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libri

Questione di equilibri

inusLinus: “Lucy, non voglio che il mio cuore sia metà amore e metà odio… Io voglio essere tutto amore!”

Lucy: “Buon per te, Linus. Devi solo piegarti un po’ da una parte… Visto? Ora l’amore potrà rovesciarsi dalla parte dell’odio!”

Charlie Brown: “Misericordia!”

RADIO MAFIOPOLI 7 – L’onore è mobile!

IL TESTO:

Parlavano dell’onore. A Mafiopoli sono anni che sciacquano le bocche con l’onore. L’onore che premia, l’onore che salverà anche il più  mafiopolitano dei mafiopolitani davanti a dio. L’onore delle donne che si stracciano le sottane invocando dio, che se non l’avessero venduto dio a mafiopoli per  un terreno edificabile, se potesse sentirle dalla cella del carcere duro, sarebbero muffa, le donne che si stracciano le vesti difendendo i mariti giurando di non aver sentito il loro odore di caccia, sangue e pistola mentre si infilano nel letto. Le donne di mafiopoli sono la muffa dell’onore che sbava. Le donne di Mafiopoli, le donne quelle vere come la donna del capoclan Valentino Gionta che hanno fresca fresca arrestato giù a Gomorra. Una vergogna si dice a Mafiopoli. Arrestare una femmina così. Senza nemmeno che fosse cotto il bollito. Arrestata perché ci sbagliava a farci il sugo – dicono i benigni. Arrestata perché ci ama tanto il suo Gionta del circo Gionta che gli curava i pizzi giù dei negozietti di Torre Annunziata. Come le donne per bene di Mafiopoli. Come la santa Giuseppina Nappa, la moglie del divo Sandrocàn Schiavone grande capo dei capalesi. Che si fa piangere in diretta sui rotocalchi dei suoi divi da terza elementare e invoca da nuova vedova il diritto di Mafiopoli. E il giorno dopo viene arrestata alla stessa ora sullo stesso canale del telecomando. Villipendio alla scaletta televisiva! – urlano i maligni. E Pina Nappa, nonostante la cacofonia del nome, va a raggiungere il marito nel carcere duro delle donne fiere di mafiopoli. Dove avrà più tempo per scrivere, lei donna d’onore e moglie dell’onore di Sandrocàn, avrà tempo per scrivere nel carcere d’onore i suoi biglietti di auguri e morte per la giornalista Rosaria Capacchione. Perché le donne di Mafiopoli sono donne che hanno imparato bene ad avvisare con la penna prima di togliere la sicura alla pistola: sono donne civilizzate. Civili e civilizzate e artiste. Artiste serie. Artiste della sceneggiata in eurovisione anche con il fondotinta sporco di sugo. Donne d’onore, donne d’odore, donne di rumore da show di prima serata. Come le veline del maxiprocesso, che gli si stringeva il culo per i mariti disonorati che parlavano troppo ai magistrati e allora ci hanno fatto uno stacchetto che a Mafiopoli tutti fieri se lo ricordano e l’hanno aggiunto ai libri di scuola.

Mai le donne! Sussurrano a Mafiopoli abbarbicati nella medievale casupola di campo pronti per combinare il prossimo. Mai toccare e guardare le donne! Giurano con la borsetta di Mary Poppins a giocare ai pirati e il corredo di ramo d’arancio amaro, la santina e la goccia di sangue. Come si conviene alle persone serie. Alle persone combinate. Alle persone d’onore che da cacciottari giocano a fare i boss. E sopra i quattro assessori alla mafia che li tengono da conto, ne ridono al bar e li disconoscono in tribunale. Mafiopoli è il parco dei divertimenti dell’onore. Onore ai combinati! – urlò il principe Cacchiavellico all’inaugurazione del ponte da Messina a Katmandù. Onore ai combinati e rispetto per le donne! Rispetto per l’onore. Per l’onore combinato. 

Niente donne e niente bambini! Ordina il Raccuglia dei Caccuglia nuovo boss da copertina giù a Partinico in provincia del policentro mentre aspetta che si riorganizzano quei vitali dei Ditale della stirpe dei Vitale della nobile casata di Fardazza. Niente donne e niente bambini! Urlano felici i delfini di Matteo Messina Denaro detto Soldino per gli amici e Soldo di Cacio dai nemici. E intanto studia il suo sbarco su Palermo.  È un onore tascabile quello che si sfoggia giù a Mafiopoli. Un onore snack e primitivo come si conviene ai picciotti sottosviluppati. Non toccate i bambini! – urlano i boss incorniciati tra le ricotte e le latitanze da guardie e ladri. Le donne ce le siamo giocate ma siamo uomini d’onore (poco e sputtanato) e non tocchiamo i bambini. L’aveva anche citocomunicato quell’anima pia e piena di bontà di Giovanni Bontade. Che dal cognome si evince uomo d’onore buono. Alla panna e cioccolato.

[comunicato Bontade al maxiprocesso]

 È un onore risvoltabile quello che si sfoggia giù a Mafiopoli. È un onore che smignotta cinque minuti dopo essere stato puncicato. In nome della bava e della muffa dei boss da cartoni animati. E allora dov’era l’onore, chiede lo scemo del villaggio con il cappello per l’elemosina, dov’era l’onore mentre scioglievate Giuseppe Di Matteo inzuppandolo nell’acido con un paio di mani da uomini da niente? E Brusca con quella faccia d’onore del forte con i picciriddi come i peggiori sfigati della classe? – chiede lo scemo del villaggio. Sarà stato un errore, un errore di onore, rispondono in coro dalle residenze di latitanza i quattro capetti vestiti in maschera da padrino. E allora perchè – insiste lo scemo con l’insistenza quella scema degli scemi che non credono all’onore – perchè a Casteldaccia nel pieno della provincia di Palermo cocapitale di Mafiopoli Ignazio Di Paola calpesta l’onore da pagliaccio di Cosa Nostra e manda il nipotino di otto anni a smerciare droga? Su quella domanda a Mafiopoli, scese il silenzio, il silenzio tipico di Mafiopoli quando uno scemo qualsiasi si accorge che l’onorata famiglia puzza, quando si accorge che la mafia è una montagna di merda. Donne e bambini! Recita il rosario dei boss da fumetto. Donne e bambini si sono giocati gli uomini dell’onore tascabile. E allora dov’è? Se lo sarà mangiato Binnu infarcendolo di ricotta? Lo avranno usato i Riina come bomboniera al matrimonio? L’avrà messo incinta come al solito Raccuglia? Bah…. intanto giù a Gomorra i fessi dei gomorristi per dimostrare che nella scemenza ci devono sempre primeggiare per meritarci almeno un altro romanzo dopo il gioco della sparo al negro giocano coi ragazzini allo sparo davanti alla sala giochi. E vincono il mongolino d’oro della settimana.

C’è bisogno di rifarci l’immagine agli allori e agli onori delle bande di Mafiopoli. C’è bisogno di una cura di televendite e telegiornalisti mafiopilotati per riverniciare questi boss oramai stinti. Quelli che sapevano scrivere e parlare sono finiti in pirlamento, gli altri se la fanno sotto. Svenuratielli.

[testimonianza pentito “sventuratiello”]

Servono eroi. Servono sempre gli eroi alle città con poca anima. Servono sempre gli eroi che facciano il bidet delle onorate società tutte le mattine e poi metterlo in esposizione in piazza. Eroi con un sfighina penale da far invidia, per abbeverare il popolo, per distrarre il popolo, per spopolare il popolo, per onorare il popolo. Alla Cacchiavellica.

[Mangano è un eroe]

Scrivere è reato

Sulla indicibile condanna a Carlo Ruta.  Dal sito Fustigat ridendo mores.

Er giudice gl’ha detto: “Che te credi

che ner blogghe puoi scrive’ ciò che vuoi?

Tu m’attacchi le banche e pesti i piedi

puro a la mafia e a li mortacci tuoi!

Che dichi? Che er tuo blogghe è libbertà?

Ma quale libbertà  famme er piacere

la pace nostra è fatta d’omertà

e se sgarri la pigli ner sedere.

E t’aggiungo così, bello papale,

pe’ nun portare avanti ‘sta manfrina

ch’er  blogghe tuo per me resta n’giornale

e un giornale de stampa clandestina.

Quindi mo te condanno e bada bene

de rigà dritto tu e l’amichi tua

artrimenti te becchi gravi pene.

Ma chi te credi d’esse’? Gargantua?”

“Ma signor giudice, io me so’ ‘nformato

e ho cercato de fa’ conosce i fatti:

perché hanno ucciso Giovanni Spampinato

che indagava su truffe e su ricatti…”

“Ma quali truffe, fatti e fatterelli…

Mo m’hai scocciato e te lo dico chiaro,

scrivi, se vuoi, di scippi e furtarelli

nun ce provà ndove ce sta er danaro.

Ringrazziaiddio che mo me trovi bbono

e che te faccio ammettere ar condono

e nun fiatà, sinnò prima de sera

giuro, te faccio sbattere ‘n galera”

Leggi tutto »Scrivere è reato

Partecipare, da parte

Essere partigiano vuol dire prendere una parte. Scegliere. Condividere. Portare avanti. Resta da vedere se si tratta di una partecipazione o di uno stare in disparte. Le parti degli altri non si cancellano e non si riscrivono; in democrazia ci si oppone, ci si confronta. Riscrivere la resistenza è una frase che cola ignoranza. Continuiamo a scriverla e raccontarla ognuno con la propria sintassi e il proprio angolo di osservazione. Riscrivere è l’eufemismo di cancellare. Il rogo dei libri è il barbecue della pochezza.

Mio padre è morto partigiano a 18 anni

Mi’ padre e’ morto partigiano
a diciottani fucilato nel nord, manco so dove;
percio’ nun l’ho mai visto, so com’ era da quello che mi madre me diceva:
giocava nella roma primavera.

Mo l’antra notte, mentre che dormivo, sara’ stato due o tre notti fa,
m’e’ parso de svejamme all’improvviso e de vedello, come fusse vero;
sulla faccia c’aveva un gran soriso, che spanneva ‘na luce come un cero.

– Ammazza, come dormi – m’ha strillato,
era proprio lui, ne so’ sicuro,
lo stesso della foto che mi’ madre ciaveva sur como’,
dietro na fronda de palma tutta secca, benedetta,
un rigazzino, che ride in camiciola, col fazzoletto rosso sulla gola.

Ma siccome sognavo i sogni miei, pe’ la sorpresa jo chiesto – Ma chi sei?-
– So’ tu padre – ma detto lui ridenno – forse che te vergogni alla tua eta’
de chiamamme cor nome de papa’? –

– No, papa’, te chiamo come hai detto, me fa ride vedette ar naturale,
scuseme tanto se me trovi a letto, che voi sape’ ? Nun me posso lamenta’,
nun so’ un signore, trentadu anni, davanti c’ho na vita,
ancora nun e’ chiusa la partita. –
– Lo sai, da quanno mamma s’e’ sposata co’ mi padre, che invece er mi patrigno… credo sett’anni dopo la tua morte… –

A ‘ste parole ho visto che strigneva un poco l’occhi, come quanno se sta ar sole troppo forte.- Scusa papa’, credevo lo sapessi –
Ma lui, ridenno senza facce caso spavardo, spenzierato, m’ha risposto:
– Ma che ne so io de quello che è successo, io so’ rimasto come v’ho lassato,
quanno giocavo, giocavo, giocavo…
giocavo a calcio e mica me stancavo, giocavo co’ tu madre e l’abbracciavo,
giocavo co’ la vita e nun volevo, co’ li nazzisti io pero’ nun ce giocavo,
perche’ io lottavo, lottavo, lottavo. –

Poi m’ha toccato i piedi dentro al letto e ha fatto un cenno, come da di’ –
Sei alto! –
– E dimmi – dice – prima d’anna’ via, che n’hai fatto della vita che t’ho
dato giocanno co la mia… Vojo sape’ sto monno l’hai cambiato?
Sto gran paese l’avete trasformato? L’omo novo e’ nato o non e’ nato?
In qualche modo c’avete vendicato? – e rideva co’ l’occhi, coi capelli
sembrava quasi lo facesse apposta. Me sfotteva, capito, quer puzzone
rideva e aspettava la risposta.

– Ma tu che voi co’ tutte ‘ste domanne? Mo’ perche’ sei mi padre t’approfitti.
Tu m’hai da rispetta io so’ piu’ grande!
Va beh adesso accampi li diritti perche’ sei partigiano fucilato… ma se me
fai sveja io t’a risponno mabbasta solo che a ripjo fiato.
Certo che la vita e’ migliorata! Avemo pure fatto l’avanzata.
Travolgente hanno scritto sui giornali. –

– Mejo cosi’ – me fa – se vede che servito… vedi quanno che m’hanno fucilato
Nun ho strillato le frasi de l’eroi pensavo a voi che sullo stesso campo avreste
certo vinto la partita pure che io eprdevo er primo tempo. –

– No un momento papa te spiego mejo… nu n’e’ che avemo proprio gia’ risolto
nella misura in cui ci sta il risvolto emh… – e allora quel ragazzo de mi padre che
stava a pettinasse nello specchio sa rivolta me fissa e me domanna
– Ma insomma, adesso il popolo comanna?-

A sta domanda so zompato dar mio letto, co’ na mano m’ areggevo le mutanne,
co’ l’altra cercavo de toccallo, e nun potevo.
Allora j’ho parlato, perche’ m’aveva preso come na malinconia e nun volevo
che se ne annasse via prima de sape’ bene come è stato
– Sei ragazzo, papa’ come te spiego nun poi capi come e’ cambia er
monno.. Ce vole tempo, il tempo se li magna i sogni nostri, io, sai che
faccio, aspetto! Tutto quello che viene, io l’accetto, semo contenti si la
Roma segna, li compagni so’ tanti e li sordi pochi…e nun ce sta piu’
tempo pe’ li giochi! –

– Ma so’ sempre quelli te strappano le pene, ma tu nun poi capi’ papa’, sei
minorenne, si eri vivo te daveno trent’anni, mejo che torni da dove sei
venuto, perche’ quelli che t’hanno fucilato, proprio quelli li’ qui te fanno
mori’ tutti li giorni! Lassa perde papa’, qui nun e’ aria, semo cresciuti…
nun semo piu’ bambini, torna a gioca’ co’ l’artri regazzini
che hanno fatto come hai fatto tu, noi semo… seri.
E nun giocamo piu’-

A ‘sto punto mi padre s’e’ stufato, ha fatto du’ spallucce, un saluto,
s’e’ rimesso in saccoccia la sua gloria e voltanno le spalle se n’e’ annato
ripetendo nel vento la sua storia:
– Ma che ne so io de quello che e’ successo, io so’ rimasto come v’ho lassato,
quanno giocavo, giocavo, giocavo…
giocavo a calcio e mica me stancavo, giocavo co’ tu madre e l’abbracciavo,
giocavo co’ la vita e nun volevo, co’ li nazzisti io pero’ nun ce giocavo,
perche’ io lottavo, lottavo, lottavo… –

monologo di Magni
recitato da Proietti
nello spettacolo “A me gli occhi, please” 1976