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Il Casalese non ama i libri

Scritto per IL FATTO QUOTIDIANO

Nicola Cosentino (anzi, i suoi famigliari per la precisione) ha intentato una causa penale e civile agli autori e all’editore del libro Il Casalese – Ascesa e tramonto di un leader politico di Terra di Lavoro. L’accusa è di aver leso l’immagine dell’azienda di famiglia. Si chiede il ritiro del volume dalle librerie e un milione e 200mila euro di risarcimento danni. Quel libro (che oggi ancora di più vale la pena di leggere e comprare) è l’unica biografia non autorizzata dell’ex sottosegretario salvato dal servilismo bipartisan di un parlamento garantista con i potenti e macellaio con i poveri. Quel libro è il simbolo oggi del giornalismo che decide di scrivere il fatto che sarebbe meglio oltrepassare, di fare quel nome che porta solo guai e di non essere compiacente. Mai.

Scrive uno degli autori, Ciro Pellegrino, sul suo blog:

Sostanzialmente Cosentino (il fratello) ritiene che il libro abbia un «intento denigratorio» tale da far affermare coscientemente il falso ai giornalisti che l’hanno scritto. Nella richiesta di distruzione e risarcimento si citano una serie di vicende raccontate ne “Il Casalese”: vicende rispetto alle quali gli autori dei capitoli in questione sono pronti a confrontarsi e lo faranno, pubblicamente.

Due spaventi, dicevo. Ma non ho spiegato perché sono ottimista sulla seconda vicenda: perché l’angoscia che lorsignori possono arrecarci con fiumi d’atti giudiziari e risarcimenti milionari  è in parte compensata dalle tante domande durante le presentazioni, dalle mail dei ragazzi, dall’interesse verso quella che –  dotti medici e sapienti se ne facciano una ragione – è semplicemente un’inchiesta giornalistica.  Spero che quest’interesse cresca.

Già: nessuno di noi ha la presunzione di poter parare tutti i colpi che arrivano (e arriveranno). Per questo motivo mi (ci) scuserete se oggi anziché raccontare la notizia, la notizia siamo noi, i giornalisti autori del Casalese. E ci scuserete se chiediamo attenzione sulla nostra vicenda. Consapevoli del giusto diritto di chiunque a veder rettificati errori lesivi della propria dignità e reputazione, al tempo stesso altrettanto coscienti dell’onesto e diligente lavoro di documentazione e scrittura intorno a questo libro, non certo operazione commerciale né politica, visto che a editarlo è una piccola casa editrice di Villaricca, popoloso comune alla periferia Nord di Napoli, a cavallo fra il capoluogo  e il Casertano.

Ci scuseranno anche gli amanti dell’anticamorra-spettacolo: non siamo abituati, abbiamo fatto solo i giornalisti. Ma in Italia da giornalista a imputato il passo è breve, troppo breve.

Fuori dal Parlamento però, le carte e le ragioni non sono secretati. Per questo gli autori e l’editore hanno deciso di organizzare due eventi per dire a gran voce le proprie ragioni e sostenere le proprie tesi.

– Martedì 27 marzo, alle 9.30, a Napoli presso la sede dell’Ordine dei Giornalisti della Campania, in via Cappella Vecchia, 8. Oltre all’editore e agli autori, parteciperanno: Ottavio Lucarelli, presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Campania; Lucia Licciardi, consigliere dell’Associazione napoletana della stampa.

– Giovedì 29 marzo, ore 17, a Roma, presso la FNSI in Corso V. Emanuele II, 349 . Parteciperanno insieme agli autori il presidente della FNSI, Roberto Natale, e il presidente dell’Associazione napoletana della stampa, Enzo Colimoro.

Questa volta il dibattito è pubblico. E da pubblicizzare.

Quando un uomo non ha il coraggio di resistere alla corrente, di bandire apertamente la verità e di sostenere contro tutti, anche contro il proprio interesse, la giustizia, smetta la penna, perocché la audace e tempestosa milizia del giornalismo non è fatta per lui. Quando voi obbliate che lo scrittore, poeta o giornalista, esercita un sacerdozio, non un traffico, che a lui è principalmente affidato l’educazione e il miglioramento della società, che la civiltà d’un popolo sta in diretta ragione della moralità della sua stampa; quando obliate tutto ciò per l’aura d’un giorno, per la limosina d’uno scudo, allora lasciate anche che vi dica che non v’è opera nefanda che uguagli la vostra, e che io, Potere, vi rizzerei tutti quanti sopra una gogna, affinché le moltitudini conoscessero chi ha loro ritardato i giorni della rivendicazione della giustizia. (Giuseppe Guerzoni)

Gattopardo Fornero

Nella riforma del lavoro trionfa lo spirito del Gattopardo: cambiare tutto perché nulla cambi. Dopo tanto discutere al tavolo Governo-parti sociali, le nuove norme rendono ancora più incerto l’esito dei licenziamento dando un forte potere ai giudici, non si allarga la copertura degli ammortizzatori sociali e non si costruisce un nuovo canale d’ingresso che gradualmente stabilizzi i lavoratori precari. Mentre i dati disponibili ci dicono che il dualismo del mercato del lavoro continua ad aumentare e i licenziamenti non accennano a diminuire. Molti gli errori di comunicazione al pubblico sulla riforma. La nuova legge non estende alle imprese con meno di 15 dipendenti la tutela contro il licenziamento discriminatorio: questa c’era già. Svarioni anche sull’articolo 18 nella pubblica amministrazione quando ministri e sindacalisti affermano che in tale settore non è applicabile. Sbagliano, a meno che nelle nuove norme non sia esplicitamente prevista una deroga. Sin qui non c’era nei testi resi disponibili dal Governo. Chiediamo chiarimenti a Fornero e Patroni Griffi.
Ha rimosso lo spettro di una crisi bancaria di proporzioni enormi l’operazione Ltro (longer-term refinancing operation) con cui la Bce di Mario Draghi ha effettuato in due riprese un rifinanziamento eccezionale delle banche. Ma non è ragionevole attendersi che questo faccia ripartire l’economia reale. Né che sciolga i problemi irrisolti della Grecia.
Lo scrive Tito Boeri su LaVoce (mica qualche pericoloso comunista) e sembra che sia così difficile da fare capire. Eppure sul lavoro si romperà più di un equilibrio. C’è da starne certi.

Il banchiere indignato

“In passato, la cultura aziendale era basata su lavoro di squadra, integrità e umiltà, ovvero i valori che hanno portato Goldman Sachs al successo, ma adesso non c’è più traccia di questi principi e l’ambiente è tossico e distruttivo come non si era mai visto”. Lo scrive Greg Smith nel suo editoriale per il NYTimes dove descrive le motivazioni che l’hanno spinto a licenziarsi dalla banca Goldman Sachs.


“Negli ultimi anni la società è cambiata molto: oggi mette da parte costantemente gli interessi del cliente per fare soldi, che è diventata l’unica preoccupazione dei vertici”, ha spiegato Smith, “l’obiettivo non è più guadagnare insieme al cliente, ma arricchirsi a ogni costo, anche a spese del cliente stesso”. La “questione morale” non è un giardino per litiganti di partito; la questione etica è la chiave della finanza e del lavoro in questi nostri anni. Oltre alla legge anti corruzione forse sarebbe il caso di pensare al favoreggiamento culturale alla corruttibilità, che si instilla e si perdona in nome della crisi. “Quando i libri di storia scriveranno di Goldman Sachs, diranno che durante il mandato dell’attuale amministratore delegato, Lloyd C. Blankfein, e del presidente, Gary Cohn, la cultura aziendale è andata persa”, ha avvertito Smith, prevedendo che “il declino dell’etica dell’istituto ne minaccerà l’esistenza”. Sarebbe bello sapere cosa ne pensa Monti.

Una proposta semplice per esercitare legalità tra i libri

Leonardo Salerno propone al Consiglio Comunale di Bollate l’istituzione di uno scaffale della legalità all’interno della biblioteca. Il segnale è semplice ma importante perché Bollate ha vissuto tempi difficili in occasione dell’ultima operazione Infinito (a Bollate ha pascolato indisturbato per anni il boss Vincenzino Mandalari che tirava le fila della ‘ndrangheta in quella zona) e perché i libri hanno un potere ‘sconsiderato’ se messi in bella mostra. La Scuola di formazione politica Antonino Caponnetto da tempo offre le proprie competenze perché si costruisca e si diffonda, anche attraverso i Libri e l’attenzione ad essi, sul territorio (Scuole, Associazioni, Città piccole e grandi,Distretti) e nell’immaginario dei cittadini, una Rete salda di Regole e Principi.Perché torni ad essere Centrale e Peculiare, nella Vita di ognuno e collettivamente, la Conoscenza e il Rispetto delle Regole. L’idea ci è piaciuta e con Non Mi Fermo abbiamo deciso di farcene carico. Bollate e Leonardo sono il primo passo. Ora dobbiamo chiedere che venga fatto dappertutto.

Polli da libreria

Esempi: «Lingua perfetta. Efficacia stilistica totale. Un vero capolavoro» (si tratta della fascetta del libro di Lorenza Ghinelli, La colpa, appena uscito per Newton Compton) dove il fantozziano «Efficacia stilistica totale» l’ha scritto Valerio Evangelisti nella prefazione al precedente romanzo della Ghinelli, l’altrettanto totale Il divoratore. I capolavori sono ubiqui. Il thriller Alex di Pierre Lemaitre (Mondadori) fa addirittura venire il capogiro; ostenta una fascetta rossa dove è scolpito: «Avrete la stessa sorpresa di quegli uomini che scoprirono che non era il sole a girare intorno alla terra, ma il contrario». A Niccolò Ammaniti, autore di queste parole, monterei uno zabaione con l’ovo copernicano che mi verrebbe voglia di fare se solo fossi un po’ gallina ma, limitandomi al galletto, devo confessare che il Darwin che spinge nelle mie zampette mi fa perdere la testa soprattutto per alcuni libri-alfa. Si tratta di quei libri che si ergono, grazie alle loro fascette, nel puro dominio della volontà di potenza. «Nessuno credeva in lei, ma da sola ha convinto 2.000.000 di lettori» (Amanda Hocking, Switched. Il segreto del regno perduto, Fazi editore). Oppure: «Un autore da 6 milioni di copie in Italia» (Luis Sepúlveda, Ultime notizie dal Sud, Guanda). La quantità riproduttiva ha maggiore efficacia della qualità, nell’umile mondo dei pennuti da cortile dove tutto sommato un pollo vale un altro. Edoardo Camurri scrive una bella riflessioni su blurp, fascette e quarte di copertina. Ed è una riflessione che riguarda le librerie ma in fondo tocca il cuore della politica degli ultimi vent’anni: la fascetta di Berlusconi vincente con le foto dei figli sulla rassicurante scrivania del suo studio ha premiato le letture veloci che non hanno bisogno di troppe interpretazioni. E noi, dalla nostra parte, ci teniamo la quarta di copertina di oggi: la manifestazione FIOM con quelle brutte assenze che inseguono rassicurazioni che non solo non rassicurano ma non riescono ad essere comprensibili ai più. E così finisce che si rimane sullo scaffale e ci si ingiallisce con il tempo retrocedendo nei cesti dell’invenduto in offerta. Perché la comunicazione e le azioni (anche quelle etiche) sono importanti se funzionano e la vera comunicazione ha luogo soltanto fra persone di uguali sentimenti, di uguale pensiero. Lo diceva Friedrich Leopold von Hardenberg 200 anni fa.

Liberisti sinistrati e smemorati

Ci sarà un motivo se la difesa dei principi costituzionali che sono sulla graticola in questo momento (penso all’articolo 18, all’equità e in generale a questa mania delle liberalizzazione che appaiono l’unica soluzione possibile) è demandata a tutti i comparti sociali, politica esclusa. Capita di ascoltare Don Gallo sull’articolo 18 e ti accorgi che una tesi così fortemente di cuore e cervello erano giornoiche la stavi aspettando, ascolti Oliviero sulla torre del Binario 21 e cogli come (più della laurea) conti il dolore e la perseveranza per resistere interpretando senza remore la Costituzione. Forse sarà un problema di narrazione (se ne parla spesso, figuratevi poi dalle nostre parti) ma la lacuna che punge di più è la latitanza della memoria storica della parte che rappresentiamo. Una sorta di liberismo necessario che sembra avere contagiato anche gli innovatori politici che su questo tema arrossiscono e balbettano qualche “ma anche”. A furia di restare schiacciati nella timidezza di un anacronistico “esproprio finanziario” abbiamo finito per regalarlo e subirlo senza nemmeno un cenno di difesa o, almeno, di comprensione del momento. Perché la politica cambia con un cambiamento culturale, certo, ma la rivoluzione culturale si accende senza timidezze. Ho sempre creduto che gli anni 80 siano la chiave di volta di questo impoverimento che ha lasciato la porta aperta agli imbarbarimenti (vincenti) degli altri e oggi ho incrociato questo articolo. Che, come ogni tanto succede, è uno di quei pezzi che avresti voluto scrivere tu:

Perché la sinistra ha smarrito la lezione della Costituzione

Le debolezze e gli errori che hanno condotto la sinistra, negli anni 80, a cambiare ideologia. L’Unità, 12 febbraio 2012

In Italia la subalternità all’egemonia liberale si è tradotta
in posizioni liberiste in economia e in una cultura istituzionale tutta incentrata su governabilità e legittimazione diretta

I lunghi anni Ottanta, racchiusi tra l’offensiva craxiana per la rottura dei consolidati equilibri partitici del Paese e lo choc del crollo del Muro di Berlino, hanno segnato un punto di svolta per le strategie politiche e per la cultura delle forze che, oggi, compongono il centrosinistra (aprendo una vicenda che ha esibito tratti peculiari, in parte diversi da quelli che hanno caratterizzato altre esperienze europee dei medesimi anni).

È comprensibile che la discussione si sia concentrata soprattutto sulla questione delle strategie, che aveva un’urgenza irresistibile e reclamava decisioni immediate e operative, ma gli effetti più profondi e di più lungo periodo si sono prodotti sul terreno della cultura – o, se si preferisce, della cultura politica – delle forze che furono sottoposte al duplice stress del protagonismo craxiano e della dissoluzione degli equilibri postbellici.

Già il solidarismo cattolico-sociale sembrava cominciare a conoscere, a partire da quegli anni, una fase di ripensamento e pareva subire la spinta ad accreditare più i punti di contatto che quelli di differenziazione rispetto al liberalismo e allo stesso liberismo. Ma era soprattutto nella cultura politica comunista, che pure poteva contare su un grande patrimonio, che giacevano elementi critici che rendevano difficoltoso raccogliere la sfida delle novità: almeno a un livello intermedio, la grande tradizione culturale liberale non sempre era conosciuta appieno e chi la conosceva non sempre vi si confrontava a viso aperto, senza pregiudiziali ideologiche e senza ricorrere all’argumentum ex auctoritate (che voleva che certe tesi fossero sbagliate solo perché non avevano trovato accoglienza in qualche vulgata di facile successo).

Era fatale che questi elementi di debolezza, uniti a un’ingiustificabile spinta all’abbandono del patrimonio posseduto, a torto stimato quasi interamente “vecchio” e inutile per la comprensione del “nuovo” avanzante, generassero una grave subalternità culturale, che per un verso si traduceva nell’acritica accettazione di tutto quanto si era ignorato o avversato, e per l’altro incideva sulle stesse strategie politiche, che, prive di un robusto basamento di convincimenti teorici, subivano oscillazioni, tanto più pericolose quanto più spregiudicata si faceva l’iniziativa politica di molte forze politiche avversarie.

I segni di questa subalternità culturale sono stati e in qualche caso sono ancora evidenti, e basta ricordarne alcuni. Sul piano della cultura istituzionale, ad esempio, si è a lungo dimenticata la complessità strutturale e funzionale delle democrazie rappresentative, concentrando l’attenzione sulla sola questione della governabilità e della legittimazione (pretesamente) diretta degli esecutivi, trascurando la lezione impartita dalla stessa Costituzione, nella quale era stato disegnato un complesso meccanismo di produzione della decisione pubblica, che doveva muovere dai cittadini (titolari di diritti qualificabili come frammenti di vera sovranità), passare attraverso i partiti (intesi come strumenti di partecipazione e di emancipazione democratica), delinearsi nelle assemblee rappresentative (come luogo del confronto, non solo dello scontro), definirsi compiutamente in sede di governo.

Il distorto bipolarismo italiano non è frutto soltanto del caso o delle scelte del centrodestra, ma anche di un’ideologia maggioritaria che della tradizione politica liberale sembra conoscere Schumpeter, ma non Locke o Tocqueville.

Né le cose vanno diversamente sul piano della cultura economica. Anche qui sembra che si sia abbracciato Hayek senza passare per Smith o Ricardo o, men che meno, Keynes. Anche qui la lezione della Costituzione appare dimenticata. Il suo articolo 41 garantisce, certo, la libertà dell’iniziativa economica privata, ma allo stesso tempo ne subordina l’esercizio al rispetto dell’utilità sociale, della sicurezza, della libertà e della dignità umana. Quali sono, nelle posizioni dell’attuale centrosinistra, i segni che si ritiene prioritario impegnarsi per definire cosa sia oggi, in questo momento storico, l’utilità sociale? Quali i segni che non ci si accontenta di farla coincidere con il risultato della competizione retta dai meccanismi della libera concorrenza? Eppure già i classici dell’economia politica sapevano che l’interesse generale non è la sommatoria di quelli individuali e nemmeno il risultato automatico del loro libero confronto. L’utilità sociale dovrebbe essere definita politicamente, ma chi ne è ancora consapevole?

Le parole hanno spesso una grande forza evocativa e quando si parla di concorrenza “libera” o di “liberalizzazioni” si ha l’impressione che un giogo sia stato rimosso, che l’arroganza del potere sia stata battuta. Ma non è sempre così.

Certe scelte economiche e normative implicano significative conseguenze sociali, che andrebbero considerate. Acquistare una maglietta a qualsiasi ora del giorno e della notte, certo, è una bella comodità. Ed è anche un bel vantaggio pagarla meno del solito, se si può comprarla in un grande esercizio commerciale che ha forti economie di scala. Ma tutto questo ha un costo. In termini di alterazione degli stili di vita, di deterioramento dei processi di socializzazione, di lacerazione della trama del tessuto produttivo, di riduzione delle reali opportunità di scelta, di incisione nelle garanzie effettive e concrete (quelle che contano davvero) dei lavoratori.

La retorica della sovranità dei consumatori è penetrata a fondo nella cultura del centrosinistra e ha fatto grandi guasti. Quella del consumatore è per definizione una figura apolitica o tutt’al più prepolitica. È al cittadino, al soggetto politico, che spetta la sovranità.

Anche questo è un insegnamento della Costituzione. E le forze politiche che, giustamente, continuano a difenderla hanno un dovere di coerenza, perché la Costituzione non è solo una bandiera da agitare per evitare il peggio o per evocare le ragioni unificanti della comunità politica, ma è anche e soprattutto un grande progetto di trasformazione sociale, di emancipazione della persona umana, di conciliazione delle ragioni della libertà con quelle dell’eguaglianza.

Credo che di questo si debba tornare a discutere.

Insediato l’osservatorio sulla legalità

Si è insediato l’osservatorio sulla legalità in Regione Lombardia. Il primo appuntamento sarà la giornata del 21 marzo che oggi, finalmente, la regione riconosce in tutto il suo valore per la memoria delle vittime di mafia. Ed è un passo importante perché quando ne parlavo (quasi due anni fa) non ci credeva praticamente nessuno dopo che la legge era rimasta a lungo nel cassetto nella scorsa legislatura. Ed è una vittoria (piccola perché l’esercizio dell’osservatorio e le risorse finanziarie sono tutte da verificare) della regione che ci sta intorno piuttosto che la regione che sta dentro il Pirellone perché il cambiamento su questo tema è partito dalle piazze, dalle associazioni, dai libri, dalle tante manifestazioni e gli incontri che ogni giorno si moltiplicano. Ed è lì che l’osservatorio va tutelato e controllato per il futuro perché non diventi una mera vetrina. E perché è arrivato il tempo che il controllo dei cittadini sulle istituzioni non rallenti e non si senta mai sazio. Soprattutto in un tempo di banalizzazioni pericolose e di citazioni a vanvera di Sciascia come la solita Carmela Rozza. Perché la legalità si può osservare ma la superficialità non si può tollerare. Capogruppo del PD in Comune a Milano inclusa.

Più che le dimissioni, lo scioglimento

Sembra passato un secolo da quando il Presidente del Consiglio Regionale Davide Boni minacciava querela nei miei confronti per avere detto in studio da Gad Lerner che alcuni personaggi del Consiglio avevano ricevuto voti dalla ‘ndrangheta. Erano gli stessi giorni in cui Formigoni dava del ‘drogato’ a Vendola che aveva ribadito il concetto e lo stesso tempo in cui Ponzoni mi ha avvicinato per riferirmi che mi “sbagliavo di grosso, le indagini sono state prorogate quindi non hanno trovato nulla di consistente” (ma lo sappiamo, nel PDL più la giustizia si allunga e più intravedono la luce della vittoria).
Oggi Ponzoni è in carcere, la ‘ndrangheta ha perso il proprio “capitale sociale” (ma l’aveva già mollato da tempo, sulla puzza di politicamente morto le mafie hanno sempre avuto l’occhio lungo) e a pensarci bene il ‘drogato’ è sempre da quelle parti.
Oggi i giornali titolano con articoli che sono gli stessi di un’era fa, scrivono di abitudini brianzole che sono state denunciate e raccontate nei circoli, nei libri e tra i comitati; e una Lombardia alle prese con il San Raffaele (e Santa Rita) nella sanità, con l’affare Nicoli Cristiani (dirigente dell’Arpa incluso) nel mondo delle discariche e dell’ambiente, con il caso Minetti nel campo etico della paraprostituzione, con un listino presentato con firme false e il “sistema Sesto” come ombra nel candidato presidente dell’opposizione è una Lombardia che ha svenduto la credibilità arroccata in autodifesa. Formigoni parla di ‘caso personale’. E forse ha ragione. Suo e in ricaduta di ogni cittadino lombardo.
Perché se non è stata la politica a scegliere allora piuttosto che le dimissioni in Regione Lombardia sarebbe il caso di parlare di scioglimento. Per il bene di tutti. Quello comune. Appunto.

Giovane intellettuale inconsistente 2.0

Don DeLillo su Tuttolibri: “Tutti questi aggeggi che ci portiamo dietro hanno creato un obbligo di usarli e comunicare, anche quando non abbiamo nulla da dire. E’ contagioso. (…) Diciamo che mi rifiuto di moltiplicare le comunicazioni non necessarie. Non è detto che dobbiamo fare tutti certe cose, solo perché la tecnologia lo consente”. Come dice bene Crosetti “tutti questi aggeggi e magari niente da dire, poca disponibilità a capire, nessuna voglia di ascoltare. A volte parliamo tecnologicamente da soli”.

Venerdì a Modena, sabato a Casalpusterlengo e poi Yo Yo Mundi al nostro piccolo Nebiolo

Calendario del fine settimana per una buona ecologica circolazione: venerdì 9 dicembre ore 21.30 a Modena per presentare il mio libro NOMI COGNOMI E INFAMI alle 21.30 presso lo spazio Tenda, organizza l’associazione L’asino che vola. Sabato 10 dicembre alle 17.30 a Casalpusterlengo (LO) presso ALL CINEMA via Gramsci 63 per presentare 2 LIBRI GIUSTI,  poi alle 21, nel nostro piccolo Teatro Nebiolo, ci ascoltiamo fil Yo Yo Mundi con Munfrâ Canzoni di festa e d’amore, musica selvatica, racconti di Monferrato. Tutte le informazioni qui.