26 anni, e sono andato a vedere un film intitolato “Corto Circuito”. Qualcuno di voi l’ha visto. Apparentemente ora lo rifanno e uscirà l’anno prossimo. È la storia di questo robot sperimentale che viene fulminato e prende vita. E mentre avanzava questa cosa diceva: “Necessito input. Necessito input”.

Improvvisamente mi sono reso conto che per un robot informazioni e cibo sono la stessa cosa. L’energia arriva loro in qualche forma, i dati arrivano loro in qualche forma. Ho cominciato a pensare, e mi sono chiesto cosa accadrebbe se cominciassi a immaginare me stesso in un contesto in cui energia e informazione fossero i miei due input, se cibo e informazione avessero una forma simile.

Ho cominciato a fare ricerche ed è stato un viaggio lungo 25 anni, ho cominciato a scoprire che gli esseri umani in quanto primati hanno uno stomaco molto più piccolo in proporzione al loro peso corporeo e un cervello molto più grande.

E nell’approfondire la ricerca, sono arrivato al punto in cui ho scoperto una cosa chiamata teoria del tessuto costoso. Ossia, per una data massa corporea di un primate il tasso metabolico è fisso. Quello che cambia è l’equilibrio dei tessuti disponibili. E due dei tessuti più costosi nel nostro corpo umano sono i tessuti nervosi e i tessuti digestivi. E quello che è accaduto è che è stata avanzata un’ipotesi che apparentemente stava ottenendo risultati favolosi intorno al 1995. È una donna di nome Leslie Aiello.

L’articolo allora suggeriva che fossero intercambiabili. Se volevi che il cervello di una data massa corporea fosse più grande, dovevi vivere con uno stomaco più piccolo.

Questo mi ha completamente disorientato e ho detto: “Ok, questi due sono connessi”. Ho quindi guardato alla coltivazione dell’informazione come se fosse cibo e ho detto: Allora eravamo cacciatori-raccoglitori di informazioni. E da quello siamo diventati contadini e coltivatori di informazione.

Questo spiega davvero quello che vediamo oggi nelle battaglie per la proprietà intellettuale? Perché quelle persone che erano in origine cacciatori-raccoglitori volevano essere liberi di girovagare e prelevare l’informazione come volevano, e coloro che coltivavano l’informazione volevano costruirci attorno una recinzione, creare proprietà, ricchezza, struttura e insediamento. Quindi ci sarebbe sempre stata una certa tensione. E tutto quello che ho visto nella coltivazione mi diceva che c’erano grandi lotte tra gli amanti del cibo tra i coltivatori e i cacciatori-raccoglitori. E succede anche qui.

Quando sono passato all’università era la stessa cosa, solo che c’erano due scuole. Un gruppo di persone diceva che si poteva estrarre l’informazione, si può estrarre valore, separarlo e servirlo, mentre un altro gruppo, al contrario, ha detto no, lo si può far fermentare. Lo si mette tutto insieme e lo si mescola e il valore si ottiene in quel modo. La stessa cosa vale per l’informazione.

Ma con il consumo comincia a diventare veramente divertente. Perché quello che ho cominciato a vedere era che c’erano talmente tanti modi per consumare. Comprarla dai negozi come se fossero ingredienti. La cucinate? Ve la fate servire? Andate al ristorante? La stessa cosa valeva ogni volta che cominciavo a pensare all’informazione.

Le analogie diventavano pazzesche — le informazioni avevano date di scadenza, la gente usava impropriamente l’informazione scaduta provocando conseguenze sui mercati azionari, sul valore delle aziende, ecc. E mi sono lasciato trascinare. E questo processo dura da 23 anni.

Ho cominciato a pensare a me stesso, a noi che cominciamo a mescolare fatti e finzione, film-verità, pseudo-documentari, chiamateli come volete. Raggiungeremo la fase in cui l’informazione conterrà una percentuale di fatti reali? Cominciamo a etichettare l’informazione a seconda della percentuale di fatti? Quando la fonte di informazione sarà esaurita, cominceremo a vedere quello che succede, come se ci fosse carestia?

Il che mi porta all’elemento finale. Clay Shirky una volta ha affermato che il sovraccarico d’informazione non esiste, c’è solo un filtro guasto. Lascio a voi questa informazione, se vista dal punto di vista del cibo, non è mai un problema di produzione; non si parla mai di sovraccarico di cibo. Sostanzialmente si tratta di un problema di consumo. E dobbiamo cominciare a pensare a come creare noi stessi diete ed esercizi, per avere la possibilità di trattare l’informazione per etichettarla in maniera responsabile. Quando ho visto “Supersize Me” ho cominciato a pensare “Cosa succederebbe se un individuo affrontasse 31 giorni di Fox News ininterrotte?” (Risate) Avrebbe il tempo di processare il tutto?

Cominciate veramente a capire che si possono contrarre malattie, tossine, necessità di una dieta bilanciata, e una volta che cominciate a guardare, e da quel punto in avanti, tutto quello che ho fatto in termini di consumo di informazione, di produzione di informazione, di preparazione dell’informazione, l’ho guardato dal punto di vista del cibo. Probabilmente non è stato di aiuto al mio girovita perché mi piace esercitarmi su entrambi i fronti.

Ma vorrei lasciarvi con una sola domanda: Se cominciaste a pensare all’informazione che consumate nel modo in cui pensate al cibo, cosa fareste di diverso?

Grazie per il tempo che mi avete dedicato.

(Applausi)

Progressisti, ma per davvero, per un’alternativa socialista europea

L’argomento è spinoso e per fortuna ci costringe a volare un po’ più alti delle vicende lombarde o dei pettegolezzi italiani. Perché come mi faceva notare una mail che mi è arrivata pochi minuti fa, c’è questa impressione che l’Italia sia un’anomalia e si perde di vista che la situazione europea è figlia dei governi di questi ultimi anni. Come mi scrive Stefano invece che cercare di costruire anche in Italia le condizioni di una “normalizzazione” (qui sì, positiva) in senso europeo, riprendiamo ragionamenti che, tra le altre cose, hanno portato l’Italia ad avere l’unico partito democratico, all’americana, invece di una forza socialista di stampo europeo. Ecco il manifesto (e appello) per un’alternativa socialista europea:

I cittadini europei possono ora vedere da soli le conseguenze di una destra al potere in quasi tutti gli stati membri e, conseguentemente, capace di dettare legge a Bruxelles. La gestione della destra della gravissima crisi debitoria durante gli ultimi due anni è stata una triste saga di cattiva amministrazione politica e di analfabetismo economico. I cittadini europei pagheranno ora con livelli di disoccupazione da anni ’30 il prezzo degli illusori rimedi economici stile anni ’20 che i conservatori hanno imposto.

Il modello che stanno presentando è per una Unione Europea di Austerità che abbasserà il tenore di vita di quasi tutti, acuirà le diseguaglianze, distruggerà le fondamenta dello stato sociale – che è il contributo specifico dell’Europa allo sviluppo dell’umanità – e lentamente cederà l’arbitrio politico ad autorità non elette, in un vano tentativo di tranquillizzare il mercato. Noi sottoscritti, da lungo tempo membri dei partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti, crediamo che i cittadini d’Europa meritino di più delle prospettive inquietanti promesse dai conservatori al potere e dei risultati catastrofici che hanno ottenuto. Ma il rinnovamento della sinistra democratica in Europa può essere ottenuto soltanto tramite un ampio e vigoroso dibattito che coinvolga non soltanto gli eletti dei nostri partiti ma tutti i nostri membri e un più vasto pubblico. A questo scopo proponiamo in questo documento alcune idee progressiste per una riforma socialista che potrebbe costituire la base per un nuovo appello ai cittadini europei. La storia ha accelerato negli ultimi anni. I socialisti europei sono rimasti indietro. Spesso incapaci di dare voce alla rabbia pubblica contro “l’alta” finanza, reticenti a cooperare con gli altri socialisti al potere in altri stati membri dell’EU, passivi nei forum internazionali sul commercio o sui cambiamenti climatici, i partiti socialdemocratico e laburista in molti paesi hanno visto la loro popolarità sprofondare ai minimi storici. A peggiorare ancora le cose, il malcontento generato dalle attuali politiche dell’UE e dei suoi governi è stato sfruttato politicamente, non dalle sinistre ma dai populisti xenofobi, dai nazionalisti e dall’estrema destra.

La nostra convinzione è che questa crisi dovrebbe riscattare la sinistra e punire energicamente il fallimento della destra che l’ha mal gestita e non ha dato all’Europa una strada da seguire. Tutto ciò sarà credibile solamente se la sinistra sarà in grado di fornire una serie coerente di proposte alternative per rispondere alla crisi. Per essere credibile la sinistra ha bisogno di un’esposizione chiara della crisi attuale, di un insieme di principi condivisi per azione futura, e di un programma che vada al cuore della crisi. L’analisi è limpida. Le economie europee come tutte le altre sono state demolite dall’irresponsabilità quasi criminale del settore finanziario globale.

Ma l’Europa si confrontava già con un declino a lungo termine. Ciò in parte è dovuto a un riequilibrio già da tempo dovuto delle quote di ricchezza globale fra l’Occidente e le economie emergenti dell’Oriente e del Sud. Ma, nel corso di questo processo, abbiamo permesso alla globalizzazione di aumentare gli squilibri nelle quote di ricchezza all’interno di tutti i paesi. Senza mai mettere in questione le regole del gioco, abbiamo permesso che penalizzasse tutti i paesi con sistemi di welfare avanzati, abbassando il tenore di vita, aumentando le diseguaglianze, incrementando la parte di reddito nazionale destinata ai profitti delle imprese a spese dei salari in economie di mercato socialmente avanzate. La povertà sta di nuovo aumentando. Questo fenomeno che già era in corso in Europa sta ora accelerando. La voce dell’Europa nei forum internazionali come il G20, le conferenze sul commercio e sui cambiamenti climatici è spesso troppo debole al punto di essere inaudibile a causa di divisioni interne ed alla mancanza di una strategia alternativa chiara. I principi dell’azione socialista in Europa dovrebbero ugualmente essere chiari. Un’azione collettiva in Europa è semplicemente indispensabile. Chiunque creda che possiamo proteggere il tenore di vita e mantenere servizi di welfare tornando indietro al modello degli stati nazione del diciottesimo secolo, rimpatriando le competenze da Bruxelles alle capitali nazionali, minando le istituzioni comunitarie sta, volente o nolente, promuovendo la sottomissione delle nostre nazioni alle superpotenze, passate e future, ed alla dittatura del mercato. La risposta europea alla crisi è stata vacillante ed insufficiente, ma le soluzioni nazionali, anche se vigorosamente perseguite, sarebbero irrilevanti nel mondo globalizzato in cui ora viviamo. Una risposta socialista alla crisi deve pertanto essere europea. Non si tratta semplicemente di un mantra “più Europa” ma precisamente di dare all’Europa i mezzi per proteggere gli interessi ed il benessere dei cittadini europei. Deve essere una risposta concordata, condivisa, unitaria e sovranazionale per assicurare che la voce indipendente dell’Europa sia autorevole, forte e chiara nei G20, nel ciclo di Doha, nelle negoziazioni sui cambiamenti climatici ed alle Nazioni Unite. L’Unione Europea ha ora la sua propria voce nel sistema delle Nazioni Unite: essa deve mostrare il coraggio e la volontà di utilizzarla per perseguire i nostri interessi obiettivi ed i nostri valori, facendo causa comune con tutti i governi e le organizzazioni regionali di tutto il mondo che li condividono. Il suo approccio economico dovrebbe essere coerente e basato su tre elementi; responsabilità condivisa, crescita ed eguaglianza. Non c’è niente di socialista nello spreco della spesa pubblica e nell’accumulo del debito. Poiché noi crediamo nella spesa pubblica, abbiamo il dovere di assicurarci che il suo utilizzo sia efficace. Progetti stravaganti, lo stile di vita eccessivo di certe istituzioni pubbliche, la ridondanza riguardante la molteplicità dei programmi nazionali ed europei che hanno vita propria senza alcun controllo sull’efficacia, dovrebbero essere ridotti o eliminati. Ma una gestione rigorosa del budget si può ottenere equilibrando la spesa pubblica con un sistema fiscale equo, basato sul principio della “capacità contributiva”, con il settore privato che paga la sua parte dell’onere ed una lotta totale all’evasione fiscale così diffusa in tutta l’Unione; abbandonando le riduzioni d’imposta per i più ricchi, eliminando la manna dei bonus nel settore finanziario mediante specifiche tasse punitive ed attaccando vigorosamente i paradisi fiscali.

Il rigore senza la crescita condannerà gli Europei a un decennio perduto di declino e recessione. La crescita implica un’azione nazionale ed Europea avente come motore il budget dell’EU ed i suoi strumenti finanziari. La Sinistra al potere a livello europeo ha fatto progressi nell’affrontare discriminazioni di ogni tipo. La difesa e l’estensione delle eguaglianze – e l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in ogni parte dell’unione – deve essere nel cuore di un programma socialista europeo. Ma l’eguaglianza economica è un concetto quasi scomparso dal lessico socialista nelle ultime decadi pur essendo il fulcro di qualunque nozione di giustizia sociale. Adesso è indispensabile per la ripresa dell’Europa. Se i cittadini credono che il peso della crisi cada ingiustamente su di loro, se sono obbligati a fare i conti con tagli reali nelle buste paghe ed assistere ad un ritorno ai livelli di povertà degli anni ’80, mentre la protezione sociale ed i finanziamenti delle politiche pubbliche vengono tagliati, mentre gli scandali della cultura dei bonus, la crescita smisurata degli stipendi più alti e le volgari esibizioni di spese stravaganti da parte dei  super-ricchi continuano inesorabilmente, qualunque sforzo collettivo per raddrizzare il nostro declino economico sarà minato, l’efficienza economica sarà messa in discussione e la fede nella democrazia sarà indebolita. Sulla base di questo approccio comune, e della riasserzione delle nostre tradizionali convinzioni socialiste, la Sinistra deve adesso sviluppare una piattaforma comune per il futuro.

Questa dovrà avere i seguenti dieci elementi:

1) Una politica economica per l’Unione che collochi gli obiettivi economici e sociali stabiliti nel trattato (crescita, pieno impiego, inclusione sociale) al cuore del processo di decisione politica con altrettanto vigore e forza organizzativa di quella accordata all’obiettivo della disciplina di bilancio; inoltre un’attualizzazione degli obiettivi sociali dell’Unione, improrogabile per arrivare a sradicare la povertà e a rafforzare il dialogo sociale; a questo scopo, un insieme di diritti e di obiettivi sociali fondamentali deve essere fermamente incluso nel Trattato, con gli stessi strumenti di sorveglianza e di messa in opera che esistono per garantire le libertà economiche;

2) Sostenibilità per la moneta unica; il mandato della BCE deve evolversi nel riconoscere il suo diritto di comprare bonds governativi quando la valuta è sotto attacco, con una responsabilità realmente condivisa per la governance economica; se la Banca Centrale Europea non è autorizzata ad agire per salvare la valuta che si suppone debba gestire, a che cosa serve?

3) Riforma del bilancio; gli aumenti del budget europeo devono servire principalmente per promuovere le tecnologie innovative, per finanziare investimenti sociali, di infrastrutture e di sviluppo sostenibile; il Budget deve essere gestito in stretta collaborazione con la Banca Europea d’Investimento;

4) Riforma dei redditi; le risorse proprie dell’UE possono essere incrementate da tasse sull’energia; gli Stati Membri dovranno vedersi accordare più margine di manovra per ridurre l’IVA, per stimolare i consumi interni e per sopprimere le fiscalità regressive;

5) Una tassa sulle transazioni finanziarie per stimolare incentivi sull’impiego nell’industria e nei servizi per le PMI, per incoraggiare la ricerca e lo sviluppo, e per finanziare obiettivi pubblici globali come la lotta contro il cambiamento climatico e a sostegno dello sviluppo;

6) Investimenti Europei tramite Project Bonds, emessi dall’Unione e garantiti dalla BCE, allo scopo di realizzare l’enorme potenziale della nuova economia verde; Per un’Alternativa Socialista Europea l’accelerazione dei nuovi progetti d’infrastrutture tramite regole più flessibili per creare impieghi più rapidamente e ridurre la dipendenza eccessiva dai combustibili fossili e dal nucleare, insieme ad una Comunità per l’Energia con reciproco sostegno garantito in caso di minacce alle scorte di energia da parte di paesi terzi;

7) Una base più giusta per il commercio internazionale; i negoziatori dell’UE dovranno ottenere un nuovo mandato per combattere il dumping sociale ed ambientale; si dovranno prelevare tasse sulle importazioni da paesi terzi che non rispettano le norme ambientali europee;

8 ) Un supporto più forte ai nostri vicini, per affrontare l’inaccettabile e insostenibile ineguaglianza fra l’UE ed i suoi vicini del Sud e dell’Est, tramite reali concessioni nel commercio e nella mobilità, e ricompensando quelli che hanno combattuto così coraggiosamente per la loro libertà democratica nel Mondo Arabo. L’Europa non deve mai più chiudere gli occhi davanti a dittature autoritarie, nepotistiche, a vita, nel nome di qualche fuorviata realpolitik;

9) Una più robusta ed unita presenza sulla scena internazionale, utilizzando il nostro potere politico ed economico collettivo per promuovere i nostri valori ed interessi oltre i nostri confini, e facendo la nostra parte nel portare a termine il conflitto nel Medio Oriente;

10) Un rafforzamento della democrazia europea, quali che siano le nuove regole di governance economica, la responsabilità parlamentare deve essere in primo piano; gli stati membri devono rispettare pienamente il Trattato nominando il presidente della Commissione in accordo con il risultato delle elezioni europee; i voti parlamentari sui singoli Commissari e su una loro eventuale revoca dovranno essere vincolanti; i partiti socialisti dovranno coinvolgere membri e supporters in tutti gli aspetti delle decisioni politiche europee, nel programma, e nella nomina dei candidati per i vertici dell’UE; un’azione europea per rafforzare la libertà di stampa smontando i monopoli mediatici e limitando la proprietà dei media da parte di stati non europei.

È in gioco la sopravvivenza a lungo termine dell’integrazione europea. Questo è molto di più che un sostegno alla moneta unica. Solamente un nuovo approccio da parte dei socialisti democratici che riaffermi con forza i nostri valori e che abbia il coraggio di proporre soluzioni europee può infondere nel progetto europeo l’energia per sostenere quelli che dovrebbero essere i punti fermi – la solidarietà, l’efficienza economica e la vitalità democratica.

First signatoriesPanagiotis Beglitis, Member of the Greek Parliament (PASOK, Greece); Josep Borrell Fontelles, President of the European University Institute, Former President of the European Parliament (PSC/PSOE, Spain); Victor Bostinaru, Member of the European Parliament (PSD, Romania); Udo Bullmann, Member of the European Parliament (SPD, Germany); Sergio Cofferati, Member of the European Parliament (PD, Italy); Véronique de Keyser, Member of the European Parliament (PS, Belgium); Proinsias de Rossa, former Social Affairs Minister (Labour, Ireland); Harlem Désir, Member of the European Parliament, national secretary of the PS (PS, France); Leonardo Domenici, Member of the European Parliament (PD, Italy); Glyn Ford, former Member of the European Parliament (Labour, United Kingdom); Evelyne Gebhardt, Member of the European Parliament (SPD, Germany); Ana Gomes, Member of the European Parliament (PS, Portugal); Enrique Guerrero Salom, Member of the European Parliament (PSOE, Spain); Elisabeth Guigou, Member of the French Parliament (PS, France); Zita Gurmai, Member of the European Parliament, President of PES Women (MSZP, Hungary); Jo Leinen, Member of the European Parliament (SPD, Germany); David Martin, Member of the European Parliament (Labour, United Kingdom); Marianne Mikko, Member of the Estonian Parliament (SDE, Estonia); John Monks, Member of the House of Lords, former Secretary General of ETUC (Labour, United Kingdom); Leire Pajin Iraola, Member of the Spanish Congress (PSOE, Spain); Gianni Pittella, Vice-President of the European Parliament (PD, Italy); Sir Julian Priestley, former Secretary General of the European Parliament (Labour, United Kingdom);  Libor Roucek, Member of the European Parliament (CSSD, Czech Republic); Hannes Swoboda, Member of the European Parliament, President of the S&D Group of the European Parliament (SPÖ, Austria); Kathleen Van Brempt, Member of the European Parliament (SPA, Belgium); Kristian Vigenin, Member of the European Parliament (BSP, Bulgaria); Henri Weber, Member of the European Parliament (PS, France).

 

PROVISIONNAL LIST OF SIGNATORIES

 

Luis Paulo Alves, Member of the European Parliament (PS, Portugal);
Kader Arif, deputy Minister for Veterans (PS, France);

Ines Ayala Sander, Member of the European Parliament (PSOE, Spain);
Maria Badia i Cutchet, Member of the European Parliament (PSC/PSOE, Spain);

Claude Bartolone, Member of the French Parliament (PS, France);
Panagiotis Beglitis, Former Minister of Defence, Member of the Greek Parliament, Spokesman of PASOK (PASOK, Greece);

Pervenche Berès, Member of the European Parliament (PS, France);

Alain Bergounioux, President of the OURS (PS, France); 
Luigi Berlinguer, Member of the European Parliament (PD, Italy);
Thijs Berman, Member of the European Parliament (PVDA, Netherlands);

Felice Besostri, former Member of the Senate (PSI, Italy);
Jean-Louis Bianco, Member of the French Parliament (PS, France);
Patrick Bloche, Member of the French Parliament (PS, France);
Hans Bonte, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Josep Borrell Fontelles, President of the European University Institute, Former President of the European Parliament (PSC/PSOE, Spain);

Victor Bostinaru, Member of the European Parliament (PSD, Romania);

Claudette Brunet-Léchenault, Vice-president of Saone-et-Loire General Council (PS, France);
Udo Bullmann, Member of the European Parliament (SPD, Germany);
Philippe Busquin, former Member of the European Parliament, former European Commissioner (PS, Belgium);
Salvatore Caronna, Member of the European Parliament (PD, Italy);

Françoise Castex, Member of the European Parliament (PS, France); 
Nessa Childers, Member of the European Parliament (Labour, Ireland);

Sergio Cofferati, Member of the European Parliament (PD, Italy);

Anna Colombo, Secretary General of the S&D Group (PD, Italy-PS, Belgium);

Ricardo Cortés Lastra, Member of the European Parliament (PSOE, Spain); Jean-Pierre Cot, former President of the PES Group in the European Parliament (PS, France);
Andrea Cozzolino, Member of the European Parliament (PD, Italy);

Frédéric Daerden, Member of the European Parliament (PS, Belgium);
Spyros Danellis, Member of the European Parliament (PASOK, Grèce);
Véronique de Keyser, Member of the European Parliament (PS, Belgium);

Bertrand Delanoë, Mayor of Paris (PS, France);
Michel Delebarre, Mayor of Dunkerque (PS, France); 
Proinsias de Rossa, former Social Affairs Minister (Labour, Ireland);

Harlem Désir, Member of the European Parliament, national secretary of the PS (PS, France);

Michel Destot, Member of the French Parliament (PS, France);
Maya Detiège, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Leonardo Domenici, Member of the European Parliament (PD, Italy);

Raymonde Dury, former Member of the European Parliament (PS, Belgium);

 

Guillermo Echenique-Gonzalez, Secretary-General for Foreign Affairs of the Basque Government (PSOE, Spain);

Saïd El Khadraoui, Member of the European Parliament (Belgium, SPA);

Edite Estrela, Member of the European Parliament (PS, Portugal); 
Tanja Fajon, Member of the European Parliament (SD, Slovenia);

Pietro Folena (PD, Italy); 
Daniel Font, Member of the Parliament of Catalonia (PSC/PSOE, Spain);
Glyn Ford, former Member of the European Parliament (Labour, United Kingdom);

Peter Friedrich, Minister for Federal, European and International Affairs, Baden-Wuerttemberg (SPD, Germany);
Vicente Garcés Ramón, Member of the European Parliament (PSOE, Spain); 

Eider Gardiazabal Rubial, Member of the European Parliament (PSOE, Spain);
Evelyne Gebhardt, Member of the European Parliament (SPD, Germany);

David Geerts, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);

Caroline Gennez, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);

Jean-Patrick Gille, Member of the French Parliament (PS, France);
Estelle Grelier, Member of the European Parliament (PS, France);

Ana Gomes, Member of the European Parliament (PS, Portugal);

Robert Goebbels, Member of the European Parliament (LSAP, Luxembourg);
Roberto Gualtieri, Member of the European Parliament (PD, Italy);

Enrique Guerrero Salom, Member of the European Parliament (PSOE, Spain);

Elisabeth Guigou, Member of the French Parliament (PS, France);

Sylvie Guillaume, Member of the European Parliament (PS, France);

Zita Gurmai, Member of the European Parliament, President of PES Women (MSZP, Hungary);

Liêm Hoang-Ngoc, Member of the European Parliament (PS, France); 
Alain Hutchinson, Member of the Brussels Parliament (PS, Belgium);
Miquel Iceta, Member of the Parliament of Catalonia (PSC/PSOE, Spain);
Jamal Ikazban, Member of the Brussels Parliament (PS, Belgium); 
María Irigoyen Pérez, Member of the European Parliament (PSOE, Spain); 

Jean-Louis Joseph, Mayor of La Bastidonne (PS, France);

Apostolos Katsifaras, Head of the Region of Western Greece (PASOK, Greece) ;

Meryame Kitir, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);

Fadila Laanan, Minister for Culture of the Wallonie-Bruxelles Federation (PS, Belgium);
Karine Lalieux, Member of the Belgian Parliament (PS, Belgium); 
Karl-Heinz Lambertz, President of the PES Group in the Committee of the Regions (SP, Belgium);
Renaat Landuyt, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Bernd Lange, Member of the European Parliament (SPD, Germany);
Nicola Latorre, Member of the Senate (PD, Italy);
Marylise Lebranchu, Minister of the Reform of the State (PS, France);

Stéphane Le Foll, Minister of Agriculture (PS, France);
Jörg Leichtfried, Member of the European Parliament (SPÖ, Austria);

Jo Leinen, Member of the European Parliament (SPD, Germany);

Pia Locatelli, President of the Socialist International Woman (PSI, Italy);
Juan Fernando Lopez Aguilar, Member of the European Parliament (PSOE, Spain);
Jean-Charles Luperto, President of the Wallonie-Bruxelles Parliament (PS, Belgium);

Paul Magnette, Federal Minister for Public Enterprises, Scientific Policy and Development Cooperation (PS, Belgium);

David Martin, Member of the European Parliament (Labour, United Kingdom);
Jose Ignacio Martin, President of the Association of Financial clients of Spain (PSOE, Spain);
Manuel Mata, former Member of the Valencia Parliament (PSPV/PSOE, Spain);
Kyriakos Mavronikolas, Member of the European Parliament (KSEDEK, Cyprus);
Gennaro Migliore
, national secretary of the SEL (SEL, Italy);

Marianne Mikko, Member of the Estonian Parliament (SDE, Estonia);

John Monks, Member of the House of Lords, former Secretary General of ETUC (Labour, United Kingdom);

Juan Moscoso del Prado, Member of the Spanish Congress (PSOE, Spain);
Pierre Moscovici, Minister of the Economy and finances (PS, France);
Catherine Moureaux, Member of the Brussels Parliament (PS, Belgium);
Pierre-Alain Muet, Member of the French Parliament (PS, France);
Paolo Nerozzi, Member of the Senate (PD, Italy);
Raimon Obiols i Germa, Member of the European Parliament (PSOE, Spain);

Özlem Özen, Member of the Belgian Parliament (PS, Belgium); 
Leire Pajin Iraola, Member of the Spanish Congress (PSOE, Spain);

Gilles Pargneaux, Member of the European Parliament (PS, France);

Christian Paul, Member of the French Parliament (PS, France);
Vincent Peillon, Minister of National Education (PS, France);

Andres Perello Rodriguez, Member of the European Parliament (PSOE, Spain);
Gianni Pittella, Vice-President of the European Parliament (PD, Italy);

Anita Pollack, Former Member of the European Parliament (Labour, United Kingdom);
Holger Poppenhaeger, Minister of Justice of the Thuringia Region (SPD, Germany);
Joao Proença, Secretary General of UGT (Portugal);
Sir Julian Priestley, former Secretary General of the European Parliament (Labour, United Kingdom);

Derek Reed, Deputy Secretary General of the S&D Group (Labour, United Kingdom);

Conny Reuter, Secretary General of Solidar, President of the Social Platform (SPD, Germany);
Ulrike Rodust, Member of the European Parliament (SPD, Germany);
Libor Roucek, Member of the European Parliament (CSSD, Czech Republic);

Angelica Schwall-Düren, Federal Affairs Minister of the Nordrhein-Westfalen (SPD, Germany);

Franco Seminara, Member of the Belgian Parliament (PS, Belgium);

Konstantinos Simitsis, Mayor of Kavala (PASOK, Greece);

Peter Simon, Member of the European Parliament (SPD, Germany); 
Birgit Sippel, Member of the European Parliament (SPD, Germany); 

Juan Soto, Member of the Valencia Parliament (PSOE, Spain);
Jutta Steinruck, Member of the European Parliament (SPD, Germany);
Leszek Swietalski, Mayor of Stare Bogaczowice (SLD, Poland);

Hannes Swoboda, President of the S&D Group of the European Parliament (SPÖ, Austria);

Marc Tarabella, Member of the European Parliament (PS, Belgium);
Karin Temmerman, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Pascal Terrasse, Member of the French Parliament (PS, France);

Patrice Tirolien, Member of the European Parliament (PS, France);

Bruno Tobback, President of the Socialistische Partij-Anders  (SPA, Belgium);
Walter Tocci, Member of the Italian Parliament (PD, Italy);
Carole Tongue, Former Member of the European Parliament (Labour, United Kingdom);
Marisol Touraine, Member of the French Parliament (PS, France);
Catherine Trautmann, Member of the European Parliament (PS, France);

Bruno Tuybens, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Daniel Vaillant, Member of the French Parliament (PS, France);
Kathleen Van Brempt, Member of the European Parliament (SPA, Belgium);

Dirk Van der Maelen, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Anne Van Lancker, Former Member of the European Parliament (SPA, Belgium);  
Ann Vanheste, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Myriam Vanlerberghe, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Peter Vanvelthaven, Member of the Belgian Parliament (SPA, Belgium);
Nichi Vendola, President of the Puglia region (SEL, Italy);
Bernadette Vergnaud, Member of the European Parliament (PS, France);

Alain Vidalies, deputy Minister of the Relations with the Parliament (PS, France);
Kristian Vigenin, Member of the European Parliament (BSP, Bulgaria);  
Elisabeth Vitouch, Member of the Municipal Council of Vienna (SPÖ, Austria);
Henri Weber, Member of the European Parliament (PS, France);

Barbara Weiler, Member of the European Parliament (SPD, Germany);
Luis 
Yáñez-Barnuevo García, Member of the European Parliament (PSOE, Spain)

‘Siamo stanchi, Signor Presidente, di essere disincantati’: la lettera degli studenti per salvare Telejato

Questa lettera sta circolando ora nei licei bolognesi, e via via in molte altre scuole. La trovate anche su diecieventicinque.it, la testata bolognese della rete dei Siciliani. “Dieci e venticinque”, il nome del sito, a Bologna vuol dire qualcosa. Bologna che resiste, Bologna allegra e dura, Bologna di tutti noi.

Riccardo Orioles la rilancia e ne ha tutti i motivi. La legga, Signor Presidente. Qua dentro c’è l’Italia che vogliamo.

Egregio Signor Presidente,

ragazzi di tutt’Italia si rivolgono direttamente a Lei, quale massimo rappresentante dello Stato, per trovare una voce all’onda di rancore che sta seppellendo la nostra generazione.

Per l’importanza del documento che Le sottoponiamo, ci auguriamo caldamente che riterrà di renderne note alla Nazione le parole più significative.

Il cuore della presente lettera consiste senza dubbio di un proposito di natura pratica. D’altro canto, la sua causa profonda sta nell’impotenza in cui siamo costretti dalle attuali democrazie rappresentative, sta nell’angoscia di agire, e nella consapevolezza di vivere, proprio per quei principi di progresso che, sebbene continuamente negati da squallore e ottusità, trainano la civiltà europea da che si aprì la ricerca per un criterio di giustizia. E, in verità, il cuore amaro della nostra lettera sta proprio nel valore dell’educazione, della scuola, modello di vita e di politica.

In principio vorremmo tuttavia parlarLe dell’episodio che è stato l’innesco del nostro movimento, e degli interventi che ci siamo auspicati sarebbero seguiti all’appello. Nel corso di un viaggio d’istruzione in Sicilia, all’interno di un itinerario organizzato dall’associazione “Addiopizzo“, alcuni di noi, tra cui i redattori della presente, hanno conosciuto la piccola realtà di Telejato, una rete televisiva comunitaria totalmente dedita all’erosione del potere mafioso. Attraverso lo scherno dei miti e dei bassi modelli dell’illegalità, Telejato ci ha stupiti per determinazione, costanza, per la volontà ferma di migliorare il territorio, e di essere efficace. Valore, l’efficacia, che stiamo lentamente dimenticando, essendo ormai i cittadini italiani abituati a delegare le responsabilità, a lasciare il proprio dovere civico in eredità ad anonime reti amministrative.

Il confronto con Pino Maniaci, proprietario di Telejato, curiosamente, anzichè vertere su temi riguardanti la Mafia in modo specifico, si è concentrato proprio su questo, cioè sulla possibilità dell’individuo di partecipare al bene comune.

Certamente non tutti possono gestire televisioni antimafia, ma l’antimafia vera e propria è forse quella che si crea a partire dall’onestà e dall’interesse per il territorio dei singoli: questa la conclusione cui eravamo insieme giunti, e che, in parte, aveva placato l’insoddisfazione di vederci come al solito disincantati spettatori degli equilibri di potere.

Siamo stanchi, Signor Presidente, di essere disincantati. La conoscenza degli istinti meschini che sembrano dirigere la storia oramai non può più rassicurarci. Quello che le generazioni che ci hanno preceduto ignorano, è che il nostro disimpegno non è stato dovuto a stupidità o leggerezza, ma piuttosto al cinismo nato dalla lucida osservazione della realtà, e dall’abitudine alla sconfitta. Tuttavia, per l’improvvisa incombenza di un disastro sul nostro futuro, quello della crisi, quello di un’inadeguatezza di tutte le istituzioni vigenti – da quelle ideali a quelle concrete – a fronteggiare un passaggio di epoca, guardarvi serenamente non ci è più possibile.

Quando al termine dell’incontro siamo venuti a sapere che Telejato avrebbe chiuso il 30 giugno, al momento dell’entrata in vigore del digitale terrestre in Sicilia, nuovamente siamo rimasti a bocca aperta: nuovamente, le maglie della burocrazia, addirittura le leggi dello Stato sembravano soffocare l’impegno civile da cui esse stesse erano nate. Proprio allora la figlia di Maniaci, Letizia, coraggiosa, rinomata giornalista, è sgattaiolata tra di noi per uscire dallo studio televisivo, a capo chino, come cercando di non farsi notare. Proprio lei che, così giovane, riprende gli scoop e rende possibile il servizio di informazione di Telejato, incurante del rischio che grava sulla famiglia. Per quell’esempio di modestia e di abnegazione in quel momento siamo esplosi in un applauso, ritenendo d’altra parte che null’altro avremmo potuto fare, che le nostre azioni corrette non sarebbero bastate, che Telejato avrebbe chiuso, qualunque cosa ne pensassimo: che il fatto sia giusto o che non lo sia.

Ora, la riflessione che vogliamo proporre alla Nazione è in merito al significato della parola “politica”. In fondo, l’antimafia è politica. Poichè, se si considera la Mafia come quel fenomeno sociale di affidamento del territorio a interessi esclusivamente patrimoniali, l’antimafia è quel dovere di amore per il territorio, per la Nazione, per la propria comunità, che va ben oltre gli egoismi di parte. E se un certo amore per il bene comune è un dovere civico, allora certamente l’antimafia è politica: perchè non dimentichiamo che “politica” non significa insieme di partiti, lotta di classi o di capitali, ma “questioni della vita cittadina”, e che un tempo aveva traduzione “Res Publica”, e che ora, estesisi i nostri Stati da città a popoli interi, trova significato come “vita comunitaria”. Questa la nostra convinzione.

Quale comunità giovanile avremmo potuto chiederLe in merito a giustizia, meritocrazia, rottura delle briglie della finanza, Unione Europea, e a tante delle idee che animano i nostri dibattiti. Invece, La preghiamo di garantire una qualche forma di sopravvivenza a Telejato.

Da atti concreti, mirati vorremo ripartire, e fatti significativi. Riteniamo che dare vita a Telejato, come emittente di diverso genere oppure riservando una percentuale di frequenze alle reti comunitarie, sia oggi, proprio oggi, una priorità. Riteniamo sia questo il momento giusto – il momento di scarse risorse – per investire sullo spirito comunitario, e che solo in questo modo avremo un’occasione per salvare l’Italia, armonizzare l’Europa e governarla.

Infine, per lo meno, La preghiamo di tutelare la famiglia che di Telejato costituisce l’esistenza.

Noi siamo nati da quella famiglia. Se l’Italia ha come nucleo fondamentale la famiglia, allora è in una famiglia che costruisce i valori civici dell’Italia che la Nazione trova le proprie radici. Siamo cresciuti in un sistema di principi tipicamente familiari, nonchè nella nozione di lavoro come riscatto dell’uomo dall’assoggettamento alla sua fame, e alla sua voracità, per i simili che ama. Purtroppo, questi capisaldi della nostra società civile, abbandonati da molte famiglie, li hanno raccolti soltanto le scuole, realtà che sono state volutamente avulse dal potere ma che, lo si voglia o meno, hanno formato i nostri ideali. E noi riteniamo sia maturato il tempo per cui quegli ideali, dalle famiglie che resistono all’istruzione che li alimenta, passino finalmente al potere effettivo, al potere politico.

Se verrà salvata Telejato e la sua famiglia, si darà un significato alla nostra educazione politica, unica fonte della Nazione stessa. E vedremo fin dove le istituzioni che politiche sono dette, nate per unirci, siano voci della Nazione, e dunque avverse alla Mafia.

1. Liceo Galvani, BO

2. Liceo Minghetti, BO

3. Liceo Fermi, BO

4. Liceo Righi, BO

5. Liceo Copernico, BO

6. Liceo Sabin, BO

7. Istituto Laura Bassi, BO

8. Liceo Manzoni, BO

9. I.I.S. Bartolomeo Scappi, Castel San Pietro Terme (BO)

10. Liceo da Vinci, Casalecchio di Reno (BO)

11. Istituto Giordano Bruno, Budrio (BO)

12. Liceo Mattei, San Lazzaro di Savena (BO)

13. Liceo Tassoni, MO

14. Liceo Parini, MI

15. Liceo Marco Polo, VE

16. Liceo Gioberti, TO

17. Istituto Baldessano-Roccati, Carmagnola (TO)

18. Liceo Cascino, Piazza Armerina (EN)

19. I.I.S. Marzoli, Palazzolo sull’Oglio (BS)

20. Consulta Provinciale Studenti di Brescia

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Roma, LA7, Milano, Monza, in scena: dove sono questa settimana

Domani, martedì 15 maggio, alle 21 ospite a Quello che (non) ho, in diretta su LA7 dalle ore 21.

Mercoledì 16 alle 18, a Monza, Feltrinelli Libri e Musica in via Italia 41, con Pippo Civati presento il mio libro L’INNOCENZA DI GIULIO e parliamo di andreottismi in Lombardia.

Venerdì 18 alle 16 a Roma “Legalità, cittadinanza e istituzioni dello Stato nell’ambito della lotta alle mafie” con Danilo Chirico (presidente associazione DaSud) e Giovanni Impastato, Fondazione Internazionale Lelio Basso, via della Dogana Vecchia, 5.

Sabato 19 a Milano, Sala dell’acquario civico, viale Gadio 2, alle 14:  “La Tav della Lombardia – distruzione del territorio, mafie, Formigoni” presiede Maria Carla Baroni, Coord. regionale Fds presentazione: Ugo Boghetta, portavoce regionale Fds; Giuseppe Boatti, Politecnico di Milano interventi programmati: Andrea Di Stefano, rivista “Valori” Elena Lattuada, CGIL Lombardia Giulio Cavalli, consigliere regionale SEL Claudia Sorlini, Facoltà di Agraria Università di Milano Sergio Cannavò, Legambiente Lombardia Massimo Gatti, consigliere Fds provincia di Milano Basilio Rizzo, Presidente del Consiglio Comunale di Milano conclusioni: Massimo Rossi, portavoce nazionale Fds

Sempre sabato 19 al Teatro Nebiolo di Tavazzano con Villavesco alle 21: L’innocenza di Giulio. Andreotti non è stato assolto” in scena con Cisco. Per info e prenotazioni telefono 0371/761268 o cel. 331/9287538 oppure via e-mail a info@teatronebiolo.org

Per tutti gli aggiornamenti c’è la pagine degli appuntamenti. Buona settimana.

Domenico Nista e il fratello ammazzato: 18 omicidi in 5 anni in Lombardia dove la mafia non esiste

Un bel pezzo dell’amico Davide Milosa (ma va?) su Domenico Nista “Tyson” e il fratello Giuseppe Nista. Come avevamo raccontato.

Franco lo zoppoPeppe di CittanovaMaurizio detto Maurino, il Macellaio e Mannaia Dio. Alias di malavita. Pseudonimi da verbali di polizia. Nomignoli da strada. Che puzzano di cordite e cocaina. Gente abituata a sfrecciare a bordo di grossi scooter. Con i sedili armati di 357 magnum. Gente che spara e gambizza. Minaccia ed estorce. Picchia e recupera il denaro della roba. Ombre che girano “accavallate” (armate,ndr) da quando si alzano a quando vanno a letto. Balordi di periferia zeppi di denaro racimolato a suon di buste di droga, trafficate all’ingrosso e spacciate per quartiere. Soldati di un esercito che tra i palazzoni dormitorio di Milano controllano e comandano. In nome e per conto dei boss. Calabresi. Senza dubbio. Tradotto: ‘ndrangheta. Ma non quella che punta al business pulito o ai rapporti con la politica lombarda. Non quella che sorseggia calici di champagne. L’altra: quella che corre lungo i perimetri urbani carburando con pippotti e bicchierate di Vat 69.

Il risultato, però, non cambia. E anzi è ancora peggio. Perché tocca la vita quotidiana dei cittadini assediati da chi va per bar e spara. Picchia in mezzo alla strada. Magari davanti a donne e bambini. Senza scrupoli. Come cani rabbiosi. Non ieri, ma oggi. Perché le grandi indagini della procura di Milano, gli arresti numerosi e le cupole (vere o presunte) hanno offuscato l’allarme sociale della mafia: il controllo del territorio. E così oggi, a due giorni dai tre colpi di 7 e 65 che hanno ferito e poi ucciso Giuseppe Nista, 44 anni, balordo come sopra, la partita di quartiere giocata da boss e gregari ritorna su come un rigurgito. Perché Beppe Nista era un tipo da armi e cocaina. Pregiudicato e socio di uno sfasciacarrozze a Segrate. Qui, poche centinaia di metri dopo, in via dei Mille a Vimodrone, i killer lo hanno seguito e freddato.

Quarantotto ore dopo i carabinieri di Monza vagliano piste e spulciano verbali. Hanno un’idea? Più di una. Diverse. Forse Giuseppe Nista ha “scopato nel letto sbagliato”. Un’eventualità. Sulla quale pesa la modalità dell’omicidio. Mafiosa senza dubbio. E allora forse quel letto era di qualcuno di rispetto. O magari, e l’ipotesi viene ritenuta credibile, tutto sta nelle parole del fratello di Giuseppe. Lui come il Peppe di Cittanova o il macellaio legato ai boss di Rosarno, ha un soprannome: lo hanno sempre chiamato tyson per via dei modi spicci e del grilletto facile. In carcere ci finisce nel 2005. Sedici anni e pena blindata. Nel 2007, però, Tyson classe ’70, inizia a parlare con i magistrati della procura di Milano. Riempie verbali, almeno quattro, e soprattutto fa nomi. Decine di nomi. Un lungo elenco dal quale spuntano protagonisti e comparse di un brutto romanzo criminale. Ma c’è di più: nel 2010 Nista arriva in aula come testimone. A Monza dove si sta celebrando il processo contro la ‘ndrangheta accusata di essersi infiltrata negli appalti Tav. Alla sbarra ci sono personaggi di peso: la famiglia Paparo, legata alle cosche di Isola Capo Rizzuto, gente dal nome nobile come Arena e NicosciaTyson parla e accusa: tira in ballo i boss, colloca azioni, le descrive, entra nei particolari. Cita la cosca di Pioltello costituita da Cosimo Maiolo e Alessandro Manno. Gente di Caulonia che tira avanti con droga, pizzo e violenza. Poi Nista sposta il tiro e racconta degli affari diPio Candeloro, padrino in stile Soprano, oggi in attesa di giudizio nel processo Infinito.

Una sola audizione per dire molto, forse troppo. Quindi la beffa: niente programma di protezione. Ufficialmente Domenico Nista non sarà mai un collaboratore di giustizia. Solo otterrà, nel carcere di Torino, un regime speciale. I magistrati e i giudici, che nel processo ai Paparo, annulleranno l’accusa per 416 bis (mantenendo alcuni reati fine), ritengono provate le sue dichiarazioni ma non utili al processo, perché vanno troppo indietro nel tempo. Due anni dopo i killer gli uccidono il fratello.

Eppure è proprio da quei verbali, comunque allegati agli atti del processo e dunque acquisibili dagli imputati, che emerge un mondo di malavita del quale faceva parte il defunto Giuseppe Nista. “Mio fratello – dice Nista – in più occasioni mi mostrò diversi tipi di armi quali pistole, fucili a pompa e mitra, mi raccontò anche di avere la disponibilità di 50 chili di esplosivo al plastico (…). Non so dove occultasse le armi. E’ appassionato e va a sparare alla cava di San Maurizio al Lambro”.

Domenico Nista inizia a collaborare il 22 novembre 2007. Tyson si trova al sesto piano della procura di Milano. Racconta di una famiglia, il cui nome è noto tra le strade di Cologno Monzese e che nel 1999 fu coinvolta in un traffico di armi poi rivendute alla camorra. Parla di A.G. “Quando era ragazzino frequentava il bowling di Pessano con Bornago. Io lo vedevo prendere i soldi dai ragazzini, a cui portava via anche i ciclomotori, in sostanza faceva piccole estorsioni e chiedeva il “pizzo” nei locali”. A comandare, però, è il fratello V.G. “Mi disse che lui e i suoi erano affiliati alla ‘ndrangheta, mi raccontò che aveva “la terza”, cioè che aveva la possibilità di battezzare nuovi adepti e creare un’altra famiglia. Se ho inteso bene, il grado della “terza” dovrebbe corrispondere a quello di “sgarrista”.

Nista Tyson racconta che quelli hanno tentato di farlo fuori e che lui voleva vendicarsi. Ma poi, nel 2002, alla gelateria Visconti sempre a Cologno c’è un incontro con gli uomini dei Nicoscia. C’è da parlare di droga e di traffico. “Mi dissero che avremmo dovuto lavorare tutti insieme, sia per la droga, sia per le estorsioni ed aggiunse che già sulle estorsioni stavano lavorando loro. In sostanza, mi chiesero di lavorare con loro perché mi sapevano “uomo d’azione””. Non solo: Domenico Nista all’epoca tratta chili di droga. E per qualche tempo concilia affari e sentimenti. La sua donna, madre di sua figlia, “aveva il compito (…) di tenere la contabilità dei miei traffici, aveva un libricino in cui segnava tutte le entrate e le uscite sulla base delle mie indicazioni”.

Insomma, Mimmo Tyson Nista non è un boss ma nemmeno un “pisciaturi” qualunque. E’ uno che i piedi in testa mai. E sei i suoi quarti di nobiltà mafiosa se li è guadagnati tra i palazzoni di Milano, alcuni nomi che contano li conosce. Come Cosimo Maiolo: “Un personaggio di spessore”. E giù particolari: “Nelle baracche nella campagna di Seggiano di Pioltello c’erano degli incontri di “calabresi pesanti”. Ho partecipato anch’io in qualche occasione a queste riunioni, si faceva da mangiare e si parlava di traffici illeciti”. Da Caulonia a Rosarno, Tyson mette in agenda anche il nome di Pino Ferraro detto u Massune e del suo tirapiedi Giuseppe Celentano detto Peppe u macellaio. Nel carcere di Sollicciano, addirittura incrocia un tizio, soprannominato Mescal, che gli racconta di traffici di droga (cento chili arrivati a Ventimiglia) che coinvolgono uomini dei Ros.

E nonostante questo, le sue parole rimarranno per sempre lettera morta. Non serviranno ai giudici di Monza che le riterranno vere ma non utili. E nemmeno saranno utilizzate dalla procura di Milano che non avvierà indagini nemmeno su un’ipotesi di sequestro, così racconta Nista, ideato dal braccio lombardo dei Nicoscia ai danni della figlia di suo fratello. Oggi orfana di un padre ammazzato in un pezzo d’asfalto non distante dal cuore di una Milano che nel silenzio mediatico aggiorna a 18 gli omicidi di mafia negli ultimi cinque anni. La prima fu l’avvocato Maria Spinella(freddata da Luigi Cicalese, killer della ‘ndrangheta oggi pentito). L’ultimo Peppe Nista. In mezzo l’esecuzione di Carmelo Novella (2008) il capo delle cosche lombarde che voleva fare la secessione dalla Calabria e finì ucciso in un circolo di San Vittore Olona. E ancora: Giovanni Di Muro (2009), imprenditore vicino a Cosa nostra e spione per conto dei Servizi segreti. Poi Natalino Rappocciolo (2009) figlio d’arte e di mafia giustiziato a bordo strada, la sua auto bruciata, il corpo chiuso in un sacco con un testa di cane mozzata al fianco.  Il resto è cronaca di ieri e di oggi. Cronaca di mafia a Milano.